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DI VIRGILIO
v .VOLGA UZZATA
ANNUI
CARO
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DI VIRGILIO
VOLGARIZZATA
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ANNIBAL CARO.
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FIRENZE,
HA UH Fi II A , HI ANGUI K O
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AI LETTORI.
Ogni studioso clic acquista un’ edizio-
ne nuova di un libro vecchio, ha diritto
di sperare che questa nuova edizione
vinca di pregio tutte le precedenti •, ed
ha ‘pure il diritto di conoscere quali
cure vi siano state spese attorno, per-
chè la sua giusta speranza non fosse
delusa. È mio dovere pertanto di sod-
disfare a questo secondo diritto, per in-
durre nell* animo dei lettori la persua-
sione clic anche al primo si è cercalo
ili soddisfare.
Da un attento esame delle più pre-
giate fra le molte edizioni di questo
libro, mi venne fatto di scorgere che qua
m
Caro.
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* C
VI
Al LETTORI.
e là in più luoghi esse discordavano
essenzialmente; tanto che a voler dare
un* edizione più genuina che fosse pos-
sibile, era mestieri di risalire alle fonti ;
cioè all’ edizione principe, fatta in Ve-
nezia dal Giunti l’anno 4581, ed assi-
stita da .Lepido Caro, nepote di Anni-
baie. Ma per mala sorte cotesta fonte
era avuta in conto di molto impura da-
gli uomini di lettere; onde il ritornare
ad essa, e riprodurla tal quale, non sa-
rebbe stato altro che un ripristinare gli
errori. Volli nondimeno toccar con mano,
- e mi avvidi che il giudizio dei letterali
non era ingiusto. Ma insieme conobbi
che ciò era bastato per isbrigliare l’ar-
bitrio degti editori, la cui licenza crasi
andata esercitando in molti e molti mu-
tamenti, suggeriti ora dal desiderio di
far troppo bene, che torna a male, e ora
dall’ ignoranza della nostra lingua e di
certe sue forme invecchiate.
La fama di scorretto nuoce ad un libro,
come la fama di bugiardo ad un uomo :
Al LETTORI. VII
« anche se dice i! ver non gli è creduto. »
Tale mi è sembrata la sorte di questa
edizione Giuntina; che se non è delle
più accurate, ha veduto però nascer da
sè figlie molto più trascurate di lei.
Quanto a me, io non ho voluto che que-
sta sua mala fama fucesse velo alla più
severa imparzialità; e dove Terrore non
era manifesto, alla Giuntina mi sono at-
tenuto piuttosto che ad altra qualunque
edizione. Ma come discernere il vero dal
falso? In ciò appunto credo che consi-
sta T ufficio e lo studio di chi invigila
ad una ristampa. Il riscontro dell' origi-
nale latino, Tesarne del contesto, l’in-
vestigazione delle proprietà di nostra
lingua, sono stati i miei criterii. Ma que-
sti criterii qualche volta sono fallaci, e
spessissimo insufficienti ; onde io posso
bene essermi ingannato. Il lettore ne
giudichi da qualche saggio:
. Lmno I , verso 123. G. 1 Eolo a rin-
’ Significa: L’Edizione Gicntina i.eggf.
Vili
AI LETTORI.
contro: a lo, regina , disse , Convicnsi
che tu scorga i tuoi desiri; Al.: 1 scopra.
Clic scorgere sigili fieli i miche scoprire ,
manifestare lo dice nuche il vocabolario,'
e chi al vocabolario non credesse tro-
verà in Marcello Adriani il "iovane, Trud.
di Plutarco , Vita di Aristide , § 3, le pa-
role si scorse in senso di si palesò , si
manifestò , avendo il greco la voce
é^aivexo — I, v. 144. G. Le sarti ; Al.: le
sarte. Quantunque non vi sia alcuna
dilìicolla a credere che il Caro scrivesse
le sarti , come il Machiavelli disse le
pianti, il Berni le spesi, il Boccaccio le
erbetti , ed infiniti altri similmente, 2
pure il leggersi poi sempre sarte in tutto
il resto dell’ Eneide mi ha fatto forse
pentire di aver lasciato le sarti. —
I, v. 328. G. Per vari casi c per acerbi e
duri Perìgli è d’uopo a far d’Italia
1 Significa: Altre fdizioni leggono; e in-
tendi.imo le più recenti.
5 Vedi il Nanuucci, Teoria dei nomi, ecc*
l*ag. 258 segg.
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Al LETTORI. IX
acquisto; Al.: è d* uopo far d* Italia
acquisto. Quell’ a pare clic abbia dato
molta noia agli' editori, perchè lutti la
vollero bandita, e con questo ci rega-
larono un verso molto cadente e slom-
bato. Supponendo, quel che essi dovc-
van supporre, clic quell’ a faccia le veci
di per, a fine di, certamente non se ne
cava senso: ina supponiamo che stia
invece della particella di; nessuno avrà
difficoltà d’ intendere queste parole: È
d* uopo di far acquisto d’ Italia per vari
casi c pericoli. Resta però sempre a pro-
vare che I’ a stia invece del di e che si
possa indistintamente dire: E d* uopo
ni fare una cosa, o Ed* uopo a fare una
cosa. Io credo che una tal prova si abbia
in questi esempi dello stesso Caroì VI,
v. 4415, Indi a venir n * è dato Negli
ampi elisii campi ; e XII, v. 4167 : Stun
dubie a • cui di lor marito e donno Sia
de l* armento a divenir concesso ; nei
quali casi noi ora diremmo, ne è dato
di venire, o, ve è dato venire ; concesso
X Al LETTOR'.
i»i divenire, o, concesso divenire: mentre
invece Io stesso Caro, VII, v. 433 Ita
detto: Incominciava d’ alzar gli alberghi
e di fondar le mura , ove noi ora comu-
nemente diremmo, Incominciava ad alzar
gli alberghi c a fondar le mura. —
I, v. 59G, G. 0 Deaj se da principio i no-
stri affanni Io contar ti volessi c tu con
agio Udiste una da me si lunga istoria ,
Pi on finirci che fine avrebbe il giorno.
Nella parola udiste a tutti gli editori è
sembrato di scorgere un errore, ed anche
a me sembra; poiché, supponendo pure
che udiste sija in luogo di udisti , non
è questo il modo e il tempo del verbo
che il contesto richiede. Gli altri editori
vi hanno sostituito udir ; io, per osar
meno, ho mutato il t in s, e ne ho fatto
udisse. — I, v. 1031, G. Enea , cui la pa-
terna tenerezza Quotar non lascia, a lo
sue navi innanzi Spedisce Acute ; Al.:
Enea, la cui paterna tenerezza Quclar
non lascia, ec. Una tale trasposizione,
oltreché dà un verso fiacchissimo, di-
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Al LETTORI. XI
strugge a mio credere la sintassi. — III,
v. 698, G. Sovr* a tutto io t* asseto, ti
predico , Ti ripeto più volte e li ram-
mento; Al: t* accenno; Virg. Unum
illud libi, nate dea , proque omnibus unum
Praedicam, et repetens iterumque itcrum-
que monebo. — III, v. 895, G. È .... ca-
pace Di molti legni il poi'to ove sorgemmo ;
Al. : ove giugnemmo. Il verbo sorgere ha
il significato di approdare, e glielo danno
anche i vocabolarietti ad uso delle scuole.
Eppure qui gli editori hanno creduto
di negarglielo, mentre poi glielo hanno
concordemente concesso al L. VI, v. 1042,
A la riva Del mar Tirreno il mio navde
«
è sorto. — IV, v. 733, G. Or poi che la
meschina Fu . da tanto dolor da tanto
affanno Appresa e vinta ; Al. : Oppressa ;.
Virg. Ergo ubi concepit furias evicta
dolore. — V, v. '1016. E tu de* tuoi Ciò
che t'avanza .... a lui si lasci. Cosi leg-
gono tutte le edizioni; e noi per dar
sintassi al periodo eravamo tentati di
scrivere o lui qui lascia o, a lui si lascia :
XII
Al LETTORI.
ma non abbiamo osato. — VII, v. 975,
G. Tirar lame (/'acciaio fila dr argento ;
Al.: (Tacciar. Come noia, gioia c simili
sono monosillabi nei versi «li molti poeti,
e fin del Parini, cosi acciaio qui è bi-
sillabo, quantunque in altri luoghi il
Caro stesso lo faccia trisillabo. — VII,
V. 1018, G. Con la madre il poderoso
iddio Quivi si mescolò quando di Spa-
gna, Da Gerioue estinto (cioè, dopo
avere estinto Gerìone) ai caìnpi venne
Di Laureato ; AL: ... Di Spagna, istinto
(i ertone, ai campi venite oc. Io non so se
possa darsi mutazione "più temeraria. —
IX, .177, Quante .... Eran le itavi, tante
"di donzelle Si tidcr per lo mar sereni
aspetti. Così, dietro alla Giuntina, tutte
. le edizioni*, io ho creduto di dover mu-
tare il tante in tanti. — IX. 986, G. To-
nò dal manco Sereno ' lato ; Viro. De
parte serena Intorniti lacvnm; Al.: Tonò
dal manco Sinistro (!) lato. — IX, v. 1117,
G. Il grave sasso .... Da T alto ordigno,
ov* era dianzi appreso, Si spicca c piovi-
Al LETTORI. XIII
ha; Al. appeso. Mi pure che il testo <1 i;i
ragione alla Giuntina: Saxca pila cadi t,
magni s rjuam inolibus ante cojstructam
ponto iacinti t. — X, v. 4249, G. E *1
tuo fatto ; A!.: E Jl ino fato; Vino.
Foctaquc.
L’addurre v- molti altri esempi clic
potrei, e I’ additare i luoghi in cui ho
creduto dovermi scostare dalla Giuntino
e seguire le altre edizioni, riuscirebbe
non meno grave al leìtore che a ine. K
già le mie parole son troppe. Mi occor-
re però ancora di dire’ che non m’ è
piaciuto d’ imitare 1’ esempio degli altri
editori, i- quali haqno ammodernato molti
vocaboli. Ed ho lascialo il suffocare , il
Bora, il fulgurò, il virtù, lo sherqn,
V occhione, 1’ occiso, 1’ effigi» il profetez- »
za, le redine , il sossidio, 1’ es seguire;
il Volcano, e moltissimi altri. Ma come
I’ uso di queste forme non era costante
nella Giuntina, così anche qui si è man-
tenuta la stessa incostanza c vi si legge
pure sussidio, uccise, folgorare, Vulca -
XIV
Al LETTORI.
no cc. cc. Queste minuzie mi pare che
giovino alla storia delle parole.
Quanto all’ ortografia ho tenuto que-
sta regola, clic, trattandosi di versi, mi
è sembrata la più sicura : se 1’ uso odier-
no non induceva alcuna variazione di
armonia, di accenti, di suoni o di con-
sonanze, ho seguito l’uso odierno: c
cosi di a ij de i, ne i, e simili ho fatto
ai, dei , nei ; ma dove per seguire que-
st’ uso era mestieri aggiungere o togliere
una qualche lettera, onde ne usciva qual-
cuna delle dette variazioni ,• 1’ uso antico
mi è parso da preferire: e però di si
come, di poi che , di a le, di ne la,
non ho fatto siccome , poiché , alle,
nella.
Dirò per ultimo clic ad utilità degli
studiosi è stato fatto precedere il poe-
ma dagli argomenti che testò dettava
in latino il Dùbner per la elegantissima
edizione del Virgilio di Didot, c che
tradotti e così riuniti in principio del
libro, formano una succinta narrazione
#
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Al LETTORI. XV
ilei fatti (l’Enea. Si è creduto pure di
provvedere al comodo dei lettori met-
tendo nel margine superiore di ciascuna
pagina la numerazione dei versi italia-
ni, e nell’ inferiore, quella dei versi la-
tini corrispondenti.
/
Attelmo Severini.
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ARGOMENTI.
LIBRO I.
* •
Protasi ed invocazione della Musa 1-1 1.
Giunone a danno dei Troiani domanda ed
ottiene da Eolo che scateni una violentis-
sima tempesta contro di loro, che naviga-
no dalla Sicilia in Italia, 12-123. Nettuno
sorge a sedare la burrasca; e i Troiani,
balestrati dal mare e dai venti verso la
Libia, vi approdano, 124-158. Enea, preso
terra, fa preda, alla caccia, di sette grossi
cervi, che distribuisce, uno p^r ciascuna,
alle sette navi campate dal naufragio;
quindi cerca di rianimare i suoi compa-
gni, già stanchi del lungo errare, colla
speranza del vicino riposo, 159-222. Frat-
tanto Venere patrocina appo Giove la
causa del suo Enea e de' Troiani: e Gio-
XVIII
ARGOMENTI.
ve, svelatole l'arcano dei fati, consola il
dolore della figlia colla speranza di una
felice posterità, e della futura grandez-
za di Roma, 223-290; e intanto nascosta-
mente manda Mercurio per disporre a
mitezza verso i nuovi arrivati l’animo de'
Peni, 297-304. Quindi Venere si fa incontro
ad Enea, che ignaro de’ luoghi andavo at-
torno per esplorarli; gli annunzia che le
navi disperse erano salve, e in pari tempo
gli mostra Cartagine, cui poco lungi di là
stava fabbricando Didone, 305-489. Enea,
per favore della madre nascosto con Acate
dentro di una nube, entra in Cartagine;
quivi ammira le opere a cui si dà mano,
e vede i suoi compagni amorevolmente
accolti da Didone, 490-585. S’apre la nube:
e Didone stupisce alla vista e all’avventu-
ra d' Enea, lo conduce alla reggia, manda
per Ascanio con doni, ed invia gran copia
di vettovaglie ai compagnid’Enea, 586-656.
Ma Venere diffidando di un’ospitalità con-
cessa in terra devota a Giunone, ed anco
dell’indole fiera de’ Peni, rapisce Ascanio
ai boschi d’ Idalia, e in sembianza di lui
manda il suo Cupido, perchè fra gli ab-
bracciamenti e i baci della regina, le in-
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ARGOMENTI. XIX
spiri insensibilmente focoso amore d Enea,
657-722. Gran convito nell'aula. Didone
prega Enea che le narri l'eccidio di Troia,
i suoi casi, i suoi lunghi errori, 723-756-
LIBRO n.
A malincuore s’inducoEnea al racconto
dei luttuosissimi eventi, 1-13. 1 Greci af-
franti dalla decenne guerra e diffidando
del proprio valore, ricorrono all’ inganno :
facendo vista di fuggire, veleggiano a Te-
nedo, e dietro quell’ isola si nascondono,
dopo aver lasciato sul lido un cavallo
di legno, in cui avevano rinchiuso i più
eletti fra i capi dell’ esercito, e che ave-
vano costruito di tanta grandezza, da non
lo potere accogliere entro le porto di
Troia. I Troiani parte indotti dalle frodi
di Sinone, parte atterriti dal supplizio di
Laocoonte, demolita una parte del muro,
trascinano il cavallo fin sulla ròcca, 14-249.
A notte avanzata i Greci rivenuti da Tc-
nedo invadono la citta, le cui guardie
erano già state uccise dai guerrieri usciti
dal cavallo, 250-267. Intanto Ettore oppa-
¥
XX ARGOMENTI.
riscc in sogno ad Enea e lo esorta di prov-
vedere al suo scampo colla fuga, e di sal-
vare dall’ incendio gli Dei patrii , 268-297.
Ma egli anteponendo alla fuga una morte
onorata, corre alle armi; e in sul primo
far impeto la fortuna arride ai Troiani ;
onde, seguendo il consiglio di Corebo,
indossano le armi dei nemici uccisi : ma
poi riconosciuti dai Greci e presi in iscam*
hio dagli amici, finiscono oppressi dalle
armi degli uni e degli altri, 298-437. Frat-
tanto si dà l’assalto alla reggia di Priamo,
che muore miseTamente trucidato da Pirro
figlio d’Achille, 438-558. Tentata indarno
ogni prova, Enea, vedendo gli stessi numi
dar mano alla distruzione di Troia, affida
al padre suo Anchise gli oggetti sacri, e
toltosi lui su le spalle, preso Ascanio per
mano, ingiunto alla moglie Creusa di se-
guirlo da presso, si dà alla fuga, 559-729.
I Greci P inseguono. Nel tumulto si smar-
risce Creusa ; ed egli a ricercarla mentre
invano ritorna e s’aggira per gl’incendii
della città, vede farglisi incontro l’ombra
del lo consorte che glifavaticinii intorno al-
l’Italia,egli raccomanda Ascanio, 730-794.
Allora ritorna al luogo ov’ erano i compa-
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AnCOMEXTl. XXI
gni , e vede che vi- s’é accolta gran molti-
tbdine di uomini e donne, pronti tutti a
seguir la sua sorie^TOo-SOi.
LIBRO III.
« • , • *
Caduta Troia, Enea raccoglie i super-
stiti, e messa in. assetto, presso Antan-
drò, un'armata di vénti navi, fa vela, ed
approda primieramento nella Tracia. Quivi
mentre sta gettando Je fondamenta dì. una
città, è atterrito dal prodigio di Polidoro,
ucciso giada Polimestore upnde salpa di *
nuovo è prende terra» a Deio, 1-77; dove
consultando l’oracolo di Apollo, ne ha il
responsd che « dee ritornare all* antica '
madre della sua gente : » il quale o.racolo
n\ale interpretato da Anchise fa volgere
i Troiani a Creta. Ivi, quando già sorge-
van le mura, una fierissima pestilenza li
flagellai Onde Enea ammonito in sogno
dai Penati, ‘abbandona Creta e si dirige
verso l’Italia, 121-269. In questo naviga-
zione còlti da improvvisa tempesta, son
gettati alle isole Strofinìi, di dove respinti
dalle offese delle Anne e dai tristi prc-
r '
Cino.
T- —
XMI
ARGOMENTI.
sagii di una di esso, Celeno, -192-269, ri-
parano ad Àzzio, e vi celebrano i giuochi
in onore di Apollo, '270-290. Di là si tra-
gittano a Corciro, e-nell’ Epiro, che al-
lora era soggetto all’ indovino hleno, un
tiglio di Priamo. 'tl quqle dopo le acco-
glienze queste e liete espone -ad Linea
tutti i, pericoli di terra e di mare che gli
restano a correre, e gli apre l’ arcano dei
fati, 291 -oOo. Lasciatosi dietro V Epiro,
Enea costeggiando Taranto in sulla punta
d’ Italia, arriva i-n Sicilia, in luogo non
lontano dal monte Etna: dove raccoglie
Acliemenide, un Greco abbandonato da
Ulisse nell’antro del Ciclopo: alle pre-
ghiere e alle notizie di costui intorno al-
l’ immanità dei Ciclopi, Enea scioglie di
nuovo, iiOG-683 ; e memore degli avvisi
di -Eleno, per causare Scilla e Cariddi,
la il lungo giro della Sicilia, finché, giunto
a Urepàno, ivi perde Anchfee, che se ne
muore per vecchiezza, 684-711. Di là, men-
tre naviga versò Italia, è sbalzato in Af-
frica da quella bufera che. è narrata nel
primo libro. — Qui finisce la narrazione
d’ Eneo, 712-718.
■ • • . ■ ■ . . ■
V —
■aas
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AltCOML.VTI.
XXIII
LIBRO IV.* '
9 * • ;
Didone acceso d’amore per Enea, sco-
pre la sua passione alja sorella Anna, e
seguendo il consiglio di lei- volge l’animo
all’ idea delle nozze, 1*89. Allora Giunone
per potere più agevolmente -allontanare
Ene$ dall’ Italia*,’ tratta con Venere per-
chè anch’cssa consental a queste nozze,' ed
a lei stèssa commette di'tro'varne il modo
e l’opportunità, 90-128. La dimani Enea
con Didone usciti od una gran cuccia sono
sorprèsicela un bui bine màndato da Giu-
none: onde la numerosa comitiva è di-
spersa, ed Enea con sola Didone riparano
ad una caverna ; quivi seguono lo infau-
ste nózze, -129-.1 72. Jarba re de’Getuli,
alla notizia che gli reca la fama di questo
amore, mal sopportando di vedersi da Di-
done posposto ad un forestiero, ne chiede
vendetta a Giove ; il quale, spedito ad
Enea Mercurio, gl’ ingiunge di abbando-
nar s'ibito l’Affrica e navigare verso l’Ita-
lia, 173-278. Al cenno dì Giove, Enea dà
ordin'e che di nascosto si mettano in punto
le navi, 279-2913. Ma Didone insospettita di
/
\
\\ V
ARGOMENTI.
questi preparativi, ne muove gravi que-
rele ad Enea, e pregando e piangendo si-'
affanna per istornarlo da’ suoi propositi;
quindi per intercessione della sorella ten-
ta d’ impetra rtj clic almeno si trattenga
ancora per poco, 269-479.’ Tutto è: nulla.
Siqohè la regina, «non reggendo -a tanto
dolore, decreta di. morire, 450*473; eTatta
alzare nel l’alto jdella reggia una gran'pira,
tìnge di vol,er celebrare ocrte ceri afo-
nie mugiche "jper liberarsi di quell’amó-
re, 474-521, il quale invece'; diventando
furore, la fa dare in ismanìe, 522-553. ln-^
tanto Enea, noyamente avvisato 'in' sognò
da Mercurio, nottetempo si mette in ma-
re, 553-588. Didone,'la mattina, vedendo i
Troiani già in alto, impreca ogni rpale ad
Enea, consacrandolo alle furie, 584—62,9 ;
poscia per allontanare da sè anche^fiarce,
la nutrice del primo suo marito Sicheo, la
manda con un pretesto dalla sorella, e in
quel tempo si dà la morte, 630-705. * .
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ARCO.XF.MT.
\\\
Enea mentre veleggia verso l’ Italia è
trasportato. In" Sicilia dalla violenza d’ìTna
procella, 1 -34. Quivi amorevolmente ac-
colto da Aceste, celebra l’anniversario
solenne ai Mani di suo padre Anchise,
cui Jo stejsso giorncTdeir anno precedente
aveva seppellito a Drepano, e gli consa-
cra il tumulo- ’e i giuochi, 35^103. Nella
corsa delle navi viricc Cl-oanto, 104-285 ;
in quella a piedi vince Eurialo per in-
ganno. di Niso, 28H-362. Il 'vecchio En-
tello al pugilato abbatte Darete,- che me-
nava giovanili jattanze, 3G3-484. Nel trar
d’ arco supera tutti Eurizione, ma per un
prodigio il premio viene aggiudicato al
vecchio -Aceste, 485-G44. Quindi Ascanio
in compagnia di nobili fanciulli rallegra
tutti collo spettacolo di giuoclti equestri
in finta battaglio, 545-003. In questo mezzo
le donne troiane, stanche della lunga na-
vigazione ed istigate do Iride, appiccano
il fuoco alle navi, c .rie incendiano quat-
tro ; le altre fcftjva Giove connina pioggia
improvvisa, G04-G99. La notte seguente
XXVI ARGOMENTI.
Anehise apparisco in sogno ad Enea, ed a
nome di Giove lo avverte di lasciare donne
e vecchi in Sicijia; e che egli col forte dei
giovani prosegua alla volta d’ Italia; e là
che si rechi* nelTantro -della Sibilla, la
(piale deve condurlo ai campi Elisi per
udire da lui stesso il resto de’ fati, 700-740.
A queste ingiunzioni obbedisce Eneo dopo
aver fabbricato in Sicilia una città, cui diè
nome A cesta, 741-778. Mentre è in mare,
‘Nettuno a preghiera di Yehere gli^fa si-
curo il viaggio,' 779-834. Ma Pàlinuro il
piloto, vinto dal sonno, cade in mare con
òsso il timone? 835-871. ,
LIBRO VI.
Sorto a Cuma, Enea va nell’antro della
Sibilla ; e celebrato secondo il rito un sa-
crificio nel tempio di Febo, dall’ invasata
Sibilla apprende gl’imminenti pericoli e
i casi della vicina guerra, 1-97. Seguono
le istruzioni per impetrare il permesso di
scendere in Inferno,. 98'i55. Trovato sul
lido il cadavere di MisenQ, lo bruciano e
gli don sepoltura ai piedi del vicin mon-
i
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ARGOMENTI. XXVII
s'
te, che da ciò .prende il nome di Mise-
no, 156-233. Quinci, còlto il ramoscello
d’oro e sacrificate le vittime, Enea gui-
dato dalla Sibilla, peMe grotte d’ Averno
discende all’Inferno, ducui si descrive
l’ ingresso, -236-336. Pelinuro errante. in-
torno alla palude Stigia, perchè il ‘suo
corpo è privo di sepoltura, desidera tra-
gittare insieme con loro ; ma la 'Sibilla lo
impedisce, e lui consola con la speranza
di un cenotafio e' di esèquie, 337-383. Pas-
sata la Stige e assopito Cerbero con fo-
cacce medicate, Enea trascorre per le sedi
degl’infanti c dei condannati per falso de-
litto e di Ih giunge ai violenti contro sé
per insofferenza d'amore, e fra questi
parla a Didone., che sdegnosa non gli ri-
sponde, ma. gli si toglie dinanzi, 384-476.
Passando oltre, scorge DeifobQ fra le am-
bre dei valorosi in arme, tutto malconcio
, ^
da molte ferite, e da lui, gli è narrato il
misero modo della sua morte, 477-534. La-
sciatosi. quindi’ a sinistra il Tartaro, e sa-
pute dalla Sibilla le. pene dei malVatto-
ri, 53o-G27, va alla reggia di Platone, e
sulla soglia di essa configge il ramoscello
d’oro, 628 636. Dopo ciò perviene alle seèi/
> XVIII Alt COMEDI.
de’ beati, e là Museo lo conduce al cospet-
to deL padre, 637-678. Allora Anchine spie-,
ga ad Enea l’òrrgrne, la purgazione e. Fili-
ti ina sorte delle adirne, 679-756; 'gli fa
i' enumerazione dei ^re-d’ Alba e di Roma,
»’ i ieordatralcuni nomi d’ illustri Romani,
viene" alle lodi di Giulio. Cesare e d’ Augu-
sto, 756-859; e finisce levando a cielo
Marcello, figlio di' Ottavia, colpito da im-,
matura morte, 860-888. 'Enea uscito al-
bana per la porta d’ avorio, rivede i. com-
pagni ed. arriva a Gaeta, 889-901.
t — 1 •
. . - ,
9
LIBRO vir.. •
Gaeta è Cosi -detta dal nome della nu«
tricordi Ehea cIiq ivi fu sepolta, 1-4. Da
Gaeta Lerce vedendo i lidi della dimora
di Circe, cel vento in ,pofppa imbocca nel
Tevere,, e- vogando contr’ acqua approda
nell’ agro ..Laurente* 5-36. ,lnvocat;a di
auoyp la muso; il'poeta narra quale, fosse
m quel tempo lo stato del Lazio, e da quali
prodigi! fosse staio anche quivi annun-
ziato l’ arrivo dei Troiani, 37-106. Enea si
accorge esser venuto ri termine del* lungo
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ARGOMENTI.
.XXIX
viaggio dal cibarsi che i sudt fanno dello
mense : odora gli Dei, é mandà oratori
con doni al re'Latino per domandare tanto
spazio di terreno da fabbricare* una città.
Quindi s’accampa, 107-159. Latino acco-
glie favorevolmente gli ambasciatori,- e
concedendo più che non girsi chieda,
offre in isposà od Enea la sua.Gglia La-
vinia, 1Q0*285>Ma trhinone irritata ai pro-
speri successi del Troiani, evoca dall’in-
ferno la Furia' Aletto per disturbare .la
pace, 235 340. Alelto infonde le sue furie
prima in Am$ta, moglie di Latino, poscià
in Turno, a cui era già sta.ta' promessa in
matrimonio Lavinia, 341474; e finalmente
con sue fròdi matte lite fra la gioventù -
troiana a i contadini del Lazio, 475-510.
Essa stessa dall’ alto di- un luogo dà fiato
alla tromba di guerra ; onde ne nasce tin.
combattimento. Riportati i 'puorti'in città,
Turno ed Amata eccitano il re - Latino
a prenderle armi e vendicare l’ingiu-
ria, 511-590. Ma poiché Latino,' femore
dei fati e della giurata alleanza-, resiste
costantemente; Giunone ^stessa apre le
porte-delia Guèrra, 591-622. « Allor l’Au-
sonia tutta, ch'era dianzi pacifica é quieta,
I
XXX
AnGOMFNTI.
s'accese in ogni parte: « — Lunga « stu-
penda rassegnacene agenti e dei capitani
✓ d’ Ita! i5a, 623-617.
LIBRO Vili.
- Alzato il segnale di guerra sulla ròcca
di Laureato, l'esercito italiano si raduna
intorno a Turno. .Vernilo è mandato ad
Argirippa o Arpi per irìvitane Diomede
alla comune lega, additandogli il comune
pericolo,,! -17. A queste gjjavi minacce
Enea, vedendosi mal difeso per lo scarso
numero de’ suoi, a consiglio di Tiberino
va, su pel fiume e pér quei luoghi dove poi
fu fabbricata Roma e dove allora regnava
Evandro, al monte Palatino in una città
• chiamata Pailànteo, 18-100. Evaodro be-
nignamente riceve Enea, eli egli domanda
soccorso, 101-183: Lo fa assistere ai sacri-
iiciidi Ercole che allqra stava celebrando;
glie ne spiega l’origine, che fir l’gccisio- -
ne di Caco, 184-267 ; glie' ne -dimostra il
rito*, e gli addita i luoghi più famosi per
quelle imprese di Ercole, 268 389. Intanto
Vulcano allettato dalle carézze di Venere
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j
ARGOMENTI.,
X,\XI
si prepara a fabbricare le armi per. Enea.
Si- descrive la sua officina,- 37Q-454- Il
giorno di poi Evandro,. chiomato Enea in
disparte, gli espone cohie sia volere dei
fati che i Tirreni .prestino soccorso ai
Troiani, 453-519. Venere dal cielo mostra
ad Enea le aptni e i segni *della vicina
guerra ; onde egli -con cerimonie si di- ~
spone a partire pc/* recarsi fra i Tusci;
e il vecchio Evandro commosso dice. un
amaro addio all’ unico figlio Pallante, che
parte capitano di . quattrocento de’ suoi
cavalieri, 530-596." In un bosco vicino al
campo dei Tirreni, Venere porta le divine
armi al figlio, che -ne ammira la*stupenda
bellezza, 597-625, e massime dello scudo,
in cui sono scolpite le future glorie di
Roma e di Cesare Augusto, -626-831.
LIBRO IX.
%
Nell/ assenza di Enea, Turno istigato
da Giunone per' mezzo di Iride, accosta
T esercito agli accampamenti dei Troiani,
che si tengono entro la fossa e le mura, 1-46.
Sdegnato che nessuno venga in campo,
XXXII
.AIIUOMEINTI.
tenta d1- incendiare le navi troiai»*», 47-7(3.
Ma la Madre Idea nel cui bosco' furono ta-
I ^ y
gliati i -legni, di quelle navi, ottieni da
Giove di poterle salvare dpllorfiamme e
convertirle in ninfe macine, 77-12o. Turno
vuol persuadeva che questo portento sia
contro pi Tròiani, perchè cosi Giove toglie
loro ogni mèzzo dj fuga ; ondo investe
sempre' più. ITT città* 12C-167. Mentre i
condottieri.troiani sono a consulta per tro-
var modo di -spedire un- messo ad Enea
che lo-istruisca del pericolo de’ suoi, Niso
ed Eurialo, due giovani amicissimi, si of-
frono a questo rischio', J 68-245. Applauditi
da Alete 0 da Ascanjo, e accompagnati dai
più fervidi voti di tutti, i due giovani
escono e fanno strage delle sentinelle se-
polte fiel Vino- e»nel "sonno; e indossano le
loro spoglie, 24C-366. Ma nel ritirarsi, sco-
perti al raggio -dell a luna dai cavalieri la-
tini, corrono ad una vicina selva, dove
Eurialo sopraggiunto, malgrado le pre-
ghiere di Niso. elicsi offre a morte in luo-
go dell! amicQ, è trucidato da Voi se ente.
Niso-, dopo aver vendicata valorosamente
la morte dell'aulico, trafitto anchr’esso do
tante punte, cade sul (pavere del caro
tim
r
,
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AIlGONEJin. XXXIII
compdgi>9,flG7-449. Le loro teste portate in
* punta a (Tue picche sonò riconosciute dai
Troiani che amaramente se ne addolorarla,
e la madre- d’ Eurialo ne manda disperati
la menti, <430-502. Turno intanfco'muove al-
1’ assalto con tutte le forze: ^rande sU>ige
da ambe le parti. Primo fatto di Ascanio
in .guerra : Apòllo però gli ordina di ri-
trarsi dalla zuffa, 503-603. PandaFo e Inizia
troppo fidando alla propria forzi», aprono la
porta della citta troiana, e Turno con molti
nemici irrompe nel mezzo dpi Trofòni e ne
mena amp.i?} strage, 4)64-777 finalmente
circondato da.l numero, p pocpji poco è co-
stretto di ritrarsi. yerso queliti parte della
città che è bagnata dal fiume, dove gel- /
lotosi a nuoto, ritorna salvo ai compu-
-gni,778 8!8. , - * .
L1BUO S.: . . .
■ i
m «• • • .
Giove, convocaci gli Dei a concilio, -li
esorta alla concordia. Venero dopo essersi *
lagnata del pericolo a cui si trovano espo-
sti L Troiani, e dell’odio implacabile di
Giunone, domanda un qòalche tormipe a
xxxrv
ARGOMENTI.
tante calamità ; ma-Giunone ly monda la
colpa di tanti Piallai Troiani e a Venere
stessa, 1-99; onde'- Giove non trovando
manieradi por fine alle contese, "dichiara
di non voler favorire nessuna delle due
parli, e di ririiettcrsi in tutto ai fati, 160-1 17.
intanto i Ruttili con tutte le forze assalgo-
no, e i Troiani difendono la città, 1 18-145.
Mentre questo si fa nel Lazio, Luca dopo
aver ottenuto in Etruria quanto desidera-
va, con sussidii di molti popoli alleati ri-
torna ai compagni, seguito da un’armata
di trenta navi, 146-214. Nel tragittargli si
fanno incontro le ninfe nate 'dalle navi
arse ; ed unir di esso-, Cimodocca, gli
espone lo stato delle cose, 21 o-237. Enea,
giunto in vista de-suoi,'fa prender -terra
agli armali ; quando i Rutuli, desistendo'
dall’assalto, tentano d’impedire lo sbarco.
Grande strage da ambe le parti, 258-361.
l’aliante, dopo stupende prove di valore,
viene ucciso é spogliato da Turno, 362-509.
Enea per4dolorc c vendetta del morto ami-
co fa eccidio de* Rutulf.. Ascanio, con una
sortita,. unisce le sue forze a-quelle del
padre, 510-605. A questi- fatti Giunone
commossa, temendo pei' la -vita di Tui-
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. ARGOMENTI. XXXV
no, ottiene da Giove la grazia di salvarlo
da estremo pericolo, e mostrandogli ni
forma di fantasma somigliante od Enea, si
lascia inseguire da lui, e così Io trascina
lontanodalla zuffa sopra una uà ve, 606-688.*
Mezenzio intanto, per volere di Giove, rin-
francala battaglia atterrando gran numero
di Troiani c di Etruschi, 689-761 ; finché
piagato da Eiie'a, è costretto, per fasciare
la ferita, di ritirarsi dalla mischia,- in ciò
proteggendblo il figlio t.ausoT762 793; che,
mentre cerca dj far le. vendette del padfe,
è ucciso da Enea, 79G-832. All’annunzio
di questa morte, Mezenzio, cosi ferito,
monta a cavallo e ritorna al combatti-
mento per vendicare l’uccisione del fi-
glio ; ma code sotto i. colpi della medesi-
ma destra, 833-908. *
LIBRO XI.
j . *
• • • . ✓
XTcciso Mezenzio, Enea vincifòre^nalza
un trofeo a Marte; poscia, rimanda con
gran’ pompa funebre il corpo di fallante
alla 'città di Evandro, dove lo ricevono
con universale cordoglio, A 99. Intanto am-
XXXVI
AnGOJTCNTl.
Lasciatoli latini •domandano dodici giorni
di 'tregua.: i qualj essendo coneessi, e
Troiani e Latini ricercano i cadaveri dei
suoi. e. rendono* ad* essi 'gli ultimi ono-
ri, 100-224. Frattanto Ve nulo,- eh e sol prifi-
cipia della guena era stato .mondato dai
Latini a DiomedLe per indurlo a far lega,
ritorna dicendo essergli stati negoti i soc-
corsi per combattere una gente cara agli
Dei, 2^5-295. Latinb in assemblea consul*
tondo intórno a questo guerra,*, propone
che* si tiiandinp oratoli ad Enea per trattar
della pace, 29G-335. Ivi -Dionee e Turno,
per odip inveteralo che era fra loro, a vi-
cenda si caricano d’ingiurie, 330 444. Frat-
tanto Enea, diviso l’esercito in due, man-
da.iifnanzi per le vie aderte la cavallerìa
leggera ; ed egli per luoghi selvosi.e mon-
tuosi cerca. di riuscire -verso la parte più
elevata diXaurento. A tal notizia, radu-
nanza 6i scioglie, c si provvede alla difesa
della città, 445-485. Turno, scoperto per
mozzò degli esploratori il disegno d'Ené8,
divide/anch’ egj i l’ esercito tndue ; ordi-
nando che la cavalleria guidata daMessapo
c da Camilla si faccia incontro alla caval-
leria jiemica :*cd cgltcoi fanti si mette in
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ARGOMENTI. XXXVII
agguato in certe gole, per dove Enea ne-
cessariamente doveva passare, 486:531. —
Narrazione che fa Diana intorno alla ver-
gine Camillarnel raccomandarla alla ninfa
Opi, 332-596. — Scontro delle due cavalle-
rie é vittoria lungamente indecisa, 597-647.
La vergine Camilla, i cui splendidi fatti
accrescono per, qualche'tempo il coraggio
nei Latini, è uccisa insidiosamente da
Arunte, 648-835;- il quale poco appresso è
trafitto da una freccia di Opi, 836-867. 1
Rutuli sgomentati per là morte di Camilla
si danno alla fuga ; i Troiani si dispongono
a dar l’assalto, 868-895. Di che ATxa, una
compagnadi Camilla, recando la notizia a
Turno, questi abbandona le ^ole ove si
teneva in agguato, e vola in aiuto de’ suoi.
Enea gli tien dietro; c poiché pel* soprag-
giungere della, notte .non-si può venire
alle mani, l’ un esercito e l’altro si mette
a eampo dinanzi a Laurento, 896-915.
LIBRO XII. * * *
Turno vedendo l’abbattimento dei La-
tini, e che ornai solo in sè stesso poteva
• • •
Curo.
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XXXVIII
ARGOMENTI.
riporre ogni speranza, malgrado le rimo-
stranze di Latino e le molte lacrime della
regina clic lo scongiurano a porsi giù dal-
l’impresa, delibera di venire a singoiar
tenzone con Enea, e gli manda la sfi-
da, 1-106. Enea l’ accetta ; e le condizioni
sono solennemente giurate da una parte e
dall’altra : ma la ninfa Iuturna, sorella di
Turno, eccitata da Giunone, subito le di-
sturba, 107-2 V3. Ad istigazione dello stesso
augure Tolumnio, di qua e di là si viene a
sanguinoso conflitto, nel quale Enea ferito
è costretto di abbandotìare il combatti-
mento, 244-323. Di ciò accortosi Turno fa
dei troiani intorno a sè un monte di ca-
daveri, 324*382. Intanto Venere con dit-
tamo eretico guarisce la piaga del fi-
glio, 383-429. 11 quale dopo una breve
esortazione ad Ascanio, accorre di nuovo
in aiuto de’ suoi, e provoca Turno a bat-
taglia, chiamandolo a nome. Ma questi
per frodi della sorella Iuturna è vólto al-
trove, 430-485. Perlochè Enea, fatta molla
uccisione di Rutuli, avvicina tanto 1’ eser-
cito alla città, da appiccare il fuoco agli
steccati c ai primi edilìzi, 486-592. Allora
la regina Amata credendo che Turno fosse
'i
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ARGOMENTI.
XXXIX
spento, s'impcndea un laccio, 593-613.
Turno, sapute queste cose, vedendo che
non può esimersi di combattere da solo a
solo con Enea, se pur non voglia permet-
tere che sotto i suoi occhi quella città' al-
leata venga in potere de’ nemici, provoca
Enea, secondo il patto, a duello, Gt 4-696.
Enea vincitore in questo combattimento,
mentre alle preghiere de! caduto rivale
sente già quasi commuoversi a pietà di
lui, venendogli a un tratto veduto il bal-
teo di Pallante sugli omeri del nemico*
preso da subita ira, gl’ immerge la spada
nel petto, 697-952-
I\’B. — Le cifre notate in questi Argo-
menti richiamano la numerazione dei
versi latini che è a piè di ogni pagina.
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- DELL’ ENEIDE
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Libro Primo.
Quell’ io clic già Ira selve e tra pastori
Di Titiro sonai riunii sampogna,
E die, de’ boschi uscendo, a manó a mano
Fei pingui e colti i campi, e pieni i voti
D’ ogn* ingordo colono, opra che forse
Agli agricoli è grata: ora di Marte
L’armi canto e ’l valor del grand’eroe
Cile pria da Troia, per desiino, ai liti
D’Italia e di Lavifiio errando venne;
E quanto errò, quanto sofferse, in quanti
E di terra e di mar perigli incorse,
Come il traea l’insuperabil forza
Del cielo, e di Giunon l’ira tenace;
C4R0. — i. [v. lat. 1*4]
--- ■ ’v
m
AL
2 . l’ EMEIDE. [v. il. 8-31]
E con che-dura c sanguinosa guerra
Fondò la sua'cittade, c gli suoi Dei
Ripose in J^azio*, onde cotanto crebbe
Il nome de’ Latini, il regno d’ Alba,
E le mura e 1* imnerio alto di Roma.
■ • ^
Musa, tu che di ciò sai le cagioni,
Tu le mi delta. Qual dolor, qual’ onta f
Fece la Dea, eli’ è pur donna e regina
Degli altri Dei, sì nequitosa ed empia
Conila un sì pio? Qual suo nume 1’ espose
Per tanti casi a tanti affanni? Ahi tanto
• v - -, • .
Possono ancor là su l’ire c gli sdegni?
Grande, antica, possente e bellicosa
Colonia de’ Fenici* era Cartago,
* • •
Posta da lunge incontr’ Italia e ’ncontra
A la foce del Tebro, a Giunon cara
Si, che le fur-rtien care eiWArgo e Samo.
Qui pose P armi sue, qui pose il carro,
Qui di pprre uvea già disegno ‘e cura
(Se tale^era il suo fato) il maggior seggio,
E lo scettro anco umversal del mondo.
Ma già contezza avea eh’ era di Troia
%
Per uscire una, gente, onde vedrebbe
Le sue torri superbe a terra sparse,
- [5*2(Fj
X,.M
A
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3
[H2-55] i,inno i.
E de la sua ruma alzarsi in tanto,
Tanto avanzar d’orgoglio c di potenza.
Gli* ancorile l’universo imperio avrebbe:
Tal de le Parche la volubil rota
Girar salilo decreto. Ella, 'che tema
Avea di ciò, non posto arieo in oblio
Come a difésa de’ suoi cari Argivi
Fosse a Troia acerbissima guerriera;
Ripetendone i semi e le cagióni,
Se ne senlia nel cor profondamente
Or di Pari il giudicio or l’arroganza
D’ Antigone, il concubito d’ Elettra,
Lo scorno ti’ Ebe,' al fin di Ganimede
E la rapina e i non dovuti onori.
l)a tante, oltre al timor, faville accesa
Quei pochi afflitti e miseri Troiani
Ch’avanzaro agl’ incendi, a le ruine,
Al mare, ai Greci, al dispietato. Achille,
Tene» lungo dal Lazio; onde gran tempo.
Combattuti da’ venti e dal destino,
Per tutti f mari andòr raminghi c sparsi
Di sì gravoso affar, di si gran mole
Fu. dar principio a la romana gente.
Eran di poco, e del cospetto a pena (
[2 1-34]
4. l’ ENEIDE^ [56-78]
De la Sicilia navigando liscili,
E già, preso ile V allo, a piene vele
Se ne gian baldanzosi, e con le prore
li co’ remi faccJn 1’ onde spumose;
Quando pania Giunon d’ amara doglia,
Dunque, disse, eli’ io ceda? c die di Troia
Venga a signoreggiar Italia un re,
Cli'io noi distorni ? Oli, mi soli conila i fati!
Mi sieno: osò pur Pallade, e poleo
Ardere e soffocar già degli Argivi
Tanti navili,c tanti corpi anciderc
Per lieve colpii c folle amor d’ un solo
Aiace il’ Oiièo. Contra costili
Ella stessa vibrò di Giove il telo
Giù da le nubi; ella commosse i venti
E turbò ’l mare c i suoi legni disperse:
lì quando ei già dal fulminato petto
Sangue e damme anelava, a tale un turbo
In preda il diè, die per' acuti scogli
Miserabil ne fe’ rapina e scempio.
Tanto può Palla? Ed io, io degli Dei
llegiua, io sposa del gran Giove e suora,
Son di quest’ una gente ornai tant’anni
ISimica in vano? E chi più de’ mortali
* ~ [34-48]
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s
-- —
[7 9-1 03] lidho i. 5
Sarà che mi sacrifichi e m’ adori?
Ciò fra suo cor la Dea fremendo ancora,
Giunse in Eolia, di procelle e d’austri
E de le furie lor patria feconda.
Eolo è suo re ch’ivi in un antro immenso
Le sonore tempeste c i tempestosi
Venti, sì come è d’ uopo, aflrena e regge.
Eglino impetuosi e ribellanti
Tal fi a lor fanno e per qugi chiostri un fremilo,
Clic ne treni a la terra c n’ urla il monte.
Ed ei lor sopra, realmente adorno
Di corona e di scettro, in alto assiso
L’ ira e gl’ impeli lor mitiga c molce.
Se ciò non fosse, il mar, la terra, e’1 cielo
Lacerati da lor, confusi c sparsi.
Con essi andrian per lo gran vano a volo.
Ma la {tossa maggior del padre eterno
Provide a tanto mal serragli c tenebre
D’ abissi e di caverne ; e moli e monti
Lor sopra impose j ed a re tale il freno
[Se die, ch’ei ne potesse or questi or quelli
Con certa legge o rattenere o spingere.
A cui davanti 1’ orgogliosa Giuno
Al lor umile c supplielicvel disse:
[49-64]
fi . I.* E3EIDE. [104-127].
Eolo (poi che’l gran Padre del cielo
A tanto mihisterio li propose *
Di correggerei venti e turbar l’ onde)
Gente inimica a me, mal grado mio,
Naviga* il mar Tirreno; e giunta a vista
E .giù d* Italia, al cui reame aspira;
E d’ Ilio le reliquie, anzi Ilio tutto'
Seco v’adduce e i suoi vintiPcnati. ' •
• Sciogli, spingi i tuoi venti, gonfia I’ onde,.
Aggiragli, confondigli, sommergigli,
0 dispergigli almeno. Appo me sono
Sette e sette leggiadre ninfe e belle;
E di tutte più bella e più leggiadra
È Deiopèa. Costei voglio io, per n\erto
Di ciò, che sia> tua sposa: c tu che seco
Di nodo indissolubile congiunto, .
Viva lieto mai sempre, e ne divenga
Padre di bella e di te degna prole.
Eolo a rincontro: A te, regina, disse,
Conviensi che tu scorga i tuoi deèiri,
Ed a me ch’io gli adempia. Io ciò che sono,
Son qui per te. Tu . mi fai Giove amico,
Tu rni dui questo scettro e questo regno,
Se re può dirsi un che comandi a’ venti.*
[65-78].^. .
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1 128-15 1] unno i. . 7
lo, tua mercè, su co’ Celesti a mensa *
Nel eie! m- assido; e co’ mortali in terra
Son di nembi possente e di tempeste.
Così dicendo, al cavernoso monte
• «
Con lo scettro d’ un urto il fianco aperse,
Onde repente- a stuolo. i venti uscirò.
Avean già co’ lor turbini ripieni
Di polve e di tumulto i colli e i campi,
Quando quasi in un gruppo ed Euro e Noto
S’ avveniamo nel mare, e fin da l’ imo
Lo turbar sì, che ne fer valli c monti ;
Monti, eh’ al cicl, quasi di neve aspersi.
Sórti I’ un dopo l’altro, a mille a mille
Volgendo, se ne gian caduchi e mobili
Con suono e con ruina i liti a frangere.
Il gridar, lo stridore, il cigolare ;
De’ legni, de le sarti e de le genti,
I nugoli che ’l cielo e ’l dì velavano,
La buia notte, orni’ era il mar coverto, '
I tuoni, i lampi spaventosi e spessi,
Tutto ciò clic s’ udia, ciò che vedevasi,
Rappresentava orror, perigli e morte.
Smarrissi Enea di tanto, c tale un giclo
• ^
Sentissi, che tremante al ciel si volse
[79-98]
►
S V ENEIDE. [152-175]
Con le man giunte, e sospirando disse:
0 mille volle fortunati c mille
• •
Color clic sotto Troia c nel cospetto
De* padri e de la patria ebbero in sorte
Di morir combattendo! 0 «li Tideo
Fortissimo figliuol, eh’ io non protessi
Cader per le tue mani e lasciar ivi
Questa . vita affannosa, ove lasciolla,
Vinto per man del bellicoso Achille,
Eltor famoso £ Sarpedonte altero?
E se d’ acqua perire era il mio fato,
Perchè non dove Xanlo, o Simocnta
Volgoli taul’ armi c tanti corpi nobili?
Cosi dicea ; quand’ ecco d’ Aquilone
Una buffa a rincontro, clic stridendo
Squarciò la vela, e ’l mar spinse a le stelle.
Fiaccàrsi i remi; e là’vc era la prua,
Oi rossi il fianco; e d’acqua un monte intanto
Venne come dal cielo a -cader giù.
Pendono or questi or quelli a l’ onde in cima :
Or a questi or a quei s’ apre la terra
Fra due liquidi monti, ove l’arena,
Non meli ch’ai litiasi raggira c ferve.
Tre ne furon dal Nolo a P are-spinte:
[94-108]
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[176-199] libro i. * jj
Are chiamati pii Ausoni un sasso alpestre
Da l’altezza de ronde ullor celalo,
Che sorgea primo in dito mare altissimo:
E tre ne fui* dal pelago a le Sirti
(Miserabile aspetto) ne le secche
Tratte da 1’ Euro, e ne I- arene immerse.
Una, che ’l carco avea del fido Ormile
Con le genti di Licia, avanti agli occhi
Di lui perì. Venne da Bora un’onda,
Anzi un mar, clic da póppa in-guisa urtolln,
Che ’l temoli fuori e ’l temonicr ne spinse;
E lei girò sì che ’l suo giro stesso
Le si fe* sotto e vortice e vorago,
Da cui rapita, vacillante e china,
Quasi stanco palèo, tre volte volta,
Colossi gorgogliando e s’ affondò.
Già per 1’ ondoso màr disperse e rare «
Le navi e i naviganti si vedevano;
Già per tutto di Troia a 1’ onde in preda
Arnie, tavole, arnesi a nuoto andavano;
Già quel eh’ era. più valido e più forte
Legno d’ Ilìonèo, già quel d’Acate
E (pici d’ Aliante e quel del vecchio Alele,
t'.d aititi tutti sconquassati, a I’ onde
[109-1*22]
40 l’eneidé. [200-223]
IVI iciilì'ali avcano i fianchi aperti; -
Oliando, a tanto rumor,, da 1’ antro uscito
Il gran Nettuno, c visld del suo regno
Rimescolarsi i più riposti fondi;
0, disse irato, ond’ è questa importuna
Tempesta? E grazioso il capo fuòri
Trasse de I’ onde; e rimirando intorno,
Per lo mar tutto dissipati c laceri
Vide i. legni d* Enea; vide. lo strazio
De’ suoi, eli’ a la tempestala la mina
E del mare c del cielo erano esposti.
E ben conobbe in ciò1, come suo frate,
Che ne fora cagioii P ira e la froda
Del- empia Giuno. Euro a se chiama e Zefiro,
E ’n tal guisa acramente li rampogna:
Tanta ancor tracotanza in voi s’allctta,
Razza perversa? Voi,. voi, senza me, .
Nel regno mio la terra c ’l ciel confondere
E far nel mare un si gran moto osate?
Io vi farò Ria di mestiero è prima
Abbonazzar quest* onde. Altra fiata
In altra' guisa il fio 'mi pagherete
Del fallir vostro. Via tosto di qua, -
Spirti malvagi; c da' mia parte dite
[123-137]
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i
r
[224-247] unno i. 1 X
Al vostro re, che questo regno e questo • -
Tridente è mio, e eh’ a ine solo è dajo,’
Per lui sono i suoi sassi e le sue grotte,
Case degne di \oi ; quella è suà reggia;' "
Quivi solo si vantile per regnare,
De la prigion de’ suoi venti non esca.
Cosi dicendo, in quanto a pena il disse,
ha tempesta cessò, s’ acqueti» ’l mare,
Si dileguòr 1q nubi, apparve il sole.
Cimoloe e Tritoli, J’ una con 1’ onde,
1/ altro col dorso, le tre nòvi in dietro
Hitir&r da lo scòglio in cui percossero.
he tre clic ne l’ arena eran sepolte,
Egli stesso, le vaste sirti aprendo, -
« ^
Sollevò col tridente, ed a sè trassele.-
Poscia sovra al suo carro d’ ogn’ intorno
Scorrendo lievemente, ovumfue apparve,
Agguagliò ’l mare, e lo ripose in calma.
Come odivicn sovente in un gran popolo,
Allor che per discordia si tumultua,
E ’mperversando va la plebe ignobile,
Quando 1’ aste e le faci e i sassi volano
E l’ impeto e’I furor l’arme ministrano,
Se grave personaggio e di gran merito ,
[138-151]
rT
12 L’ ENEIDE. [2Ì8-27IJ
Esce lor contro, rispettosi e timidi,
Fatto silenzio, attentamente ascoltano,
Ed ni detto di lui tutti s’acquetano;
Così d’ ogni mina e d’ ogni strepito.
Fu ’l mar disgombro, allor che umile e piaci Jo
A ciel apertoli gran rcttor del pelago
Co’ suoi lievi destrier volando scórselo.
«
Stanchi i Troiaui'ai liti eli’ erari prossimi
Drizzaro il corso, c ’n Libia si trovarono.
È di là lungo a la riviera un seno,
Anzi un porto; che porlo un’isoletla
Lo fa, clic iii su la bocca al mare opponsi. *
Questa si sporge co’ suoi Ranchi in guisa
Cli’ ogni vento, ogni flutto, d’ogni lato
* % ' Che vi |)evcuola, ritrovando intoppo,
0 si frange, o si sport 6, o si riversa. •
Quinci c quindi alti scogli e rupi altissime,
Sotto cui stagna spazioso un golfo
Securo e quelo: c v’ ha d’ alberi sopra
Tale una scena, che la luce d’I sole
» •
Vi raggia, c non pcnètra; un’ombra opaca,
Anzi un orror di selve annose e folte.
I)’ incontro ò di gran massi c di pendenti
Scogli un antro muscoso, in cui-dolci acque
[152-167]
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e
['272-295] unno l *3
Fan dolce suono; c v’ ha sedili e sponde
Di vivo sasso: albergo veramente
Di Ninfe, ove a fermar le stanche navi -
Nè d’àncora v’ è d’ uopo, nò di sarte.
Qui sol con sette, che raccolse a pena
Di tanti legni, Enea ricoverossi. .
Qui stanchi lutti e maceri, e del mare
Ancor paurosi, i liti a pena attinsero,
Ch’ a terra avidamente si gittarono.
Acate fece in pria selce e focile
Scintillar foco, e dielli esca c fomento.
Altri poscia d’ intorno ad altri fuochi
(Come epici che di vitto avean disagio,
E le biade trovàr corrotte e molli)
Si dier con vari studi e vari ordigni
A rasciugarle, a macinarle, a cuocerle.
Intanto Enea sovr’ un de’ scogli asceso.
Quanto si discopria con l’occhio intorno,'
Slava mirando se alcun legno losse
Per alcun luogo apparso, o quel d’ Anteo,
0 quel di Capi, o pur quel di Coleo
Che in poppa avea la più sublime insegno.
Nìuu ne. vide; ma ben vide errando
Gir per la spiaggia’tro gran cervi, c dictio
C.vno. — 2. [IG7-144]
li l’ekeide. [296-319]
I)’ allri minori innuiuerpbil torma,
CiT in sembianza il’ armenti empiali le valli.
Kcrmosai: e pronto a colai uso avendo
L’ arcoe’l turcasso (ehè quest’ armi appresso
(ìli portava mai sempre il lido Acatc)
Diè lor di piglio; e saettando prima
I primi tre, clic più vide altamente
Erger le teste e inalberar le ^prnu,
Conira al volgo si volse; c '1 1 ito e’1 bosco,
Ovunque gli scorgea, fulgurò lutto.
ISe cacciò, ne feri, strage ne fece
A suo diletto: uè si vide prima
Sazio, che, come sette eran le navi,
Sette non ne vedesse a terra stesi.
In questa guisa, ritornando al porto,
Gli sparli parimente a’ suoi compagni:
E coir essi del viti, clic il buon Aceste
A T uscir di Sicilia in don gli diede,
MolC urne dispensò per ricrearli.
Poscia, a confòrto lor* così lor disse:
Compagni, rimembrando i nostri affanni,
Voi n’ avete infiniti ornai sofferti
Vie più gravi di questi. E questi fine',
(Quando che sia) la dio mercede, avranno.
[155-199]
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unno i.
15
[320-343]
Voi la rabbia di Scilla, voi gli scogli
Di tulli i mari .ornai, voi de’ Ciclopi
Varcaste i sassi; ed or qui salvi siete.
Riprendete I’ ardir, sgombrate i petti
Di tema e di tristizia. £’ verrà tempo
Un dì, che tante e così rie venture,
Non eh’ altro, vi saruu dolce ricordo.
Per vari casi, 'e per acerbi e duri
Perigli è d’ uopo a far d’ Italia acquisto.
Ivi riposo, ivi letizia piena
Vi promettono i futi, e. nuova Troia
E nuovi regni aitine. Itene intanto;
Soffrite, mantenetevi, serbatevi
A questo, che dal ciel si serba a voi,v
Sì glorioso.e si felice stato.
Cosi dicendo ,a’ suoi, pieno in sè stesso
D’alti e gravi pensier, tenea velato
Con la fronte serena il cor doglioso.
Fecce tutti coraggio; e di cibo avidi
Già rivolti a la preda, altri le tergora
Le svelgon .da le coste, altri sbranandola,
Mentre è tiepida ancor, mentre che palpita,
Lunghi schidioni e gran caldaie apprestano,
E l’acqua intorno e T fuoco vi ministrano.
[200-213]
IG . (.’ ENEIDE. [341-367]
Poscia d* mi prato, e seggio e mensa fattisi,
Taciti prima sopra l’erba aliandosi,
D’opima carne e di vili vecchio empiendosi.
Quanto puon lietamente si ricreano.
Poiché fur sazii, a -ragionar si diero,
Con voce or di timore or di cordoglio,
De’ perduti compagni, in dubbio ancora
Se fosser vivi, o se pur giunti al fine,
Più de’ richiami lor nulla curassero*
Duca vie più di lutti, e di pietate
E di dolor compunta, il caso acerbo
Or d’ Àmico, or d’Oronte,.e Lieo e Già
Ne’sospir richiamava e ’l buon Cloanlo.
Erano al (ine ornai; quando il gran Giove
Da l’alta spera sua mirando in giuso
La terra c’I mar di questo basso globo;
Mentre di iito in lito, e d’ uno in altro
Scerne i popoli lutti, al cielo in cima
Fcrmossi, e ne la Libia il guardo adisse.
Venere, allor eh’ a le terrene cose
Lo vide intento, dolcemente afflitta
Il volto, e molle i begli occhi lucenti,
Gli si fece davanti, e cosi disse:
Padre, che de’ mortali e de’ celesti
[214-2201
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' LIBRO 1.
17
[.368*391]
Siedi eterno monarca, e folgorando
Empi di tema e di spavento il mondo,
E qualfe ha contra te fallo sì grave
Commesso Enea mio figlio, o i suoi Troiani,
Che dopo tanti affanni e tante stragi,
C’ lian di lor fatto il ferro, il fuoco c’I mure,
Non truovin pace, nè pietà, .nè loco
Pur che gli accetti ? 1n colai guisa ornai
Dei mondo son, non che d’ Italia, esclusi.
10 mi credea, signor (quel che promesso
N’ era da te), che tornasse anco un giorno
(Quando che fosse) il generoso germe
«
Di Dórdano a produr que' gloriosi
Eroi, quei duci invitti, quei Romani
De 1* universo domatori e donni:
E tu nèl promettesti. Or come, padre,
11 ciel cangia -destino, e tu consiglio?
Questa sola credenza era cagione
Di consolarmi in parte de l'eccidio
De la mia Troia, eh' io soffrissi in pace
Tante ruine sue, fato con fato
Ricompensando. Oli la fortuna, stessa,
E via più fera, la persegue, e dura.
E quanto durerà, signore, ancora?
[230-241]
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IH l’ rNF.iDE. ,[392-415]
Tal non fu già d’ Antenore l’ essiglio 4
Cli’ ci non più tosto de I’ acliive schiere
Per mezzo uscio, che con felice corso
Penetrò d’ Adria il seno; entrò sccnro
Nel regno de’ Liburni ; andò fin sopra
Al fonte di Timavo; e là ’vc il fiume
Fremendo il monte intuona, fc là ’vc aprendo
Fa nove bocche in mare, e, -mar già fatto,
Inonda i campi e rumoreggia e frange,
Padoa fondò, pose de’ Teucri il seggio,
E diò lor nome, e le lor armi adisse.
Ivi ridotto il suo regno, e composto
Quietamente, or lo si gode in pace.
E noi, noi, del tuo sangue, e che da te
A verno anco del ciclo arra e possesso,
Ad' una sola indegnamente in ira,
Perdute, oimè! le proprie navi, fuori
Sicmo d’ Italia e di speranza ancora
Di non mai più vederla. Or questo è ’l pregio
Che si deve a pictade? c questo è ’l regno
Clic da te, padre mio, ne si promette ?
* Sorrise Giove, e con quel dolce aspetto
Con clic’! ciel rasserena e le tempeste,
Himirolla, basciollu, c Così dissele:
[242-250]
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i
[H 6-439] libro i. M
Non temer, Citerca, cliè saldi e certi
Stanno i fati de* tuoi. S’ adempieranno
Le mie promesse: sorgeran le torri
De la novella Troia: vedrai !e mura
Di-Lavinio; porrai qui fra le stelle
' Il magnanimo Eneo. Cliè nè’l destino
In ciò si cangerà, nè ’l mio consiglio.
Ma per trarli d’ affanni, io tei dirò
Più chiaramente, c scoprirotti intanto
De’ fati i più reconditi secreti. -,
Figlia, il tuo figlio Enea tosto in Italia
Sarà; farà gran guerra, vincerà;
Domerà fere genti; imporrà leggi;
Daf*à costumi, e fonderà città:
E di già, vinti i Rutili r, tre verni
E tre stali regnar Lazio vedrafió.
Ascanìo giovinetto, or detto Iulo„
Ed Ilo prima infin eh’ Ilio non cadde;
Succederagli ; e trenta giri interi
Del maggior lume, il sommo imperio avrà
Trasferitilo in Alba: Alba lo lunga
Sarà la reggia sua possente e chiara.
Qui regneranno. poi sotto la gente ,•
D’ Ettore un dopo P altro un corso d’ anni
[257-272]
-Jr —
20 L* ENEIDE. [440-463]
Tre volte cento; (meli’ Ilio regina
Vergine e socra, del gran Marte pregna,
I)’ nn parto produrrà gemella prole.
Indi capo ne Ha Romolo invitto.
Questi, invece di manto, adorno il tci'go
De la sua marzìal n mirice lupa,
Di Marte fonderà la gran cittade: £*■
E dal nome di lui Roma diralla. »•
A Roma non pongo io termine o fine:
Che fia del mondo imperatrice eterna.
E 1’ aspra Giulio, che or la terra e il mare
E il ciel per tema intorbida c scompiglia,
Con più sano consiglio, al mio conforme,
Procurerà clic- la romana gente
In arme c ’n toga a P universo impèri.
E cosi stabilisco. E così tempo
Ancor sarà eli’ Argo, Micene e Ftia
E i Greci tutti tributari e servi
De la casa di Assàraco saranno.
Di questa gente, e de la lidia stirpe,
Che da quel primo lulo il nome ha preso,
Cesare nàscerà, di cui l’ impero .
K la gloria lia tul, clic per contine
V uno avrà L’Oeeànoj e V altra il cielo.
- ' [273-288] ' „ ‘
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unno i.
21
[4GUS7]
Questi, già vinto il lutto, poi clic onusto
De le spoglie sarà de l'Oriente,
Anch'egli avrà da te qui seggio eterno,
E là giù fra’ mortali incensi e voti.
D’aspro secolo allor, l’armi deposte,
Si farà mite. Allor la santa Vesta,
E la candida Fede c ’l buon Quirino
Col frale Remo il mondo in cura avranno.
Allor con salde e bep ferrate sbarre
De la guerra saran le porte chiuse:
E dentro infra la rugine sepolto,
Con cento nodi incatenato e stretto
Orari tempo si starà l’empio Furore;
E rabbioso fremendo orribilmente,
^ A
Con fuoco agli occhi, e bava e sangue ai denti
.Morderà 1’ armi e le catene indarno.
Così detto, spedì tosto da 1’ alto
Di A/aia il Ciglio a far sì eh’ a’ Troiani*
Fosse Carlago e il suo paese amico,
Perchè del fato la regina ignara,' : •
Non fosse lor, per ferità de’ suoi
0 per sua tema, inospitale e cruda.
Vassene il niessaggier per 1’ aria a volo
Velocemente, e ne la Libia giunto,
[2S9-301] •
22 L* ENEIDE* [Ì88-51I]
Quel ch’imposto gli fu, ratto cssequisce.
E già, la «lio mercè, lasciano i Peni
La lor fierezza/, e la regina in prima
S* imbeve d’ un affetto, e d’ uno mente
Verso i Troiani -affabile «“benigna.
La notte intanto del pietoso Enea
Molti furo i sospir, molli i pensieri.
Conchiusc allin eli’ a I’ apparir del giorno
Spiar dovesse, e riportarne avviso
A’ suoi compagni, in qual paese il vento
(ìli avesse spinti; e s’ uomini, o pur fere
(Perchè incolto il vedea) quivi abitassero.
Così Ira selve ombrose c cave rupi
Fatti i legni appiattar, sol con Acato*
E con due dardi in mano in via si pose.
In mezzo de la selva una donzella,
Ch’ era sua madre, sì coni’ era avanti *
Clic madre fosse, incontro gli si fece. '
Donzella a Pnrmiva 1' abito, al sembiante
Parca di Spartii, o quale in Tracia Arpàlice
Leggiera e sciolta, il dorso affaticando
Del fugace destricr, P Ebro varcava:
Al collo avea da cacciatrice un arco
Abile e lesto, i crini a P aura sparsi,
[302^319]
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~> »?
[512-535] libro i. 23
Nudo il ginòcchio; e con bel nodo stretto
Tenea raccolto de la gonna il seno.
Ella fu prima a dire: Avreste voi, '
Gioviali, de le mie sorelle alcuna
Vi^ta errar quinci, och’aggia l’arco al lìanco
0 che gli omeri vesta d’ una pelle
Di cervier maculato, o che gridando
D’ un zannuto cignal segua la traccia?
Così Venere disse: ed, a rincontro,
Di Venere il Figliool così rispose:-
Niuna ho, de le tue veduta, o’ntesn,
Vergine.... qual ti dico, e di che nome
Chiamar ti deggio? chè terreno aspetto
Non è già ’l tuo, nè di mortale il suono:
Dea sei tu veramente, o suora a Febo,
0 figlia a Giove, o de le niufè alcuna: *
E chiunque ti sii, propizia e pia
Vèmoi ti mostro, e i nostri affanni ascolta
Dinne sotto qual -cielo, in qual contrada
Siamo or del mondo : chè raminghi andiamo;
E qui dal vento e da fortuna spinti
Nulla o degli abitanti o de’ paesi
Notizia abbiamo. A te, s’ a ciò m’ aiti,
Di nostra man cadrà più d’ una vittima.
[320-334]
- JT
Si
2i l’ eneide. ‘ [536-559]
Venere allor soggiunse: Io non m’arrogo
Celeste onore. In Tiro usai) le. vergini
Di portar arco e di calzar coturni ;
K di Tiro, e d’ Agenore le genti
T raggon principio, clic qui seggio Irati posto:
Ma ’l paese è di Libia, ed avvi in guerra
Celile feroce. Or n’è capo c regina
Dido che, da l’ insidie del fratello
Fuggendo, è qui venuta. A dirne- il tulio
Lunga fò'ra novella e lungo intrico.
Ma toccandone i capi, avea costei
Sichòo per suo consorte, uno il più ricco
Di terra e d’ oro, che in Fenicia fosse,
Da* la meschina unicamente amato,
Anzi il suo primo amore. Il padre intuita
Nel primo lior di lei seco legnila.
Ma del regno «li Tiro avea lo scettro
» Pi gin ali on suo frale, un signor empio,
Un tiranno crudele e scelcralo
Più ch’altri mai. Venne un furor fra loro
Tal, che Sichco da questo avaro c crudo,
Per sete d’oro, ove meir guardia pose,
Fu tra gli altari ucciso; e non gli valse
Clic la germana sua tanto l’ amasse..
[335-351]
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e
[560-583] udrò i.
Ciò Ce colatamente; e per celarlo
Vie più, con finzioni e con menzogne
Deluse un tempo ancor l’afllitta amante.
.Ma nel lìn, di Siclico la stessa imago,
Fuor il’ un sepolcro uscendo, sanguinosa,
Pallida, macilenta e spaventevole
L* apparve in sogno, c presentolle, avanti
Gli empi altari ove cadde, il crudo ferro
Clic lo trafisse, e del suo frate tutte
1/ occulte sceleraggini l’aperse.
Poscia: Fuggi di qua, fuggi, le disse,'
Tostamente, e lontano. E per sussidio
De la sua fuga, le scoperse un loco
Sotterra, ov’ era inestimabil somma
D’oro e d’argento, ili moli’ anni ascoso.
Quinci Dido commossa, ordine occulto
Di fuggir tenne, e d’ adunar compagni;
Che molli n’ adunò, parte per odio,
Parte per tema di si rio tiranno.
Le navi, die trov&r nel lito preste,
Caricòr d’oro, c fer vela in un subito.
Cosi il vento porjtossene la speme
De l’ avaro ladrone. E fu di donna
Questo si degno e niemorabil fatto.
[351-304]
2 o
| Digiti,
26 l* ENEIDE. [584-607]
Giunsero in questi luoghi, ov’or vedrai
Sorger la gran cittade c I’ alla ròcca
De la nuova Carlago, che dal fatto
Ilirsa nomossi, per P astuta merce
Glie, per fondarla, fer di tanto sito
Quanto cerchiar di bue potesse un tergo.
Ma voi chi siete? onde venite? e dove
Drizzale il corso vostro? A lai richieste
Pensando Enea, dal più profondo petto
Trasse la voce sospirosa, e disse: »
0 Dea, -se da principio i nostri affanni
10 contar ti volessi, c tu con agio
Udisse una da me si lunga istoria,
Non finirei che fine avrebbe il giorno.
Noi sium Troiani (se di Troia antica
11 nome ti pervenne unquu agli orecchi)
E la tempesta che per tanti mari
Già cetani’ anni ne travolvc e gira,
N’ ha qui, come tu vedi, alfin gittati.
Io sono Enea, quel pio che da’ nemici
Scampali ho meco i miei putrii Penati,
Fino a le stelle ornai nolo per fama.
Italia vo cercando, clic per patria
Giove m’assegna, autor del sangue mio.
[365-380]
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[608-631] libro i. ' 27
* «
Con diece e diece ben guarnite navi
Uscii di Frigia, il mio destili seguendo
E lo splendor de la materna stella.
Or sette me ne son restate a pena,
Scommesse, aperté e disarmate tutte.
Ed io mendico, ignoto e peregrino,
De l’ Asia in bando, da l’Europa escluso,
E ’n iin dal mar gitlato or ne la Libia,
Vo per deserti inospiti e selvaggi. /
E qual m’ è più del moudo or luogo aperto 1
Venere intenerissi; e nel suo tiglio
Tanta amara doglienza non soffrendo,
Cosi ’l duol con la voce gl’ interruppe:
Chiunque sei, tu non sei già, cred’ io,
Al cielo in ira; poi che a sì grand’uopo
Ti (lift ricovro a si benigno ospizio.
Segui pur francamente, e quinci in corte
Va di questa magnanima regina;
CU’ io già t’ annunzio le lue navi e i tuoi
Da miglior venti in miglior parte addotti
Salvi e securi ornai, se i miei parenti
Non m’ingannàr quando gli auguri’ appresi.
Mira là sovra a. quel tranquillo stagno
Dodici allegri cigni, che pur dianzi
[381-393]
«
28 l’ e^eide. [632-655]
Confusi c dissipati a cielo aperto
Erano in preda al fero angel di Giove,
Coiti’ or, sottratti dal suo crudo artiglio, .
Rimessi in lunga ed oziosa riga
Si rivolgono a terra, e già la radono.
E si con»’ essi con gioiose ruote
Trattando I’ aria, col cantar, col plauso
Mostrato hun d’ allegria segno e di scampo;
Così placato il mare, a piene vele,
E le tue navi e gli tuoi naviganti
0 preso hun porlo, o tosto a prender l’hanno:
Vattene or lieto ove ’l senlier ti mena.
Ciò detto, nel partir, la neve e l’oro,
E le l’ose del collo e <|e le chiome,
Come l’aura movea, divina luce *
E divino spiràr d’ ambrosia odore;
E la veste, che dianzi era succinta,
Con tanta muestà le si distese
lutino a’ piè, eli’ a l’ andar anco, c Dea
Veracemente c Venere mostrossi.
Poscia che la conobbe, e la sua fuga
0 fermare, o seguir più non poteo,
Con un rammai'co tal dietro le tenne:
• Ahi! madre, ancora tu vèr me crudele ?
[394-407]
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[GÓ6-&79] ubijo u
A che tuo figlio con mentite larve
Tante volte deludi? A che m’è tolto
Di congiunger la mia con*la tua destra .
Quando fia mai eli’ io possa- a viso aperto
Vederti, udirti, ragionarti, e vera
Riconoscerti madre? Egli in tal guisa^
Si querelavo; e verso la cittadc • r
Se nc giano invisibili ambulile:
Chè la Dea, sospettando non tra via
Fossero distornali o trattenuti,
Di folto nebbia intórno gli coverse.
EH a in alto levossi ; c Cipri e Pafo
Lieta rivide, ov^entro al suo gran tempio
Da cento altari ha cento volte il giorno
D’ incensi e di ghirlande odori e fami.
Ed c$si intanto in vérde mura a vista
Giunser de la’ città, eh’ al colle incontro ,
Fe lor superba e speciosa mostro.
Meravigliasi Enea clic si gran macchina
Giù sorga, ove por dianzi non vedevasi
Forsi altro che foreste o che tuguri».
Mira il travaglio, mira la frequenza»,.
E le porte e le vie piene di strepito.
Vedo con-quanlo ardor le turbe ime
Caro. — 3. 1407-423]
30 l’ eseide. ' [6SJ0-7O3J
, Altri a le mura, altri a la* ròcca intendono.
« *
E i grava legni c i gran sassi che volgono
Questi, che i siti ai proprii alberghi insolcano ;
E quei, che del senato. e degli odici i
Piantali le curie e-i fòri e le* basiliche.
Scorge là presso aj piar che’l porlo cavano ;
Qua sotto al colle, eh’ un teatro fondano.
Per le cui scene i gran marmi che tagliano,
E le colonne, che talli’ alto s’ ergonp,
Ee rupi e i monti, a cui son figli, adeguano.
Con tal* sogliono industria u-priiriavera
he sollecite pécchie al sole -esposte *
Per rforrte“'cum paglie esser citar sì,
• • •
Quando le uuovc lor cresciute genti
Mandano in campo .a# eòi* manna e fugiaday
Di celeste liquor le celle empiendo:
0 quando incontro a scaricare i pesi
Van de P altre Compagne ; o quando a stuolo
Scacciano i fuchj, ingordo, bestie e pigre,
Che, solo intente a logorar l’altrui,
De le conserve lor si fan presepi,
Allor che l’ opra ferve, allor che’l mèle
Sparge di tiuio d’ ogn’- intorno odore^.
0 fortunali voi, di cui. già sorge
[423-437)
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3!
[704-727] LIBRO !..
i» . • *
11 desialo seggio, Enea djcéndo, •
A parte a parte lo contempla e loda. .
Arriva intanto a la mitraglia, e chiuso .*
Ne la sua nube (meruviglu.a dirlo)
Tra gente e gente va, che. non è visto.
Era nel mezto a la-ciltaile un bosco
Di sacro rezzo e grato, ove Sospinti ’
• • '
Da la tempesta capilaro i Peni .
Primieramente ; e nel fondar trtìvaro
Quel che pria. da Giiinon fu lor proietto
'Di barbaro destrier teschio fatale, ✓ „
La cui sembianza indagine e presagio
Fu poi, che quella geute ejquella terra
Saria per molte età ferace e fera. ^
Qui fabricava la sidoniu Dfdo
Un gran tempio a Giunone, ilcui gran nume
E i doni e la materia e l’ artificio
•
Lo facean prezioso e venerando.
Mura di marmo ùvea, colonne e fregi
Di mischi, e gradi e travi e soglie e porte
Di risonante e solido mètallo. ^
Qui si ristette Enea; qui vide cosa
Che tema gli scemò, speme. gli accrebbe, •
E di pace aflidollo e di saluto^
[138-452]
32 l’f.seide. [72S-75I]
Clic mentre, in aspettando la regina
Cli’ ivi s’attende, la città vagheggia,
Mentre nel tempio P apparato e Copre
E ’l valor degli artefici contempla,
Agli occhi una parete gli s1 offerse,
In cui tutta per ordine dipinta*-
Era di Troia la famosa guerra.
E conosciuti a le fattezze conte
Prima il troiano re, poscia I’ argivo
E ’l fero d’ ambiduc nimico Achille,
Eermossi, e (agri mando: O, disse, Acatc,
Mira fin dove è la notizia aggiunta
De le nostre rui ne ! or quale liu’l mondo
Loco che pien non sia de’ nostri affanni 1
Ecco Priamo, ecco Troia; e qui si pregia
Ancor vertù : che ferità non regna
Là ’ve umana miseria si coinpiagiic.
Or ti conforta, che tal fama ancora
Di prò ti fia cagione e di salvezza.
Cosi dicendo, e la già nota istoria
Mirando, or con sospiri, ed or con lutto
Va di vana pittura il cor pascendo.
E come quei ch’a Troia il tutto vide,
1 sili rammentandosi e le zuffe,
[*53-466]
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-
[752-775] * libro i. 3-3
Col senTbiantc riscontra il ^ivo e’I vero.
Quinci vede fuggir le-greche schiere,
Quindi le frigie: a quelle Ettore infesto,
À queste Achille, a cui parca d’ intorno
Che solo il suon del carro c solo il moto
Del cimiero avventasse orrore e morte.
“N
Nè Senza lagrimar Reso conobbe
Ai destriei* bianchi, ai bianchi padiglioni,
Fatti di .Sangue in -mille parti rossi:
Chè sotto v’ era. Diomede, aneli’ egli
Insanguinato; c si facea d’intorno
’ Alla strage di gente che nel sonno,
Prima che da lui morta, era sepolta.
«
Vedca quindi i cavalli al campo addotti,*'
Che non potèf (fato a’ Troiani avverso !)
Di Troia erba gustare, o ber del Xante.
Scorge d’ un’ altra parte in fuga vólto
Trullo, g-ip senz’ armWe senza vita:
Giovinetto, infelice, che di tanto-
* • •
Diseguale od Achille, ebbe ardiménto
Di starli a fronte. Egli in su ’l vóto carro
Giucea rovescio, e strascinato e lacero
Da’ suoi cavalli. avea la destra ancora
A le redine involta, e’1 collo e i crini
[466-477]
ENEIDE.
- [77G-7£9]
Truca per terra ;xì I’ asta, onde trafitto
Portala il petto, con la punta tu gjuso
Sericea note di* Sangue in su-la pojye.
Ecco intanto verìir di Palla al tempio
In lunga schiera ed ordinata porftpn
l.e donne d’iiio a far «lei peplo-offerta.
'Battonsi.i petti, e? scapigliate e* scalze „
Puron pregar divotàftienlc afflitte
Perdonò e pace; cd ella irata e .fera, *
Volle le luci a terra c ’l tergo a loro',*
Mostra fastidio di mirarle c sdegno.
• * •
Vede il misero Ettòr clic già tre volte
Tratterrà d’ilio. a la muraglia intorno:
Vede il patire più misero, eli’ in forza
Del dispieiato e suo nimico Achilie,
Oro in premio gli dà del suo cadavero :
Spettacolo ci;ildél. elio- gli trafigge
Profóndamente e più-tP ogn! altro il core,
Ove il carro, gli arue&i e ’l corjiQ stesso
Vede d’ un tanto amico, cd un re tale,
Che solo c disarmato e supplichevole"
Stassi a P uccidi to4* del figlio avanti.
Vi riconolme ancor sè stesso, ov’ era
9 * m # 5* \ 4* — J
A dura mischia incontro a’ greci eroi.
[Ì78-4881
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Irrg
35
[S00-S23] unno i.
% • ^
Riconohhta-lo sluol che d* Oriente
% »> r • . *
Addiissc.de I* Aurora il negro tìglio:
E Ini raffigurò, che di Vulcano
° . » •
Avea Io sbérgo'e l’ armatura in dosso;
Scorge d’ aJtronde di lunari scudi
Guidar Penlesilèa l’ firmale schiere.
De P Amazzoni $ue; guerriera ardila,
Clie succinta, e ristretta Mufrqgiià.d’ oro '
1/ adusta mamma, ardente e furiósa*
Tra mille e nulle, ancorché donna è vergine,
v 7 • — • ^ Q
Di qiftil sra.cavaUer npn tcmc*intoppo.
Slava da taitlfe meraviglie ad una -
Sola vista ristretto, attento e fiso • *
Enea pfen .di vaghezza. e dPswrpoV.e; • .
Quaud’eceo la regina, accomji^¬a j
Da reai corte, con reap£ÒateguT>.>.*
Entro al tempiomellissima coipparyc,'
Qual su le idpX.de^r.Eyr^qia.SÌfdl'e, .
0 ne^gioglif (4i>€into,. allpfr Dianct
Cli’ a E Orcadi sm: la pacfcu^ndicc^ *
A mille cbeie’fon cerchio d’ intorno, ‘ ,
% •
Divisar vari offici, e (Vetrata,
Da la faretra in jm girxsovra I’ altre
Neglettamente allern, onde a Lafòna
{4SS-502]
36 t’ eneide. [824-847]
S* intenerisce per dolcezza il corc'j
/ale era . Dido, c tal per mezzo a’ suoi
Se ne già lieta, e dava ordine e forma
Al nuovo regno, ai magisteri, a l' opre:
Giunta al cospetto de la Diva, in mezzo
he la maggior tribuna, in alto assisp,
Cinta d’ armati, in maestà si pose:
E mentre con dolcezza editti e leggi
l’orge a la gente, e con cgunl compenso
1/ opre distribuisce c le fatiche;
• • 0 * ' *
Rivolgendosi Enea, nel tempio stesso
Vede da gran concorso attorneggiati
Entrar Sergesto , Anteo, Cloanlo e gli altri.
I roiani, òhe da sè disgiunti e sparsi
Avea dianzi del mar r aspra tempesta. -
Stupor, timqr, letizia, tenerezza,
E disio d’ abbracciarli e di mostrarsi,
Assalirò in un tempo Acute e lui.
Ma, dubii del successo, entro la. nube
Dissimulando se ne stero, e cheti,
Per rilrar che seguisse, e che seguito
Fosse giù de le navi e de’ compagni,
Di cui questi era ii primi e gli più scelti
Di ciascun legno. E già pieno era il tempio
[502-519]
• : 1 i
> f
. v - ^ - ’v.
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[848-871] * n "libro i. 37
Di tumulto e ili voti deditamente
Si sentimi vènia risonare e pace.
£ • ' ^ *9
Poiché furo enlromessi, c ch’udienza .
Fu lòr concessa, il saggio Ilìoneo,
Prese umilmente in cot'al guisa a dire:
Sacra Regina, a cui dal cido ò dato
Fondar nuova ciltade, e con giustizia.
Por freno a gente indomita c superba,
Noi miseri Troiartr, a- tutti i venir,
A tutti i mari ornai ludibrio *e scherno,
Caduti^dopo V onde in preda al foco ' * .
Che chi’ tuoi si minaccia ai nostri legni,
Preghlanti a proveder che nel .tuo regnò
Non si commetta un si nefando eccesso.
• • *
Fa cosa di te dégna ; abbi di noi
Piotò, che pii, che giusti, eh’ innocenti
Siamo,' non predatori', non corsari
De le vostre marine o de 1* altrui:
Tantoj Vinti d’ardire, è gl’ infelici
D’orgoglio e di superbia’oimè ! non hanno.
»
Una parte d’ Europa -è, che da’ Greci
Si disse Esperia, "antica, bellicosa,
B ferlil terra,. dagli Enotrii cólta.*
• Prima Enotria noinossi, or, come è fama,
[519-532]
3S l’ F.ngiDE. , « .[872-855]
Preso il’ llalò il nome* Italia è della.
Qui ’1 nostro. (torso era. “diritto, quando _ * •*
Orlon tempestoso i venti. e ’l n£orc • * .
Sì repente commosse, e mapsl fero/
Venti Sìpeilinaoi, e tiemlii c. turbi i ,v..*
* • 9 9 è
Cosi rabiosi, die sommersi in parte - /
K dispersi at^>a lutti: altri » lo secche, * .
Altri a gji scogli, cd altri altrove \ia-spintij'
K noi pochi, di tatui; diartmi SÓndottf. ' ;
Ma qual sì crmltt^geril^qiiàl.sljfera
E baibara-citlà quert’ uSo Inppruova,
Clic lie srà proibita anco P arena?. * * * >
Che guerra ne si muova*, e ne si vjetl
•v
V •
Di star oe I’ orlo.de la terra a pena£
Ab!. se de f’ ùrmi e de le genti umane
Nulla vi cale, a D'19'thirate almeno, . ^
Che dal del- vedere riconosce i.meiTci .$.•
E r demeriti altrui: Capo e re nosK’Q
• •* , *
Era pur dianzi. Enea, di (fui piùfcgirus^o,
Più pio, piu PF9’ nevl’ armi, più stigace ■
Guerrier nofi'fu #ià mai. Se questi. è. d*o* ’ “
Se spira, se il destin non cc V invidio,, ;
r. • . *’ *,* ■ . v .
Quanto ne speriam noi, tanto potreste
Tu non pentirti a provocarlo ittprima
* [533-348]
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• •: \
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[896-919]. • nane i. 39
A cortesia. Ne la Sicilia, ancora '
Ayein tciTe/^vpirf armi, -a verno Aèestc
Che n’ è .signore,, ed* è de’ nostri aucl^cgli.
Quel ch’evi domandiamo è gpiaggi5,c. selva.
K vitto da munir, , il a- risarcire . * •
I vóti e stanchi e scQnquassa.li Iqgm, ,
Per poter lieti (ritrovnndo'il Duce
E gli altri nostri^o se pur mai rt’ £ dato
Veder P Italia) nej’ Italia addurne;
Ma se nostra salute in tutto £ spenta/'
Se te nostro signor, nostro buon padre,
Di Libia ha ’l mare/ e più speranza alcuna
Non ci riman del giovinetto lufo^
Almcit tQniijr ne la Sicaniayond’ ora ' *- '
Sium-qur venuti, c dove.il buon* Accstc*
* 4 * * , *l ■ %* ' •
N’è pacato mai sempre ospite e-rege.
Al dir drIlione'o fremendo tutti v ' • ’
• ' « .
Assentirono i -Teucri, e la regina . t
Con gli oéchi bassi e£on benigna voce
• • *
Breveoiente rispose: 0 miei Troiani,
Toglietevi dal core ogni timore.
Ógni sospetto. Gli. accidenti atroci,
La nòVìtà di -quésto regno a forza ‘ *
Mi fan si rigorosa, e si guardinga
[549-563]
' — ,r^’- ’
40 . l’ incide. [920-94H]
De’ miei confini. E chi di Troia il nome,
Chi ile* Troiani i valorosi gesti, -
E T incendio non sa di tanta guerra?
Non’.han però si rozzo core i Peni;
Non si lunge da lor si gira il sole,
Clic nò pietà nò fama iniqua v’ a'rrjve.
Voi di qui sempre, o de la grand’ Esperia
E di Saturno che cerchiate i campi, -
O che vogliate pur d’ Aceste c d’ Ericc
Tornare ai liti; in ogni casodilièrf
Ve n’ andrete c sicuri. Ed io d’ aita
Scarsa non vi sarò, nò di sossi dio:
E se qni dimorar ineco voleste,
Questa è vostra città. Tirale al 1 ito ^
** .
Vostri navi li : chè da’ Teucri a’ Tiri
#
Nulla scelta farò, nullo divaro.
• • #
Cosi qui fosse il vostro* re con vor!
Cosi ci capitasse! Ma cercando
lo manderò di lui fino al* estremo "
De’ miei confini la riviera tutta,
Se per sorte gittato in queste spiagge '
Per selve errando o per eittadi andasse.
Rincorossi a tal dire il padre Enea
E’I forte Acato; e di squarciare il velo
[564-580]
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LIBRO I.
u
[544-967]
Stavan già desiosi. Àcnte il primo. .
Mosse dicendo: oqiqì, signor,, che pensi ?
Tatto è sicuro, c tutti a salvamento '
I nostri legni c i nostri amici avemo.
Sol un nemianca; e questo a noi davanti
II mar sorbissi. Ogni altra cosa al «letto
Di tua ipad/e risponde. A pena Acute
Ciò disse, che la nugola s’aperse,
Assottigliossi e col cicl puro unissi.
Rimase in chiaro Enea, tale ancor egli
Di chiarezza e d’ aspetto e di statura,
Che come un Dio mostrassi : c ben a Dea
0 •
Era figliuol, che di bellezza è madre.
Ei degli occhi spirava e de le chiome
Quei ciliari, lieti e giovenili onori
Ch’ ella stessa di lui madre gl’ infuse.
* l ^
Tale aggiunge 1’ artefice vaghezza
A V avorio, a l’ argento, al pario marmo,
Se di fin’ oro li circonda c fregia.
Colai, comparso d’ iinproviso a tutti,
Si fece avanti a la regina, e disse:
Quegli che voi cercate Enea troiano,
Son qui, dal mar ritolto. A te ricorro
Vera regina, a te sola pietosa
[5S1-597]
s
•i2 l’ f.meiok. [968«99J]
De le nòstre- ineffabili fatidici £ •
• • •
Tu noi*,' rimasi, al ferro, affuoco, .a V onde
H’ ogni strazio bersaglio, .d’ -ogni cosa ...
Bisognosi c menti ici, nel tuo regno
G nettilo albergo'-umanamentc accogli.
A renderti di dlò merito eguale
- * • - . .
Bastante non son io nè fòrti n quanti
T)e largente di'Dardano discesi:
• • » * •
Vanno" per l’ universo o'ggi disporsi.
Ma gli Dei (s* alcun Dio de* buoni ha cura,
Se nel mondo è giustizia, se si Ù'Uova *
Chi ~d’ altamente adoperar s’ nppughe)
Te ne dian guiderdone. Età felice!
Avventurosi genitori e granai
Clic ti diedero al mondo! Infìn c’ i fiumi
Si rivolgono al mare, infin di’ a’ monti
Si girali l’ ombre, infin e’ ha stelle il cielo
I tuoi pregi, il tuo nome eie tue lodi
Mi suran sempre, ovunque io sia, davanti.
Ciò detto, lietamente a’ suoi rivolto,
Al caro Dioneo la destra porse,
La sinistra a Sorgeste, • e poscia al fòrte
Clonnto, al forte Già: l’un dopo 1’ altro
Tutti gli salutò. Stupì Didòne ' .
[697-613] .
1
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/
[992-UH&] * ijiBjto j. 43
• •
Nel primo ^aspettò d’ un si nupVo caso,*
E d’ìm nom lale, indi riprese a dire:
Qual* forì:a, o qual destino a tanti liscili
T’ lìantfQ jn sì straniali si'te/i paesi
Espostolo de ìa Offa famoso tiglio?*
E sei- hi quell’ E>iea che in su la riva
Di^SUqpenta il gran rfardnnio Anchise
Di Venere produsse? Io. mi ricordo
* < ^ . .
Quel che n* Ui tesi già da Teucro, (piando
Fuor di sua pafri£, il suo padre /uggendo,
Nuovi- regni cercava. -Jvgli* a Sidone
Venne? in cfùel tempo a dar sussidio a Belo..
lido mio padre aHoi> Iacea l’ impresa
E’1 conquisto. di Cipro.' Intin d’ allora .
Io del caso di Troia c del tuo nome
E de 1’ oste de’ tiraci, èbbi notizia. *k
• ^
Ed ei eli’ era sì rio nimico vostro, * *
Celebrava il valor di voi Troiani,
% r • 7 •
* • • * •
E trai* volea da Troia il suo legnaggio.
Voi dà’ftie dunque amico e fido ospizio, %
(ìiovini, prete. E me fortuna ancora,
A la voslra^simile, ha similmente
Per molti atTanni a questi luoghi addotta,
Sì che natura e solTei enza e ppuova
rut.J-.630J
*, ;• l
' ■£ . i
'
4 V L* ENEIDE. • [101,6 -'IO 39]
De’ miei slessi travagli ancor me. fanno
Pietosa e sovvenevole agli altrui.
Ciò dello, Enea cortesemente .adduce
Nc la sua reggia. In pgni-tcgipio indice
Pesi e e preci solenni. Ordina appresso
Che si mandinoci mar venti gran tori,
Cento gran porci, cento grassi agnelli
Con cento madri, e ciò eh’ a suoi compagni
Per villo e per letizia è di inesliero.
Dentro al reai palagio, realmente,
De’ più gentili e sontuosi arnesi
Il convito e le stanze orna e prepara;
Cuopre d’ ostro le muro; empie le mense
D’ argento c d’ oro, ove per lunga serie
Son de* padri e degli avi i fatti egregi.
Enea, cui la paterna tenerezza
Quetiir non lascia, a le sue navi innanzi
Ratto spedisce Acato che di lutto ,
Ascanio avvisi, ed a sè tosto il meni;
Chè in Ascanio ma'» sempre in lento "« liso
Sta del suo caro padre ogni pensiero.
Gli comanda, oltre a ciò, eli’ a la regina
Porti alcune rf donar spoglie superbe
Che si salvAr da la mina a pena
. * [620-6481
*
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[1040*1063] libro i. 45
E dal foco di Troia-: un ricco manto
Ricamato a figure, e di fiu’ oro
Tutto contesto; un prezioso velo,
Cui di pallido acanto un ampio frogio
Trapunto era d'intorno; ambi ornamenti
I)’ Elcna argiva, c di sua madre Leda
Mirabil dono. In questo uvea le bionde
Sue chiome avvolte il dì che di Alicene
A nuove nozze, e non concesse, uscio ;
E porli anco lo scettro, onde superba
llione di Priamo sèn giva
Primogenita figlia, e ’l suo monile
Di gran lucide perlp; e quella stessa,
Onde ’l fronte cingea, doppia corona,
Di gemme orientali ornata e d’ oro.
Tutto ciò procurando il fido Acute -
In vòr le navi accelerava il piede.
Venere intanto con.nuov’ arte e nuovi
Consigli s’ argomenta a far che. in vece
E ’n sembianza d’ Ascanio il suo Cupido
Se ne vada ih Cartago; e con quei doni,
Con le dolcezze sue, con la sua face
Alletti, incenda, amordesti e furore
Nel petto a la regina, onde sospetto-
Caro.— 4 [G48-C61]
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46 L,’ ENEIDE. [1064- i 087]
Più non aggia o M regno, o la perfìdia
0
l)c la sua gente, o di Giunon P insidie
Clic da pensare e da vegghiar le danno
Tutte le notti. E, fatto a se venire
1/ alato Dio, cosi seco ragiona:
Piglio, mia forza ernia maggior possanza;
Piglio, che del gran padre anco non temi
L’ orribil tèlo, onde percosso giacque
Chi ne diè fin nel ciel briga e spavento,
A le ricorro, c dal .tuo nume aita
Chieggio a V altro mio figlio Enea tuo frate.
Come Giuno il persegua, e come P aggia'
Per tutti i mari ornai spinto e travolto,
Tu ’l sai che del mio duol ti sei doluto
Più volte mebo. Or la sidonia Dido
1/ ave in sua forza, e con benigni e dolci
Modi fin qui P accoglie e lo trattiene.
Mu là dOv’ è, lassa! che vai, comunque
Sia caramente accolto? in casa a Giuno
Da le carezze ancor chi m’ assedimi ?
% m
CIP ella più neghittosa, o meno atroce,
In un caso non ha di tanto affare.
E però con astuzia c con inganno
Cerco di prevenirla; e'dcl tuo foco
[G61-C73] ',J!
• * * • *
♦
MiU] L,Bno '•
Ardere il cor de la regina in guisa,
CI altro nume no! mute-, e meco P am.
/)’ immenso affato. Or come agevolmente
Ciò porre in atto e conseguir si possa,^
Ascolta. Enea manda testé chiamando
Il suo regio fanciullo, amor supremo
Del caro padre, e mio sommo diletto,
Perchè de’ Tiri» a la città sèn vada
Con doni a la regina, che di Troia
A P incendio avanzarono ed al mare.
Questo vinto dal sonno, o sopra 1’ alla
Citèra, o dentro al sacro bosco ldalto
Terrò celato sì ch’ei non s’ accorga,
Kd accorto di ciò non faccia altrui,
Con alcun suo rintoppo. E tu che puoi,
Fanciullo, il noto fanciullesco aspetto .
Mentire acconciament.e, in lui ti cangia
Sola una notte, e gli suoi gesti imita.
R quando Dido al suo reai convito
lUceveralti, e, come a mensa fassi,
Sarà, bevendo e ragionando, allegra ;
Quando, come farà, cortese in grembo
Terratti, abbracceéàtli, e dolci baci
Porceralli sovente, a poco a poco
£674-087]
A
mO<I
Il
Jf
48 l’eseide. [-1 1 12- 1"! 35]
Il tuo foco le spira e ’l tuo veleno.
Al voler de la sua diletta madre
Pronto mostrassi e baldanzoso Amore,
E gitlò 1’ ali; cd in un tempo l’abito
E ’l sembiante e l’ andar .prese d’ Itilo.
Ciprigna intanto al giovinetto Ascanio
Tale un profondo c dolce sonno infuse,
E ’n guisa I’ adattò, che agiatamente
In grembo lo si tolse; e ne la cima
De la selvosa Idalia, entro un cespuglio
Di lieti fiori e d’odorata persa,
A la dolce aura* a la frese’ ombra il pose.
Cupido co’ suoi doni allegramente,
Per far quanto gli avea la madre imposto,
Con la guida si pon d’ Acate ’n via.
Giunse, che giunta era bidone appunto
Ne la gran sala, che di fini arazzi,
Di fior, di frondi e di festoni intorno
%
Era tutta vestita, ornata e sparsa.
E già sopra la sua .dorata sponda
(ìun reul maestà s’era nel mezzo
A tutti gli altri alteramente assisa.
Appresso Enea, poscia di mano in mano
Sopra drappi di porpora e di seta
[GS8-700]
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X
[1I36-H59] libro i. . 49
«
Si stende» la troiana gioventute.
Già coni I* acqua e con Cerere a le mense
Gli aurati vasi e i nitidi canestri
E i bianchissimi lini eran comparsi.
Stavano dentro, a le vivande intorno.
Intorno- ó’ fochi, a dar ordine a’ cibi
Cinquanta ancelle, ed altre cento fuori
Con altrettanti d’ una stessa etade
Tra scudieri e pincerni; c gli atrii tulli
Si riempieron di Tirii, a Cui le mense
Di tapeti dipinti eran distese.
A V apparir del giovinetto Itilo
Corser tutti ù mirare il manto e M velo
E gli altri eh* adduce» leggiadri arnesi,
A sentir quelle sue finte parole,
A contemplar quel grazioso aspetto,
Ch’ardore e deità raggiava intorno.
Ma sopra tutti l’ infelice Dido
Non potea nè la vista nè M pensiero
Saziar, mirando or gli suoi doni, or lui;
E com’più gli rimira, e più s’accende.
Poiché lunga fiata umile è dolce
Del non suo genjtor pendè dal collo
E fìnse di figliuol verace affetto,
[700-7 ! G]
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jiO l’ eseioe. [1.160-1183]
Si volse a la regina. Ella con gli occhi,
Col pensici- lutto lo contempla e mira:
Co palpa, e ’l bacia, ehi grembo lo si reca.
Misera! che non sa quanto gran Dio
S’ annidi in seno. Ei de la madre intanto
Rimembrando il precetto, a poco a poco
t)e la mente Sichèo comincia a trai le,
Con vivo amore e con visibiV fiamma
Rompendole del core il duro smallo,
E’ntroducendo ilsuo già spento affetto.
Cessati i primi cibi, c da’ ministri
Giù le mense rimosse, ecco di' nuovo
Comparir nuove tazze e vino e fiori,
Per lietamente incoronarsi c bere.
Quinci un rumoreggiare, un riso, un giubilo
Che d’allegrezza empian le sale e gli atrii,
E i torchi e le lumiere che pendevano
Dai palchi d’oro, poiché notte fecesi,
Vinceano il giorno e ’l sol, non clic le tenebr
Qui fattosi Didonc un vaso porgere
D’ oro grave e di gemme, ov’ era solito
Ne* conviti c ne* dì solcnnrc celebri
Ber Belo, e glTaltri che da Belo uscirono;
Di fiori ornollo,edi vin vecchio empiendolo,
[717-730]
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!
[4 184-1207] libro i.. 51
Orò così dicendo: Eterno Giove,
Che, Albergàlor nomato, hai degli alberghi
E de le cortesie tura e diletto,
Priegoti eh’ a’ Fenici ed a’ Troiani
Fausto sia questo giorno, e memorando
Sempre a’ posteri loro. E te, Lièo,
Largitor di letizia, e te, -celeste
E buona Giuno, a questa prece infoco. .
Voi co* vostri favori, e Tiri e Peni,
Prestate a’ pr Leghi mici devoto- assenso. -
Ciò detto, rivcrsollo, e lievemente
Del sacrato liquor la mensa asperse, .
Poscia ella in prima con. le firime labbia
Tapto sol ne sorbi quanto n’attinse.
Indi con dolce oltraggio e con rampogne
A Bizia il diè, che valorosamente
A piena bocca inlino q 1’ aureo fondo
Vi si tuffò col volto, e vi s’ immerse.
Ciò seguir gli altri. eroi.. Comparve intanto
Co’ capei lunghi c con Iacetra d’oro
Il biondo lopa; e, qual Febo novello,
Cantò del ciel le meraviglie e i moli
Che dal gran vecchio Atlante Alcide apprese.
Cantò le vie che drittamente forte
[730-742]
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52 l’ eneide. [1208-1227]
Remlon vaga la luna e buio il sole;
Come prima si fer gli uomini e i bruti;
Coni' or si fan le piogge e i venti e i folgori:
Cantò PÌiide e l’Orse e’I Carro e’I Corno,
E perchè tanto a l’ Oceano il verno
Vadnn veloci i dì, tarde le notti. •
Un novo plauso incominciaro i Tiri:
Seguirò i Teucri; e P infelice Dido
Che giù fea doice con Enea dimora,
Quanto bevesse amor non s’ accorgendo,
A lungo ragionar seco si pose
Or di Priamo, or-d’Eltorre, or con qual’armi
Venisse a Troia de P Aurora il figJio,
Or qual fosse Diomede, or quanto Achille.
Anzi, se non P è grave, alfin gli disse,
Incomincia a cantar fin da principio
E P insidie de’ Greci, e la ruina
j f ^ • 0
E P incendio «li Troia, e’I corso intero
Degli error vostri: già che M settim’ anno
E per terra e per mar raminghi andate.
[742-756]
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53
DELL’ ENEIDE
Libro Secondo
Stavan taciti, attenti e (lisiosi
D’udir già tutti, quando il pàdre Enea
In sè raccolto, a cosldir da lralta •
Sua sponda incominciò : Dogliosa istoria
E d’ amara e d* orribil rimembranza,
* 4 r '
Regina eccelsa, a raecoutar m’inviti :
Come la già possente e gloriosa'
Mia patria, or di- pietà' degna e di pianto,
Fosse per man de’ Grccùarsa e distrutta,
E qual ne vid’ io far mina e scempio:
Ch’ io stesso il vidi, ed io gran parté fui
Del suo coso infelice. E chi sarebbe,
Ancor che Greco e Mirmidone e Dòlopo,
Che a ragionar di ciò non lagrimasse?
E già la notte inchina, e già le stelle
Sonno, dal ciel caggendo, agli occhi infondono
Ma se tacito d’ udire i nostri guai.
Se brevemente di saver t’ aggrada
[1-41]
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l’ ENEIDE.
Ó 4
[19-42]
1/ ultimo eccidio, orni’ ella arse c cadco,
Benché lulto.e dolor mi rinovelle,
E sol de la memoria mi sgomente;
lo lo pur conterò. Sbattuti e stanchi
Di guerreggiar toni* anni e risospinti
Ancor da’ fati, i greci condottieri
A l’ insidie si diero; e da Minerva
Divinamente instrutti un gran cavallo
Di ben contesti e ben confitti 'abeti
In sembianza d’ un monte edificalo.
Poscia liuto die ciò fosse per volo
Del lor ritorno, di tornar sembiante
Fecero tal, che se ne sparse il grido.
Dentro al suo cieco ventre c ne le grotte.
Che molte erano e-grandi in sì gran mole,
Rinchiuse!* di uascosto arme e guerrieri
A ciò per sorte e per valore eletti.
Giace di Troia un’ isola in cospetto
(Tènedo è detta) assai famosa e ricca,
Mentre ch’ilio fioriva. Ora un ridotto
È sol di naviganti c di navili, ; -
Infido seno* c mal secura spiaggia.
Qui, poichè'di Sigèo sciolse e spurio,
Fa greca armata si ratlenne, c dietro
[11-24]
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LIBRO II.
[43-66] libro il. .55
^ «
Appialtossi al suo lito ermo e deserto.
E noi credemmo clic veracemente
Posse partita, e che a spiegate vele
Gisse a Micene. Onde la Teucria tutta, .
Già cotoni’ anni lagrimosa e mesta,
Volta ne fu subitamente in gioia.
S’aprir le porte, uscir d’ilio, e d’intorno
Le genti tutte, disiose e liete
Di veder vóti icampi e sgombri i liti,
Cli’ eran coverti pria di navi e d’ armi.
Qui s’ accampava Achille; e qui de’ Dòlopi
Eran le tende; ivi solean le zuffe
Farsi ile’ cavalieri, e là de’ fanti,
Dicean parte vagando, e parte accolti -
Facean mirando al gran destriero intorno
Meraviglie e discorsi: e chi per sacro,
E chi per essecrando il volo e ’l dono»
Avean di Palla. Il primo fu Tiincte
A dir eh’ entro le mura, e nc la ròcca
Quindi si conducesse, o froda, o fato- ^
Che ciò fosse de’ miseri Troiani.
Ma Capi e.gli altri, il cui più sano avviso
0 per insidiose, o per sospette,
Quantunque sacre, avea le greche offerte,
[21*35]
I
•r»6 - L* ESEIDE. [67. 90]
Voleano, o che del mar fosse nel fondo
Precipitato, o che di fiamme ardenti
Si circondasse, o che forato e lacero
Gli fosse il petto e sviscerato il fianco.
Slava tra questi due contrari in forse
In due parti diviso il volgo incerto;
Oliando con gran caterva e con gran furia
Da la ròcca discese, e di lontano
Gridò Laocoonte: 0 ciechi, o folli,
0 sfortunati! agli nemici, a’ Grèci
Date credenza? a lor credete voi,-
Che 'sian partiti? e sarà mai che doni
Siano i lor doni, e non piò tosto inganni ?
('osi v’ è noto (JJissc? 0 in questo legno
Sono i Greci rinchiusi, ò questa è machina
Contra a le nostre mura, o spia per entro
Ai nostri alberghi, o scolo o torre o ponte
Per di sopra assalirne. E che che sia,
Certo o vi cova o vi si ordisce inganno,
Gilè de’ Pelasgi e de* nemici è *1 dono.
Ciò detto, con gran forza una grand’asta
Avventògli, e col pillo, ove tremante
Stette ultamente infra due coste infissa:
E *1 destrier come fosse e vivo g fiero,
[36-52]
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• ~G-_
[91-4 U] libro li. -57
Fieramente da spron punto cotale,
Si storcè, si crollò, tonògli il ventre,
E rintontì* le sue cave caverne.
E se ’l fato non era a Troia avverso.
Se le menti eran sane, avea quel colpo,.
Già commossi infiniti a lacerarlo,
E del tutto a scovrir I’ agguato argolico:
Ond’oggi e tu, grand’ Ilio, e tu, diletta •
Troia, staresti. Ma si vide intanto
De’ paslor paesani una masnada
Venir gridando al re, eli’ ivi era giunto,
E tra rgli avanti un giovine prigione
Ch’ avea dietro le mani al tergo avvinte.
Questi era greco ; c da’ suoi Greci avea
Di salvare il destrier, d’aprir lor Troia
Assunto impresa; e per condurla, a tempo
Ascosto, a tempo a quei -pastori offerto
S’era pei* sè inedesmo, in sè disposto
E fermo di due cose una a finire,
0 quest’ opra, o la -vita. A ciò' -concorso,
Per disio di vedere, il popol lutto
Dal cavai si distolse, e diessi a gara
A schernire il prigione. Or ascoltate
Le malizie de’ Greci; c da quest’ uno
'[52-65]
58 l’ ENEIDE. [115-438]
Conosceteli tutti. Egli liel mezzo
Cosi com’era a le nemiche schiere,
Turbato, inerme c di catene avvinto,
Fermossi : e poi che'riinirolle intorno,
Con voce di pietà proruppe, e olisse :
Or quale o tèrra, o mare, o ^co altrove
Sarà, misero me ! che mi raccolga,
0 che in’ alìidi ornai ; poiché tra’ Greci
Non ho dov’ió ricovrì, e ila’ Troiani
Non deggioaltroaspeltarchestrazioe morte?
Ne commosse a pietà, n’ acquetò I’ ira
Si doglioso rammarco ; c con dolcezza,
E con promesse il confortammo a dire
Chi, di clic loco e di che sangue fosse,
E che portasse, c qual fidanza avesse
A darnesi prigione. Egli in tal guisa
Assecuralo, al re si volse e disse:
Signor, segua che vuole, in tuo corpetto
lo dirò tutto, e dirò vero. E prima
IV esser greco io non niegojchè fortuna
Può ben far che Sinon sia gramo e misero,
Ma non già mai che sia bugiardo e vano.
- Non so se, ragionandosi, agli orecchi
Ti venne mai di Palamede il nome, iS (J i
[66-82]
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LIBRO II.
59
[139-162]
Cile nomato e pregiato e glorioso,
E da Belo Ultamente era disceso.
Se ben con falso e scelerato indizio
Di tradigion, per detestar la guerra,
Ei fu da’ Greci indegnamente ucciso;
Com’or, che ne son privi, i Gretti stessi
Lo piangon tutti! A questo Palamede,
A- cui per parentela era congiunto*' •
Il pover padre mio ne’ miei prim’anni
Pria per valletto nel mistier de Farmi,
Poi per compagno a questa guerra diemmi.
Infili eli' ei visse,- e fu’l suo stato in fiore,*
Fiorirò anco i miei giorni; e Popre.eM nome
E ’l grado mio ne fur tal volta in pregio.
Estinto lui (che per invidia avvenne,
Com’ ognun sa, del traditore Ulisse)
Amaramente il piansi. E’I caso indegno
D’ un tanto amico, e la mia vita oscura
Tra me sdegnando,, come soro e folle
di’ io fui, noi tacqui. Anzi se mai la sorte
Mei consentisse, o se mai fossi in Argo
Vincitor ritornato, alta vendetta
Ne gli promisi, e con minacce e molti
Acerbi acerbamente il provocai.
[82-96] .
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(iO l’ e.xeidl. [163-186]
Questo fu del mio mal prima radice;
li! quinci de’ suoi falli e del mio duolo
Consapevole Ulisse, a spaventarmi,
A travagliarmi, a seminar susurri
Si diè nel volgo, e procurarmi iuciumpi,
Oml’ io cadessi. E non cessò, .eh’ ordinimi
Per mezzo ifi Calcante.... Ma dov’ entro,
Casso! senza profitto a fastidirvi
Con noiose novelle? a voi sol basta
Di saver eli’ io Son greco, già clic i Greci
Tutti egualmente per nimici avete.
»
Or datemi, signor, supplizio e morte
Qual a voi piace, che piacere e gioia _
IN’ a ranno i regi ancor d’ Itaca e d’ Argo.
E qui si tacque. Allor brama ne venne,
Non che disio, di più supere avanti ;
Non ben sapendo ancor, miseri noi!
Quanta sceleratezza e quanta astuzia
Fosse ne’ Greci. Egli, a seguir costretto,
Mostrossi in prima paventoso, e poscia
Di nuovo assicurossi, e finse, e disse:
Hanno molte Hate, i Greci afflitti
Già da la guerra, e dal disagio' astretti,
Disialo o tentato anco più volte
[97-109J
:
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Il
[187-210] LIBRO II. ‘ 61
Di qui ritrtfrsi, e lasciar Troia in pace.
Cosi fallo 1’ avessero ! Ma sempre
Or il verno, or i venti, or le procelle
Gli lian distornali. E pur dianzi che l opra
Del cavai che vedete era fornita;
Di nuovo. in sul partire, e’ri sul far vela,
Di tempeste, di-turbini e di nembi .
Risonò ’l cielo, c conturbos^i il nianr.
Oìrde sospesi Euripilo mandammo
A spiar sopra a ciò quel che da Febo
Ne s’ avvertisse. Riportòrine un empio,
E spaventoso oracolo; e fu questo:- ■
Col sangue, e con la morte d' una vergine
Placaste i venti per condurvi in (fi o: .
Col sangue , e eon la morte ora d ' «t giovine-
■ Convien placarli per ridurvi in Grecia. .
A cosi fiera voce sbigottissi,
Impallidissi, e tremò ’l volgo tutto,
Ciascun per sè temendo, e nessun certo
Oual di loro accennasse Apollo c M fato.
• quì fece Ulisse in mezzo al greco stuolo
Con gran tumulto appresentar Calcante ;
E del volere in ciò de’ santi Numi
hitevrogollo. Ed ei rispose in guisa,
C*ro° — 5.
t
-
è
Aj’J -L.’ L3E1DE. [211-234]
Clic la sua fellonia, benché da futlr
Fusse prevista, fu però da mo^li '
Simulata e taciuta, e da molti anco . .*
A me predetta: pur ei tacque ancora •
Per dieci giorni;- e. scaltramente al niego
Si mise di voler clic per suo detto
Fosse alcun destinato, o spinto a morte.
Ma poi, come da gridi aslreltó e vinto,
Di conserto con lui ruppe il silenzio
Si, eli’ io fui dichiarato alfin per vittima;
Eonscnlìr tutti, perchè tutti ancora
Finian eoo la mia morte il lor periglio.
* ,■ t /
Era già da vicino il giorno orribile,
In che doveano al sacrifìcio offrirmi:
E già ’l ferro e già’l sale c già le bende
Erano a le. mie tempie intorno avvolte,
Quando, rotto (io noi niego) ogni ritegno
Da la morte mi tolsi; e fin eh’ a’ venti
9 4
Desser Iti vele (di’ eran presti a darle)
Di buia notte in un pantan m’ ascosi,
Uve nel fango infra le scarde e i giunchi
Stava qual mi vedete. 0.ra son q.ui
Pfivo d’ognr conforto e d’ ogni speme
Di mai più riveder la patria antica,
[124-437] m
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[235-258] unno il. 03
1 dolci figli e’1 desiato-padre,
Che saran, lasso me! per la mia fuga,
Benché innòcenti, ancor. forse in mia vece
Incarcerati, e tormentati o morti.
Ór io, signor, per quelli eterni Dei
Che scorgon di là, su sé ’1 vero io parlo,
Per quella pura e ’ntemerata fede -
(Se tra’ mortali in alcun loco è tale) #
Ond’ io .già -tutto a rivelar ti vengo,
Pri sgoli che pietà di me ti prenda,
E de’ miei tanti ^ sì gravosi affanni .
Ch’ indegnamente io s'offrb. A contai- pianto
Commossi, e da noi fatti anco pietosi
Vita e vènia gli diamo, E di. sua bocca .
Comanda il re che si disferri e sciolga;
Poi dolcemente in tal guisa giu parla:
Qual che tu sia, de’ tuoi1 perduti Greci
Ti dimentica omài; che per innanzi
Sarai He’ nostri. Or mi. rispondi il vero
Di quel eli* io ti domando. A che fine hanno
Qui si grande edificio i Greci eretto1?
Per consiglio di cui? Con qual avviso ^
l/lian rubricato? È voto? è magia? è macinini.
Che trama è questa ? Avea ’l re detto a pi-mi,
[138-152]
I
f
64 l’ e.neide. [259-2S2]
Quand’ei, il’ inganni e d’arte greca insculto,
he già «lisciolte mani al cielo alzando,
Disse: Voi focili eterni e ’n violabili.
Voi fasce, orni’ io portai le tempie avvinte,
Voi sacri altari, e voi cultri nefandi,
Cui fuggcndo'nnco adoro, a quel ch’io dico
Per testimoni 'invoco. A me lece ora
CI»’ io mi disciolga, e ini disucri in tutto
Da I’ obligo de’ Greci. E mi dece anco
Che non gli ami, e clic gli odii, e che di volghi
Quel che da lor si cela; già ch’astretto
Più non son de la patria a legge alcuna.
Tu, se vero io ti dico, e se gran merlo
Di ciò ti rendo, e le, Troia conservo,
Conserva a me la già promessa fede.
Nel cominciar di questa guerra i Greci
Hiposero ogni speme, ogni fidanza
Ne P aiuto di Palla ; c ben riposte /
Pur sempre, mlìn-che I’ empio Diomede,
E l’ inventor d’ogni mal’ opra Ulisse,
Il sacro tempio suo non vinlaro:
Come fer quando, ne la ròcca ascesi,
V uccisero i custodi, e n’involaro
Il Palladio fatale, osando impuri
[152-167]
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LIBRO II.
65
[283-306]
Por le man sanguinose al sacrosanto
Suo simulacro, e macular l’ intatte -
E’ntemerate sue verginee bende.
Da indi in qua d’ardir sempre e di forZ’c
Scemar, non che di speme; e Palla inresta
Ne fu lor sempre; e ne diè chiari segui
K portentosi, allor eli* al eampo addotta
Fu la sua statua, che posata a pena *
Torvamente mi fògli ; e lampi e fiamme
Vibrò per gli ucchi, e per le membra tutti:
Versò salso sudore. Indi tre volte,
.Meraviglia a contarlo! alto da terra
Surse, e ’mbracciò lo scudo, c brandi l’asta.
Allor- gridando indovinò Calcante
Che fuggir si dovesse, e tosto a’ venti
Spiegar le vele: chè di Troia invano
Era l’assedio, se con altri augùri
D’Argo non si tornava un’ altra volta,
E de la Dea non si placava il nume^
Ch’or, per ciò fare, han seco in Grecia addotto.-
Onde giunti a Micene, incontinente
Si daranno a dispor l’armi c le genti,
E gli Dei, che gli aiti, e gli accompagni.
Poi ripassando il mar, con maggior forza
[167-Ì81]
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fin l’ ENEIDE. [307-330]*
Di nuovo nssalir'unvT, e <1* improviso.
Così Calcante interpreta, e predice.
Or questa niole che tant’nlto sorge,
Qui per consigliq di 'Calcante Ò. posta -• i
Invece del Palladio, e per ammenda
Del nume olTeso, a bello studio intesta
Di legni casi gravi c così grandi,
Ed a sì smisurata altezza eretta,
A fin che per le porte entro a le mura
Quinci addili* non si^ possa, ove per segno
E jier memoria poi del nume antico»
Riverita da voi, ^aerata e cólta,
Sia ricovro e Ditela al popol vostro. .
Chè allorché questo clono a Palla offerto
Per vostra man sia- violalo e guasto,
Ruina estrema (la qual sopra lui
Gaggia più tosto) a voi vuol che né venga,
Ed al gran vostro impero; ed, a rincontro,
Quando da voi sia dentro al vostro cerchio
r 9
-Condotto e custodito; allor, che l’Asia
Congiurerà con le sue forze tuttq
A I* esterminio d’Argo; c che tal fato
"Sopra a’ nostri nepoti in cielo è fisso.
Con tal arte Sinon, con tali insidie
• [182-196]
. * - . • ’ Digitized by Google
[331 '351] libro ». r»7
Fe sì che gli credemmo ; c quelU stessi
Cui non potèr nè’l lìgliodi Tideo,
Nè di Larissa il bellicoso alunno,
Nè diece anni* domar, nè mille navi,. .
Furon- da' lagri mette o da menzogne
Sforzati e vinti. In questa a gl’infelici
Un altro sopravenne assai maggiore
E più fero accidente; onde u ciascuno
D’ improviso spavento il cor turbossi.
Era Laocoonte a sorte eletto
Sacerdote a Nettuno; e quel di stesso
Gli facea d’un gran 'toro ostia solenne;
Quand’ ecco che^a Tenedo (m’ agghiado .
A raccontarlo)' due serpenti immani •
Venir si ▼eggon'parìmente ài lito,
Ondeggiando coi dorsi onde maggiori
De le marine allor tranquille e quete.
Dal mezzo in su fendean poi petti il mare,
E s’er-gean con le teste orribilmente,
Cinte di creste sanguinose ed irte,
fbresto con gran giri e con grand’ aì’chi
Traean divincolando, e- con le code
E’ acque sferzando sì che lungo tratto
Si facean suono c spuma e nebbia intorno.-
[196-209]
<JS l’e-eide. [355-378]
cimili u la riva, con fieri ocelli accesi
Di vivo foco e d’atro sangue aspersi.
Vibrar le lingue, c gitlàr fischi orribili.
Noi di paura sbigottiti c smorti,
Ehi qua, chi là ci dispergemmo; e gli angui
S’ a (il là r drittamente a Laocoonlc,
K pria di due suoi pargoletti figli
le tenerci le membra ambo avvinchiando,
Ne si fer crudo e rniserabil pasto.
Poscia a lui, eh’ a’ fanciulli era con I’ arme
tiiunto in aiuto, s’ avventuro, e stretto
1/ avvinse!* sì, che le scagliose lei’ga
don due spire nel petto e due nel collo
Oli racchiusero il fiato; e le bocche alle,
Knlro al suo capo fieramentoinfissc,
fili addentarono il teschio. Egli, com* ej*a
f)’ atro sangue, di bava c di veleno
he bende e ’l volto asperso, i tristi nodi
Disgroppar con le man tentava indarno,
E d’orribili strida il ciel feriva:
Qual mugghia il toro allorché dogli altari
Sorge ferito, se del maglio appieno
Non cade il colpo, ed ei lo sbatte e fogge.
1 fieri draghi alfin dai corpi essangui
[209-225]
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LIBRO U.
[379-402]
09
Disviluppati, in vèv la ròcca insieme
Strisciando e zuflblando, al sommo ascesero:
E nel tempio di Palla, entro al suo scudo
Rinvolti, a’ piè di lei si raggnippavo.
Rinovossi di ciò nel volgo orrore
E tremore e spavento ; e mormorossi
Che degnamente avea Laocoonte
Di sua temerità pagato il fio,
E del furor che contra al sacro legno
Oli armò P impura c scelerala mano:
E gridàr, tutti che di Palla al tempio
Si conducesse, e con preghiere e voti
De la Dea si facesse il nume amico.
A ciò seguire immanlinente-accinti,
Rumiamo la porta, apriam le mura,
Adattiamo al cavuilo ordigni e travi, «
E ruote e cuTri a* piedi, c funi al collo.
Cosi mossa e tirata agevolmente
La machina fatale il muro ascende,
D’ armi. pregna e d’ armati, a cui d’intorno
Di vcrgiuellc e di fanciulli un coro,
Sacre lode cantando, con diletto
Porgenti mano n-la fune. Ella per mezzo
Tratta de la città, mentre si scuote,
[225-240]
70
L’ ENEIDE.
[403-426*3
Mentre che ne 1’ andar cigola e freme,
Sembra che la minacci. 0 Patria, o Ilio,
Santo de’ numi albergo! inclita in arme
Dardaniu tenga! Noi la pur vedemmo
Con tanti ocelli a Centrar, che quattro volte
l'ermossi, e quattro volle anco n’ udimmo
Il suon de Y anni ; e pur, da fórra spinti,
Cicchi e sordi che fummo, i nostri danni
Ci procurammo, cliè’l di stesso addotto . -
Vj posto in cima a la sacrata ròcca
Fu quel mostro infelice. Allor .Cassandra
0
La bocca aperse, e quale esser solca
Verace sempre e non creduta mai,
1/ estremo line indarno ci predisse :
E noi di sacra e di festiva fronde • .
Velammo i tempii il dì, miseri noi!
Clic de’ lieti di nostri ultimo fue.
Scende da l’Oceàn la notte intanto,
E col suo fosco velo involve e cuoprc
La terra e ’1 ciejo e de’ Pelasgi insieme
L’ ordite insidie. I Teucri ai lóro alberghi,
Ai lor riposi addormentati e queli
Giacean scemamente; e già da Tènedo
A P usata riviera in ordinanza
Djgitized fcjy G^ogle
[240-25G]
* . • r
UDITO II.
71
[427-450] udito il. 71
Vèr noi se ne venia 1’ argiva armala,
Col favor de la notte occulta c cheta;
Quando da la sua poppa il regio legno
Ne diè cenno col -foco. Aliar Sinone,
Clic per nostra ruina era da noi
G dal fato malignò a ciò serbato,
AccostosSi al cavallo, e ’l chiuso ventre
Chetamente- gli aperse; e .fuor ne trasse
b’ occulto agguato. Uscirò a l’aura in prima
1 primi capi baldanzosi c lieti,
Tutti per una fune a terra scesi f ■
E fur Tisnndro c Stènelo ed Ulissej
Atnmante e Toante e Macaone •
E Pirro e Menelao con lo: scaltrito
Fabricalor di questo inganno, Epco.
Assalir la citta, che già ne l’ozio
E nel sonno c nel vino era sepolta; '
Ancisero le guardie; aprir le porle;
Miser le schiere congiurate insieme; •
E dier forma a l’assalto. Era ne l’ora
Che nel primo riposo hanno i mortali
%
Quel eh’ è dal cielo-ai loro affanni infuso
Oportuno e dolcissimo ristoro ;
Quand’ ecco in so^no (quasi avanti gli occhi
[256-270]
* .
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l’ ENEIDE.
72
l’ ENEIDE. [io 1-47 il
Mi fosse veramenle) Ettor in’ apparve
Dolente, lugrimoso, e quale il vidi
<!ià strascinato, sanguinoso e lordo
Il corpo tutto, c i piè forato e gonfio.
Lasso me! quale e quanto era mutato
Da quell’ Ettòr che ritornò vestito
De le spoglie d’ Achille, e rilucente
Del foco, oiul’ arse il gran navile argolico!
Squallida aven la barba, orrido il crine
E rappreso di' sangue; il petto lacero
Di quante unqua ferite al patrio muro
Ebbe d’ intorno. E mi parca che ’l primo
l'oss’ io che lagrimando gli dicessi:
0 splendor di Dardania, ode’ Troiani
Securissrma speme, c quale indugio
T’ bu fin qui trattenuto? OiftTor ne vieni
Tanto da noi bramato? Ahi dopo quanta
Strage de’ tuoi, dopo quanti travagli
De la nostra città, già stanchi e domi
Ti riveggiamo! E qual fero accideute
l’a sì deforme il tuo volto sereno?
«
E che piaghe son queste? Egli a ciò nulla
Rispose, come a vani mici quesiti :
Ma dal profondo petto alti sospiri
[270-288]
-
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unno w.
[475-498] unno ir. 73
Traendo, Oli! fuggi, Enea, fuggi, mi disse;
Togliti a queste fiamme. Ecco che dentro
Sono i nostri nemici. Ecco già eli’ Ilio
Arde tutto e ruina. lutino ad ora
E per Priamo c per Troia assai s’c fatto.
Se difendere ornai più si potesse*
l'óra per questa man difesa ancora :
.Ma dovendo cader, le sue reliquie
Sacre e gli santi suoi numi Penati
A te solo accommanda; e tu li prendi
Per compagni a’ tuoi fati; e, come è d’uopo,
Cerca loro altre terre, ergi altre mura;
Chò dopo lungo e travaglioso essiglio
I.’ ergerai piti di Troia altere e grandi.
Detto ciò, da le chiuse arche reposte
Trasse, e mi consegnò le sacre bende,
E Y effìgie di Vesta e ’1 foco eterno.
Spargonsi intanto per diverse parti
De la presa città le grida e’1 pianto
E ’l tumulto de Y armi ; e rinforzando
Via più di mono in maa, tanto s’ avanza.
Che a P antica magion del padre Anelli se
(fonie clic fosse assai remota, è chiusa
I)’ alberi intorno) il gran rumore aggiunge.
[2S'8-301]
Allor dal sonno ini riscuoto, c salgo
Subitamente d’un torrazzo in cima,
E porgo per udir gli orecchi attenti.
Così rozzo pastor, se da gran suono
E da lungc percosso, in alto ascende,
E mirando si sla confuso e stupido
0 foco, che. al soffiar d’ un turbid’ austro
Stridendo arda le binde e le campagne,
Che dal monte precipiti, c le selve
Ne meni c i cólti e le ricotte e i campi.
Allor tardi credemmo; allor le insidie
Ne fui* conte de’ Greci. E già ’l palagio
Era di Deifóbo arso e distrutto;
Già ’l suo vicino Ucalegon ardca,
E l’ incendio di Troia in ogni lato
Rilueea di Sigeo ne la marina;
_ E s’udian gridar genti e sonar tube,
lo m’ armo, e forsennato anco ne 1’ armi
Non veggio ove in’ ndopri. Alfin risolvo,
Ratinali i compagni, avventurarmi,
Menar le mani, e ne la ròcca addurmi
Mi fan l’ impeto e l’ ira ad ogni rischio
Precipitoso; e solo a mente vietimi
0 tempestoso e rapido torrente
[302-317]
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[.523-54^6] libro li. 75
Che un bel morir latta la vita onora.
Eravam mossi; quando ecco tra via
Nu si -fa Patito d’ improviso avanti,
Punto figlio (V Otrco che dé la ròcca
Era custode, e sacerdote a Febo.
Questi, scampato da’ nimici a pena,
Inverso il lito attonito fuggendo,
1 sacri arredi e i santi simulacri
Degli Dei vinti, e ’l suo picciol nipote
Si traea seco. 0 Ponto, o Patito, (io dissi),
A che siam giunti? Ove ricorso abbiamo,
Se la ròcca è già presa? Ei sospirando
E piangendo rispose: È giunto, Enea,
L’ ùltimo giorno, e ’J tempo inevitabile
De la nostra ruina. Ilio fu già;
E noi Troiani fummo: or è di Troia
Ogni gloria caduta. 11 fero Giove
Tutto in Argo ha rivolto; e tutti in prèda
Siam de’ Greci c del foco. H gran cavallo,
Ch’era a Palla devoto, altero in mezzo
Stassi de la cittade, e d’ ogoi luto-
Artne versa ed armali. Il buon Sinone
Gode de la sua frode, e d’ ogn’ intorno
Scorrendo si rimescola, e s’aggira
[317-330]
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■*»
■ — -
7 (ì l' f.neide. [6 47-570]
Grun maestro il' incendi e di mine.
A porte spalancate entrali le schiere
Senza ritegno ed a migliaia, quante
Nè d’Argo uscirmi mai nè di Micene,
(dialitiche prima cutruro han già le strade
Assediate: e slan eon l’prmi infeste
Parale a far di noi strage e macello.
Soli son fino a. qui sorti in difesa
I corpi de le guardie: e questi al buio
Panno con lievi c repentini assalti
Tale una cieca resistenza a pena.
Dal parlar di costui, dal nume avverso
Spinto, ini cuccio tra le fiamme e Panni,
Ove mi chiama il mio cieco furore,
E de le genti il fremito c le strida
Che feriscono il cielo. E per compagni
Primieramente al lume de la luna
Mi si scuopron Kifeo, ìlito il vecchio,
Ed Ipane e Dimunte: indi comparve
II giovine Corebo. Era costui
Figlio a MigdoAe, insanamente acceso
De Pamor di Cassandra; e come fosse
Già suo consorte, pochi giorni avanti
In soccorso del suocero c de’ Frigi
[330-34*]
•
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\à7 1-594] * LiBfto il. 77
S* era a Troia, condono. Infortunalo !
Che non avea la sua Sposa indovina
Ben anco intesa. A questi insieme accolli.
Per accendergli più mi volgo, c dico:
Giovini forti e valorosi, invano
Ornai Ha la fortezza e ’l valor vostro:
7 i
Poiché pcrduti'siamo e che Troia ardo,
E gli Dei tutti, a cui tutela e cura
Si reggea questo impero, in abbandono
Lasciano i nostri tempii e i nostri altari.
!Ua se voi cosi fermi e cosi certi
Siete pur, com’ io veggio, a seguitarmi*;
Ancor eh’ a morte io vada, in mezzo a l’armi
Avvenlianci, e moriamo. , Un sol rimedio
• • •
A chi speme non ave è disperarsi.
«
Così 1’ ardir di quelli animi nccesi
Furor divenne. Uscium di lupi in guisa
Che rapaci, famelici e rabbiosi,
«
Col ventre vóto e con le canne asciutte
Sentan de’ lupicini urlar per fame
Pieno un digiun covile. Andiam per mezzo
De’ nemici e de 1’ armi a morte esposti
Senza riservo, e via dritti fendiamo
La città tutta, a la buia ombra occulti,
Caro.— G. [344-560]
• T8 . l’ e.xeide. [595-618]
Che P altezza fòcea degli edifici..
Or chi può. dir la strage e la rujna
Di quella notte? E qual ò pianto eguale
A tante uccisioni, a tanto. eccidio ? \
Troia mina, la supevbd, antica
K gloriosa Troia, che laftl’ anni
^ • • |
Portò scettri e corona. Era, 'dovunque',
S’ andava, di cadaveri,. di- sangue,
• |
!)’ ogni calamità pieno ogni loco,
l.e.vie, le case, { tempii. E non pur soli
* Caddero i Teucri, clrè 1’ antico ardire
Destossi, e surse alcuna .volta ancora
Negliìor petti, f vincitori e i vinti
Giacenti confusamente, ed’ ogni lato
S’ udìan pianti e lamenti ; è questi e quelli
Eran dajft paura e da la morte
In mille guise aggiunti. Àndrògeo. il primo
De’ Greci, fu, eli* ayanti ne s’ offerse
Condqllier, di gran gente. Egli avvisando
Parte sollecitar de la sua schiera,
Affrettatevi, disse: a ciré badate?.
* . • 9 4
Che’ndugio-è'M vostro? Altri espugnata ed arsa
E depredata han di già Troia ^ e voi
Teslè^ venite ? Aveò ciò detto a pena,
[360-376]
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LIBRO II.
79
[619-642]
Clic ’l segno c Ja» risposta indarno at(esa,
Tra nemici si vide: e come attonito
• * •
Restando, con la voce il piò ritrasse. ■
Come repente il viajor s’ arretra,
Se d’ ini pro\.iso fra le spine un angue
Avvien che prema, ed ei premalo e ponto
D' ira gonfio e di tosco glis’ avventi ;
Così dal nostro subitano incontrò
Sovraggiunto in un tempo e spaventato
Andrògco per fuggir ratto si volse. .
Ma noi che impauriti e sconsertati
A ìa sprovista gli. assalimmo in lochi
A lor don consueti ; in breve spàzio
Li circondammo, e gli ancidem'mo alfine:
Tanto nel primo assalto amica e presta
Ne fu la sorte. E qui fatto Corebo
D’ un tal successo e di èoraggio altero,
Compagni, disse, poi che In fortuna
Con questo sì felice agli altri incontri „
Ne porge aita a nostro scampo, usianln.
Muliam gli scudi, accommodianci gli elmi
E P insegne de’ Greci. 0 biasmo, o lode
Clic ciò ne sia, chi co’ nemici il cerca?
L’ arme ne daranno essi. E, così detto,
[176-391]
KWT*-
SO l’emeide. [613-666]
La celata e M cimici* d’ Andrògeo stesso.
E la sua scimitarra c la sua targa
Per lui si prese, armi onorate e conte.
Cosi fece Rifeo, così Dimante,
E cosi tutti; che per sè ciascuno '
Di nuove spoglie allegramente armossi.
Ci mettemmo tra lor, che i nostri Dii
Non eran iiosco; e ne l’oscura notte
Con ogni occasione in ogni foco
Ci azzuffammo con essi ; e di lor molti
Mandammo a l’Orco, e ritirar molt’ altri
Ne facemmo alle navi: e fur di quelli
Che per viltà nel cavernoso e cieco
Ventre si racquattàr «lei gran cavallo. .
Ma che? Contro ’l voler ile’ regi eterni*
Indarno osa la gente. Ecco dal tempio
Trai* veggiam di Minerva, con le chiome
Sparse, e con gli occhi indarnoal ciel rivolli,
La vergine Cassandra. Io dico gli occhi,
Perchè le regie sue tenere mani
Eran da’ lacci indegnamente avvinte.-
A sì fero spettacolo Corebo
Infuriato, e di morir disposto,
Anzi clic di soffrirlo, a quella schiera
[391-408]
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[667-610] libro il.
Scagliossi in mezzo ; e noi ristretli insieme
Tulli il seguimmo. Or qui féssi di noi
Una strage crudele e miserabile;
E da’ nostri medesrai, che la cima
Tcnean del tempio, e dardi e sassi c travi
Ne versarono addosso, invaginando
Da 1* armi, da’ cimieri e da l’ insegne
Di ferir Greci; e i Greci d’ ogn’ intorno,
Traiti dal gran rumore e da lo sdegno
De la ritolta vergine, s’ unirò
Ai nostri danni. Il bellicoso Aiace,
I fieri. Atridi, i Dòlopi e gli Argivi,
Tulli ne furon sopra in quella guisa .
Ch’opposti un conira V altro Affrico c Bora
E Garbino e Volturno accolte in mezzo
Han le selve stridenti o ’l mare ondoso,
Quando col suo tridente infin dal fondo
II gran Nèreo il conturba. E tornàr anco .
Incontro a noi quei che da noi pur dianzi
Sen gir rotti e dispersi ; e questi in prima
Scoprir le nostre insidie, e fer palesi
l.e cangiate armi e gli molliti scudi,
E m parlar che dal greco era diverso.
Cosi ne fu subitamente addosso
[408-424]
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*2 L’ ENEIDE. [COi-714]
Un diluvio di gente. E qui per mano
l)i -Peneleo, davanti al sacro altare
0
De l’armigera Dea cadde Covebo-:
Codile Rifeo, ch’era ne’ Teucri un lume
Di bontà, di giustizia e d’ equitate
(Così a Dio piacque); cd ìpane e Dimante
('adderò anch’ essi, e questi, oimè! trafitti
Per la man par de’ nostri. E tu, pietoso
Ponto, cadesti; e la tua gran pielatc,
K V infoio santissima d’ Apollo
In ciò nulla ti valse: 0 fiamma-est retile,
0 ceneri de’ miei ! fatemi fede
Voi, sìbc nel vostro occaso io rischio alcuno
Non rifiutai nò d’ arme, nè iti foco,
Nè di qual fosse incontro, nò di quanti
Ne facessero i Greci : e se ’l fato era .
Ch’ io. dovessi cader, caduto fora:- •
Tal ne feci opra. Ne sprecammo alfine
Da quel mortale assalto, [filo e Pplia -
Ne venner meco: Ifito afflitto e grave
Già d’ anni; e Pelia indébolito e tardo
D’un colpo che di mariti ebbe d’ Ulisse.
Quinci divelti, al gran palagio andammo
Da le grida chiamati, Ivi era un-fremito,
[424-438]
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[715-738] .. libro n. *,3
Un tumulto, iin combatter così fiero.
Come guerra non fosse in altro lofcd,"
G quivi sol si combattesse, e quivi
Ognun inoVisse, & nessun altro-allrove:
Tal v’era Marte indomito, e de’ Greci
Tanto concorso. Ayean la porta cinta
Dì schiere & di testuggini é di tiravi,
G d’ ambi i lati a* la parete in alto
Appoggiate le scal.u; onde saliti \ '
G spinti.un dopo l’altro, con gli scudi
Si ricoprimi- di sopra', e feon 1$, destre
Rampicando salian di grado' in graclo.
A rincontro L Troiani, altri di sopra ’
Muri e télti versando e toni infere,
I travi. e i palchi droro-é i fregiìutti
De la regia c de* regi avean-perurmi ; r .
Fermi a far sì (poich* eraiv giqnti al fine)
Cli ogni cosa con loiv finisse insieme :
Ed altri unitamente entro a la porta*
Stavan coi ferri bassi, in folta'schiera
A guardia de l’ entrata, ET qui di novo
A sovvenir, la córte, a far. difesa
Per entro, a dure af vinti ànimo e forza *
Mi posi in core: e’n coiài" guisa ilici.
• [438-452]
l’eseide. [739-762]
Kra un ululilo occulto ed una porta
Sccrctamente accpmmodaUk a l’ uso
De le stanze reali, onde solea
Andromaca infelice al suo buon tempo
Dir a’ suoceri suoi soletta, e seco
Per domestica gioia al suo grand’avo
Il pargoletto Astianatle addurre.
Quinci enti-omesso, me ne salsi in cima
A I’ alto,corridore, onde i meschini
I acean di sopra a le nemiche schiere
Tempesta in vano. Erà dal tetto a I’ aura
Spiccata, e sopra la parete a filo
Un’ altissima torre, onde il paese
Di Troia, il mar, le navi e ’l campo tutto
Si scopria de’ nemici. A questa intorno
Co’ ferri ci mettemmo e co’ puntelli ;
E da radice, ov’ era al palco aggiunta,
E da suoi tavolati e da’ suoi travi
Uccisa in parte, la- tagliammo in tutto,
E la spingemmo. Alta ruina e suono
Fece cadendo; e di più greche squadre
Fu strage e morte c sepoltura insieme.
Dii altri vi salir sopra; e d’ ogni parte
Senz’ intermission d’ogn’arme un nembo
[453-468]
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1
i
l
[7G3-78G] libro ii. 85
Volava intanto. In su la prima entrata
Slava Pirro orgoglioso; e d’armi cinto
Si luminose, c da’ reflessi accese
Di tanti incendii, chedi foco e d’ ira
Parean lunge avventar raggi c scintille.
Tale un collibro mal pasciuto e gonlio,
Di tana uscito, ove la fredda bruma
Lo tenne ascoso, a l’aura si dimostra,
Quando, deposlo il suo ruvido spoglio,
Ringiovenito altèramente al sole
Lubrico si travolve, e con tre lingue
Vibra mille suoi lucidi colori.
Seco il gran Perifante, c ’l grand’ auriga
D’Achille, Autoniedonte, e lo stuol tutto
Era de’ Scili; e di già sotto entrati,
Fiamme a’ tetti avventando, ogni difesa
Ne facean vana. E qui co’ primi avanti
Pirro con una in man grave bipenne
- . •
Le sbarre, i legni, i marmi, ogni ritegno
De la ferrata porta abbatte e frange,
E per disgangherarla ogni arte adopra.
Tanto aliin ne recide che nel mezzo
l’apre un’ampia finestra. Appaion dentro
GII atrii superbi, Mungili colonnati,
[468-483]
I
SG l’ KKEIDE. [7&7-810]
K ili Priamo c degli atli’i antichi regi
I reconditi alberghi. Àppaion l’armi
Clife davanti cran pronte a la difesa. . -
S’ ode più dentro un. gemito, un tunlulto,
Un compianto di donne, un ululato,
E di confusione c'di'miseria
Tale un suoli che feria l’aura c le stelle.
€
Le misere matrone spaventate,
• \
Chi qua, chi là per le gran sale errando,
Battolisi i petti ; c .con dirotti pianti
Danno infino ale porte amplessi e baci.
Pirro intanto non cessa, e furioso,
In sembianza del padre, ogni -riparo, -
Ogni' intoppo sprezzando, entro si caccia.
Già l’ ariete a fieri colpi e spessi
Aperta, fracassatale d’ambi i lati
Da’ cardini divella avea la porta;
Quand’ egli a forza urtò, ruppe c conquise
I primi armati; c quinci. in un momento
Di Greci s’ allagò la reggia tutta*
Qual è,* se rottigli argini, -spumoso '
Esce e rapido- un fiume, allor che gonfio
E torho c ru in oso i campi inonda,'
Seco i sassi traendo e i boschi interi,
[48.4-498]
■%
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[81 I-S34] unno il. 87
K gli armenti e le stalle é ciò clic avanti
Oli s’attraversa; in colai guisa io stesso
Vidi Pirro menar ialina e strage:
E vidi ne 1* entrata ambi gli Alridi ; *
Nidi Ecuba infelice, ed a lei cento .
Nuore d’ intorno: c Priamo vid’anco i . •
* * * •
Ch’eslinguca col suo sangue, oiroò! quei focili
Elie da lui stèsso eran sacrati e cólti.'. *
Cinquanta" maritali appartamenti
Eian nel suo serraglio: quale, c quanti^'
Speranza de’ figlioli e de’ nipoti !*
Quanti fregi, quarti’ oro, quante spoglie, •
E quant* altre ricchezze! c tutte insieme
Perirò incontinente : e dove il foco
Non era, erano i Greci. Or, per contarvi
Qual di Priamo fosse il fato estremo,
Egli, poscia che presa, arsa c disfatta
Vide la sua.ciltade, e i Greci In mezzo *.
• • •
Ai suoi più cari e più riposti alberghi,;; '
Ancor che vèglio e debole c tremante, '
I-’ armi, clic di gran tempo avea dismesse,
Addur si fece; e d’esse inutilmente
Gravò gli omeri e ’l fianco; e come a morte
Devoto, ove più folti c più feroci
[499-541]
.
Digitized by Gel
SS l’f.seide. [835-85-S]
Vide i nemici, incontr’a lor si mosse.
Era nel mezzo del palazzo a 1’ aura
Scoprilo un grand’altare, a cui vicino
Sorgea di molti e di moli’ anni un lauro
Clic co’ rami a l’ aitar facea tribuna,
E con I’ ombra a’ Penati opaco velo.
Qui, come d’ atra e torbida tempesta
Spaventale colombe, a l’ara intorno
* . |
Avea le care figlie Ecuba accolte;
Ove agl’ irati Dei pace ed aita
Chiedendo, agli lor santi simulacri
Stavano con le braccia indarno appese.
Qui, poiché la dolente apparir vide
Il vecchio re giovenilmenlc armato,
0, disse, infelicissimo consorte,
Qual dira mente, o qual follia ti spinge
A vestir di quest’ armi? Ove t’avventi
Elisero? Tal soccorso e tal difesa '
Non è d’ uopo a tal tempo: non, s’appresso
Ti fosse anco Ettor mio. Con noi più tosto.
Rimanti qui; chè questo santo altare
Salverà tutti, o morrem tutti insieme.
Ciò detto, a sè Io trasse; c nel suo seggio
In maestate il pose. Ecco d’ avanti
[511-526]
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81)
[859-882] libro il. 89
A Pirro intanto il giovine Polite,
Un de’ figli del re, scampoxercando
Dal suo furore, e già da lui ferito,
Per portici e per logge armi e nemici
Attraversando, in vèr 1’ aliar. sènfugge:
E Pirro lia dietro che Io segue, e ’ncalza
Sì, clic già già con 1’ asta c con la mano
Or lo prende, or lo fere. Alfin qui giunto,
Fatto di mano in mau di forza essausto
E di sangue e di vita, avanti agli occhi
D’ ambi i parenti sui cadde, e spirò.
Qui, perchè si vedesse a morte esposto,
PrlamO'non di sè punto obliossi,
Nè la voce frenò, nè frenò l’ ira:
Anzi esclamando: 0 scelerato, disse,
0 temerario 1 Abbiati in odio il cielo,
Se nel cielo è pietate; o se i celesti
Ilan di ciò cura, di lassù ti caggia
La vendetta clic merla opra sì ria.
Empio, ch’anzi a’mici numi, anzi al cospetto
Mio proprio fai governo c scempio tale
D’ un tal mio figlio, e di si fera vista
Le mie luci contamini e funesti.
Colai meco non fu, benché nimico,
[526-540]
90 I.' LUCIDE. [}83-90G]
Achille, a cui fu niènti esser figliolo,
Quando, a lui ricorrendo, umanamente
M’accolse, e riverì le mie preghiere;
Gradi la. fede mia; d’ Ettor mio figlio
Mi rendè ’l corpo essangue, e me securo
Nel mio regno ripose. In questa, acceso
Il dcbil vecchio alzò l’asta, e faneiolla
Si, chcscu?a colpir languida'e stanca
Feri lo scudo, c lo percosse a pena,.
(die dal sonante acciaro, incontinente
Risospinta c sbattuta a terra cadde.
A cui Pirro soggiunse: Or va’, tu dunque
Messaggiero a mio padre, c da te stesso,
Le mie colpe accusando e i mici difetti, *
Fa’ conto a lui come da lui traligno:
' E muori intanto. Ciò dicendo, irato
AfTerrollo, c per mezzo il molto sangue
Del suo figlio tremante, e barcolloni
A I’ aliar lo condusse. Ivi nel ciuffo
• •
Con la sinistra il prese, e con la destra
Strinse il lucido ferro, c fieramente
Nel fianco infino agli elslgli l’ immerse..
Questo fin ebbe, c qui fortuna addusse
Priamo, un re sì grande,, un. sì superbo
[541-554]
. Digitized by Gooole
[907-930]' libro.. H. -, * 9 1
Dominato^ di genti e di paesi,
Un de l’ Asia monarca, a veder Troia •
Rumata e combusta, a giacer quasi
Nei lt(o un tronco desolato, un capo
Senza il suo Misto, e senza nome un corpo.
Allor pria mi sentii dentro e d’' intórno
Tal un orror, che ‘Stupido'rimasi.
E, di. Priamo pensando al caso atroce*
Mi si rappresentò l’ imago avanti
Del padre mio ch’era a lui d’anni eguale.
Mi sovvenne l’amata mia Creusa,
Il mio picciolo lulo, e la misi casa
Tutta a la. violenza, a la rapina,
Ad ogni ingiuria esposta.* Allora in dietro
Mi volsi per veder che gente meco
Fosse de’ miei seguaci; e nullo intorno
m
Più non mi vidi ; chèlra stquchi e morti,
E feriti e storpiali, altri,dal ferro,
Altri da, le mine, altri dal foco,
M* uvean già tutti abbandonato. In somma
Mi trovai solo. Onde, smarrito errando,
E d’ ogn’ intorno rimirando, al lume
Del grand’incendio, ecco mi s’offre-agli occhi
Di Tindaro la figlia che nel tempio
[555-567] .
92* l’ Eneide. «[031-964]
Se ne sfava di Vesta, in un reposto
E secreto ridotto ascosa e cheta;
EIcna, dico, origine c cagione
Di tanti muli, e clic fu d’ Ilio e d’Argo
l'uria comniune. Onde communcmentc
E de’ Greci temendo e de’ Troiani,
E de P abbandonato suo marito,
S’era. in quel loco, e ’n sé stessa ristretta,
Confusa, vilipesa ed abborrita
Fin dagli stessi altari. Arsi di sdegno,
Membrando clic per lei Troia cadea;
E ’l suo castigo c la vendetta insieme
De la mia patria rivolgendo; Adunque,
Dicea meco, impunita e trionfante
Ritornerà la scelerala in Argo?.
E regina vedrà Sparla e Micene?
Goderà del marito, de’ parenti,
De’ figli suoi? Farà pompe c grandezze,
E d’ Ilio avrà per serve e per ministri
L’ altere donne e i gran donzelli intorno?
"E qui Priamo sarà di ferro nnciso,
E Troia incensa, e la Dardania terra
Di tanto sangue tante volte aspersa?
Non fia così; cliè se ben pregio c lode
[568-584]
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LIBRO ir.
93
[955-978],
Non s ’ acquista a punire o vincer donna,
lo lodato e pregiato Assai terrommi. *
Se si dirà eli’ aggia d’ un mostrò tale
Purgato il inondo. Appagherommi almeno
Di sfogar l’ira mia; vendichcrommi
De la mia patria ;'e col fiato e col sangue
Di lei placherò 1’ ombre, e farò sazie
Le ceneri de’ miei. Ciò vaneggiando,
Infuriava ; quatul’ eoco una luce *
M’aprio la notfe, e mi scoverse avanti
L’ alma mia genitrice iu un sembiante,
Non còmcd’ altre volte ih altre forme
Mentito o dubbio; ma verace c chiaro,
E di madre e-di. Dea, qual credo', c quanta
Su tra gli altri Celesti in cicl si mostra.
Cota'l la vidimiate anco per mano
Mi prese; p con pietà le sante luci
E le labbia rosate aperse, e disse; ,
Figlio, a che tanto affanno ? a che tant’ ira?
Che non t’ acqueti ornai ? Questa è la cura ’
Che tu prendi di noi? Chè'iion più tosto
Rimiri ov’ abbandoni il vecchio Anohisc
t
E la cara Creusa c ’l caro luto,
* » •
Cui sono i Croci intorno? E se non fosso
Ciao. — 7. [584-599]
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DA L* ENEI DE. [979-1002]
Che in guardia io gli aggio., in preda al ferro, al foc
Fòrmi giù tutti. Ah figlio! non il volto
De T od!ata»Argiva, non di Pari
La biasmata rapina, ma del cielo
E de* celesti il voler empio atterra
La'troiana potenza. Alza su gli occhi, *
Ch’io né trarrò l’umida .nube, e ’I velo
Che la vista mortai t^appanna e grava;
Poscia erodi a tua madre, e senza indugio
Tutto fa’ che da lei ti si comanda:
9
Vedi là quella mole, ove quei sassi
Son da sassi disgiunti, e ‘dove il fumo
Con la polve ondeggiando al ciel si volve,
Come fiero Nettuno rafin da V imo
Le mura e i fondamenti c ’l terreo tutto
Col gran tridente suo sveglie e conquassa. .
Vedi qui su-la porta comò Giuno ’
Infuriata a tutti gli altri avanti
Si sta cinta di ferro e da le navi
% »
Le schiere d’ Argo ai nostri danni invita :
Vediqioi colà su Pallade in cima .
A 1’ alta ròcca, entro a quel nembo a mi ut a.
Con che lucenti e spaventosi lampi
Il gran Gorgone suo discopre e vibra. •
[600-61 G]
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95
[1003-1026]
UDRÒ II.
Che più? mira nel ciel, che .Giove stesso
Somministra agli Argivi animo e forza,
E incontro a le vostre armi a 1’ arme incita
Oli eterni Dei. Cedi lor, figlio, c fuggi.
Poi che indarno t’ affanni. Io-snrò lece
Ovunque andrai, sì che securamcnte
TL porrò flentro a’ tuoi paterni alberghi.
Così disse; e per entro a le foli’ ombre
De la notte s’ascose. Allor vid’ io
Gl» invisibili aspetti e i fieri volti
De’ Numi a Troia infesti, e Troia tutta
In un sol foco immersa, e fin dal fonde
Sottosopra rivolta. In quella guisa
Che d’ alto monte in precipizio cade
Un orno antico,' i cui rami pur dianzi*
Facean contrasto a’ venti e scorno al sole.
Quando con molte accette al suo gran tronco
• • •
Stanno i robusti agricóltori intorno
Per atterrarlo, e gli dan colpi a gara,
Da cui vinto, e dal peso, a poco a poco
Crollando e balenando, il capo inchina,
E stride c geme e dal suo giogo al fine
0 con parte del giogo si diveglic,
0 si scoscende; e ciò che intoppa urtando,
[617^631]
96 l’c^ude. " [1027-4050]
Di suono e di ruina’empie le valli.
• • 4
Allor discesi; e la matertia scorta .
Seguendo, da’ ninnici c da le fiamme
Mi rendei salvo : clic dovunque il passo -
Volgea, cessava il foco, c fuggian 1’ armi.
Poi ch’io fui giunto a la magione antica
Del padre mio, di lui prima mi calsc
E del suo scampo, e per condurlo a’ monti
M’ appareceh4ava, q'uand’ ei dissa: 0 figlio,
lo decrepito, io misero, che avanzi
Ai di de la mia patria? lo posso, io deggio
Sopravvivere a Troia? E lia ch’io soffra
Si vile essiglio? Voi, .clic ne’ vostri anni
Siete di sangue c di vigore interi,
Voi vi salvate. A me, s’ io pur devea
Restare in vita, avrebbe il cicl serbalo
Questo mio' nido. Assai, figlio, epur troppo
* • ,
Son vissuto fin quij.poi eh’ altra volta
Vidi Troia cadere, e non cadd’ io.
* • 0
Fatemi or .di pietà gli ultimi offici;
1 1 o ralenti il vale, e* per defunto
Gosì composto il mio corpo lasciale,
Gli’ io troverò chi mi dia morte; è i Greci
Medesimi, o per pietale, o per vaghezza
‘ ** [G3U645J
LIBRO ir.
97
[1051-1074]
De le mie spoglie, mi trarrmi di vita
E di miseria: e se d’essequie io manco,
Se manco di sepolcro, il danno è lieve.
Da V ora in qua son io visso a la terra
Disntil peso,' ed al .gran Giove in ira,
Che dal vento percosso c da le fiamme
Fui del folgore suo. Ciò memorando
Stava il misero padre a morte addillo,
E d’ intorno gli cr’ io, Creusa, Itilo,
La casa tutta con preghiere e pianti
Stringendolo a salvarsi, a non trai* seco
Ogni cosa in ruina, a non offrirsi
Da sè stesso a la morte. Ei fermo c saldo
* %
!Sè di proponimento, nè di loco
Punto si cangia: ond’ io pur 1’ armi grido .
Di morir disioso. E qual v’era altro
Rimedio o di consiglio, o di fortuna?
Ah ! ehc di questa soglia io tragga il j ri ed e
Padre mio, per lasciarti? Ah clic tu possa
Creder lenito di me? da la tua bocca
Tanto di sceleranzu e ili vii tate '
E d’ un tuo figlio uscito? Or s’ è destino
Che desi gran città nulla rimanga,
Se piace a te, se nel tuo core è fermo
[6 16*600]
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%
L I NF. IDE.
= ' 1 ■
!»S
[1075-10118]
Clic uè di le, nò degli tuoi si scemi
La ruina di Troia : c così vada,
E così fia ; eli’ io veggio a mano a mano
Qui del sangue del re tutto cosperso,
E bramoso del nostro apparir Pirro
Lli’ i padri occide anzi agli altari, e i figli
Anzi agli occhi de’ padri. Ah! madre inia,
Per questo fine qni'salvo c difeso *
M’hai da l’armi e dal fuoco, acciò ch’io veggia
Con gli occhi mici ne la mia casa stessa
1 mici nemici e ’l mio padre e ’l mio figlio
E la mia donna crudelmente occisi
L’un nel sangue de l’altro? Mano a l’arme:
Chimi dà l’armi? Ecco che’] giorno estremo
-Vinti a morte ne chiama. Or mi lasciate,
Ch’ io torni infra nimici, e che di nuovo
Mi razzuffi con essi ; che non tutti •
Ahhiam senza vendetta oggi a perire.
E già di ferro cinto, a la sinistra .
• *
M’ adattava lo scudo, c fuori uscia,
Quand’ecco in su La soglia-attraversata *
Creusa avanti a’ piè mi si distende,
E me gli abbraccia; e ’l fanciulletto-Iulo
M’ appresenta, e mi dice: Ah ! mio consorte,
[6G0-67 i]
— i Sle
mit *1
/
[1099-1122] unno \u
99
Dove ne la£ei?S’ a morir ne vai,
Che non teco n’adduci? É se ne 1’ armi
E nell’ esperienza hai speme alcuna,
Che non difendi la tua casa in prima?
Ove Aseanio abbandoni ? ove tuo padre ?
Ove Creusa tua, che tua s’ è detta
Per alcun tempo? E ciò gridando, empiea
Di pianto e di stridor la magion tutta ;
Quand’ecco innanzi agli'occhi, e fra le mani
Degli stessi parenti, yn repentino
E mirabile a dir portento apparve;
Chè sopra il 6apo del fanciulla Iulo
Chiaro un lume si vide, c via più chiara
Una fiamma che tremola e sospesa
Le sue tempie rosate e i biondi crini •
Sèn già come leccando, e senza offesa.
Lievemente pascendo. Orrore c tema
Ne presi in prima. Indi a quel santo foco
D’ intorno, altri con acqua, altri con altro,.
Ognun facea per ammorzarlo ogn’ opra.
Ria il padre Anchise a colai vista allegro,
Le man, gli occhi ala voce*al ciel rivolto,
Orò dicendo: Eterno, onnipotente
Signor, s’ umana prece unqua ti mosse,
[675-689J
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100 L* ENEIDE. [I 123-14 4G]
Vèr noi rimira, e ne lia questo assai.
Ma se ili inerto alcuno in tuo cospetto
•»
È la nostra pietà, pailre benigno, .
Danne anco aita; e con felice segno
. * • •
Che tonò Ha sinistrai dar convesso
Del ciel cadde una stella clic per mezzo
!Soi la vedemmo chiaramente sopra
Da’ nostri tetti ire a celarsi ih Ida,
Sì eheMasciò, quanto il suo corso tenne.
Di chiara luce un solcò; e lunge intorno-
Fumò laJerra di sulfureo odore. .
Allor vinto si diede il padre mio;
F tosto q Inaura uscendo, al santo segno -
De la stella inchihossi, e èongli Dei
.Parlò devotamente': 0 de la patria
Sacri numi Penati, a voi mi rendo.
Voi questa casa, voi questo nipote
Mi conservate. Questo augurio è. vostro,
E. nel poter di voi Troia rimansi.
Poscia, rivolto a noi : Fa’, fìgtiuol mio,
[690-704}
• f • •
Questo annunzio ratifica e conferma.
Aveà di ciò pregato il vecclùo a pena,
Fendè V ombrosa notte, e luuga striscia
Di foce *e di splendor dietro si trasse.
LIBRO II.
=-5Ct
-[1147-1170]
101
Ornai, disse, di me che più t* aggrada,
Ch’ al tuo voler son pronto, e d’ uscir leco
Più non recuso.' Avea già ’l foco appresa
La città tutta: c già le fiamme e i vampi
Ne fcrian da vicifio, aljor che ’l vecchio
Così dicea. Caro mio padre, adunque,
Soggions’ io, eom’ è d’ uopo, in su Ite spalle
A me ti reca, e mi t’ adatta al collo
Acconciamente; eli’ io robusto e forte
Sono a tal peso; e sia poscia che vuole:
Ch’ un sol periglio^ una salute scila
Fia d’ ambedue. Seguami Iplo al pari;
Creusa dopo: e voi, miei servi', udite
Quel clf io diviso. È de la porta fuori
Un colle, ov’ ha. di Cerere un antico
E deserto delubro, a cui vicino •
Sorge un cipresso, già moli’ anni e molti
In onor de la Dea serbato e colto.
Qui per diverse vie tutti in un loco
} Vi ridurrete: e tu con le tue mani
Sosterrai, padre mio, de’ santi grredi
E de’ patrii Penati il -sacro incarco.
Cli’a me, sì lordo, e sì recente uscito
Da tanta occision, toccar non lece
» - [704-719]
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102 I.’ ENEIDE. [1171-1194]
Pria clic di vivo (ìumc onda mi lave.
Ciò detto, con la veste e con la pelle
I)’ un villoso leon m’ adeguò il tergo,
E il caro peso agli omeri m’ impongo.
Indi a la destra il funciullclto Iulo
Mi s’ aggavigna, e non con molo eguale.
Hi segue i passi miei, Creusa I* orme.
Andiam per luoghi solitari e bui:
« • •
E me, cui dianzi intrepido e sicuro
Videi* de T arme i nembi c degli armati
he folte schiere, or ogni^suono, ogn’ aura
Empie di tema: si geloso fammi .
E la soma e il compagno; Era vicino
^ • •
A I’ uscir de la porta, c fuori in tutto,
Coni’ io credea, d’ ogni sinistro incontro,
Quanti’ ecco d’ improviso udir mi sembra
Un calpestio di gente,' a cui rivolto
Disse il vecchio gridando: Oh ! fuggi, Tiglio,
Fuggi, chè ne son presso. Io veggio, io sento
Sonar gli scudi, e lampeggiare i ferri.
Qui ridir non saprei come, nè quale
Avverso nume a me slesso mi tolse;
Chè mentre da la fretta e dal timore
* m
-Sospinto esco di strada, e per occulte
[719-737]
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[1195-4248] libro li. 10-3
E non usate vie m’ aggiro e celo,
Restai, misero me! senza la mia
Diletta moglie, in dubio se dal Fato
Mi si rapisse, o traviata errasse,
0 pur lassa a posar posta si fo^se.
Basta, eh’ unqtia di poi non la rividi*, .
Nè per vederla io mi rivolsi mai,
Nè mai me ne sovvenne, infin che giunti
Di Cerere non fumnvp al sacro poggio.
Ivi ridotti, ne ipancò di tanti
Sola Creusa, oirnè! con quanto scorno,
E con quanto dolór del suo consòrte
E del figlio e del suocero e di tutti!'
Io che non feci allora, e che non dissi ?
Qual degli juomini, folle! e.degli Dei
Non accusai? qual vidi fn tanto eccidio,
0 eh’ io provassi, o ch’avvenisse altrui,
Caso più miserando e più crudele ?
Qui mio figlio, mio padre e i patrii numi
Lascio in guardia a’compagni, ed io de l’armi
Pur mi rivesto, e ’ndietro me ne tomo,
Disposto a ritentare ogni fortuna,'
A cercai* Troia tutta, a poi* la vita
Ad ogni ripentaglio. Incominciai
[737-752]
l’ eseide.
1,04
[4219-1242]
In prima da le mura e da la porta,
Ond’ era uscito; e le vie stesse c P orme*'
Ripetei tutte, per cui'dianzi io venni,
Gli occhi portami* pei* vederla vintenti : .
Silenzio, schiudine e ’spavento
Trovai* per tutto. A casa aggiunsi in prima,
Cercando se per sorte ivi smarrita
Si ricovrassc Etfa 'già presa e piena
Di nemici c di foco; e,già da’ tetti
Usci a rr, da’ venti e da lé furie spinte,
Rapide fiamme c minaccioso al 'ciclo.
Tonio quinci al palagio ; indi a la ròcca:
Seguo li le piazze, a’ portici, a 1’ asilo
Di Giunoni, che già'fatli eran conserve
De la preda. di Troia, a cui Fenice
E ’l fiero Ulisse eritn custodi eletti. .
Qui d’ ogni parte le troiane spoglie*
Fin de le sacristie, fin degli altari
Le sacre mense, i preziosi vasi
Di solid’oro, e i paramenti c i drappi *
E le delizie e le ricchezze tutte
/ ‘ -
Agl* incendi ritolte, erano addotte. .
D’intorno in numerabili |n*igioni
Slavati di funi c di catene avvinti;
[752-7G6]
I
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[f243- 1266^ libro il. -105
E matrone e donzelle e pargoletti,
• »
Che di sordi lamenti e di muggiti*
Facean ne 1* aria -un tuono; e irten Ira loro
■ ^ ^ # * •
Era la donna mia: nè. dove fosse,
Più ripensar sapendo, osai dolente
Gridar per le vie ruttò; ef benché in vano,
Mille volte iterai I’ aòiato nomò.
Mentre cosf Tra TuVìoso e mesto
Per la città ir»’ aggiro, e senza fìqe
ha ricercò e Iti chiamo, ecco davanti
Mi si fa 1’ infelice simulacro *
• • • f
Di lei, maggioraci solito.Stupii,
M’ aggricciai, •m’ammutii. Prrcse ella a dirmi.
E consolarmi; 0 mio dolce consorte,
A che sì folle affanno ? Agli Dei piace
Che così segua. A te quinci non lece
Di trasportarmi. Il gran Giove mi vieta-
ci»’ io sia teco approvar gli affanni tuoi;
Chè%sofTrir lunghi essigli, arar gran mari
Ti converrà pria ch’ai tuo seggio#arrivi,
Che fia poi ne I’ Esperia, óve il Tirreno ^
Tebro còn placid’ onde opimi campi
Di bellicosa gente impingua c riga. *
Ivi riposo c regno c regia moglie
.[767-783]
UJG l’ eneidc. [1267-Ì29Ì)]
Ti si preparo. Or de la tua diletta
Creusa, signor mio, più non ti doglia;
Gir i Dolopi suppl iti, o i Mirmidóni
Non vedranno già me, dardania prole,
E di Prlaipo -figlia, e nuora a Venere,
Nè donna lor,‘nè di lor donne ancella,
Gilè la gran genitrice degli Dei
Appo sè liemjni. Or il mio caro lido,
Nostro communi; umore, ama in mia vece;
E lui conserva, e te consola. Addio.
Cosi dettò, disparve, lo che dal pianto
Era impedito, ed uvea molto a dirle,
Ale r avventai, per ritenerla, al collo;
E tre volte abbracciandola, altrettante,
Come vento stringessi o fumo o sogno,
Ale ne tornai con le man vote al petto.
E così scorsa e consumata indarno
Tutta la notte, al poggiami ritrassi
A’ mie’ compagni, ove trovai con molta.
Alia meraviglia d’ ogni parte accolta
Una gran gente, un miserabil volgo
• * * ,
* I)’ ogni età, d* ogni sesso e d’ ógni grado,
A l’essiglio parati, e ’nsieme addilli
A seguir me, dovunque io gli-adduecssi,
[784-SÒO]
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LIBRO li.
407
[1294-4298]
0 per mare o'per terra. Uscia giù d’ Ida
La matutina stellale ’l di n* apria,.
Quando in dietro mi volsi, e vidi Troia * ,
Fumar già tutta; c de ia ròcca in cima,
.E di sovr’ ogni porta inalberate
Le greche insegne; onde, nè via nè speme
Rimanendomi più di darle*aita,
Cedei; ripresi il carco, e salsi al monte.
[800-804]
>
10fc
[1-181
DELL’ ENEIDE
, %
Libro Terzo.
i
%
• t
Boi che fu d’Asia il glorioso regiro
E ’l suo re seco e ’l suo lognaggio Lillo,'
Coni’ al elei piacque, indegnamente estinto,
Ilio abbattuto e la Nettunia Troia
Desolata e combusta; i santi augùri
Spiando, a vari essigli, a varie terre
Per ricovro di noi pensando andammo :
é
E ne la Frigia Stessa a piò d’ Aulundro
Ne’ monti d’ Ida a lubricarle demmo
La nostra armata, non ben certi ancora
Ove il ciel ne chiamasse, e qual altrove
• • # t # .
Ne desse altro. ricetto. Ivi le genti
D’ intorno adcolte, al mar ne riducemmo,
E n’ imbarcammo alfine. Era de l’anno
La stagion prima) e i primi giorni a pena,
Quando, sciolte le sarte e date a’ venti
Le velò, come volle U padre Ancliise,
Piangendo abbandonai le five e i porti
[1-10]
LIBRO HI;
[19-42]
109
E i campi ove fu Troia, i miei compagni
Meea traendo e ’l mio figlio e i miei numi
A l’ onde in preda, e de la patria in bando.
È. de la Frigia incontro un .gran paese
Da’ Traci arato, al fiero Marte additto, «
Ampio regno e famoso, e seggio un tempo
Del feroce Licurgo. Ospiti antichi
S’ eraq Traci e Troiani ; e fin di' a Troia ,
Lieta arrise fortuna, ebbero entrambi
Communi alberghi. A questa terra in prima
Drizzai ’l mio corso, e qui primieramente
Nel curvo lito con destino avverso
Una città fondai, che dal mio nome
. • •
Enèade nomossi; e. mentre intorno
Me le travaglio, e i santi sacrifici
A Venere mia madre ed agli Dei,
Che sono al cominciar prppizii, indico;- .
Mentre che ’n su la riva un bianco toro
Al supremo Tonante offro. per vittima,
Udite che-m’ avvenne. Era nel lito
. Un picciol raonticello, a cui sórgea
Di mirti in su la cima e di corgnaH
Una folta sei vetta. In questa entrando
Per di fronde velare i sacri altari, . * -
Caro. — 8. [14*25]
110 I„’ ENEIDE. [Ì3-G6]
Menlre ile’ suoi più teneri e più verdi
Arbusti or questo, or quel diramo c svelgo;
Orribile a veder, stupendo a dire,
M’apparve un mostro: chè divelto il primo
Da le prime radici, uscir di sangue
Luride gocce, c ne fu ’1 suolo asperso.
Ghiado mi strinse il core; orror mi scosse
Le membra tutte; e di paura il sangue
Mi si rapprese. Io le cagioni ascose
Di ciò cercando, un altro ne divelsi;
Ed altro sangue uscitine: onde confuso
Vie più rimasi, c nel mio cor diversi
Pensici* volgendo, or de 1’ agresti ninfe,
Or del scitico Marte i santi numi
Adorando, porgea preghiere umili,
Che di sì fiera c portentosa vista
Mi si togliesse, o si temprasse almeno
Il diro annunzio. Ritentando ancora,
Vengo al terzo virgulto, c con più forza
Mentre lo seerpo, e i piedi al suolo appunto,
E lo scuoto e lo sbarbo (il dico, o ’1 taccio?)
Un sospiroso e lagrimubil suono
Da P imo poggio odo che grida, c dice:
Ahi! perché sì mi laceri e mi scempi? .
[26-41] . .. j
'
[{>7-90] LIBRO HI. j I I
Perché di cosi pio, così spietato,
Enea, vèr me ti mostri ? A che molesti
Un eli* è morto c sepolto? A che contamini
Col sangue mio le consanguinee mani?
Chè nè di.patria nè di gente esterno
Son io da te, nè questo atro liquore
Esce da sterpi, ma da membra umane.
Ah! fuggi, Enea, da questo empio paese:
Fuggi da questo abbomincvol lito;
Chè Polidoro io sono, e qui confìtto
M* ha nembo micidiale e ria semenza
Di ferri e drastc che dal corpo mio
Umor preso e radici,- han fatto selva.
A colai suon, da dubia tema oppresso,
Stupii, mi raggricciai, muto divenni,
Di Polidoro udendo. Un ile’ figliuoli
Era questi del re, eh’ al Tracio rege
Fu con mólto tesoro occultamente /
Accommandato allor, che da' Troiani
incominciossi a diffidar de Farmi, . .
E temer de V assedio. H Vio tiranno.
Tosto che a Jl'oia la fortuna vide
Volger, le spalle, .aneli’ ei si volse, e Farmi »
E la sorte seguì de’ vincitori $ . * * • •
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1 12 L* ENEIDE* [9.1*- 114]
SI clic de l’ amicizia e de 1' ospizio .
E de 1* umanità rotta ogni legge,
Tolse al regio fanciul la- vita e 1’ oro.
Ahi de 1* oro empia ed essecrabil fame!
E che per te non osa, e che non lenta
Quest’ umana ingordigia ? Or poi ehe ’l gielo
Mi fu da Tossa uscito, ai primi capi
Del popol nostro ed u mio padre in prima
Il prodigio refersi, e di ciascuno
Il parer ne spiai. Via, disser tutti
Concordemente, abbandonimi! qHest’ empia
E seelerata terra; andiain lontano
Da questo infame e traditore ospizio.
Rimettianci nel mare. Indi T essequie
Di Polidoro a celebrar ne demmo;
E, composto di terra uh alto cumulo,
Gli aitar vi consacrammo ai numi inferni,
Che di cerulee bende e di funesti
Cipressi eran coverti. Ivi le donne
D’ Ilio, coni’ è fra noi rito solenne,
Vestite a bruno e scapigliate e meste
Ulularono intorno; e noi di sopra
Di caldo latte e di sacrato sangue
Piene tazze spargemmo, e con supremi ;
[55-67]
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113
[l 15-138] . unno m.
Richiami amaramente al suo sepolcro
Rivocammo di lui Panima errante.
Nè pria, ne si mostràr P onde sicure,
E fidi i venti/ che, del porto usciti,
Incontinente ne vedemmo avanti
Sparir Podiosa terra, e gir da noi
Di mano in man fuggendo i liti e i monti*
È nel mezzo a P Egèo, diletta a Dori
Ed a Nettuno, un’ isola -fumosa,
Che già mobile e vaga intorno a’ liti
Agitala da P onde errando andava ;
Ma fatta di Lato.na e de’ suoi figli
Ricetto un tempo, dal pietoso arciero
Tra Gìaro e Micon fu stretta in guisa,
Ch’ immota e cólta e consacrata a lui-
*
Ebbe poi le tempeste e i venti a scherno.
Qui porto placidissimo e securo
Stanchi ne ricevette, e già smontati
Veneravam d’ Apollo il santo nido;
Quand’ ecco Ànio suo rege, e rege insieme
E sacerdote, che di sacre bende
E d’ onorato alloro il crine adorno
Ne si fa ’ncontro. Era al mio .padre Anchise
Già di molt* anni amico ; onde ben tosto
[68-82]
\ 14
l’ cneide.
[139-1*62]
Lo riconobbe, c con sembiante allegro
Lui primamente, indi noi tutti accolti,
IS’ abbracciò, ne ’nvitò, seco n’ addusse.
Quinci al delubro, eli’ ad Apollo in cima
Era d’ un sasso anticamente cstrutto,
Tutti salimmo; ed io devoto orai:
Danne, padre Timbrèo, propria magione,
E propria terra, ove già stanchi abbiamo
Posa e ristoro, -e ne dà stirpe e nido
Oportuno, durabile e sccuro ;
Danne Troia novella; e de’ Troiani
Serba queste reliquie, che avanzate
Sono a pena agli storpi, a Ic-ruine,
Al foco, a’Greciral dispietato Achille.
Mostrane chi ne guidi, ove s’ indrizzi
Il nostro corso, e qual Ha ’l nostro seggio.
Coi tuoi più chiari e manifesti augùri,
Signor, tu ne predici, e tu n’ inspira.
Avea ciò detto a pena, che repente
Il limitare, il tempio e ’l monte tutto
Crollossi intorno; scompigliàrsi i lauri;
Aprissi, c dagli interni suoi ridotti
Mugghiò la formidabile cortina.
Noi riverenti a terra ne gittammo;
[83-93]
“I
%
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I
[163-186] libro ih. 445
E *1 suon,ch- era confuso, a l’aura uscendo,
Articolossi, e cosi dire udissi:
Dardanidi robusti, onde 1’ origine
Traeste In prima, ivi ancor lieto e fenile
Di vostra antica madre il grembo aspettavi.
* •
, + •
Di lei dunque cercate; a lei tornatevi: ,
Ch’ivi sovr’ogni gente in tutti i secoli, ti
Domineranno i gloriosi Enèadi,
E la posterità degli lor posteri.
Ciò disse Apollo; e del suo detto féssi
Infra noi grau letizia e gran bisbiglio,
Interrogando e ricercando ognuno
Qual paese, quàljmadre, qual ricetto
Ne s’ accennasse. Allora il padre Anchise
Da lunge i tempi ripetendo e i casi
Dei nostri antichi croi: Signori, udite,
Ne disse, eh’ io darò lume e compenso
A le vostre speranze. È del gran Giove A
Creta quasi gran cuna in mezzo* al mare
Isola chiara, e regno ampio e ferace.
Che cento gran città nodrisce c regge.
Ivi sorge un’ altr’ Ida, onde nomata •
Fu l’ Ida nostra; ond’ha seme e radice
Nostro legnaggio; onde primieramente
[93-107]
■
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416 L* ENEIDE. [1&7-210]
V
Teucro, padre maggior de’ maggior noslri,
(Se ben me ne rammento) errando venne,
A le spiagge di Reto, ov’ egli elesse
Di fondare il suo regno. Ilio non era,
Nè di Pergamo ancor sorgean le mura
Fino in quel tempo; e sol ne l’ ime valli
Abitavan le genti. Indi a noi venne
La gran Cibele madre; indi sun Farmi
De’ Coribanti, indi la selva Idea,
E quel fido silenzio, onde celati
Son quei nostri misteri, e quei leoni - >-
Gli’ al carro de la Dea son j^osli al giogo.
Di là dunque veniamo, e là vuol Febo
Che si ritorni. Or via seguiamo il fato:
Plachiamo i venti, e ne la Creta andiamo, »
Clic non è lunge; e se p’ è Giove amico,
Anzi tre dì n'approderemo ai liti.
Ciò detto, a ciascun dio, come conviensi,
Sacrificando, due, gran tori occisc:
E V un diede a Nettuno e 1’ altro a Febo^
Una pecora negra a la Tempesta ;
Al Sereno una bianca. Era in quei giorni
Fama, che Idomenco cretese eroe,
Da la sua patria e da’ paterni regni
[108-422]
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r
[2H-234] utìno m. 447
Era scacciato; onde di Creta i liti:
D’ armi, di dace e di seguaci suoi,
Nostri nimici,Tn gran parto spogliati,-
Stavano a noi Senza contesa esposti.
Tosto d’ Ortigia abbandonammo i porti;
Trapassammo di Naxo i pampinosi
Colli, e Bacco onorammo: i verdi liti
Di Donisa, e d’ Olijaro varcammo;\
Giungemmo a Paro, e le sué bianche ripe
Lasciammo indietro; indi di mano in mano
L’ altre Cicladi tutte e ’l mar che- rotto
Da lant’ isole e chiuso ondeggia e ferve;
E seguendo, com’ò de’ naviganti
Marinaresca usanza, in Creta £in Creta!
Lietamente gridando, con un vento '
Che ne feria senza ritegno in poppa,
Quasi a volo andavamo; onde lien tosto
De’ Curdi appressammo l liti antichi*;
E gli scoprimmo, c v* approdammo alfine.
’ Giunti clic fummo, avidamente diemmi
A fabricar le desiate mura,
E Pergamea da Pergamo le dissi.
Con questo. amato nome amore e speme
Destai di nuova patria, e studio intenso
[122-13Ì]
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l’ em'-ide. ' [235-258]
D’ alzar le mura e di fondar gli alberghi.
Eran le navi io su la rena addotte
Per la più paYte; era la gente intenta
A V arti, a la coltura, ai maritaggi,
Ad ogni affare; ed iolor ministrava
Leggi e ragioni, e facea tempii e strade,
Quando fera, improvvisa pestilenza
Ne sopravvenne; e la stagione e V anno .
E gli uomini e gli armenti c V aria c Y acque
E tutto altro infettonne ; onde ogni corpo
0 cadeva, o languiva ; e la semente
E i frutti e !’ erbe e le campagne stesse
Da la rabbia di Sirio e dal veleno
De V orrlbil contagc arse e corrotte,
Ci negavano il vitto. Il padre mio
Per consiglio ne <liè che un’ altra volta,
Rinavigando il navigato mare,
Si tornassè in Orligia, e che di nuovo
Ricorrendo di Febo al santo oracolo,
Perdón gli si chiedesse, aita e scampo
Da sì maligno e velenoso influsso,
Ed alfin del camino e de la stanza
Chiaro ne si traesse indrizzo e lume.
Era già notte, e già dal sonno vinta
[134-147]
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LIBRO Ili.
419
[259-2S2]
Poso e ristoro avea 1’ umana- gente,
Quando le sacre effigi de’ Penati, '•
Quelle che meco avca tratte dal foco
De la mia patria, quelle stésse in sogno
Vive mi si mostrar veraci e ciliare,
Tal piena, avversa e luminosa luna
Penetrava, per entro al chiuso albergo,
Di puri vetri i lucidi spiragli;
E come cran visibili, appressando
La sponda ov’ io giucea soavemente,
Mi si fecero avanti, e ’n cotal guisa
Mi conforterò: Quel che Apolli) stesso,
Se tornaste in Ortigia, a voi direbbe,
Qui mandati da lui vi diciam noi:
E noi siam quei che dopo Troia incensa
Per tanti mari, a tanti affanni (eco
Pi’ uscimmo, e te seguiamo e I’ armi tue.
Noi compagni li siamo, e noi saremo
Ch’ a la nova città, che tu procuri,
Daremo eterno- imperio, c i tuoi nipoti
Ergeremo a le stelle. Alto ricetto , *
Tu dunque, e degno de 1’ altezza loro,
Prepara intanto; e i rischi e le fatiche
Non rifiutar di più lontano essiglio.
[147-IG0]
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* 420 l’ereidé. [283-306]
Cerca Iqro altro seggio; ergi altre'mura
Vie più-chiare di queste; chè di Creta
Nè curiam noi, nè lo ti dice Apollo.
Una parte d* Europa è, che da’ Greci
Si disse Esperia, antica, bellicosa
E fertil terra. Dagli Enotri cólta
Prima Enotria nomossi: or, coni* è fama,
Preso d’ Italo il nome, Italia è. detta.
Quest’ è la terra destinata a noi.
Quinci Dardano in prima e lasio uscirò;
E Dardano è l’ autor del sangue nostro.
Sorgi dunque e riporta al padre Anchrse
Quel ch’or noi ti diciam, chè dicianTvero:
E tu cerca di Còrito e d’ Ausonia
L’ auliche terre, chè da Giove in Creta
Regnar ti s’ interdice. Io di tal vista,
E di tai voci, eli’ eran voci e corpi
De’ nostri Dei, non simoiacri e sogni,
(Chè ne -vid’ io le sacre bende e i volti
Spiranti e vivi) attonito e cosperso
Di gelato sudore, in un momento
Salto dal lettole con le mani al ciclo
E con la voce supplicando, spargo
Di doni intemerati i sauti fochi.
[168-178]
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[307-330] libro in.
Riveriti i Penati, al padre Ancliise
Lieto mèn vado, e del portento intera.
Nenie il successo e l’ ordine gli espongo.
Incontinente riconobbe i| doppio
Nostro leguaggio^e i due padri e i due tronchi
De’ cui rami siam noi vette e. rampolli ;
E d’erro uscito: Ora io m’avveggio, disse,
Figlio, che segno sei de le fortune
E del fataci Troia, e ciò rincontro
Che Cassandra riicea: sola Cassandra
Lo previde e ’I predisse. Ella al mio sangue
Augurò questo regno; e questa Italia
E questa Esperia avea Rovente in bocca.
Ma chi mai ne V Esperia avria creduto
Che regnassero i Teucri? E chi credea
In quel tempo a Cassandra? Ora, inio figlio,
Cediamo a febo: e ciò che ’l dio del vero
Ne dà per meglio,. per miglior s’elegga.
Ciò disse, e i delti suoi tosto esseguinnno;
Ed ancor questa terra abbandonammo,
Se non se pochi* N’andavamo a vela
Con second’ aura; e giù d’ alto mirando,
Non più terra apparià, mu ciclo ed acqua <.
Vedevam solamente; quando oscuro &
[178-494]
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122 l’ ejieide. [331-354]
E denso e procelloso un nembo sopra
Mi stette al capo, onde tempesta c notte
Ne si fece repente, e di più sili
Rapidi uscendo imperversaro i venti;
S’ abbuiò V aria, abbaruffassi il. mare,
E gonfia ro altamente e mugghiar 1’ onde.
Il ciel fremendo, in tuoni, in lampi, in folgori
Si squarciò d’ogni parte. Il giorno notte
Féssi, c la notte abisso; e V un da l’ altro
Non discernendo Palinolo stesso
De la via diffidassi e de la vita.
Così tolti dal corso, e quinci e quindi
Per lo gran golfo dissipati e ciechi,
Da buio e da caligine coverti,
Tre Soli interi senza luce errammo,
Tre notti senza stelle. Il quarto giorno •
Vedemmo alfin, quasi dal mar risorta,
La terra aprirne i monti c gittar fumo.
Cnggion le vele; c i remiganti a pruova,
Di bianche schiume il gran ceruleo golfo *-
Segnando, inverso i liti i legni affrettano. •
Nò prima fui di si gran rischio uscito,
Che giunto ne le Strofadi mi vidi.
.Strofadi grecamente nominate
[19 1-2.10]
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[355-378] unno ili. 423
Son certe isole ih mezzo al grande Ionio,
Da la fera Celeno e da quell’ altre
Rapaci e lorde sue compagne arpie
Fin d* allora abitate, che per téma
Lasciar le prime mense, e di Finèo
Fu lor chiuso l’ albergo. Altro di queste
Più sozzo mostro, altra più dira peste
Da le tartaree grotte unqua non venne.
Sembran vergini a’ volli, uccegfi c cagne.
A 1’ altre membra; hanno di ventre un fedo
Profluvio, ond’ è la piuma intrisa ed irta ;
Le man d’artigli armate, il collo smunto,
La faccia per la fame e per la rabbia
Pallida sempre, e raggrinzata e magra.
Tosto che qui sospinti in porto entrammo,
Ecco sparsi veggiam per la campagna
Senza custodi andar gran torme errando
Di cornuti e villosi armenti e greggi.
Smontiamo in terra; e per forcarne, prese
L’ armi, a predare andiamo, e de la preda
Gli Dei chiamiamo c Giove stesso a parte. 1
Falla la strage e già parati i cibi,
E distese le mense, eravam lungo.
Al curvo lite a ricrearne assisi,
[211-223]
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424 l’rneide. [379-402]
Quanti’ ecco elle da’ monti in un momento
Con dire voci e spaventoso rombo
Ne si fan sopra lo.bramose arpie;
E con gli urti e con 1’ ali e con gli ngnoni,
Col-tetro, osceno, abbominevol puzzo
Ne sgominar le mense, ne rapirò,
Ne infettàr tutti e i cibi e i lochi e noi.
Era presso un ridotto, óve alta e cava
Rupe d’arbori chiusa e d’ombre intorno
. Facéa capace ed opportuno ostello.
Ivi ne riducemmo, e ne le mense
Riposti i .cibi c negli altari i fochi,
A convivar tornammo, ed ecco -un’ altra
Volta d’ un’altra parte per occulte
E non previste vie ne si scoveree
L’orribil torma-; c con gli adunchi artigli,
Co’ (ieri denti e con le bocche impure
Ghermir la preda, e ne lasciàr di novo
Vote le mense scompigliate e sozze.
Aliar, via (dico a’ mici) di guerra è d’tiopo
Contro u sì dira gente ; e tutti a 1’ arme
Ed a battaglia incito. Eglino in guisa
Gli’ io gli disposi, i ferri ignudile f uste ;
E gli scudi e le Trombe e i’ corpi stessi
i [224-237]
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[403-428]
UBftO 11!.
425
!'$
\ *
Infra V erba ocqupCtaro; il ìor ritorno
' Stèro aspettando. Era Miéejio in alto* • >
A la veletta asceso; e non' più. tosta
Scoprir feVute, e schiamazzate udille,. -
Clic cpl canoro suo'cavp oricalco»
Nediè cenno a* cojnpagfti. Uséh* d’agguato
Tutti in un tempo* e nuova zuffa e straba
Tcntàr contrai i marini uecegli hi va no: •
Che le piume e le terga ad. ogni colpo. • '
Aveano.impehe.traBili e secure;,*.
^ « * « ' • * ^ ,
Onde. scuramente al ciel. rivolle
Se ne fuggirò, e ne lasciar 4 proda
Sgraffiata, smozzicata. e Io^dt^ tutta.
Sola Celeno a I’ alfa- rupe •in.cimTt •••
Disdegnosa »fer mossi; e-d’ infortùni»-;
• »
Trista' indovina,* rnfurìo.ssi,>e disse*.
" Dunque non basta averne, ardita ronza
Di Laomedonte^epredali^e scarsi v~
Gli armenti e i campi nostri, che ancor guerru,
Guerra ancor ne movete? E l’ innocènti
Arpie -scacciai! dèl-patriO- regno osate?
Ma sentite, e-nel cor vi riponete*
Quel clv’io v’annunzio. Itxson Furjù suprema
Ch’ annunzio a>voi quel che’l gran.GiOve a Febo
Caro. — 9. [237-25.1]
\%S \! eheioe. [427-450]
• •
E Febo a me predice. Il vostFo corso
È per Italia, e ne V Italia a rete
E porto e seggio. -Blardi mura avanti,'- •
La città clie^al ciel vi si destina, ~ . -
Non cingerete, che d* uh tale oltraggio
Castigo areté'; édira fame a tanto
Vi (Condurrà, che* flntfanco le tpensc- •
Divo rer§te. 'E, così detto, il volo
ttipresejn vèr In selva, e dilegoossi.
Sgomenteronsij. miei,' cadde lch* l’ ira;
E.prieghi, invece d’ armi /e voti oprando,
Mercè ichieserp. e pace, o Dive o Dire
Che si fosser l’ alate ingordé belve:
E ’1 padre Ànchise jn su la riva sporte
Al ciel le palme, £ i gran celesti* numi'
Umilmente invocando, indisse;i sacri
A lor dovuti onori : 0 Dii possenti,
0 Dii benigni, voi. rendete vane
Queste. minacce; voi di caso tale
Me .liberale; e voi giusti e voi buoni
Siate pietosi a noi eh’ empii non "siamo. •
Indi ratto comanda che dal lito ;
Si disciolgano i. legni: Entriom nel mare,
Spieghiam le vcle agli austri, c via per Tonde
[252-26S] .
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[45-b-474] f libro ni. f97
"* «
Spumose a tnltó corso in fuga andiamo'
Là’ve’l vento e’I nocchier ne guidà-e spinge.
E già ci* aito apparir veggiam 4e>sc|ve . *
% .
Di Zacintp ; passioni Dulichio e Samo;
Varchiarrt -Jièrito aipestro e. via -fuggendo,
E bestemmiando, tra passi am gli «cogli
D’ Itaca, imperio di Laerte, e nido .
Del fraudolente, Ulisse. Indi ne s’apre.
Il nimboso'LeuciHe, e quel che fuiHo.
A’ naviganti è: spaventoso, Apollo. •
Ivi stanchi approdammo; ivt gittate
L’ ancore, ed accostati' i'Iegni al lito,
Nc la picciola sua.chtade entrammo.
Grata vie più quanto sperata'meno ;
Ne fu la fecraj-onde purgati ergemmo
Altari e voti, ed ostrega' Giove offrimmo.
E d’ Azio in su la rivu festeggiando,
Ignudi ecf i/nli, uscir de’ miei compagni
I più robusti, e com’ è patrio usanza,
Varie palestre a lotteggiar si diero; .
Gioiosi cìkrpfr tanto mare e tfonje
Greche terre ioimiehe a- salvamento
Fosser tant’ oltre, addolci. Ero de l’ anno
Compito ri giro, e i geliti* aquiloni. ,
[268-285]
fr. Jé
^ if -
l’ ENEfDE. [V75-498]
Infestavano il mare; onci’ io lo<scudp, j' -
Che di forbì l o e concavo metallo -
Fu già del gronde Abaiite insegrid e spoglia,
Con un tal motto in sU le porte appesi *. •
A’ Greci viNttToni'EflEAfLEvoLLO, /'
En a te \ sacra, ApotLpi lndl al mar 'giunti
Ne rimbarcammo: c remigando a gara
Fummo. in un tempo de’ FeAcì avi6la,
E gli varcammo: pòi rivolti a destra;
Costeggialo mo V Epiro, e di Ctonia -
Giungemmo al qiorto, ed io Rutrolo entrammo.
Qui cosa udii, clic meraviglia-e^gioia
Al T porse iiisieuie; e fu, eli’ Eleno^ figlio
Di Paiamo, re nostri), era a quel regno" •
Di greche- tèrre assunto, -c che di Pirro *
E del’ suo scettro e del suo letto erede,' \
T • p •
Troiano sposo; à la Iroialia AndromaChe
S’ era congiunto» Àrsi d’ immenso amore
Di visitarlor.e di spiai* da lui .
Come ciò fosse; e de Formata nS<jfcndo -
Scesi. nel lito; e me n’andai convochi.
A ritrovarlo. Era quel giorno a sorte
Androrfiàchc regina in su la riva
Del novo Sinioenta a far solenne >
[285-30+]
[409-522] LiBBa .nr. 429
Setolerai sacri fiQHt;.e-«oomc è rito
De la ima patria/ àvea fra ckic grandmare .
Di vgrdi cespj lina .gran tomba erettù, .
.Mt>nunàento>tt lagrime e df duolo], . ..
Ove con tristi vdoni e coir lugubri * :
.Voci cteJ. grand’ ÉUòr V anima-e -I nome
. Chiamando, il Goto suo corpo- onoravo. -
-Poiché venir mi vide, e ebe d^Trora
Avvisò P armi, e. me. conobbe, -un mostro
Veder Ic.pàrve^eibrsennàta e stupida .
Fermossi in prima; indi gelata e smorta *
Disvèrine e-caddej e dopa molto, sr perni-
RisensandoI inirommi, e c'osi disse:
v - • <* • ì ..
Olii sei tu vero, o pur mi sembri Enea ? -
Sei ^orpo od ombra ? Se da’ morti udito'
È ’1 mio richiamo, Etlpr perchè fe mancia ?
Perdi’ ei léco. non viene? E sei tH celio '
Nunzio di jui? Ciò detto, dagrimundo, * *
Empia di strida é di lamenti i campi,
lo di pietà é di duol confusola pepa
In poclic vosi, c iucile anco interrotte,
» * •
Snodai la: lingua, lo, vivo, se*puf vita,
È menar giorni si gravosi e duri.:
Ma cosi spiro ancorale veramente •
[3Ó1-3P6]
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wo
l/'pNEIDE.
[521-54C]
Son io quei che ti sembro. jO da qual grado
Seuduta, e (inquanto indilo marito!
Amlromache d* Ellòr a Pirro, .11 Pirro
Tosti congiunta? Or qual altra più lieta
' .
T’ incontra, ep'iò di le degna forttìna ?
# s %
Abbassò,*! volto, eicon sommessa voco ,
N * •
Cosi rispose: 0 fortunata lei
Sovd ógni donna, elle regina c vergine
Ne la sua patria a sacrificio offerta
Del -nimico Cu vittima e non, preda, • . .
Nè del suo vincitor serva, nèjdpUna! •
lo dopo Troia* Incensa*, e dopo tanti
E tonti arati mari, a servir nata,
De la stirpe d’ Achille il giogo o ’l fasto,
E ’l superbo suo figlio a soffrir' ebbi.-
Qucsti poi con Ermfonc congiunto,
E lei, che de la razza era di Leda
E del sangue di Sparla, a ipe preposta-,
Volle eh’ tiene ed io, servi ambidue,
N’ accoppiassimo' insieme. Oreste intanto.
Che tòr I’ amata sua donna si vide.
Da l* amore, infiammato e da le faèi
• •*<
De le furie materne,' anzi agli altari v
Del padre Achille, insidiosamente ,
[316-332]
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\
[547-570] libito m. 431
Tolse la vita ti lui. Per la sua morie ;
Fu ’l suo regno diviso, c questa parie.
De la Caonia ad Eterno ricadile,
Clie dal nopie di Càone troiano- * .
Così T ha detta,- come disse ancora
Ilio da T Ilio nostro questa ròcca
Che qni-rsu vedi; e Simoétita e Pergamo
'Queste piqciole mura e questO;rivo.
Afa tb quni yenti,.ò qual nostra ventura* ,
Ha qui condotto, fuor d’ ogni pensiero
Di. noi certo, e tuo forse ? Asca ni o nostro
— * »
Vive? cresce? che fa?. come Ita sentito .
La mortp di Creusa? E qual presagio
Ne dà, cli’Eiiea-siio padre, Etlor suo zio -
Si rinbyino in lui? Colali Andromachc "
Spargea pianti e parole ; ed -ecco intanto
Il Teucro Eroe che de Interra uscendo.
Con molti irt tomo a rincontrar ne venne.
Tosto che il’ adocchiò, menmgliaiulo
Ne cqnobhe, n'. accolse, e lietamente
Seco n’ addusse, de’ communi affanni
Molto con me, iqenti'c andavamo, aneli1 egli
Ragionando c piangendo. Entrammo al line
Ne la picciola Troia, c con diletto
[332-349]
132 u’ eseide. [aJl-594]
Un alido ruscello, .umcerchio angusto'
Sentii, con finii c ri no vitti nomi ^
Chiamar Pergamo e>Xanh£; e de la Sceà
Porta entrando abbracciai 1’ amata- soglia'.
Cosi fecero i miei $ meco godendo
L’ amica terra, come propria c vera
Fosse lor patria. I( re le sale e i portici
• Di mense empiendo, fe lor cibi n vinir '
Da’ regii servi realmente esporre * * *
Con vaselli -d’ argento e coppe cFep).
Passato il primo giorno è l’altro appresso,
SofflAr prosperi i venti; ond’ fb comiuto
A l’ indovino re chiedendo, seco -,
illi ristrinsi e- gli dissi : Inclito sire,'
Cui non son degli Der le menti occolte,
Cbò Febo spiri e ’l tripode e gli allori '
Del suo tempio dispensi, o-de le stellò -
E de’ volanti ogni secreto intendi, ^ *
Danne certo, li,priego, indicio e lume
De le nostre venture. Il nostro corso,’.
Com’ ogni augurio accenna ed ogni numd
Ne persuado, è. p£r Itafia ; e lieto
E fortunato anpor ne .si promette • '' .
Infino a <|ùi. Sola Celeno arpia* • -
; * [35'a-3G5>
Digitizecf by Google
[595-6 1S} . libro ni. , 433
Novi e tristi infortuni!, e fumé; ed ira - » \
Degli -Dei ne .minaccia. lo darde ehieggip
Avvertènze e ricordi., onde sia, saggio .
A lai perigli,- e- forte a* tanti affanni; ^
Qui pria solennemente Elenó, occisi
I dovuti giu.vonchi, in atto. umile
Impetrò dagli Dei favore c pace;
Poseia, raccolto ip jò le bende §oiolse
Del. sa oro capo; e me, così copi'ertr
A hmJo officio attonito e "sospiro.
Per man prendendo, a la febèa spelonca .
M’adduàse avanti, e con divina' voce
Intonando proruppe: 0 de la D^a •
Pregiato figlio (quando a gran fortuna . .
È chiaro in prima clièM tuo corso 'è vólto*;'
Tal è delcicl, dedali e di coluh»
Che gli regge, il. voler, 1* ordine 0 H moto)
Io di- molle e gran cose elre antiveggo
m # < t ^ •
Del tuo peregrinaggio, acciò più franco
Navighi i nostri mai‘i, e. ’1 porto ausonio
Quando òhe sia secaramente attinga,
Poche ne ti . dirò: eh* a tede Parche''
Vietali che più ne 'sappi ; ed. a .mè Giuno,
Ch’ io più te neTiveli. In prima il porto, *
[365-381] .
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'•Il
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434 l’ eneidb.. {619-642]
% •
-E I’ Italia die cerchi e si vicina
* .
Ti sembra, è da Ini via, da tanti intrichi
Scevra da te* eh’ anzi che tu v* aggiunga,
Ti parrà malagevole,*, e lontana
Più che non credi $ e- ti fia d’uopo avanti
Stancar più volte, i remiganti e i rcmi,;
E ’l mar ile la Sicilia c M mar Tirreno;
* ’r •
E i laghi inferni e i’ isola. di. Circe *
Cercar ti converrà, pria che vi fondi
Securo seggif. lo di ciò chiari segni
Darotti., e tu ne fa nota' e conserva.
Quando più stanco e travagliato a riva
Sarai d’ un fiume', u’ sotto uid'elce accòlta
Sarà candida troia, .ed. ara trenta
Candidi figli a le sue poppe intorno,
Allor di’: Questuò ’l segno e’I tempo è’1 loeo
I>u fermar la mia sedere questo .e ’l fine ~
De’ miei travagli. Or che E ingorda faine
Addur ti deggia a trangugiar Te- mense,
Comunque avvenga, i fati a, ciò daranno
Oportunó compeuso; e questo Apollo
Invocato da voi presto sàravvi.
Queste terre d’ Italia e questa riva j.
Nòr noi volta e vicina ai Htt nostri,
[3$ 1-397]
i *tL)
Digi - _ Google
643*66(1]
È tutta da’ irimici e da’- malvagi
Greci' abitata * cólta; e però lòoge *
Fuggi da loro! I Locri di ffomia - .
Qui si posaro'; e qui «e’ SaWutiui
1 suoi Cretesi Idomeneo-eondusse.^
Qu; Filottete il Melibeo campione ‘ a
La- piceiolelta stia Petilia eresse. ;
Fughili dico? e quando* arfeo varcato
Sarai di là oe V alto lite, iuteiUO
A sciorre i voti, di purpureo Aimanto
Tivvèlu il caf)p, acciò tì-a ì santi fpclu,
Mentre i Cuoi numi adori, Ostile aspetto v
Te coi tuoi sacrificii noti conturbi.,
E questo rito poi sia castamente
Da te servato e dalìiepoii tuoi.
Quinci partito, allor che da vicino .
Scorgerai la Sicilia, e ìli Peloro
Ti-si discovrirà 4’ angusta.foce,
pienti a sinistra, e dèi sinistro maio
' Solca pur vialquanto a di luogo intorno
Gira 1? isola tutta, e da ja destra
Faggi la terra e V onde. È fama antieu
Che questi or due tra lor'di'sgiun.. locb.
Erano in prima un solo, clie per for»
[496- 4U]
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A.
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,«136 u* bsejde.s [667-C90]
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Di tempo, di’tetnpeste e di mute *.*.•
.(Tarrto a cangiar -queste .terrene eose .. *
Può de’ secoli il corso), un dismembrato .
Fu poi da l’ alleò. Il mai-fra* mezzo entrando
Tanto urtò, tanto róse, che Y. esperio
Dal sicolo terreno' a Ifi n divise: - -
E i campi eie città, eh'c in su le. rive ‘ • .
Restaro,, angusto freto oi*. bagna e sparto.
Nel destro lato è Scilla; nel Ministro
È 1’ ingorda Taì iddi. Una \04ag0 • .
D’ un gran baratro è questa, che tre vòlte ,
I vasti flutti regnando assorbo,^1
E tre volte a vicenda li ributta
Con immènso bollorfino-a le stelle.
Sedia dentro ale sue bilie caverne:
Stassenir insidiando ; e con le bocche
De’ suoi mostri veraòi, che-distese .
Tien mai scmpre.ed aperte, i naviganti •
Entro al suo speòo a sò truggè e trangugia.
Dal mezzo in su la, faccia, il collo e ’1 petto
Ha di donna e di vergine; il restante,
D’ unu'pistricc immane, che simili ■*
A’ delfini ha le code, ai lupi il ventre.
Meglio è con lungo indugio e lunga volta
[414*429] ’
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[ÒÌM-'?W.]- LIBRO. HI. 137
✓
Girar Pachino c la Trinacri'a tutta, v ~
Cheyhon ch’ai lro> vedeiiquell^ntro orrenda,
, Sentir quegli urli spàvenfosi/e Iteri- *..*»;*
Di qltei cerulei suor rhbbiosi- cani. ' .
Oltre a éiò, se pròdeh|i, se-fedèli \ • •
Sembrar ti -può che siarf d' Eierio i delti,
E se scarso non m'e dfel vero Apòllo;-
Sovr’ a Tutto io t'assenno, ti predico,
Ti ripeto' più volte e ti rammento,' : • ^
La gran Giunóne iavaca-:.a Giunon voti
E preghi é doni o-sacrificil toffrisci'
Devotamente; ch£, lei vinta alfine, •
Terrai d’Italia il desiato lito. •*
Giunto in Italia, allbr che ne la spiaggia -
Sarai di jGortta /IL sacro averntr lago ;
Visi ta, e quelle selve c fjaeJta rupe,
Ove là.vcechia vergine -sibilla
Profeterà il futuro, e ’n su le fòglie - *
Ripone i Poli : in sii le foglie, '.diso, « * .
Scrive ciò che prevede, e ne la grotta * ^ -
Distése ed ordinate, ove sian lette,
Ir disparte le lascio. Eflc serbando .
L’ órdine-e f versi, ad uopo de’ mortali^
Parla» de ì* avvenire, e quando, api*endo
[429-448] ‘ .
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/ • • *
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) 1
9
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4
•138 l’ ejeide. [715-738]
TalÓr la porta, il vento le disturba,
E van per l’antro a volo, ella non prende
Più di ricorle e d* accozzarle affanno ; ^
Onde mofti delusi e seohsigliati
Tornali sovente^ c mal dj lei s’ appagano.
Tu per soverchio elio ti sembri indugio,
Per richiamo de’ venti o de* compagni^
!Non lasciar di vederla, c d’ impetrarne
Grazia, ebe. di sua- bocca li risponda,
E non con (rondi. Ella daralti' avviso .
* * » * 1
D’ Italia, de le guerre e de le genti
Clic li fian eoulru; e mostreratti, il modo
Di fuggir, di soffrir, d’ espugnar tutte
Le tue fortune; e di condurli' in porto. »
Questo è -quel clic m’ occorre, o clic* mi lece
Chf io ti ricordi. Or vanne, e co’ tuoi gesti
Te porla e i tuoi con la gran Troia ql ciclo.
Poscia che ciò come |U’ofeta disse,
Comandò come amico eli’ a le -novi
Gli portassero i doni, opre e lavori
Ch’ avea d’ oro c d’ avqrio apparecchiati,
E grtyi masse d’ argento c gran vaselli
Di dodonèo metallo; una lorica
# —
Di forbite azzimine: e rinterzale
[-448-467]
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[789-762] unno ml 139
« *
Maglie, dentro d’ acciaro. et,u|orao*d’ oro,
Una lar%a,jun. cimiero, una celala,
Ond’-era a pompa ed a difesa 'armalo
Neoltòlemo attero, li secchio AncUise
El>b<! aneli’ egli i suoi doni : ebber poi tutti
Cavitili e guide; e, fu di remi c d’ armi
Ciascun legnò»provisto ; e per.dliè ’lVvenlo ‘
Che, secondò /erta, non punto iifijànro ' •
Spirasse, ordine^vea. di sòibr le velo* ✓ •
Già dato Ancfiise, a cui con moilto onore1 ■'
Si fece Elenó avanti, e -cosi disse: * * *
0 ben degno a cui fosse amica e sposa
La gran madre d* Amore; o.de^- celesti
Sovrana cura, di’ a E eccidio avanzi * . ;
Gjà due volte di’Troia, eccoti- a vista
Giunto (E Itali v A questa il corso indrizza;
Ma fa niestier di volteggiarla ancora
Con lungo giro, poiché Juuge assai
È la parte di lei che Apollo accenna. -
Or lieto te ne- va, pqdre felice
Dì si pietoso figlio, lo, già che È àura »
Si vi spira' propizia, indarno a bada
Piti n on te r r o v v i .' I ndj la mesta Andrpmacjie
Ecce con lottile con Ascanio alfine
[467-482]
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»
’*/
» V •
»
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#
!
140 l? eseiOe. [76.3-T86]
»
ha supremaipartènza. Aruesi-d- oro ~ -
Guarniti e ricamai»-, c drappi e giubbe
Di moresco lavoro, ed hllri degni
Di lui vestili e fregi, 'e ricca e .larga
Copia di biàncherie;»d<?nùgli£ eclisse r • ' *
, Prendi, figlia, da me qqest’opre uscite
Da le.mte mani, e 'per memoria. iien^e v
Del grande è lungo amor che seppie av ratti
Androni deli e d’Ettorre; ultimi dóni1 '
>Che ricevi tip* tuoi. Tu mi sei, figlio/ • .
Quell* unioo sembiante elle nii resta, .
D’ A stiano tic mio. Così la. bocca, -
j
Così le màjn, cosi gli occhi movea - .
Quel mio figlio infelice; e d’tanni eguale
A te, del pari. or saria* leco in flore.
Ed icr da Joro, nnzi da mepartenda/ . '
Con. le lagrime agl i. ocelli olfin soggiunsi:
Vivete lieti voi,«ui già Insorte^ *
Vostra è compita :* noi di fato ‘in fà'to,
Di more ip mar -tapini 9 mi rem cercando
Quel che voi, possedete. A noi 1* Ualià
Tanto ognor.se ne va più lunge, quanto •
Più la seguiamo; c voi. già la sembianza
D’ Ilio e di Tt'oia in pace vi godete,
[482-497]
Die
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[787-8 MJ] libro iti. • -141
#
Regno e fattura vostra, ali! clic de l’altra
Sia sempre c più felice e meno esposti
A le forze de’ Greci. Io s’ unqua.il Tebro
Vedrò, se fia già mai che ne’ suoi campi
Sorgan le mura destinate a noi: .
Come Iq, nostra Esperia e ’l vostro Epiro
Si son vicini, e come ambe le ferro . .
Fien vicine e cognate, ed ambe avranno
Dardano per autore, e per fortuna
•Un caso stesso; così d’ ambedue''
31 i proporrò clic d’an\mi c d’amore
Siamo una Troia: e ciò perpetua cura
Sia de’ nostri nipoti. Entrali in mare
Ne spingemmo oltre agli Cerauni mouti
A Butroto vicini, onde a le spiagge
Si fa d’ Italia il più breve tragitto.
Già dechinava il sole, e creseean l’ ombre
De’ monli opachi, quando a terra vólti
Col desire, e co’ remi in su la riva
Pur n’ adducemmo, e procurammo a’ corpi
Cibo, riposo c sonno. Ancor la notte
Non era al mezzo, die del suo stramazzo
Surse il buon Palinuvo; e poscia ch’ebbe
Con gli orecchi spiati il vento e ’l mare,
Caro. — IO. [498*514]
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442 l’ emide. [811-834]
Mirò le stelle, contemplò V Arturo,
L’ ladi piovóse, i gemini Trioni,
Ed Orione armato: e visto il cielo
Sereno c *1 mar sicuro, in su la poppa
Recossi, e ’1 segno dienne. Immantinente
Movemmo il campo, c quasi in un baleno
Giunti c posti nel mar, vela facemmo.
Avea 1’ Aurora già vermiglia c rancia
Scolorite le steHe, allor che lungo
Scoprimmo, c non ben chiari, i monti in prima
Poscia i liti d’Italia. Italia! Acate
Gridò primieramente: Italia! Italia!
Da ciascun legno ritornando, allegri
Tutti la salutammo. Allora Auchise
Con una inghirlandata e piena tazza
In su la poppa alteramente assiso,
0 del pelago, disse, e de la terra,
E de le tempesta numi possenti,
Spirale aure seconde, e vèr I’ Ausonia
De’ nostri legni agevolate il corso.
Rinforzaronsi i veliti ; apparve il porto
Più da vicino; apparve al monte in cima
Di Pallade il delubro. Allor le vele
Calammo, fe con le prore a terra demmo.
[515-532]
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[835-858] libro ni. 443
É di vèr T Oriente un curvo seno
In guisa d’ arco, a cui di corda in vece
Sta d’ un lungo macigno uu dorso avunti,
Ove spumoso il mar percuote e frange.
Ne’-suoi corni ha due scogli, anzi due torri,
Che con due braccia il mar deutro accogliendo
Lo fa porto e l’asconde; e sovra a! porto
Lunge dal lito è ’l tempio. Ivi smontati,
Quattro destrier vie più che neve bianchi.
Che pascevano il campo, al primo incontro
Per nostro augurio avemmo. Oh ! disse Anchisc,
Guerra ne si minaccia; a guerra additti
Sono i cavalli; o pur sono anco al carro
Talvolta aggiunti, e van del pari a giogo:
Guerra fla. dunque in prima, è pace dopo.
Quinci devoti, venerammo il nume
De Y armigera Palla, a cui gioiosi
Prima il corso indrizZammo. In su la riva
Altari ergemmo; e noi d- intorno, come
Eleno ci ammoni, le teste avvolte
Di frigio ammanto, à la gran Giuno argiva
Preghiere e doni e sacrifizii offrimmo.
Poiclrtr solennemente i prieghi e i voti
Furon compiti, al mar ne radduceimno
[533-549]
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444 ' l’ exeiue. [859-882]
Immantinente; e rivolgendo i corni
De le velale antenne, il greco ospizio *
E ’l sospetto paese abbandonammo. *
E prima il tarantino erculeo seno
(Se la sua fama è vera) a vista avemmo”.
Poscia a rincontro di Lacinia il tempio, ’ ‘
La ròcca di Cuulòne e ’l Scillacèo, •
Onde i navili a si gran rischiò vanno.
Indi .ne la Trinacria al mar diseosto
D’Etna il monte vedemmo, e lunge udimmo
Jl fremito, il muggito, i tuoni orrendi
Che fa'ceaii ne’ suoi litre ’ntorno a’ sassi
E dentro a le caverne i flutti e i fuochi,
Al ciel ruttando insieme il mare e *1 monte
Fiamme, fumo, faville, arene e -schiuma.
Qui disse il veòcbio Ànchise: E forse questa
Quella Cariddi 1 Questi scogli certo,
E questi sassi orreudi. Eleno dianzi
Ne profetava. Via, compagni, a’ remi
Tutti in un tempo, e vincitori usciamo
D’un tal periglio. Palinuro il primo
Rivòlse la sua vela e la sua proda
Al manco lato; e ciò gli altri seguendo,
Con le sarte e co’ remi in un momento
[5 49- 5623
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[8S3-906J- • libro in. 145
Ne gitlamjno a sinistVa; « ’l mar Sorgendo
Prima al ciel ne sospinse £*indi calando, .
Ne 1’ abisso ne trasse» In ciò tre volte
Mugghiar sentimmo i cavernosi scogli,
E tre volte rivolgi in vèr le stelle
D’ umidi sprazzi e di salala schiuma
Il ciel vedemmo rugiadoso^ molle.
Eravam lassi: è T vento e ’l sole insieme
Ne mancàr.si, che del viaggio incerti"
Disavvedutamente p le contrade *
De’ Ciclopi approdammo. È per sè stesso
A’ venti inaccessibile é capace
Di molli legni il porto ové sorgemmo;
Ma si d’ Etna vicino-, che i suol tuoni
E le sue spaventevoli ruine
Lo tempestano ognora. Esce talvolta
Da questo monte- a l’aura un’atra nube '
Mista di nero fumo é di roventi
Faville, che di cenere e di pece
Fan turbi e grappi, ed ondeggiando a scosse
Vibrano ad ora ad-or lucide fiamme
Che van lambendo-n .scolorir le stelle;
E talvolta, le sue viscere stesse -
Da sè divelle, immani sassi e scogli
[563-576]-
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U6 l* eheioe. [007-930]
Liquefatti e combusti al ciel vomendo
In fin dal fondo ronioreggia c bolle.
È fama-, clic dal fulmine percosso
E non estinto, sotto a questa mole
Giace il corpo d’ Encelado superbo;
E che quando per duolo e per lassezza
Ei si travolvc, o sospirando anela,
Si scuote il monte c la Trinacria tutta; '
E del ferito petto il foco uscendo
Per le caverne mormorando esala,
E tutte intorno le campagne e ’l cielo
Di tuoni empie c di pomici e di fumo.
A questi mostri tutta notte esposti
Entro una selva stemmo, non sapendo
Lc-cagioh d’essi, e di cercarle ogn’ uso
Ne si togliea, poiché ’l paese conto
Non c’era: nò stellato, nò sereno
Si vedea ’l ciel, ma fosco e nubiloso,
E tra le nubi era la luna ascosa.
Già del giorno seguente era il mattino,
E chiaro albore avea I’ umido velo
Tolto dal mondo; quando ecco dal bosco
Ne si fa ’nconlro un non mai visto altrove
Di strana c miserabile sembianza,
[577-591]
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[931-954] libro m. 447
Scarno, smunto c distrutto; una figura
Più di mummia clic d’uomo. Avea la barba
Lunga, le'chiome incolte, indosso un manto
Ricucito. dà spini: orrido tutto,
E squallido e difforme,- con le mani
Verso il lito distese, a lento passo
Venia mercè chiedendo. Era costui, *
Come prima ne parve e»poscia udimmo,
Greco, e di quei che mililaro a Troia.
Onde noi per Troiani e i nostri arnesi
E le nostr’armi conoscendo, in prima
Attonito fermossi; e poscia quosi
Rincorato a noi venne, e con preghiere
E con pianto ne disse: Oh ! se le stelle,
Se gli Dei, se quest’ aura onde spiriamo,
Generosi e magnanimi Troiani,
Serbin la vita a voi, quinci mi tolga
- *
La pietà vostra, e vosco m adducete,
Ove che sia ; chè mi fìa questo assai;
Poich’ io son greco, e di quei Greci ancora
Che venner (lo confesso) ai danni vostri.
Se’l fallo è tale, e se ’l vostro odio è tanto
Ch’ io ne deggia morir, morte mi date,
E, se così v’ aggrada, a brano a brano
[592-605]
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\ iS l’eneiue. {955-97fc]
Mi laniatc, e nc fate escala’ pesci ;
Che se per. maii d’ umana gente io péro,
Perir mi giova. E, cosi detto, a’ piedi
Nc si gittò. Noi Pcssortammo a dire
Chi fosse $ di che patria e di che sangue,
E qual era il suo caso. Il vecchio Auchisc
La- sua destra gli' pòrse, e con tal pegno
1/ a (Fidò di salute; ond’ ei- seeuro
Tosto soggiunse: Itaca è patria mia,
Achemenide il nome.. Io fui compagno •* *
De 1’ infelice Ulisse, e venni a Troia,
La povertà del- mio padre .Adaraasto
Fuggendo (così povero mai sempre
Foss’ io stato con lui !) : qui capitai
Con esso Ulisse pe qui, menti*’ ei fuggia '
Con gli altri suoi questo crudele ospizio,
Per témg abbàndonommi c per oblio
Ne l’antro del ciclopo. È questa un antro'
Opaco, immenso, che macello è sempre
I)’ Umana carne, onde ancor sempre intriso
E . di sanie « di sangue; ed è ’l ciclopo
Un mostro spaventoso, un che col capo
Tocca le stelle (o Dio, leva di terra „
Una tal peste), eh’ a mirarlo solo,
[605-620,]
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I
^979- I0Q2] libro hi. 140
Solo a parlarne orror senio cd angoscia. •
Pascesi de |e viscere e del sangue
De la misera genie ;• ed io l’ho >islo
Con gli Dechi mici. nel suo speco rovescio •
Stender le branche, e due presi de’ nostri,
Rotargli a cerco, c sbattergli, e schizzarne
In (Va quei tufi le midolle e gli ossi.
Visi’ ho. quando le membra de’ meschini
Tiepide, palpitanti c vive ancora
Di sanguinosa bava il mento asperso
Frangca co’ denti a guisa di maciulla.
Ma noi soffrì senza vendetta Ulisse;
Nò di se stesso in sì mortai periglio
Punto obliossi; che non prima steso
Lo vide ebbro c satollo a capo chino
Giacer ne V antro, c sonnacchioso e gonfio
e
Ruttar pezzi di carne e saugue c vino,
Che ne restrinse; cd invocati in prima
I santi numi, divisò le veci
Si, che parte il tenemmo in terra saldo, * .
Parte, con un gran palo al foco aguzzo,
Sopra gli Tumulò; e quel eh’ unico avea
Di targa e di febèa lampade in guisa
Sotto la torva fronte occhio rinchiuso,
[G!!0-637]
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*
/ »
> I
150 l’ ejceide. [1003-1026]
Gli trivellammo, vendicando alline
Col tòr la luce a lui I' ombre de* nostri.
Ma voi che fate qui? che non fuggite,
Miseri voi ? Fuggite, e senza indugio
Tagliate il fune e V allargate in. mare:
Che così smisurati e cosi fieri,
Coni’ è costui che Polifemo è detto,
Ne son via più di cento in questo lito,
Tutti ciclopi e tutti antropofàgi
Che vanno il dì per questi monti errando.
Già visto ho la cornuta e scema luna
Tornar tre volte luminosa e tonda,
Do che son qui tra selve e tra burroni
Con le fere vivendo. Entro una rupe
È ’l mio ricetto ; e quindi, benché lunge
Gli miri, ad or ad or d’ avergl’ intorno
Mi sembra, e ’l suon n’ abborro e’1 calpestio
De la voce e de’ piè. Pascomi d’ erbe,
Di coccole^ di more e di corgnali,
E di tali altri cibi acerbi e fieri :
Vita c vitto infelice. In questo tempo,
Quanto ho scoperto intorno, unqua non vidi
Ch’altro legno già mai qui capitasse.
Salvo eli’ i vostri. A voi dunque del tutto
[637-652]
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[1027-10,50] Liono in. ibi
M* addica; e, clic clic sia, parrà ni mi assai
Fuggir questa nefanda e (lira gente.
Voi, pria die qui lasciarmi, ogni supplizio
.ìli date ed ogni morte. A pena il Greco
Avea ciò dello, ed ecco in su la vetta
Del monte avverso, Polifemo apparve.
Sembrato mi sarebbe un alto monte,
A cui la gregge sua pascesse intorno,
Se non che si inovea con essa insieme,
E torreggiando inverso la marina
Per P usalo senlier se ne calava:
Mostro orrendo, difforme e smisurato,
Clic avea come una grotta oscura in fronte
Invece d’ occhio, c per bastone un pino,
Onde i passi fermava. Avea d’ intorno
La greggia a’ piedi, e la sampogna al cojlo,
Quella il suo amore, c questa il suo trastullo,
Ond’ orbo alleggeriva il duolo in parte.
Giunto a la riva, entrò ne V onde a guazzo ;
E pria de l’occhio la sanguigna cispa
Lavossi, ad or ad or per ira i denti
Digrignando e fremendo; indi si stese
Per entro M mare, e nel più basso fondo
Fu pria co’ piò, che non furi’ onde a Panche.
[653-665]
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152 l’eneidb. [1054 -d 074]
Nói per paura, ricevuto in prima,.
Come ben meritò, l’ospite greco,
Di fuggir n’ affrettammo; e chetamente*-
Sciolte- le funi, a remigar ne demmo
Più che di furia. Udì ’l ciclope, il suono
E ’l trambusto de’ rami : e vólti i passi
Vèr quella parte e ’l sjuo gran pino a cerco,
Poiché lungi sentitine, c lungamente
Pensò seguirne per l’ Ionio in vano, *
.Trasse un mugghio, che ’l mare i liti intorno
. Ne tremftr tulli, ne sentì spavento
Fino a l’Italia: ne tonaron quanti
La Sicania avea seni, Etna caverne.
L’ udir gli altri .ciclopi, e da le selve
E da’ monti calando, in un momento
Corsero- al porlo, c se n’ empierò i liti.
Gli vedevam da lungo in su 1’ arena,
Quantunque indarno, minacciosi e torvi
Stender le braccia a noi, le teste al cielo:
Concilio orrendo, che ristretti insieme
Erano quni di querce annose a Giove,
Di cipressi conifcri a Diana
S’ ergono i boschi alteramente a i’ aura.
Fòro timor n’assalse; e da 1’ un canto
[GGG-G82]
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[I075H098] nano in. • i53
Pensammo di lasciar che ’l vento stesso.
y
Ne |)Oi*tassc a seconda ovunque fosst?,
Purché limge da loro; ma da V altro, •*
D’ Eleno còl vietava il detto espresso, -
Che per mezzo di Scilla 0 di ■Cariddi ' *
Passar non si devesse a sì -gran rischio,
E tfi sì poco spacio e quinci e quindi^.
Scevri da morie. In questa, che già fermi
Eravam di voltar le vele a dietro,
Ecco che da lo stretto di Peìoro,
• i
Ne vien Bora a grand’ uopo, onde repente
A la sassosa foce-di Pantagia,
• • *
Al Megarico seno, ai bassi liti
Ne trovammo di Tapso. In cotal guisa
Riferiva Aehemenide, compagno'
Che s’ è detto d’ Ulisse, èsser nomali
Quei lochi, onde pria seco era passalo.
Giace de la Sicaniu al golfo avanti \
Un’ isolctta che a Plemmirio ondoso .
È posta incontro, e dagli antichi è detta
Per nome Orligia. A quest’ isola è fama, *
Che per’vic sotto al mare il greco Alfeo - •
Vien, da Doride intatto, infili d’ Arcadia
Per bocca d’ Arciusa a mescolarsi ‘ .
[083*695]
Digitized by Google
454 l’exeide. [ 1099- H 22]
Coji T onde di Sicilia. E rj-ui dei loco
Venerammo i gran numi; indi varcammo
Del paludoso Kloro i campi opimi.
Rademmo di Pachino i sassi alpestri,
Scoprimmo Ca meri uà, e M fato udimmo,
Che mal per lei fora il suo stagno asciutto.
La pianura passammo de* Geloi,
Di cui Gela è la terra, e Gela il fiume.
Molto da lunge il gran monte Agragante
Vedemmo, e le sue toì ri e le sue spiagge
Che di razze fur già madri famose. '
Col vento stesso indietro ne lasciammo
La palmosa Seiine; e ’n su la punta
Giunti di Lilihèo, tosto girammo
Le sue cieche seccagnc, e ’l porto aitine
Del mal veduto Drepano a fi errammo.
Qui, lasso me! da tanti affanni oppresso,
• • «
A tanti esposto, il mio diletto padre,
Il mio patire perdei. Qui stanco e mesto,
Padre, m’ abbandonasti : e pur tu solo
M’ eri in tante gravose mie fortune *
Quanto avea di conforto e di sostegno.
Oimò! che indarno da sì gran perigli
Salvo nc ti rendesti. Ah, che fra tanti
[(>9G-7 lì]
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[I123-1134J libro hi. -1 55
Orrendi e miserabili infortunii,
Ch'Eleno ci predisse e l' empia arpia,
Questo non era già, ch'era il maggiore!
Oh fosse questo ancor 1’ ultimo affanno
Com' è 1’ ultimo corso! Chè partendo
Da Drepano, se ben fera tempesta
Qui ni’ ha gittato, certo amico nome
M' ha, benigna regina, a voi coqdotto.
' Cosi da tutti con silenzio udito,
/
Poich'ebbe Enea distesamente esposto
La mina di Troia e i rischi e i fati
E gli error^uoi, fece qui fine c tacque;
[711-718]
# *
•* m - ■ [j-is]
• • DELL’ ENEIDE
, %
• 4 *
Licito Quarto.
Ma la rovina d’ amoroso strale
Già punta ri core, e né le vene accesa *•;.
D'occulto foco, intanto arde e si sface:
E de T amato Enea fra sè volgendo -
Il legnaggio, il yalore, il senno, T opre,
E que! che più le sta ne l' alma impresso
Soave ragionar, dolce .sembiante,
Tutta notte ne pensa, e mai non dorme.
Sorgea l’ Aurora, quando sursc aneli' ella,
. Cui le piume parean già stecchi e spini;
E con.la sua diletta e fida suora
Si ristrinse e le disse;. Anna sorella,
Che vigilie, che sogni, che spaventi
Son qhesti miei? ehe peregrino è questo
Che qui novellamente 6 capitato?
Vedcstu mai sì grazioso aspetto ?
Conoscesti unqua il più saggio, il più forte,
E il più guerriero? Io credo (e non* è vana
.[M2] ;
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L19-4ZJ -LIBRO IV. ib
t
La mia credenza) che dal ciel discenda
Veracemente. L' alterezza è segno
D’ animi generosi. E chejortune, ;
E che guerre ne conia Mtr, se non fusse
Che fermo. e stabilito ho nel cor inio
Che nodo maritai più non mtstringa,
Poiché il primo si* ruppe, e se d’ ognuno
Schiva non fossi, solamente a lui
Forse m’ incbijie|ei« Cli’a dirti ’l vero,
Anna mia, da che morte e l* empio frate
Mi privar di Sichèo, sol questi ha mosso
1 miei sensi e ’l mio core, e solo in lui
Conosco i segni de l’ antica fiamma.
.Ma la terra m’ingoi e’I ciel mi fulmini,
E ne l’abisso mi trabocchi in prima
Ch’ io ti violi mai, pudico amore;
Col mio Sichèo, con chi pria mi giungesti
Giungimi sempre, e ’ntemerato e puro
Entro al sepolcro suo seco ti serba.'
E qui piangendo e sospirando tacque.
Anna rispose.: 0 più de la mia vita
Siessa, amata sorella, adunque sola
Vuoi tu védova sempre e sconsolata •
Passar questi tuoi verdi e florid’ anni,
Caro.— 11. [12-52]
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I
^58 L.’ ENEIDE. [43-66]
Che frutto non ne colga, e mai non gusti
La dolcezza di Venere e ’l contento
De’ cari figli? Una gran cura certo
llan di ciò 1’ ombre e ’l cener de’ sepolti.
Abbiti insino a qui fatto rifiuto
E del gelùlo Iarba c di tant’ altri
Possenti, generosi e ricchi duci
Peni e Fenici}, oh’ io di ciò li scuso,
Coni’ allor dolorosa, e non amante;
Ma poi eh’ ami, ad amor sarai re bello,
E ritrosa a te stessa? Ali! non sovvienti
Qual cinga il tuo reame assedio intorno?
Coni’ ha gl’ insuperabili Gettili
Da 1’ una parte, i Nùmidi da l’altra,
Fera gente e sfrenata? indi le secche,
Quinci i deserti, e più da lunge infesti
I feroci Barcci ? Taccio le guerre
Che già sorgon di Tiro, e le minacce
Del fiero tuo fratello. Io penso certo
Che la gran Giuno, e tutto il ciel benigno
Ne si mostrasse allor che a’ nostri liti
Questi legni approdare. 0 qual ciltade,
Qual imperio fia questo! Quanto onore,
Quanto prò, quanta gloria a questo regno
[33-47]
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LIBRO IV.
159
[67-90] libro iv. 159
Nc verrà, quando ei teco, e P armi sue
Saran giunte a le nostre! Or via, sorella,
Porgi preci agli Dei, fa’ vezzi a lui,
Assecuralo, onoralo, intratticllo ;
Cliò ’1 crudo verno, il tempestoso mare,
Il piovoso Orione, i venti, il ciclo,
Le sconquassate navi in ciò ne danno
Mille scuse di inora e di ritegno.
Con questo dir, clic fu qual aura al foco
Ond’ era il cor de la regina acceso,
L’ infiammò, P incitò, speme le diede,
E vergogna le tolse. Andaro in prima
A visitare i tempii, a chieder pace
E favor da’ celesti, a porger doni,
A far d’elette pecorelle offerta
A Cerere, ad Apollo, al padre Bactfo,
E, pria che a tutti gli altri, a la gran Giuno,
Cui son le nozze c i montaggi a cura.
La regina ella stessa ornata e bella
Tien d’oro un nappo, c fralecorna.il versa
D’una candida vacca; o si ravvolge
Intorno a’ pingui altari, ed ogni giorno
Rinovù i doni, e de le aperte vittime
Le palpitanti fibre, i vivi pioli,
[48-64]
«s* -
fc» f ■
Digiterei tiy Cioogle
460
l’ ENEIDE. [91-114]
E le spirami viscere contempla,
E con lor si consiglia. 0 menti sciocche
Degl’ indovini! E che ponno i delubri,
E i voli, esterni aiuti, a mal eli’ è dentro?
Nel cor, ne le midolle e ne le vene
È la piaga è la fiamma, ond’ arde e pére. '
Arde Dido infelice, e furiosa
Per tutta la città s’aggira e smania:
Qual nc’ boschi di Creta incauta cerva
D’insidioso arcicr fogge lo strale
Clic 1’ ha già colta; e seco, ovunque vada.
Lo porta al fianco infisso. Or a diporto
Va con Enea per la città, mostrando
Le fabriche, i disegni e le ricchezze
Del suo nuovo reame; or disiosa
Di scoprirgli il suo duol prende consiglio :
Poi non osa,>o s’ arresta. E quando il giorno'
Va declinando, a convivar ritorna,
E di nuovo a spiar degli accidenti •
E de’ fati di Troia’, e nuovamente
Pende dal. volto del facondo amante.
• *
Tolti da mensa, allor clic notte oscura
In disparte gli traggo, e clic le stelle^ ’
.Sonno, dal ciel caggendo, agli occhi infondono,
[64-81]
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[115-138] libro iv. 461
Dolente, in solitudine ridotta,
Ritirata dagli altri, è sol con lui '
Che le sta lunge, e lui sol vede e sente.
Talvolta Ascanio il pargoletto figlio
Per sembianza del padre in grembo accolto,
Tenta, se così può, Pai-dente amore
0 spegnere o scemare, o farli inganno.
Le torri, i tempii, ogn’ edificio intanto
Cessa di sormontar ; cessa da V arme
La gioventù. Le porte, il porto, il molo
Non sorgon più; dismesse ed interrotte
Pendoli 1’ opere tutte e la gran macliinn
Che fea dianzi ira a’ mpnti. escorilo al cielo.
Vide da Y alto la saturnia' Giuno
11 furor di Didone, e tal- che-fama
E rispetto d’ onor più non raffrena; •,
Onde Venere assalse, e ’n cotal guisa
Disdegnosa le disse : Una gran loda
Certo, un gran merlo, un metnorabH nome
J'u col fanciullo tuo, Ciprigna, acquisti
D’aver due sì gran dii vinta una femina..
10 so ben che guardinga e sospettosa
Di me ti rende e de la mia Cartago
11 temer di tuo figlio. Ma fia mai - ,
[$2-98]
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■162
l’ e.ieide.
[139-162]
Clic questa tema e questa gelosia
Si finisca tra noi? Cliè non più tosto
Con una eterna pace e con un saldo
Nodo di maritaggio unitamente
Ne ristringerne? Ecco hai già vinto; e vedi
Quel che più desiavi. Ama, arde, infuria;
Con ogni allctto è verso Enea tuo figlio
La mia Dido rivolta. Or lui si prenda;
E noi concordemente in pace abbiamo
Ambedue questo popolo in tutela;
Nò li sdegnar clic si nobil regina
Serva a frigio marito, c eli’ ci le genti
N* aggia di Tiro e di Cartago in dote.
Venere, che ben vide ove mirava
Il colpo di Giunone, e che l’ occulto
Suo bersaglio era sol con questo avviso
Distor d’ Italia il destinato impero
E trasportarlo in Libia, incontro a lei
Così scaltra rispose. E chi si folle
Sarebbe mai eh’ un tal fésse rifiuto #
Di quel ch’ei più desia, per teco averne,
Teco che tanto puoi, gara e tenzone,
Quando ciò che tu di’ possibil fosse?
Ma non so che si possa, nè che M fato,
[9S-1I0]
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[163-186] libro iv. 163
Nè che Giove il pennella, che due genti
Diverse, come son Tiri e Troiani, .
Una sola divenga. Tu consorte
Gli sei; tu ìièl dimanda, e tu l’ impetra,
Ch’io, per me, me n’appago. Ed io, soggiunse
Giuno, sopra di me l’ incarco assumo,
Ch’ ei nèl consenta. Or odi brevemente
Il modo che a ciò far già ne si porge.
Tosto che ’i sol dimane uscirà fuori,
Uscir ancor V innamorata Dido
Col troian duce a caccia* s’ apparecchia.
Ove opportunamente a la foresta,
Mentre de’ cacciatori e de’ cavalli
Andran le schiere in volta, io loro un nembo
Spargerò sopra tempestoso e uero,
Con un turbo di grandine e di pioggia,
E di sì fteri tuoni il cielo empiendo,
Ch’ indi percossi i lor seguaci tutti, '
Andran dispersi e d’ atra nube involti.
Solo con sola Dido Enea ridotto'
In un antro medesimo accorrassi;
Io vi sarò; saravvi anco Imeneo;
E se del tuo voler tu m’ assecuri,
Io farò sì, eh’ ivi ambidue saranno
[110-126]
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164 l’ emf.ide. [187-210]
Di nodo indissolubile congiunti. - .
Venere in ciò non disdicendo, insieme
Chinò la lesta: e de la dolce froda
Dolcemente sorrise. Uscio del maro
L’ aurora intanto; ed ecco fuori armati
Di spiedi e di zagaglie a suon di corni
Venirne i cacciatori, altri con reti,
Altri con cani. Ila questi un gran molosso.
Quelli un veltro a guinzaglio, e lunghe file
Van di scguci incatenati avanti. '
Scorrono intorno i cavalier Mossili;
E i maggior Peni, e -più chiari penici
Stanno in sella- aspettando anzi-hl palagio,
Mentre ad uscir fa la regina indugio;
E presto intanto, d’ ostro e d* oro adorno
Il suo 'giacilo e vagamente fiero,
Ringhia, c sparge-la terra, e morde il freno.
Esce a la fine accompagnata intorno
Da regio stuolo, e non con regio arnese, -
Ma leggiadro c ristretto. È la sua veste
Di tirio drappo, c d’ arabo lavoro
Riccamente fregiala ; ò la sua chioma
Con nastri d’oro in treccia al capo avvolta,
Tutta di gemme come stelle asperga ;
[126-188]
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165
V
[211-234] libro iv.
E il’ oro son le fibie, onde, sospeso
Le sta il’ intorno de la gonna il lernbd.
Dagli omeri le penile una faretra j
Dal fianco un arco. 1 Frigide ’l.bello Iulo
Le cavalcano avanti; e via più bello
«
Ma di beltà feroce e graziosa
Le giva Enea con la sua schiera a -lato.
Qual se ne va da Licia e da le rive
Di Xanto, ove soggiorna il freddo inverno,
A la materna Deio il biondo Apollo,
Allor che festeggiando accolli c misti
Infra gli altari i Driopi, i Cretesi,
E i dipinti Agatirsi in varie tresche
Gli s’aggirano intorno; o quando spazia
Per le piagge di Cinto, a l’aura sparsi
I bei crin d’ oro, e- de 1’ amata fronde
Le t'empie avvolto, -e di faretra armato,
Tal fra la gente si mostrava, e tale
Era ne’ gesti e nel sembiante Enea,
Sovra d’ ogn’ altro valoroso e vago.
Poscia clic furo a’ monti, e nel più folto
• , .
PenetrAr de le selve, ecco dai balzi
De 1’ alle rupi uscir capri e camozze,
E cervi altronde, clic d’ armenti in guisa,
[139-1543
1G6 l’e.veide. [235-25 8]
Quasi in un gruppo spaventati a torme
Fuggono al piano, e fan nubi di polve.
Di ciò gioioso il giovinetto Iulo
Sul feroce destrier per la campagna
Gridando e traversando, or questo arriva,
Or quel trapassa; e nel suo core agogna
Tra le timide belve o d’ un cignale
Aver rincontro, o che dal moute scenda
Un velluto leone. In questa il cielo
Mormorando turbossi, e pioggia e grandine
Diluviando, d’ogui parte in fuga
Ascanio, i Teucri, i Tiri ai più propinqui
Tetti si ritiraro ; e (lumi in tanto
Sceser da’ monti, ed allagaro i piani.
Solo con sola Dido Enea ridotto
In un antro medesimo s’ accolse.
Diè di quel, che segui, la. terra segno
E la pronuba Giuno. 1 lampi, i tuoni
Fur de le nozze lor le faci e i canti;
Testimoni assistenti e consapevoli
Sol ne fur I’ aria e l’antro; e sopra ’l monte
N’ ulularmi le ninfe. IL primo giorno
Fu questo, e quésta fu la prima origine
Di lutti i mali, e de la morte alfine
[155-109]
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LIBRO IV.
[259-282] libro iv. 1C7
De la regina; a cui poscia non calse *
Nè .de V indegnità, nè de l’onore,
Nè de la secrelezza. Ella si fece
Moglie chiamar d’ Enea; con questo nome
Ricoverse il suo fallo; e di ciò tosto
Per le terre di Libia andò la fama.
E questa fama un mal, di cui nuli’ altro
É più veloce: e com’ più va, più cresce,
E maggior forza acquista. È da principio
Picciola c debbi 1 cosa, c non s’arrischia
Di palesarsi; poi di mano in mano
Si discuopre c s’ avanza, e sopra terra
Sèn va movendo e sormontando a 1’ aura,
Tanto chc’l capo infra le nubi asconde.
Uicon che già la nostra madre antica,
Per la ruina de’ giganti irata
Contr’ a’ celesti, al mondo la produsse,
I)’ Encèlado e di Ceo minor sorella;
Mostro orribile e grande, c d’ali presta
E veloce de’ piè; chè quante ha piume,
Tanti ha sotto occhi vigilanti, e tante
(.Meraviglia a ridirlo) ha lingue e bocche
Per favellare, e per udire orecchi.
Vola di notte per 1’ oscure tenebre
[170-184] -, -*>■
m
l’ MMEIDG.
[283-306]
De la terra e del ciel senza riposo,
Stridendo sempre, c non chiude occhi inai.
Il giorno sopra tetti, e per le torri
Sèn va de le città, spiando tutto
Che si vede e die s’ode; e seminando,
Non men che ’l bene e ’1 vero, il male e ’l falso,
Di rumor empie e di spavento i popoli.
Questa. gioiosa, bisbigliando in prima,
Poscia crescendo, del seguito caso
Molte cose dicea vere e non vere.
Dicea, eli’ un, di troiana stirpe uscito,
Venuto era in Cartago, a cui degnata
S’jera la bella Dido esser congiunta,
Chi con nodo dicea di maritaggio,
Chi di lascivo amore; e ch’ambedue,
Posti i regni in non cale, a 1’ ocio^ al lusso,
A la lascivia bruttamente additti,
Con$uninvan del verno i giorni tutti.
Queste, e cose altre assai, la soyza Dea
Per le bocche degli uomini spargendo,
Tosto in Gclulia al gran larba pervenne-;
E con parole e con punture acerbe
Sì de P offeso re 1’ animo accese,
Ch’arse d’ira c di sdegno. Era d’Ammone,
' [184-198]
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'v
[307-330] libro iv. 469
E de la Garnmantide Napea,
Già rapita da lui, questo re nato,
Onde a Giove suo padre entro a* suoi regni
Cento gran tempii e cento pingui altari
Avea sacrati, e di continui fochi
Mantenendo agli Dei vigilie eterne,
Di vittime, di fiori e di ghirlande
Gli tenea sempre riveriti e cólti.
Ei si com’ era afflitto e conturbato
Da 1’ amara novella, anzi agli altari,
E fra gli Dei, le- mani al cielo alzando,
Cotali, umile insieme e disdegnoso,'
Porse prieghi e querele: Onnipotente
Padre, a cui tanti opimi e sontuosi
Conviti, e di Lenèo sì larghi onbri
Offrisee oggi de’ Mauri il gran paese,
Vedi tu queste còse? o pure invano
Tonando e folgorando ci spaventi?
Una feraina errante, una che dianzi
Ebbe a prezzo da me nel mio paese,
Per fondarla sua terra, un picciol sito;
Una eh* arena ha per arare, ha vitto,
Luco e leggi da me, me per#marito
Rifiuta ; e di sè donno e del suo regno
[198-224]
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470 t»* ekeide. [331-364]
Ha fallo Enea. Questo or novello Pari
Con quei suoi delicati e molli eunuchi,
Mitrato il mento e profumato il crine,
Va del mio scorno c del suo furto altero:
Ed io qui me ne sto vittime e doni
A te porgendo, e son tuo figlio indarno.
Così larba dicca ; nè da V altare #
S’ era ancor tolto, quando il Padre udillo;
E gli occhi in vèr Cartagine torcendo
Vide gli amanti eli’ a gioire intesi
Àveati posti in oblio la fatua e i regni.
Onde vólto a Mercurio; Và’, figliuolo,
Gli disse-, chiama i venti, e ratto scendi
Là ’ve sì neghittoso il troian duce
Bada in Cartago, e ’1 destinato impero
Non gradisce e non cura; e ciò gli annunzia
Da parte mia: che Venere sua madre
Non per tal lo mi diede, e di’ a tal fine
Non è stato da lei da V armi greche.
Già due v.olte scampato. Ella promise
Ch’ei sarebbe atto a sostener gP* imperi
E le guerre dMtalia, e trar qua suso
Lo progenie df Teucro, a porre infreno,
A dar le leggi al mondo. A ciò se ’l pregio
[224.232]
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[355-378] unno iv. 171
Di sì gran cose e de la gloria stessa
Non muove lui, perchè non guarda al figlio?
Perchè di tanta sua grandezza il froda.
Di quanta finn Lavinio ed Alba e Roma
Ne’ secoli a venire? E eoq che speme,
Con che diseguo in Libia fa dimora?
E co’ nemici suoi? Navighi in somma.
Questo dilli in mio nome. Udito ch’ebbe
Mercurio, ad esseguir tosto s’ accinse
I precetti del padre; e prima a’ piedi
I talari adaltossi. Ali son queste
Con penne d’oro, ond’ eiT aria trattando,
Sostenuto da’ venti, ovunque il corso
Volga, o sopra lo terra, o sopra al mare,
Va per lo ciel rapidamente a volo.
Indi prende la vergò, ond’ hò possanza
Fin ne l’ inferno, onde richiama in vita
L’ anime spente, onde le vive adduce
Ne l’ imo abisso, e dò sonno e vigilia
E vita e morte; aduna e sparge i venti,
E trapassa le nubi. Era volando
Giunto là ’ve d’ Atlante il capo e ’l Ranco
Scorgea, de fé cui spalle il cielo è soma;
D’ Atlante, la cui testa irta di pipi, „
[232-248]
• » «
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472 l’ejieide» [379-402]
Di nubi involta, a piogge, a venti, a nembi
È sempre espósta; il cui mento, il cui dorso,
E per nicvi e per giel canuto c gobbo,
È da fiumi rigato. In questo monte,
Clic Ai padre di Maia, avo di lui,
Primamente fermossi. Indi calando * *
Si gittò sovra l’onde, e lungo al Irto
Di Libia se n’andò) V aure secando
In quella guisa che marino augello
D’ un’ alta ripaga nuova pesca inteso,
Terra terra sòn.va tra. ri ve e scogli
Umilmente volando. A pena giùnto
Era in Cautago, che dlavanti Etiea
Si vide, intento a dar siti e disegni
Ai superbi edilieii. Àvea dapmanco
Lato una-'Storla, di diaspro e d’ oro-
Guarnita, e di stellate gemme adorna. -,
Dal tergo gli pendea di Uria, ardente
Purpura un-Ticco manto, arnesi e dont •
De la sua Diéo ; ch’ella stessa intesta
Avea la tela, e ricamali i fregi.
Nè ’l vide pria, che li fu sopra^ e disse :
Tu te ne stai si neghittosamente,
Enea, servjo d’amor, ligio di donna,
[248-266]
LIBRO IV.
[403.-4!*]
'473
A fondar T altrui regno, e M tuo non Curi?
A te mi manda il regna tor celeste,
Cli’ io ti dica in sua vece: Che pensiero,
Che studio è il tuo ? Con che speranza indugi
In queste parti ? Se ’1 tuo proprio onore,
Se la propria grandezza non ti spinge;
Che non miri a' tuoi posteri, al. destino,
A la speranza del tuo figlio lulo,
A cui si deve il glorioso i ih pero
De T Italia e di Roma? -E più non disse,
Nè più risposta attese ; anzi dicendo,
Uscio d’ umana forma, e dilcguossi.
Stupì, si raggricciò, tremante c fioco
Divenne il tfoiqn duce, il gran precetto
E chi ’1 portava e chi ’l mandava udendo.
Già pensa di ritrarsi; ma che modo
Terrà con Dido ad impetrar coiniato?
Con quai parole- assalirà; con quali
Disporrà mai la furiosa amante?
Pensa; volge, rivolge; in un momento,
Or questo, or quel partito, or tutti insieme
Va discorrendo; ed ora ad un s’appiglia,
Ed ora a 1’ altro. Si risolve alfine:
E fatto a sò venir Memriio, Sergeslo, *
Caro.— 12. [26G-28b]
%
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i 74
l’ ENEIDE. [427-450]
E P ardito Cloauto : Andate, disse,
Raunate i compagni; itene al porto:
E con bel modo chetamente P arme
Apprestale e Pannata, e non mostrate
Segno di novità nè di partenza.
Intanto io troverò lobo opportuno, • *
E tempo accommodato, e destro modo
D’ ottener da quest’ ottima regina,
Che da lei con dolcezza mi diparta,
Nulla sapendo ancor di mia partita,
Nè sperando lai fine a tanto amore/
A P ordine d’ Enea lieti i compagni
Obbedir tutti ; e prestamente in punto
Fu ciò che impose. Ma Didon dèi tratto
Tosto s’ avvide ; e che non vede amore.?
Ella pria se n’ accorse ; eh’ ogni cosa
Temea, benché secura. E già la stessa
Fama importunamente le rapporta
Armarsi i legni, esser i Teucri accinti
A navigare. Onde d’amore e d’ira
Accesa, infuriata, e fuori uscita-
j t)i sè medesma imperversando scorre
Per tutta la città. Quale ai notturni
Gridi di Citcron Tìade, allora
[288-302]
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[451-474] libro iv. 175
Che ’l ti icnnal di Bacco si rinova,
Nel suo moto -maggior si scaglia e freme,
E scapigliata e fiera attraversando,
JE mugolando ai monte si conduce ;
Tal era Dido, e da tal ‘furia spinta
Enea da sè con tai parple assalgo:
•
Ah perfido! celar dunque sperasti
Una tal tradigioue, e di nascosto
' Partir de la mia terra? E del mio amore,
De la tua data fè, di quella morte *
Che ne farà la sfortunata Dido,
Punto non ti sovviene e non ti cale?
Forse che non t’sfrrischi in mezzo ai verno
Tra’ più fieri Aquiloni a Fonde esporti,
Crudele? Or che faresti, se straniere
Non ti fosser le terre, ignoti i lochi
Che tu procuri ? E che faresti, quando
Fusseancer Troiaio piede? A Troia andresti
Di questi tempi?. E me lasci, e me fuggi ?
Deh! per queste foie lagrime, per quello
Che- tu de !u tua fé pegno mi desti,
(Poi che a Dido infelice altro non resta
*
Che a sè tolto non oggia) per lo nostro
Maritai nodo, per l’ imprése nozze,
[302-316]
»
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476 l’ eneide. [i7«-498]
Per quanti Xi fermai, se mai ti fei
Commodo o grazia alcuna; o s' alcun dolce
Avesti, unqua da me, ti priego ch’abbi
Pietà del dolor mio, «le la mina - .
Che di ciò m’ avverrebbe; e (se più luogo
llan le preci cón te) .clic tu «lei tutto
Lasci questo pensiero. Io per te sono
In od io, a Libia tutta, a’ suoi tiranni,
A’ miei Tirii, a me stessa. Ho giù macchiata
La pudicizia; e*(quel. che più mi duole)
Ilo perduta la fama, ond’ io^pur dianzi
Sorvolava le stelle. Or come in preda .
Solo a morte mi las.ci, ospite mio?
Ch’ ospite sol mi resta di chiamarti,
Di marito che m’ eri. E perche «leggio,
Lassa, viver io più? Per veder forse
Che ’l mio fratei Pigrnallon distrugga
Queste mie mura, o ’l tuo rivale larba
In servitù in’ adduca? Almeno avanti .
La tùa partita avess’ io fatto acquisto
D’ un pargoletto Enea, che per le sale
Mi scherzasse d' intorno, e solo il volto, . *
E non altro, di te sembianza avesse;
Ch’ esser non mi parrebbe abbandonata,
(317-330J
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477
[499-522] libro iv. 477
Nò delusa del lutto. A lai parole
Enea di Giove al gran precetto affisso
Tenea il pensiero e gli occhi immoti e saldi,
E brevemente le rispose alfine. •
Regina, e’ non Pia mai eh’ io non mi tenga
Doverti quanto forse unqua potessi
Rimproverarmi. E non fia mai che Elisa
Non mi ricordi infin che ricordanza^
Avrò di rao-medesmo, e che ’l miq spirto
Reggerà queste membra. Ora in discarco
Di me dirò sol questo, die speralo
Nè pensato ho pur mai d’ allontanarmi
Da te, come tu di’, furtivamente;
Nè d’ esserti marito anco pretendo :
Ch’ unqua di maritaggio, o di soggiorno
Teco non .patteggiai. Se ’l mio destino
Fosse che* la mia vita, e i miei pensieri
A mia voglia reggessi, a Troia in prima *
Farci ritorno : raccorrei le dolci.
Sue disperse reliquie; a la mia patria
Di nuovo renderei la vita e i figli,
E la regia e le torri e me con loro. .
Ma ne l’Italia il mio fato mi thiama.
Italia Apollo in Deio,. in Licia, ovunque
[330-346]
178 l’ eneide. [523-546]
Vado o mando a spiarne mi promette.
Quest’ è 1* amor, quest’ è la patria mia.
Se tu, che di Fenicia sei venuta,
Siedi in Cartago, e ti diletti e godi
Del tuo Ubico regno, qual divieto,
Qual -invidia 6 la tua, eh’ i mici Troiani
Prendano Ausonia? Non lece anco a noi
Cercar de’ regni esterni? E non cuoprc ombra
La terra mai, non mai sorgo» le stelle,
Che del mio padre una turbata imago
Non veggia in sogno, e che di ciò ricordo
Non mi porga e spavento. A tutte 1’ ore
Del mio lìgi io sovvienimi, e de l’ ingiuria
Che riceve da me sì caro pegno,
Se del regno d’ Italia io lo defraudo,
Che li son padre, quando il fato e Giove
Nel privilegia. E pur dianzi mi venne
Dal ciel mandato il messaggier celeste
A portarmi di ciò nuova imbasciata
Dal gran re degli Dei. Donna, io ti giuro
Per la lor deità, per la salute
D’ ambedue noi, che con quest’ occhi ’i vidi
Qui dentro in chiaro lume; c la sua voce
Con quest’ orecchi udii. Rimanti adunque
[4546-360]
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[547-570] libro iv. 479
Di più dolerti; c con le tue querele
Nè te ùè me più conturbare. Italia
Non a mia voglia io seguo. E più non disse.
Ella, mentre dicca, crucciata e torva
Lo rimirava, e volgea gli occhi intorno
Senza far motto. Aititi, da sdegno vinta
Così proruppe: Tu, perfido, tu-
Sei di Venere nato? Tu del sangue
Di Dardano? Non già; chè l’ aspre rupi
Ti produsse!' di Caucaso, e Piccane
Tigri li fui* nutrici. A che tacere?
Il simular che giova? E che di meglio
Ne ritrarrei? Forse eh’ a’ miei lamenti •>
Ha mai questo crudel tratto un sospiro,
0 gittata una lagrima, o pur mostro
• 0
Atto o segno d’ amore, o di pietade?
Di che prima mi dolgo? di che poi?
Ah ! clic nè Giutio ornai, nè Giove stesso
Cura dipnoi ; uè con giust’ occhi mira
Più Copre nostre. Ov’ è qua giù più fede?
E chi più la mantiene? Era costui
. Dianzi nel lito mio naufrago errante,
Mendico. Io 1’ ho raccolto, io gli liq ridotti
1 suoi compagni e i suoi navili insieme, .
[360-375]
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1
480 l’ eneide. [574-594]
Cir cran morti c dispersi; ed io Mio messo
(Folle!) a parte con me del regno mio, .
£ di me stessa. Ahi da furor, da foco
Rapir mi sento! Ora il profeta Apollo,
Or le sorti di Licia, ora un araldo,
Che dal ciel gli si manda, a gran facende
Quinci Io chiama.Un gran pensiero han certo
Di ciò gli Deh; d’ un gran travaglio è questo
A lor quiete. Or va’, che per innanzi
Più non ti tcgno, c più non ti contrasto.
Va’ pur, segui l’ Italia, acquista i regni
Che ti dan l’ onde c i venti. Ma se i numi
Son pietosi, e^e ponno, io spero ancora
Che da’.vejili e da 1’ onde e dagli scogli
N’ avrai degno castigo; e che piu volto
Chiamerai Dido, che lontana aucora
Co’ neri fuochi suoi ti Ca presente: ,
E tosto che di morte il freddo gie!of ..
L’anima dal mio corpo avrà disgiunta,
Passo non moverai, che l’ombra mia
Non ti sia intorno. Avrai, crudele, avrai
Ricompensa a’ tuoi merti, c ne l’inferno
Tosto me ne verrà lieta novella.
Qui ’l suo dire interruppe; e lui per tema
[375-388]
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Uf.
[595-618] libro i^. 4gj
' - t
Confuso e mollo a replicarle inteso
Lasciando, con disdegno e con angoscia
Gli si. tolse d’ avanti. Incontinente
Le fur T ancelle intorno; e sì con? era
Egra e dolente, entro al suo ricco albergo
Le dier sovra le piume agio e riposo.
Enea quantunque pio, quantunque affliti»
E d’ amore infiammato e di desire
Di consolar la dolorosa amante.
Nel suo core ostinossi. E fermo e saldo
D’obbedire agli Dei fatto pensiero,
Calossi al mare e i suoi legni rivide.
Allor furo in un tempo unti e rispinli
E posti in acqua; e, per la. fretta, fremi
Diventarono i rami che dal. bosco
Si portavano pllor frondosi e rozzi.
Era a veder da^la cillade al porto
De Teucri, de le ciurme, e do le robbe
Ch’ai mar si conducean, pieno il sentiero;
Qual è, quando le provide formiche -
De le lor vernaricce vettovaglie
Pensose e procaccievoli, si danno—-'
A depredar dj biade un grande acervo,
Che va dal monte ai ripostigli loro
[589*404]
i t42 l’ eseide. [619-642]
La negra torma, e per angusta e lunga
Sèmita le campagne attraversando,
Altre al carreggio intese o lo s’odossano,
0 traendo, o spingendo lo conducono;
Altre tengon le schiere unite, ed altre
Castigan P infingarde; e tutte insieme
Fan cheAutta la via brulica e ferve.
Che cor, misera Dido, che lamenti
Erano allora i tuoi* quando da l’alto
Un tal moto scorgevi, e tanti gridi
Ne sentivi dal more? Iniquo amore,
Che non puoi tu ne’ petti de’ mortali?
■«
Ella di nuovo al pianto, a le preghiere
A sottoporsi a V amoroso giogo
Da la tua forza è suo mal grado astretta.
Ma per fare ogni schermo, anzi che muoia,
La sorella chiamando: Anna, le disse, •
Tu vedi che s’affrettano e sèi» vanno.
Vedi già loro in su la spiaggia aecol.ti,
Le vele in alto, e le corone in poppa.
Sorella mia, s’avessi un tal dolore-
# ' *
Antiveder potuto, io potrei forse
Anco soffrirlo. Or questo solo affanno*
Prendi per la tua misera si rocchia,
[iOi-421]
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LIBRO IV.
483
[643-6G6]
Poiché te sola quei crudele ascolta,
E sol di te si fida, e i lochi- e i tempi
Sai d’ esser seco, e di trattar con lui j
Truova questo superbo mio nimico,
E supplichevolmente gli favella.
Dilli che Dido io sono, c ohe non fui
In Aulide co' Greci a far congiura
Contra a’Troiani, e che di Troia a’ danni
Nè i miei legni mandai, nè le mie genti. *
Dilli che nè le ceneri, nè 1’ ombre
Nè del suo padre mai, nè d’altri suoi
Non violai. Qual dunque o mio demerlo
0 sua durezza fa ch’ei non ascolti
Il mio dire, e me fugga, e sè.preeipiti ?
Chiedili per mercè de I’ amor mio.
Per salvezza di lui, per la mia vita,
Ch* indugi il suo partir tanto che ’l mare
Sia più sicuro', e più propizi! i venti.
Nè più del maritaggio io lo richieggio,
C’ha già tradito, nè vo’più che manchi
Del suo bel Lazio, o i suoi regni non curi.
Un |)icciol tempo; e d’ogni obligo sciolto
Io li dimando, e tanto o di quiete,
0 d’ intervallo al mio cieco furore,
[421-433]
484 l’ eneide. [667-690]
Cli’ in parte H duoì disacerbando, impari
A men dolermi.. Questo è’I dono estremo
Che da lui per tuo mezzo agogna e brama
Questa tua miserabile sorella;
l
E se tu lo m’ impetri, altro che morte
Forza non avrà mai eli’ io me n’ oblìi..
Queste e tuli altre cose ella piangendo
Dicea con Anna', ed Anna al frigio duce
Disse, ridisse, e riportò più volle
Or da l~una, or da l’ altro, e tutte in vano;
Chè n^ pfanti nè preci nè querele
Punto io muovon più. Gli ostano. i futi,
E solo in ciò gli ha Dio chiuse V orecchie;
Benché dolce .e trattabile e benigno
Fusse nel resto. Come annosa e valida
f
Quercia, che sia ne l’ Alpi esposta a Borea,
S’or da I* uno, or da 1’ altro de’ suoi turbini
È combattuta, si scontorce e tituba,
Stridono i rami e ’l suol di frond| spargesi,
E ’l tronco al monte^ infisso immoto c solido
Se ne sta sempre; e quanto sorge a l’aura
Con la sua cima, tanto in giù stendendosi
Se ne va con le barbe infìnó agl’ infer) :
Così da preci, e da querele assidue
[•434-447]
r
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LIBRO IV.
[694-714] libro iv* 48ó
Battuto duolsi il gran Troiano ed angesi,
G con la mente in 6è raccolta e rigida
Citta indarno per lei sospiri ò lagrime.
La sfortunata Dido, poi «he tronca
Si .vide ogni speranza, spaventata
Dal suo fato, e di sè schiva e del solò,
Disiò di morire; c gran portenti
Di ciò presagio e frotta anco le fero.-
Ella, mentre ugli altari incensi e doni
Offria devota, (orribil cosa a dire!)
Vide avanti di sè con gli occhi suoi
Farsi lurido e negro ogni liquore,
E ’l puro vln cangiarsi in tetro sangue: -
E ’l vide, e ’l tacque, e ’nlino a la sorella
Lo tenne ascoso. Entro al suo regio albergo
Avea di marino un bel delubro. eretto,
E dedicato al suo marito antico.
Questo coh motto studio, e moli’ onore
Fu mai sempre da lei di bianchi velli,
E di festiva fronde ornato e cinto.
Quinci notturne voci udir le parve
Del suo caro Siclièo che la chiamasse;
E del suo tetto un solitario gufa *
Molte fiate con lugubri accenti
[447-463]
I .
486 • l’eheioe. [715-TS8]
Fc ili. pianto una lunga querimonia.
Oltre a ciò, da Cantiche profezie,
Da pronostichi orrendi e spaventosi *
De la vicina morte era ammonita.
, «
Vedeasi Enea tutte le notti avanti
Con fera imago, che turbata e mesta
La tenea sempre. Le parca da tutti
Restare abbandonata, e per un lungo -
E deserto camino andar solinga
De’ suoi Tirii cercando. In cotal guisa
Le schiere de 1* Eumenidi vedea
Pèntèo forsennato, e doppio il sole
E doppia Tebe. In cotal guisa Oreste *
Per le scene imperversa, e furioso
Vcde^ fuggendo, la sua madre armata
Di serpenti e di faci,e’n su le porte
Le Furie illirici. Or poi che la meschina
Fu da tanto furor, da tanto affannò
Appresa e vinta, e di morir disppsta,
Divisò fra sè stessa il tempo e *1 modo:
Ed Anna, sì eom’ era afflitta e mesta,
A sè chiamando, il suo fiero consiglio
Celò nel core, e nel sereno volto
Spiegò gioia e speranza: Ànua, dicendo,
[468-477]
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[739-762] ljdro iv. 187
Rallegrati .con ine, cli’alfin trovalo
Ho coni’ io debba o raequislar quell’ empio,
0 ritormUda lui. Nel lito estremo
De 1’ Occón, là dove il sol si corca, /
De r Etiopia a 1’ ultimo confino, *
E presso a dove Atlante 11 eiel sostiene,
Giace un paese, ond’ ora è qui venula
lina sacerdotessa incantatrice,
Clic, Mussila di gente, è stata poi
Del tempio de I’ Esperidi ministra,
E del drago nudrice, e de le piante
Del pomo d’oro guardiana un tempo.
Questa, d’ umido mèle e d’ obliosi
Papaveri composto un suo miscuglio,'
Promette con parole e con malie
Altri scior da l'amore, altri legare,
Com’ a lei piace, distornare i fiumi,
Ritrai* le stelle, c convocar per forza
Le notturne fantasme. Udrai la terra
Mugghiar sotto a’ tuoi piè. Vedrai da’ monti
Calar gli orni e le querce. Io per gli Dei,
Per te, per la tua vita a me sì cara,
Ti giuro, suora mia, che, mal mio grado,
M’adduco a questi magici incantesimi;
[478-493]
- • II Hi HI I I
488 . l* £NEiDfe. '[76.3-.786]
Ma gran fória mi spinge.. Or va* .sorella;
Scegli per entro a le jpie stanze «in- luogo
il più remolo e solo, a 1’ aura.csposto.
Ivi ergi una gran pira, e vi oonduci
L’armi che a la mia camera sospese
Lasciò quel disleale, e quelle spoglie
Tulle c quel letto, ov’ io, lassa! perii;
In somma ogni suo arnese; chè la maga
Così m’ impone, e vuol ch’ogni memoria,
Ogni segno di lui si spenga c péra.
.Così detto, si tacque, e di pallore
Tutta si tinse. Non però s’avvide
Anna, die sotto a| nuovi sacrifici
Si celasse di lei morte sì fera;
Chè sì fero concetto non le venne,
E non temq che peggio t’avvenisse
Ch’in morte di Siehèo. Tosto fe dunque
Quel eh’ imposto le fu. Fatta la pira,
E d’ilici e di lede aride e scisse
Altamente composta, la regina
D’atre ghirlanda e di funeste frondi
Ornar la fece intorno; indi le spoglie ,
E la spada e I’ effigie de l’amante
Sopra a giacer vi pose, ben secura
[494-508]
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[787-810] LiBno iv. 48t>
Di ciò che n’ avverrèbbe. Eran d’ intorno
Gli altari eretti: era tra lor la maga
Scapigliata e discinta ; e con un tuono
Di voce formidabile invocava
Trecento deità, 1' Èrebo, il Cao,
Ecate con tre forme, e con tre facce
La vergine Diana. Avea già sparse
Le finte aoque d’Avefuo, e i suffumigi
Fattizia le nocive erbe novelle
Clic per punti di luna e con la falce
D’ incantalo metallo eran segate. -
Si fe venir la maliosa carne
Che de la fronte al tenero poliedro
Con l’ amor de la madre si divelle.
Essa stessa regina il farro e ’l sale
Con le man pie sovr’agli altari impone,
E d’ un piè scalza e di luti’ altro sciolta,
Solo accinta a morir, per. testimoni
Chiama li Dek Protestasi a le stelle
Del suo fato consorti.: e &’ alcun nume . »
Mira agli afflitti e sfortunati amanti, •
Questo prega e scongiura che ragione
E ricordo ne tenga, e ne li .caglia.
Era la notte; e già di mezzo il corso
Cinto. — 13. [508-522]
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490 C ENEIDE. [SH-S34]
Cadeau le stelle; onde la terra e ’l mare, *
/ . *
Le selvej i monti e le campagne tutte,'
'E tutti gli animali, i bruti, i pesci,*
E i volanti c i serpenti, c ciò che vive
Avea da ciò clic la lor vita affanna
Tregua, silenzio, oblio, sonno e riposo.
Ma non Dido infelice, a cui la notte
ISù: gli ocelli grava, nè’l pensiero, alleggia ;
Anzi maggior col tramontar del sole
In lei risorge l’ amorosa cura :
E non men che d’amor d* ira»avampando,
Così fra sè farnetica c favella:
E che farò cosi delusa poi?
Chi più mi seguirà de’ primi amanti?
Proferirommi per consorte io stessa
IV un Zingaro, d’un Mo^p, o d’un Arabo,
Quando n’ ho vilipesi e rifiutati
Tanti e tai, tante volle? Andrò co’ Teucri
In su 1’ armata? mi farò soggetta,
Di regina eh’ io sono, e serva a loro?
Sì certo, jclie gran prò fin qui riporto
. De le mie lor usate cortesie;
E grado me n’ avranno, e grazia poi.
Ma ciò, dato eh’ io voglia, chi permette
[522-540]
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v.*»
[835-858] libro iv. 491
Cirfo lressegòisca? Chi così schernita
Voi enti or mi raccoglie? Alti sfortunata
Bidò! eh’ ancor non vedi a. che sei giunta,
E le. frode non sai di questa iniqua »
Schiatta di'Laoinedonte. E poi che ila
Per questo? Deggio, sola, in compagnia
Ui marinari andar femina errante? *
0 condor meco i miei Fenici tutti
Con altra armata? e trarli un’ altra volta
• * . .
D' un’ altra patria in mare in preda ai venti
Senz’ alcun. prò, senza cagione alcuna;
'Quando anco a pena di Sidón gli trassi
Per ritòrti da man d’empio tiranno?
Ali! muor più tosto, come degnamente
Hai meritato; e pon col (erro fine
Al tuo grave dolore. Ah, mia sorella! - •
Tu sei prima cagioiudi tanto male:
Tu, 'vinta dal inio pianto, in quest’angoscia
M* hai posta, e data ad un nemico in. preda:
Chè devea vita solitaria e fera
. Menai- più tosto,, che commetter fallo
Sì dannoso e sì grave, e romper fede
Al cenei* di Sjchèo. Questi lamenti
Usciali del petto a 1’ affannata Dido,.
. * [540-553]
% »
. .. ... v ^
492 l* ESEiDE. [859-882]
Quando già di partir, fermo e parato
Enea, per riposar pria che sciogliesse,
S’ era a dormir sopra la poppa agiato.
Eil ecco nn’ altra volta, in sonno, avanti
Del medesmo celeste messaggero
Gli appar P imago, con quel volto stesso,
Con quel color, con quella chioma d’ oro
Con che lo vide pria giovine e bello;
E da la stessa voce udir gli parve:
Tu corri, Enea, sj gran fortuna, e dormi?
Non senti qual ti spira aura .seconda ?
Dido cose nefande ordiseé et! osa,
Certa già di morire, e d’ ira accesa
A dire imprese è vòlta; e tu non fuggi
Mentre fuggir ti lece? A mano a mano
Di legni travagliar vedrassi il mare, .
Di fochi il Iito, e di furor le genti
Incontra a te, se tu qui ’l giorno aspetti.
Via di qua tosto: da' le vele a' venti.
Femina è cosa mobil per natura,,
E per disdegno impetuosa e fera.
E qui tacendo entrò nel buio, e sparve.
Eneo, preso da subito spavento,
Dcstossi, c fe destar la gente tutta ;
[554-572]
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V-
[883-906] libro ìv. 193
Via, compagni, dicendo, ai banchi, ai remi ;
Ch’or d'altro uopo ne fa che di riposo.
Fate vela, sciogliete, chè di nuovo
Precetto ne srfa dal cielo, e fretta.
Ecco, qual tu ti sia, messo celeste,
Che ’l tuo detto seguiamo ; e tu benigno
N' aita, e ’l cielo e ’l mar ne rendi amico.
Ciò detto, il ferro strinse, e fulminando,
Del suo legno la gomma recise.
Cosi fer gli altri, e col medesmo ardore
Tutti insieme sciogliendo, travasando,
E spingendosi in alto, in un momento
Lasciavo il lito; e ’l mar, dai legni ascoso,
Si fe per tanti remi, e tante vele
Spumoso e bianco. Era vermiglio e rancio
Fatto già de la notte il bruno ammanto,
Lasciando di' Titón l’Aurora il letto,
Quando d’un’ alta loggia la regina
Tutto scoprendo, poi eli’ a piene vele
Vide le frigie navi irne a dilungo,
E vóti i liti, e senza ciurma il porlo ; *
Contro sè fatta ingiuriosa e fera,
Il delicato petto e l’ auree chiome
Si percolò, si lacerò più volte;
[573-590]
494 t’ eiieidc. [907-930]
E ’ncontra ciel rivoUa: Al», Giove, disse,
Dunque pur se n* andrà?. Dunque» son io ‘
Fatta d’ un forestier ludibrio e scherno
Nel regno mio? Nè fiochi prenda T armi ?
Nè chi lui segua nè i suoi legni incenda^
Via tosto a le for navi, a Tarmi, al foco,
Mano a le vele, a’ remi, oltre nel mare.
Che parlo? o dove sono? Belle furore
È il tuo, Dido infelice? Iniquo fato, ’
Misera, li persegui. Allor fud'uopa -
Ciò che tu di’, quando- di te signore .«
E del tuo regno il festi. Ecco la destra,
Ecco la fede sua. Questi è quel -pio .*•
Che seco adduce i suoi patrrf Penatiy
E M vecchi^ padre agli omeri s’ impose.
Non polca farlo prendere e sbranarlo,
E gittarlo nel mare? aneider Irti
Con tutti i suoi? dilaniare il .figlio,
E darlo ih cibo al padrè? Ohi perigliosa
Fòra stata T impresa. E «ili periglio
La si fosse, c di mqrte^iri ogni guisa
Morir dovendo, a che temere indarno? •» • i
Arsi avrei gli steccati, incesi i legni,
Occiso il padre, il figlio, il seme in lutto* >
[590-600]
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[931-954] libro iv. 495
Di questa gente, e me spento con loro. .
Sole, a cui de’ mortali ogn* opra è conta;
Giuno,de le mi é -cure, e de’ miei falli #
Pronuba consapevole e mezzana
Ecate, che jie* trivii orribilmente
Sei di notte invocata; nitrici Furie, ' ,
Spiriti inferni, e dii de V infelice
Dido, eh* a morte è giunta, il mio non degno
Caso riconoscete, e ’nsìeme udite
Queste dolenti mie parole estreme.
Se forza, se destino, e se decreto
È di Giove e dei cielo, e, fisso e saldo •
È pur che questo iniquo insorto arrivi,
E terra acquisti ; almen da fiera gente
Sia combattuto, e de’ suoi fini in bando, -
Da suo figlio divelto implori aiuto,- •
E perir veggia i suoi di morte indegna.
Nè leggi che riceva, o pace iniqua
Che accetti, anco gli giovi : nè del regno,
Nè de latita lungamente goda;.^
Ma caggia anzi* al.suo giorno, e ne V areha
Giaccia insepolto;* Questi priegld estremi
Col mio sangue cons^ro. E voi, miei Tivù,
Coi discesi da voi tenete seco
|606-<522]
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196
L* ENEIDE. [955-978]
E co’ posteri suoi guerra mai sempre.
Quesli doni al mio cenere mandate,
Morta eh’ io sia. Nè mai tra queste genti
Amor nasca, nè pace; anzi alcun sorga
De T ossa mie, che di mia morte prenda
Alta vendetta, c la dardania gente
Con le fiamme c col ferro assalga e spenga,
Ora, in futuro, e sempre: e sian le forze
A quest’animo eguali ; i liti ai liti
Contrari eternamente, Tonde a Tonde,
E Tarmi incontro a Tarmi, e i nostri ai loro
In ogni tempo. E, ciò detto, imprecando,
Schiva di più veder Teleria luce,
Affrettò di morire. E, Barce in prima
Vistasi intorno, una nutrice antica
Del suo Siehèo (chè la sua propria in Tiro
Era cenere già), Cara nutrice,
Le disse, va’, mi chiama Anna mia suora,
E le di’ che solleciti, c che C onda
Del fiume c T ostie e i suffumigi adduca,
E ciò cIT è d’ uopo, come pria le dissi,
A prepararmi; chè finire intendo
Il sacrificio che a Plutone inferno
Solennemente ho di già fare impreso,
[623-638]
/
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[979-4002] libro iv. 197
Per fine imporre a* miei gravi martiri,
E dar foco a la pira, ov* è P imago
Di quell’ empio Troiano. A tal precetto
Mossa la vecchiàrella, a suo patere
Lentamente affrettassi ad esseguirlo. .
Dido nel suo pensiero immane e fiero
Fieramente ostinata, in atto prima
Di paventosa, poi di sangue infetta
Le torve luci, di pallore il volto,
E tutta di color di morte aspersa,
Se n* entrò furiosa ove secreto
Era il suo rogo a P aura apparecchiato.
Sopra vi salse ; c la dardania spada,
Ch’ ebbè da lui non a tal* uso in dono,
Distrinse; e rimirando i frigii arnesi
E *1 noto letta, poi eh’ in sè raccolta
Lagrimando^e pensando alquanto stette,
Sovra vi si.inchinò col ferro al petto,
E mandò fuor quest* ultime parole :
Spoglie, mentre al ciel piacque, amate e care,
A voi rend’ io quest* anima dolente.
Voi 1* accogliete : e voi dì questa angoscia
Mi liberate. Ecco io son giunta al fine
De la mia vita, e di mio sorte il corso
[639-653]
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198 . l’ EJfEiDE. [1003-1026]
Ho già compito. Or la mia grande imago.
N’ andrà sotterra : e qui di me che lascio?
Fondata ho pur questa mia nobil terra ; _
Viste ho pur le mie mura; ho vendicato
11 mio consorte: ho castigato -il fiero
Mio nimico fratello. Ah che felice,
Felice aSsai morrei, s’ a questa spiaggia
Giunte non fosse»* mai vele troiane f
E qui sql letto abhandonossi, e ’i volto
Vi tenne impresso; indi soggiunse: Adunque
Morrò senza vendetta ? Eh, che si muoia
Comunque siarcosF, così mi giova
Girne tra l’ ombre inferne; e pòi ch’il crudo,
Mentre meco era, 11 mio foco non vide,
Veggalo di lontano, e ’l tristo augurio -
De la mia morte almen seco ne porte.
Avea ciò detto, quando le ministre
La videi* $opi*a al ferro il petto-infissa,
Col fei*ro e con le man di sangue intrise
Spumante e caldo. In pianti, in ululati
Di donne in un momento si converse
La reggia tutta, e ’nsino al ciel n’ umlaro *
Voci alte e fioche, e suon di man coti elle.
N’andò per la città grido e tumulto,
[653-668]
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[1027-4050] libro iv. 499
Come se presa da’ nemici a forza
Fosse Tiro, o Cartago arsa* e distrutta.
Anna, tosto eh’ udillo, il volto e ’l petto
Battessi' e lacerossi; e fra la gente
Verso la moribonda sua sorella, •
Stridendo, e il nome suo gridando, corse.:
E per questo, dicea, suora, son io
Da te Tosi tradita? lo t’ ho per questo
La pira c I* are e T foco apparecchiato ?
Deserta me! Di che dorrommi in prima?
Perchè, morir dovendo, una tua suora
Per compagna rifiuti ? E perchè teco, '
Lassa! non m’invitasti? Ch’ un dolore,
Un ferro, un’ora stessa ambe n-’ avrebbe
Tolte d’ affanno. Oimè! con le mia mani
• • i
T* ho posto il rogo. Oimè! con la mia voce
Ho gli Dei de la patria a ciò chiamati.
Tutto, folle! ho fatt’io, perchè tu muoia,
Perch’ io, nel tuo morir teco non sia.
Con te, me, questo popol, questa terra
E ’l sidonio senato hai, suora, estinto.
Or mi date clic il. corpo ornai componga,
Che lavi la ferita, che raccolga
Con le mie labia il suo spirito estremo,
[669-685]
200
L* ENEIDE. [1054-4074]
Se più spirto le resta. E, ciò dicendo,
Già de la pira era sulitajn cima.
Ivi lei che spirava in seno accolla,
La sanguinosa piaga, lagrimando,
Con le sue veste le rasciuga e terge.
Ella talor le gravi luci alzando
La mira a pena, che di nuovo a forza
Morte le chiude; e la ferita intanto
Sangue e fiato spargendo anela e stride.
Tre volte sopra il cubito risorse;
Tre volte cadde, ed a la terza giacque:
E gli occhi vólti al ciel, quasi cercando
Veder la luce, poiché vista l’ ebbe,
Ne sospirò. De 1’ affannosa morte
Fatta Giulio pietosa, Irr dal ciclo
Mandò, che M groppo disciogliesse tosto
Che la tenca, malgrado anco di morte,
Col suo mortai si strettamente avvinta;
Ch’ anzi tempo morendo, e non dal fato,
Ma dal furore ancisa, non Cavea
Proserpina divello anco il fatale
Suo doralo capello, nò dannata
Era ancor la sua testa a l’Orco inferno.
Ratto spiegò la rugiadosa Dea
[685-700]
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[1075-1083] libro iv. 20 1
Le sue penne dorate; e ’ncontra al sole
Di quei tanti suoi lucidi colori
Lunga striscia traendo, indi sospesa
Sopra al capo le stette, e d’ oro un filo *
Ne svelse, e disse: lo qui dal ciel mandata
Questo a Pluto consacro, e te disciolgo
Da le lue membra. Ciò dicendo, sparve.
Ed ella, in aura il suo spirto converso,
Restò senza culore e senza vita.
[700-705]
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Intanto Enea, spinto dal vento in allo,
Veleggiava a dilungo; e pur con gli occhi,
Da la forza d’ amor rivolto indietro-,
Rimirava a Cartago. Ardca la pira
Già d’ Elisa infelice; e le sue fiamme
Raggiavan di lontan gran luce intorno.
La cagion non sapea; ma la temenza
Lo rimordea del violato amore,
E M saper quel che puote e quel che ardisce
Femina furiosa: e M tristo augurio
Del foco, clic. lugubre era e funesto,
Lo tcnea con la stuol' de* Teucri tulli
Disanimato e mesto. Eran di vista
Già de la terra usciti, e cielo, ed acqua
Apparian solamente d* ognintorno,
Allei* eh* un denso e procelloso nembo
Si fe lor sopra; onde tempesta c notte
Surse repente, e Palinuro stesso
. [1-12]
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202 • [1-^8]
DELL’ ENEIDE
Libro Quinto.
[19-42] libro v. 203
Da l’alta poppa il ciel mirando: Oli! disse,
Che fìa con tante intorno accolte nubi?
E die pensi e che fui, padre Nettuno?
Indi comanda: Via, compagni, armianci,
Opriamo i remi, accommodiam le vele*
Tegniamo a) vento avverso obliquo il seno.
E rivolto ad Enea : Con questo cielo,
Signor, diss’cgli, ornai più non m’ affido
Prender Itali#, ancor che Giove stesso
Nèl promettesse, ed ei noccliier ne fosse.
Vedi.il vento mutato, vedi il mare
Di vfy* ponente, che s’ annera e gonfia:'
Vedi nel ciel qual ne s’accampa stuolo
Di folte nubi. Traversia di certo.
N’ assalirà, sì che nè girle incontro'
Nè durar la potremo. Or poi eli’ a forza
Cosi ne spinge, noi per nostro s'campo
Assecondianla ; chè già presso i porti
Ne son de la Sicilia e ’l lido ospizio
D’Èrice tuo fratello, s’ abbastanza «.
De l’ni’te mi rammento e de le stelle.
Rispose Enea : Ben eonosch’ io che duro
È ’l contrasto de’ venti: .e ’l nostro è vano.
Volgi le vele. E qual più grata altrove,
[1-2-28]
l’ ENEIDE.
[43-66]
204
0 più commoda riva, o più sicura
Aver mai ponno le mie stanche navi,
Di quella che ne serba il caro Acesle,
E l’ ossa accoglie del buon padre mio?
Così vólti a levante, e preso in poppa
11 vento e ’l flutto, a tutta vela il golfo
Correndo, fui* subitamente a proda
De l’ amica riviera. Avea di' cima
Visto d’ un monte il cacciatore Aceste
Venir la frigia armata. Onde in un tempo
Fu con essi a la riva; e rincontrolli
Allegramente, sì coni’ era incólto,
Di dardi armato e d’ irta pelle cinto
Di libic’ orso, umano insieme e rozzo,
De la troiana' Egesta e di Criniso
Fiume onorato figlio. Ei degli antichi
Suoi parenti inombrando, con gioioso
Volto, se ben con Rustico apparecchio,
Gl* invita, gli riceve e gli consola.
Era de 1* altro dì 1* aurora e ’l sole
Già fuor de l’ onde, allor che ’l frigio duce,
Convocati i suoi tutti, alto in un greppo .
Posto in meZzodi lor così lor disse:
Generosi e magnanimi Troiani,
[29-45]
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«mw: su**—***
%
[67<<90.J librò v. * 20S
* *
Degna prole di Dìmlano e deKeieloy • -*
Questa: è P amica terrà, otte oggi è* V armo%
Ch’ a le sante' ossa deh mio* padre AnChiée
Demmo requie e sepolcro, e i mesti altari
Gli conseeramrào. Oggi è,Vio*non nfipganuo,
Quel sempre acerbo. ed* onorato giórno,
Citò- onorato cdidcerbo mi lui sempre-
(Poi chesì-piacqué è Dio), quantunque ovunque
Questo essigl io infelice mi trasporti:
Pongami he V arène e ne le secche ' *
De- la Getulia ; spingami, agli -scogli . »
Del mar eli Grecia; ne. la GrecìVsiessa
Mi ehiugga, e dentro al cerchio di Mièene;
Ch io l’ arò sempre per •solenne, c.voti .
Faròglrogni anno e safcrUìcii e furti.
Or poi clic da' celesti, óltre ogni avviso»
Nostro* Ini* noètrh sriuno in prttova addotti
Per onordr le sue ceneri sanie, ' .
Onorianjc', adòrianle, e dal suo mime
Ipìpjoriamo devoti amici i venti, . .
E StabH' 9eggio‘, ove gli s’erga un tempio,
In cui sian quest’essequie e questi onori
Rinovcllali eternamente ogni. anno.
Due pingui* Vuoi per ciasoun. nostro legno
* Caro. — 14. [45*6-1]
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206 l’ tóipiDE. [9l-lr4
Vi profferisce il buon Troiano Acesle. -
Yoi d’.Acestee di Troiani paloni fiumi
We convitate; eiLio, quando 1* Aurorar
Tranquillo e queto il nono giorno adduca,
A’. solenni spettacoli v’invito
Di navi, di pedoni e di, cavalli,
Al corso, a, la palestra, al Cesto, a Inarco,
tìgnun vi si prepari,. ogttun ne speri -
Degna del suo valor mercede e palma. •
i/, E voi datevi assenso, etujti insieme
1 } ; ' V’ inghirlandate. E, ciò dicendo, il primo
’ \ Del suo mirto materno il crin si -cinse. •
Èlimo lo segui, seguillo Alete,
Un di .verd’ anni o V altro di maturi ;
Poscia il fanciullo Iulo; e dietro a loro.
D' ogni età gli altri lutti. Eneà, disceso
Dal parlamento, in- mezzo a quante intorno
Avea schiere, di genti, umile e mesto.
Al sepolcro d’ Anchlse appfèsenlossi :
E con rito solenne in terra sparge
Due gran coppe d4 vino é due di latte. -
E due di sangue, di purpurei fioj’i
Vi nevigò di sopra un nembo, e disse :
A voi, sant’ 06sa,.a voi.Aeneri pinate
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[1I5-Ì3S] libro v. 207
E famose e felici, anima ed ombra
Del padre mio, torno di nuovo, indarno
Per onorarvi ;-p‘oi che Italia e ’l Tebro
(Se pur Tebro ^ per noi) ne si contende.
• f
Or quel ch\io. posso', con devoto all'etto
V’ adoro, educhino come co$a santa.
Mentre cosi dicea, di sotto al cavo
De' l’alto avello un gran lubrico serpe
* »
Uscfo placidamente; e sètte volte
Con sette giri al lumaio s’ avvolse.
Indi, strisciando infra gli altari, e i Jasi,
Le vivande lambendo, in dolce girila,
Con le cerulee sue sqqqmose terga
Sen gio divincolando, e, quasi ùnMri, . ,
A sole avverso, scintillò, d’. intorno
Mille varii /color di luce e d’ oro.
»• • • è
Stupissi Enea di colui vista; c I’ angue *
Di lungo tratto infra le mpnse et’ are, :
Ond’era uscito, alfin $i -ricondusse*.
Ri novellò gl’ inoomiuciati onovi .
Il frigio duce, -del serpeute incerto, .
Se del loco era ib genio, o piti1 del padre
Sergente o messo. E com’ era 1190 antico,
Cinque pecora elette e einque porci,*
[*1'97].
208 l’ Binine. [439-1G2]
Con cinque^! morello il tergo aspersi
Grassi giuvcnclii anzi a. la tomba decise, *
Nuove tozze versando, e jiubvaiaetite '
Fin iV Acheronte richiamando il nome
E l’anima il’ A neh isb. Indi i compagni,
Ciascun' secondo la sua possa offrendo,*
Lieti colmar di doni i santi altari*.
Altri di loj* 4c vittime immolano, • »
Altri cibi ne féro; è tutti insieme
Sul verde prato- a colivi var si diero. ■
Era già ’l nono destinato giorno * . *
Sereno c lieto a l’oriente apparso,
• - # ’ s
E già la vaga fama e ’l chiaro nome t
Avea d’ Àccste convocati intorno
I vfein tulli, c pieni erano I-Kti^ * r'
pi gente, cqi tròta parte vaghezza
Di vedere i Troiani, e parte ardire
Di provarsi con loro* In prima esposti
Con pompa ri guardo volo, c solenne
Furo in mezzo deb circo anni indorate, .
Purpuree *vesli, c tripodi e corone,
• • * *
E più guise d’arnesi e di monete
D’ argento c d’oro, e palme ed altri proaiii
Di V incilorivl il di sonora tromba
[.97-113]
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[J63-.186] libro . v. 209
D’ allo dièsegno ni, desiati \udì,
E da] mar cominclossi. Avean di tutta-'
La teucra armata quattrojegni scelti
Più di remi e . di remigi, guarniti,
E di tutti più destri. Uh fu la Pistri,
E Memmo la regea ; Aleni nio che poi *
L’italo fu nomato, e diede il nome
»
A la stirpe de’AIemmi';~LaXhimera
Fu 1' altrò, a cui preposto era il gran Già,
Uli gran vascello che a tre palchi a ve a'
Disposti i renri ; e i remiganti .tutti
^ •
Erati Troiani e giovi ni e robusti.
Fu ’I gran Centauro il lerzo ; e ili quest’ era
Sergesto il capo, che a. la, Sergia prole
• «
Diede principio'. L’ ultimo la- Scilla
Guidata da Cloanto, onde i Cluenli
« *• -■%
Trasser nome o legnaggio. E lungo incontra
A la spumosa riva uu Sasso scoglio •
Che, da’ (lutti percosso, è taloi» tutto
Inondatole sommerso. Il verno i venti
« • *
Vi tendQn sopra un nubiloso velo
• • •
Che ricuopre le stelle, e quando è il tempo
Tranquillo-, ha ne I’ asciutto una pianura
Ch’è di marini uccegl* aprica stanza.
[113^428>
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210 L'&PfWDEw [187-2 HJL]
Qui d’ un elee frondoso il segno pose
Il padre Enea, |ìn dove il corso . avanti .
Stender pria si dovesse, e poi dar vòlta. »
Indi, sortiti i' lochi, ad suo' ciascuno
Si pose in fila. I capitani in poppa,
Addobbati di bisso e d’astro e d’oro,
Rispiendean di lontana; e gli altri tutti'
D’ una livrea di pioppo incoronati^,
Stavano con le terga ignudi ed unti,
Sì'clie tra I’ ofio e ’l sol lumiere e specchi
Parean da lungo. E già ne’ banchi assisi, -
Tese a’ remi le braccia, al suon 1’ orecchia
Aspettavano il seguo. 1 copi intanto
Palpitando move^ disio d’ onore,'* »
E timor di vergogni Àvea la' tromba
Squillato appena, che iti un tempo i remi
Si tufìàr lutti, e tutti 1 legni insieme
Si spiccàr da le mosse. I gridi al cielo
N’audàr de’ marinari. Ji mar di* schiuma
S’ asperse intorno; e ’n quattro solphi eguali
Fu con molto stridor da’ rostri apeplo
E da’ remi stracciato. Impeto pari
Non fer nel circo mai bighe e quadrighe
Da le carceri uscendo, alior eh’ a sciòlte
[129-146]
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LIBRO V.
211-
[214.-234]
Ed ondeggianti redine -gli aunghi
Ai volanti Uestrier sferzila Je terga.
Le grida, il plausot il fremito e le voci, '
In favoli or di questi ed or di quelli,
Tra i curvi .liti avvolte, c da le selve
E da’ colli riprese e ripercosse,
Facean l’aria intonar fino a le stellò.
Nel primo uscire, il primo aventi a .tutti
Si vide Già, mentre la gcntejremc ;•
E dopo luì Cloanto, che’ de’ remi
migliore assai, per la gravezza indietro,
Rimanea del suo legno. Indi del pari,
O di poco infra loro avéan contesa
< * •
Il Centauro e la Pistri; e quando questa, '
Quando quello era avanti, e quando entrambi
Or le fronti-qvean giunte ed or le ernie.
Eran del sasso giù presso a la meta,
E. di buon tratto vincitore avanti
# \
Già se ne già, quand’ei sèn vide in alto
Da la ripa più lungo; onde rivòlto
Al suo nocchiero: E dove, disse, andrai
Menate? Attieni al lito e radili sasso:
Vadano~gli altri in dito., Ei tuttavia -
D’urlar temendo,, in pelago si mise*,
. [146-465]
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- ~ ~~ . *-3B££r wgìapui
-212 l* cxEiDE. [2S5'-258] ,
■ E Già di nuovo': In qua, Menate; aljsasso, -
Al sasso ; a la sinistra, *u|a sinistra, *
Dicea gridando; e YÒlto indietro- vide * _
Ch’ avea CLoanto addossò.. Era Cloanto *
Già tra lo scoglio c La Chimera entrato,
• * f * «.
E via ràdendo- la sinistra riva, • * *
Tenne giro sì breve e sì propinquo,
Clk lui tosto c^la metq antp> varcando,
Si vide avanti il mare ampio e sicuro..
Grand’ ira, gran dolóre e gran* vergogna.-’
Ne sentì ’1 -fiero -giovine; e piangendo %
Di stizza, e* non mirando il suo -decoro,
Nòcche Menete del-suo legno Seco
Fosse guida e sdluk», iti mezzo il prese,
E tla la- poppa in mar I unge avtentollo:
Pòscia, -ei nocchiero e capitano -insieme,
Diè di pigji-o al timone, o rincorando
I suoi compagni, al sasso lo 'rivolse.
'Mende,- clic di veste era gravato,.
• ^ • <* * * •
E via piò d’ anni, infino a I’ Ftfio fóndo ^ ,
Ricevè ’l tu fio; é risorgendo aJpena’
Rampicossi à lo scoglio, e si coll'era f *
Molle e guazzoso, de la rupe in c^ma
Quàl bagnato mastino ài sof si scosse.
* [16G-t80]
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[259-232] libro' v.
Rise tutta la gente ài suo cadére1;
Rise al notare ; cpiù rise anco allora -
Ch’ a' flutti Vomitar gli vide il mare.
Mcmmo intanto c Serge^lo, che del pari
Eranó, addietro, parimente accesi
Sii I’ hidugio di Già preser baldanza.
Sergesto in vèr lo scoglio avea M vantaggio
Del primo loco; ma non tutto ancora
Era il suo legno avanti, che la Pistri
Premca qol rostro del Centauro il fianco.
E Mcmmo -confortando i suoi compagni - •
E ’u sue-’n gin per la corsia gridando,
Via fratelli, dicco, via degni -alunni ;
D’ Etlorrc invitto, via, compagni eletti
Al grand’ uopo di Troia. Òra-évmcstiero
De’ remi, de le forze etici coraggio,'.
Gli’ a le Sirti, a Cariddi, a la Matèa •
. - «
Mostraste già. Non più vincer contendo,
* •%
Glie pur devrcl, se pur Mcmmo son id:
Vinca cui ciò da te, Nettuno, è dato.
Ma eh’ ultimi arriviamo, ah non, fratelli,
Questa vergogna;\.xiò vincasi almeno
Glie di tanto rossór tinti floir siamo.
- A cotal dir tutti insorgendo, a gara •
[131-197]
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— *4»
*
A
214 l’exeide. [283-306]
Steser le braccia, cd inuprcajH) i dòrsi,
E fer.per avanzarsi esimilo sforzo. v
% * .
Tremava ai-colpi il ben ferrato legno ;
Fuggiti di sotto il mare; ansando i remigi
Aprian l’ asciutte booclic; e spesso i fianchi
Battendo, a gronde di sud or colavano.'
Diè-lor fortuna il desiato onore;
Chò, mentre furioso oltre si spinge
Sergcsto, e con la prora arditamente
• i
Bade la ripa, ebbe il meschino intoppo,
Urtando de )o scoglio in una roccia
Che nel mar si sporgea. Scheggiassi il sasso,
Fiaccarsi i remi, si scoscese il rostro ;
E d’ un lato pendente e scossa tutta -
Tremò la nave, e scompigliossi, e stette.
I remiganti attoniti, con gridi,
Con ferrate aste, con tridenti e pali *
Stavan pingendo e puntellando il legno,
E ripescando i remi. Intanto allegro,
E del successo coraggioso e baldo
Memmo ratto s’ avanza, e vince il sasso ;
E via vogando cd invocando i venti
Vende a la eliina cd a l’aperto il mare.
Qual d* una grotta, ov’aggia i dolci figli
[198*213]
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[307:330] i.ir.RO v. 215
|] ’l caro nido, spaventata in prima
Da subito schiamazzo esce rombando,
Ed arrostando una còlomba a l’aura,
Che poi giunta ne* campi a l*aer quelo
Quelamenle per via dritta e sicura
Sèn va con l’ali immobili e veloci;
Cosi la Pislri pria travolta e vaga
Venia da sozzo; indi affilata e stretta
Passò prima Sergesto che nel sasso,
Come da vischio rattenufo augello
E spennacchiato, i suoi spezzati remi
Dibattendo, chiedea soccorso invano.
Poscia spingendo, la Chimera aggiunse
E trapassolla, che la sua gran mole
K ’l perduto nocchier la tea più tarda.
Sol restava Cloanto : e verso Ini
Affilandosi, a.1 (in quasi del corso
Con ogni sforzo il segue, c già l’ incalza.
Levossi al cielo un’ altra volta il grido
Del favor clic facea la gente tutta,
Perchè i secondi divenisse!’ primi.
^ » •
Quelli caccia lo sdegno c la vergogna
Di non tenere il conseguito onore.
Che la gloria antepongono a la vita;
[2 1 4-230]
? ' -a!
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* ✓
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I ' i > A y
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*
216 l’ekeide. [33Ì-354]
Questi il successo inanimac la speme •
Di ciò poter : poi eh’ altrui par che possano.
S’eran già pressore, pareggiali i rostri,
Del pari i premit hvrian forse ottenuti;
Se non eh’ ombrie mani al cielo alzando,'
Colai fece agli Dei Cloanto un voto:
Santi numi ilei pelago ch’io córro,
Se ’l corso agevolate al legno niio,
Nel medesimo lito un biancq toro • *
Lieto consacrerovvi, e ile I’ opime
Sue viscere, c ili vili limpido e puro
L’ arena spargei*ovvi e l’ onde salse.
Furon da l’ imo fonilo i preghi uditi
Del buon Cloanto da Isoschicra tutta
De le ninfe di Nèreo c di Forcò,
E da la Panopòa vergine intatta:
E ’l gran padre Porcino di sua mano . „
Gli spinse il legno; onde qual vento o strale
Lanciossi a terrà, e si scagliò nel porto»
Il padre Enea (coni’ è oostumc) avanti
• • ■v
Convocati a sè tunica suon di tromba- ,
Dichiarò'viAcitor Cloanto il primo,
E le tempie di lauro iricoronògli.
Poscia a ciascuna de le qavi-in dono*
[231-247]
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[355-378] unno v. 21-7
Diè tre grassi; giu venchi; e ire grand’ urne*
Di prezioso» vino, c decornatili ,
Un gran talento. Ornò di maggior dopi
I primi condottieri. Al viiicitouc
Prescnlàdi bl occalo un ricco arnese,
Clic d’ostro a’ groppi sopra l’oro avea
Doppio un lavorò' di ricamo e d’nco.
Nel mezzo entro al frondoso bosco, Idèo
Un reai giovinetto era tessuto,
CIT anelo e fiero con un dardo in -ninno
Seguia perula foresta i cervi. in caccia;
R poco indi fontano un’ altra volta.
Kra il medesmo da 1’ ucccl di Giove -* .
Rapito in alto; e i suoi-veCchi custodi
R fidi cani lo in ira va n sotto,
Quegli indarno le mani al dièlo alzando,
R questi il muso, ed abbaiando a l’aura.
A 1’ alti'o^poi, Che, per valore UJ primo,
Fu per sorte„secondo, in premio diede
Per ornamento c per difesa in arme
Una lorica che d’ antica maglia,
R di lucente e {interzalo acciaro,
Di massiccio orò avea le Tibie e gli orli.
** * , * • . ^
Questa di Simocnta in su ki riva
' [247-261]
213 l’ f.keide. [379-40
Sotto l'alto Ilio, e di sua propria mano .
Tolse al vinto Detnòfeó. Era si grave,
Clic da Fègeo c tlu Sàgari, due forti
E robusti sorgenti, ivi condotta •
Era stalu a gran pena; e pur in dosso
1/ avea Demòleo il i)ì clic combattendo
Mise in quella riviera i Teucri In volta. -
I terzi doni due^ran nappi fòro ^
Di forbito metallo, e due gran coppe,
Di puro argento figurate intorno
Con mirabile intaglio'. E già donati,
E de' lor doni altieri e festeggiali ti
Sedile ginn tutti di purpuree bende
Le tenlpie avvinti, e di Icntiséhio adorni;
Quando ecco da lo scoglio con grand’ arte
E còn molta fatica apppna svelto
Sei-gesto, col suo legno infranto e monco
E tarpato de’ remi, in vèr* la terra -
Se ne. venia disonoralo e -mesto.
Com’angue suol, cli’O sia da ruota òppress
Tra la ripa e’I sentiero, o sia di sasso
Dal viator percos*so o di randello, •*
Procacciando fuggir, con lunghe spire
"S* arrosta indarno, e inalberalo c fiero
[2G 1.277] *'
[403-426] libro v. 2|9
Dal mezzo in suso arde negli occhi e fischia;
E d’ altra parte dilombalo e tardo
Debilmente guizzando, in-sè medesmo
Si ripiega, s’ attorce e si ragg'rappa;
Cosi co’ remi la fiaccata nave
Se ne già lenta, e’con te vele a volo,
Ch’ a piene vele al fine in porto aggiunse?
Ed a Sergesto.anco i suor «Ioni assegna
Il padre Enea, di rrcovrar contento
Il sito buon legno e i suoi fidi compagni.
E furo i doni una cretese ancella,
Fòloo di nome, e di telaio ed’ aco .
Maestra esperta e da Minerva instrutlu.
Giovine e bella, e con due figli al petto.
Questo primo spettacolo compito,
Enea per gli altri una pianura elegge
Che di teatro in guisa d’ogn’ intorno. -
Ha selve c coHi,jed un gran circo avanti,"
O/e in un palco alteramente estratto
Tra molti mrja collocossi in mezzo.
Qui prima al còrso i corridori invita
Con preziosi preinii, e i prendi espone.:
E ite’ Teueri e de’ Sicoli mostrarsi
I più famosi. Apprescntossi- in prima
[277-29 4]
. .
22Ò l’ enei di:. [42-7-45Ò]
Eurialo con Niso. Un giovinetto
Di singoiar bellezza Eurialo era;*
E Niso muli lub lido e casto amante.
Dopo questi Diòro. Era costui ;
Del iegnaggio di Priamo un rampollo,
Giovine generoso; c Sàlio c l’atro
Veimero appresso: d’Acarnania l’\ino,
D’Arcadia l’altro-e del Tegco paese;
E due Siciliani, Èliino c Ptinope,
Ambedue cacciatori, ambi seguaci ,
Del Vecchio Acestc; e con questi, aita i assai
D’oscura nominanza. A cui nel-mezza
Stando- il gran padre Enea, cosi ragiona :
Nissuii da me di questa schiera, eletta
Andrà senza mie’ doni, c parimente
Una coppia di dardi avrà ciascuno
Di rilucente acciaro, ed una d* oro
E d’ argcntoicommcsso a l’urabe.sca
Non più 'vista bipenne. 1 principali * ‘
Tre vincitori i primi pregii avranno,
E fian tutti df -oliva incoronati.
E ’l primi efró de’ tre d* un buon destriero
Sarà provisto ben guarnito e bello.
E altro avrà d’un’Amazoiie un 'turcasso.'
[$94-31 1]
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{451-474] . LiDno v. 221
Pien di tracie 9aitè, e un arco d’ osso,
Edjun bel cinto, a cui sono ambi appesi,
C’ han di gemme il fermaglio c d’ òr la Tibia.
11 terzo d’ un’ argolica celali»
Se ne vada contento ; e sarà questa.
Ciò detto, capresi i luoghi* e M segno (lato
S* avvenlàr da la sbarra : « quasi un nembo
L* un da P altro dispersi, insieme tutti
Volàr, mirando al line. J1 primo avanti
Si tragge Riso, c di gran lunga avanti ;
Cbò va .di vento e di saetta in. guisa.
Prossimo a lui, ma prossimo d’un tratto
Molto lontano, è Salio. A Salio, Eurìulo;
Eurialo ha di poco Èiimo addietro;
«
Ad Elimo Diòro -appresso tanto
Che già sopra gli auela e già l’ incalza;
E se M corso durava, anco V arebbe
0 prevenuto o pareggiato almeno.
Eran presso a la mela, ed eran lussi,
Quando ne 1’ erba, pria di sangue intrisa
Degir occisi giovenchi, il pièjermando
Sinistramente c sdrucciolando, a terra
Cadde Niso infelice, e/1 volto Impresse
Nel sacro loto, si che gramo e sozzo '
Caro. — 15. [311-333]
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mmi
l’ ENEIDE.
5i22
[475-498]
ISè sursc poi. Ma del suo amore 'intanto
Non obliossi ; cli.è sorgendo, intoppo
Si fece a Salio ; ortde con esso avvolto
Stramazzò ne T arena: c-meAtrc ei giacque,
Eurialo del danno e dei favore
« *
S’ avanzò de V amico, c de le ‘grida, •
Con clic gli dici* le genti animo e forza: ‘ ■>
Ond’ei fu ’l .primo, ed Èlimo-il secondo;
Diòro il terzo. E tal fine ebbe il corso»'
Ma di rumor se n’empie e di teuzone
Il circo tutto; e. Salio anzi al cospetto
De* giudici c de’ padri or si protesta,
Or detesta., or esclama; e del tradito
Suo valor- si rammaroa, c ragion eliiede.
In difesa d’ Eurialo, a rincontro, ,
E ’l favor de la gente, e quel decoro
Suo dolce Iagrimare, e quell’ invitta
Forza c’ha la vertù con beltà misto.
Grida Diòro aneli’ egli-, e lui sovviene,
E sè^stesso difende, pòi eli’ il terzo
Esser non può quando sia Salio il primo.
Enea cosi decise: Aggiate voi,
Generósi garzoni, i prègi i vostri:
E nulla in ciò dò I’ ordine si muti:
[334-349]
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[499-52-2] libro v. J 223
Cli’ iasopplirò con degna ammenda al caso,
Oiid’ ha fortuna indegnamente afflitto';
V . '
L’. amico mio. Ciò detto, una gran pelle
Presenta a Salio d’ un leon gotùl.o,
C’ ha il tergo irto di velli e i’ unghie d’ oro.
E qui Niso:.0 Signor, disse, di tanto
Guiderdonate i perditori, odale
Di chi cade pietà vi prende ; ed io ,
Di pietà non son- degno iiè di pregio,
lo che son di fortuna a Salio eguale,
E di valore a tutti gli altri avanti?
E ciò dicendo, Sanguinoso il volto
E livido moslrossi e lordo tolto.
Rise il buon padre Enea; poscia un pregiato
E degno scudo, eli’ a le porto appeso
Era già di- Nettuno, ed ei riscosso
L’avea da’ Greci, con.mirabil àrfe
Dal saggio Didimàone coustrutto,
Venir tosto si fece, c Niso af monne.
Finiti i corsi c dispensati i doni,
Or, disse Enea j qual sra die vaglia ed osi
Di forza e d’ ardimento, al cesto invito.
Chiunque accetta, col suo braccio in alto _
Si mostri accinto. E, ciò dicendo, in mezzo
[350-365]
[òiT-'STJO] ufcao v. 545
Signor, poiché non è ehi meco ardisca
Di stare -a pi uova,a che più bddo? c quanto
Badar più deggio ? Or 'di’ clic ’l pregio è mio
Perch’ io meco l’adduca. A ciò frepiendo
Assentirono i Teucri ; c già co’ gridi
De 1’ onor lo facean degno e del dono;
Quando verso d’ Entello il vecchio Aveste
SI coni’ egli- era in un cespuglio a cauto,
Si volse ej'ampognundo: Ah ! disse, Entello,
Tu sei pur fra gli eroi de’ nostri tempi
Il più noto e il più forte; e come sofl'ri
Ch’ un si gradito pregio or ti -si tolga
Senza contesa? Adunque c stato invano/
Fin qui da noi rammemorato e cólto
Èrice/in ciò nostro maestro c dio?
*
Ov’ è la fama tua che aheor si spande
Per la Trinacria tutta? Ove son tante
Appese ai palchi tue famose spoglie?
Rispose Entello: Nè disio d’onore,
Nè vaghezza di gloria unquù, signore,
Mi laseiàv mai, nè mai viltà mi prese:
Ma 1’ incarco degli anni, il freddo sangue,
E la scemata mia destrezza e [orza
Mi ritraggono a dietro, lo quando avessi
[383-397]
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22G l’lseide. [57i«-594]
O n>en Tjuei giorni, ojiou mcn quel vigore,
Onde costui di sè tanto presuma, ,
GiflrqKH- diletto- mio seco alle. mani
Sarei venuto, e non dhl preniia^indotto,
Che premio non ne cbero. 0 pur qui sono.
Disse, e sorgendo, due gran cesti c .gravi
Gi llò nel campo, e quelli stessi, vnd’ era
Solito a le sue pugne Krice armarsi. •
Stupir tutti, a quell’ armi che di sette . .
Dorsi ili sette buoi, di grave piombo
E di rigido ferro eran conserti. ,
Stupì Darète-in primate ricusolle
A viso-operto, onde d’Anchise il figlio
Le prese avanti, e i lor volunii e ’l, pondo
Stava mirando, quando il vecchio Entello
* , *
Così soggiunge; ()r che diria eostui
Se visto avesse i cesti e Tarmi stesse
D’ 'Èrcole Invitto,* e T jnfelico- pugna,
Onde iu.su questo lilo Èrice cadde ?
D’Èricé tuo fratello eran quest’ armi
Vedi che^ono ancor di sangue infette
E (V umane cervella. 11 grande Alcide
Con queste Èrice assalse-: e con quest’ io
!tl esercitai, mentre le fòrze e gli a tini •
[3*07-415]
t
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[595-6 i 8] Lifino v. 227
Etsmvpiù verdi, *c non canuti i. crini.
Ma poscia che Darètc or le rifiuta;
$e piaee a te, se mèl consente Aceste
Perlai son qui, di elò, Troiano ardito
Non vo’che ti -sgomenti. lo mi .rimetto,
E ceda a queste, c tu cedi a le tue.
Combattiam. con altr’arjni, e Siam del pari.
Così detto, spogliossi,: e sì com’ era
De le braccia, degli omeri e dei colto
E di tutte le membra e d’ ossa immane,
Quasi uir pilastro in su 1’ arena stette.
Àllor Enea fece due cesti addurre
D’ ugual peso e^grandezza; ed egualmente
Ne furo armati. Jn prima in su le punte. ,
De’ piè 1’ un coutra 1’ altro si levaro:
Brandir le braccia: ritiràrsLin dietro
Con le testo alle: in guardia si posaro
Or questi or quelli ; alfine ambi ristretti
Mischiar le mani, ed a ferir si diero.
Era giovino 1-’ Uno, agile e destro
In su le gambe; era membruto e “vasto
L’ altro; ma fiacco ir) su’ ginocchi" é lento,
E per* lentezza (il fiato ansio scotcndo
Le gravi membra e U alTànnata lena)
[415-432]
22$ l’ lucide. [G19-642]
Palpitando anelava. In molte gui^e
In van pria si tentaro, C' molte volte
S’ avvisar, s* accennerò c s’ investirò.
A le piene percosse un suon s’ odia
De’ cavi fianchi, un l'intonar di petti,
Un crosciar di mascelle orrendo c fiero.
Cadeau le .pugna ji nembi, e vèr le tempie
Miravan In piu parte; e s’eran vote,
Rombi faeean per P arda c fischi e vento.
Stava Entello fondato; c quasi immoto,
Poco de la persona, assai itagli occhT
, Si valea per suo schermo. A cui Daròtc
Girava intorno* qual chi ròcca oppugna,
Quantunque indarno, che per ogni vi»
Con ogni arte la stringe e la combatte. •
Alzò la destra Entello, ed in un colpo 1
Tutto s’ abbandonò contra Darete;
Ed ei, che lo previde, accòrto c presto
Con un salto schivollo; onde ne Paura
Percosse a vóto, e dal suo pondo stesso
h da P impeto tratto a terra cadde.
Tale un allo, ramoso, antico pino
Carco de’ gravi suoi pomi si svelle
D un ca\o greppo, e cpn la sua ruina
[432-449’]
t
i
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►
[643-666] libro V.- 229
D’ Ida una parfè, o d’ Erimanto ingombra.
Allei* gridò, gioì, temè la gente,
Si com’ eran'de- Sieoli e de’ Teucri
Gli animi e i voli ai due compagni affetti.
Le grida al eiel ne giro: AceSìe il primo
Corse per sollevare il vecchio amico;
Ma nè duLcaso ritardato Entello,
Nè da tema sorpreso, in ufl baleno
Risurse e più spedito e più feroce;
Chè l’ ira, la vergogna e la memoria
Del passalo valor forza gli accrebbe.
Tornò sopra u Darete, e per lo campo .
Tutto a forza di colpi orrendi c spessi ?
Lo mise in volta, or con la destra in alto,
Or con la manca, senza posa mai
Dargli, nè spazio di fuggirlo almeno.
Non con si folta grandine percuote ,
Oscuro nembo de* villaggi i tetti, .
Come con infiniti colpi é fieri
Sopra Darète riversossi Entello.
Allor il padre Enea, l’un ritogliendo
Da maggior ira, e l’altro da stanchezza
E da periglio, entrò nel mezzo; e prima
Fermato Entello; a consolar Darète
[449-464]
4
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l* F.Nninn.
[667-690]
Si rivolse dicendo: E clic follia
Ti spinge n ciò? Non vedi-a cui contrasti ?
Non senti eJc'suc forze <ri numi avversi?
• "* %
Cedi a Dio, cedi: e, cosi detto, impose
Fine a I’ assalto. I suoi fidi compagni
Cosi com’ era afflitto, infranto e lasso, , ,*
Col capo spenzolalo, c con la bocca
Che sangue insieme vomitava e denti,- ,
Lo porta ro a le navi ; c fu l'or dato
L’ elmo, il cimiero e- la promessa spada.
Rimase al vincitor la palma e T toro,
Di che lieto e'Superbo.;0 de la Dea,
Disse, famoso figlio, e voi Troiani,
Quinci vedete qual ne’ miei verd’anni^
Fu la mia possa, c da qual morte uggiate
Liberato Darètc. E, ciò dicendo
Recqssi .anzi .al giuvenco, e M duro cesto
Gli vibrò, fra le corna.<AI fiero colpo
S’aperse il teschio,' si scbiacciaron Fossa,
Schizzò ’l cervello*; e ’1 bue tremante e chino
Si scòsse, barcollò, morto cade.
Ed ei soggiunse: Èrice, a te quest’ alma
Più degna di morire offrisco in vece
Di quella di Darèle,, e vincitore
'1464-484}
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[691-7'Ji] libro t. 231
Qui ’l cesto- appendo, e -qui l’arte ripongo.
Immantinente Enea l’ altra estesa
Propon de l’ arco, e i suoi.prèmii dichiara.
Ma P albero comlnr pria de la nave
Fa di Sergesto, e ne 1’ arena il .pianta: . ..
Suvvi una fune, c ne hi fune appende
Una viva colomba, e per bersaglio*
Lo pon de le saette o degli arcieri.
Persi i.più chiari avairti, c i nomi loro
Del fondo si.cavàr d’ un elmo a sorte.
Uscio primiero Ippocoonte, il figlio
•D’ ìrtaco genpruso, a cui <5on lieto
Grido la gente applause. A lui secondo
Fu Memmo,che pur dianzi il pregio otten ne .
Del naval corso: e Mommo, sì cotn’era,
Di verde oliva incoronato apparve.
Apparve Eurizio il terzo; ed efa questi -
Minor, ma ben di te degno fratello,
Pàndaro glorioso, che de’ Teucri
Rompesti- i patti, e saettasti in mezzo
A 1’ oste greca il gran campione argivo.
Ultimo si restò de l’ dfno ili fondo
Il vecchio Acestc, che sì vecchio aneli’ egli
Ardì di por-si a giovenil contrasto.
[484-499]
-,
232 l’ incide. [115-738]
Tesero gli archi e trasse r Le quadrello
Da le faretrq. A lutti gli altri avanti
Di irtaco il figlia a suettare accinto
Col suon del nervo e del pennuto strale
L’ aura percosse, e sì dritto fendella
Clic 1’ albero-investì. T remonne il legno, ;
-Spaventossi 1’ augello';c.d’ alte S'*^a
Risonò il campo e la riviera tutta.
Memmo yicn dopo,cponla mira, e scocca:
E ’l misero fra’ piè colpisce appunto
In su la corda, e ne recide il nodo.
Libera la colomba a volo alzossi,
E per lo ciel veloce a fuggir dicssi.
Eurizio allor, eh’ avea già I’ arco teso
E la cocca in sul nervo, al suo fratello
Votosfci, c trasse; e ne le nubi stesse
(Sì come lieta se ne giva e sciolta)
La feri sì che con lustrale a terra
Cadde trafìtta, e lasciò l’alma in cielo.
Sol vi restava Acestc, à cui la palma
Era già tolta ; ond’ei scoccò1 ne T alto
Lo strale a vóto e la destrezza e l’arte
Mostrò nel gesto e nel sonar de I’ arco.
Quinci subitamente un mostro apparve
[500-522]
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[739-762] LifiBo v. 233
Di meraviglia-c di portene orrendo j
Come si* vide, e come ..iqterpretato
i n pei. da formidabili indovini. ‘ %
Clic la saetta in su le nubi accesa?
Quanto volò, tanto di fiamma un solco v
Si trasse dietro, infili elvella nel foco,
b ’l foco in aura dilcguossi e sparve,
lai sovente dal ciel divelta cade
Notturna stella, e trascorrendo lascia
Dopo sé lungo. e luminoso il cl ine.
A questo augurio attoniti i Sicani
E i Teucri tutti, umilemeule a. terra
Ciiltàrsi, ed agli dii pace chiederò.
Solo Enea per sinistro e per infausto
Non P ebbe; c 'I vecchio Aceste, clic gioioso
Era di ciò, gioiosa niente accolse,
b molti doni apprcsenlògli, c disse:
Prendi, padre, da me questi che scevri
Dagli altri onori a te destina il cielo
Con questi auspicii,e questa coppa in prima
Un de’ più oari a me paterni arredi,
E caro e prezioso al padre mio,
E per P intaglio, e per la rimembranza
Del buon re Cisso che fra gli altri doni
[522-537]
uvtant
234 t* eneidiT. [763-786]
Questo rn Tracio. gli'diè pegno e ricordo
De T aifior slio. Così dicendo, il fronte
Gli ornò ili veglie alloro, o dichiàrollo . • ’
Vincitor primo. Nè di eiò sentissi
Il buon Eurizio offeso, ancor eh’ ei solo
Fosse de livcolombn il feritore.
Di lui fu poscia il guiderdou secondo.
Chi recise la corda ottenne il terzo;
• E 1’ ultim* ebbe chi coulisse il legno.
Non era ancor questa contesa ìli fine,
Quando in disparte Epilide chiamando .
Un che di lido era custode e guida,
Va’, gli disse a 1’ orecchio, e fa’ che Ascanio
Si spinga avanti, se le schiere, in punto
Ha de’ fanciulli, e eh’ armeggiando onori-
La memoria de 1’ avo. Impone intanto
Che la gente s’ apparti, e il circo tutto
Quanto è largo si sgombri e quanl’ è lungo.
Già si mettono in via; già nel cóspetto
Vcngorì de’ padri i pargoletti 'Croi’
Su frenati destrier lucenti e vaghi.
Solo. a veder gli abbigliamenti e i gesti,
Ne sta di Troia c di Sicilia il volgo
Meraviglioso, e ne gioisce e freme.
[538-555]
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[7&J-SI0]. LIBRO V. 2^5
Parie 'ha' Ui loro una ghirlandai» lesta,
fc^solto accolto e raccorcialo il crine;
Parte bai’ arco c ’l turcasso, c“d’ oro un fregio
Che da le spalle attraversando il- petto-
Sèn va di serpe attorcigliato in, guisa.
Eran tutti indre schiere; avean tre duci,
E ciascun duce conducfea di loro *, .
I re volte quattro, e ’n tre 1 uo^Ii Tspai li ti.
Facean pomposa cd ordinata mostra.
E’ una de le tre schiere avea per capo
Priamo novello, di Polite il figlio,
E di cui nome -uvea nipote illustre,
Grand’ acquisto d’ Italia. Il suo destriero
Era nato di Tracia d’un mantello,
Vario balza» d’ uii più, stellato in fronte. •
Ali fu 1’ altro, onde i Latini han dato
Nomi a V Altia famiglia : un fanciul caro
Al garzonetto luto, luto il terzo,
Ma di bellezza e di valore il primo,
Cavalcava un corsier che soriano
*
Ei a di razza, e dada bella Dido
L’ avea per un^i'icordo c per un pegno
De l’amor suo. Gli altri fanciulli tutti
• ,
Eran d’ Aceste in su’ cavalli assisi.
[556-574]
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23G 1.’ EX LI re. [SU -834]
Con gran letizia e con gran plauso i Teucri
Gli ricever, come che ti ni ideili •
Fossero in prima , e le sembiante in loro
Avvisal o c ’l valor de’ padri stessi.
Poscia che passeggiando al circo intorno
Girarsi iti lenta e graziosa mostra,
Si disposero al corso; e mentre accolti
Se nettavano a ciò schierati in fila ■
Da 1’ un de’ capi, Eprtide da l’ altro
Diè lor col suon de là sua sferza il cenno.
Corsero a tre per tre, pari e disgiunti
L’ una schiera da 1’ altra, e rivolgendo
Tornir di dardi c di saette armali. '
Indi a cacciarsi, a rincontrarsi, a porsi
In varie assise, ad uno, ad uno, a. molti,
A tutti insieme, a far volte, rivolle,
E giri e mischie in più modi si diero;
Or fuggendo, or seguendo; or come infesti,
Or come amici. In (piante guise a zuffa
Si viene in campoj in quante si discorre
Per le molte intricate e eieche strade
Del labirinto che si dice inXrela
Esser construtto ; in tante s’ aggirare,
Si confusero insieme, e si spartirò
[575-593]
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|8fió-#58] wgRO v. 237
ÌDc-’Teucri i figli ; o -tali anco i delfini
Per l’ Iònio scherzandolo pei' PEgeo
Fan giravolta e scorribande e tresche. -
(Onesti tornìarweuti e queste giostre ...
Rinovò poscia Ascanio, allor di’ eresse .
Alba la. lunga; oppresongli i Latini;
(ìli mantenner gli Albani; p d’ Alba a Roma
Fui* trasportati; e vi son oggi ; e come
E P uso e. Roma e i giuochi derivati
Son da Troiani, hanno or di Troia il nome.
Questi eran fino a qui del santo vecchio
Celebrati al sepolcro onori e ludi.
Alidi* che là fortuna. ai Teucri infida
Un nuovo storpio agl’ infelici ordio :
Clic mentre erano in ciò parte occupati»
. «
E tutliduiesi, la saturnia Ghino
Da •!’ antico odio spinta, e de’ lor danni
Non ancor sazia; Ir i coi venti fti prima
Venir si fec.a; e poiché instnitta.Pcbhe
Di ciò eh’ er’ uopo, a la troiana armala
Le commise eli’ andrassc. Ella veloci * * *
1 *• *
Infra milfe suoi litoidi colori
'
Occulta1 cd inviàibile eàiossi.' '•» *
Vide sul IRo una gràn goti te accolta
Caro. — 16. ,[563-6111
t238* l’ exeide, [859.^82]
• • /
Dii 1’ un de’ Vali; il pòrta-abbandoifato
• ^ ^ f ^
lift 1? altro, À ròtlTe senza guardia i legni.
Vide poi jehe'd agl? Hi omini irt'disparte.' .
Slavati le'donnc d’llió, il iporlo Anchise,
Piangendo aneli' esse ; e ne’ìor piantili mare
. Mirando, 01ir diceannmte, -0110.0,1*. di tanto* :
E con lantbp’crigli o-tanti nflfannf* _*
Ne rosta a navigarlo, tesiam giiVviul<^ .
► Da la stanchezza 4 in ciò desio mostrando
Di ricetto e. di.pq^à, e tèma c tedio . . *
Di rimbarcarsi. Ella, che al nuo_cev luogo
E*te(npo vide accommodato cd atto,
Òeposto de la Dea P abulo e ’l volfoj
Tra lor si mise, e Bèi-òe si. fece:
• . • • > ,
Una ^'ecòllia d’ aspetto e d’ anni grave, *
Cha del tracio Doficlo epa già moglie,. .
Di famiglia^di nome e di figliuoli * * r-
3Ialro/ia illustre, e tal sembrando disse:. * ,
0 mesci» i nelle, a cui -per man de’ Greci
Non fa .sotto Ilio di morjV condenso,*
Gente infelice, a die strazio, a che scempio
La fortuna vi serba! Èotlo.già volge
Il settim’ mino,‘da che Troia cadile, *• .
Che’l mar, la Iterrapilciekgli uomini, i sassi •
[8C2-C27J "
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[883-906 j limkTv. >239
Avete incontro, e pur Lazio seguile
Clic vi fugge (larvanti"? Or che vi toglie. .
Di qui fermarvi? Non far questi liti--'
D’ un giù frate tìr Enea*? Non son d’'Acesle
__ . N ^ ^
Ospite nostro? E perché qui non s’èrge
La città* che dal ciel ne si destinai- t .
0 patria!/) da’ nemici .mv'aii ritolti
Santi numi Penati! -invano adunque j
Aspctterera de la Rovella Troia
Le desiate mirra? c non fia mai
Che più Xahtfl reggiamo o Simocrtta ?. ' •
Su, figlie,* mano al foco, e queste infauste
Navi, ardejeeon tue, eli’ io da Cassandra
Di ‘così far son ammonita in soguo.
Ella' coir un’ àrdente face. in mano
Questa notte in’ apparve, « m’ era avviso
D’ esser coin’ ov son vosbo,-e eli’ elio-viltà
Vèr nói, prendete, né dicesse, c Troia. , *
Cercate qui; chèqui posai* v’ò-dalo. t
Or questa è nostra patria^e quesloè Tlempo
Di compir Còpra che M prodigio accenna.
Più non s’.'indugii. Ecco Nettuno stesso
Cou q.uesti quattro . a lui sacrati alluri '
Ne dà!’ occas'ion, l’ animo e,’l foco.- ** ■'* .
[628.-046]
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3
240 l’ exi^ìive. [007-930]
Ciò disse: ed ella in prima un tizzo ardente
Rapi da Tare; e ’l braccio alto -vibrando
Via più T accese, e vèr le navL il trasse.
Confuse ne reslaro'e'stupcfatte
Le donne d’ Ilio; c Pirgo una di loro,
di’ era d’ anni maggiore, e fu di molti
Figli del gran re Priamo nutrice,
Donne, disse, non ò, non è. costei
Nè Troiana, nè Bèroo, nè moglie
Fu di Doriclo: è Dea. Notate i segni : • * *
Com’arde ne la vista, e quali Spira
Ne I’ andar, .ne la voce c nel seminante
Celesti onori, lo pur testé mi parlo ' •
Da Bèròe, elle dr corpo egra languendo *
Stassi, e sdegnando che a quest’ atto sola •
Nosco non intervenga* E qui si tacque.
Le madri paventóse e dubic in prima
_Cbn g]i. occhi biechi rimirar le-navi,..
Sospese le meschine infra V amore
* " w iv * •*_ •
Di godersi la. terra, e la speranza
Che perdean dei munì, a cui chiamate 1
Eran^daf fato. Intanto alto in sud. Vali . V
ha Dea Icvossi, e tra. -[e opache iml>V •
Per entro al-suo gramParco ascese, e sparve
[G41-.GÓ*!
Diaóizecl by ( jQÓ2ÌP
[931-954] . libro v. 24T
Allor dal mostro spavènto te, e spinte
Da cieca furia, s’ avVéntài* gridando ;
E di faci e di fronde e di virgulti.
Spogliaro altre gii altari, oltre infoca ro
t legni sì, che in uh momento appresi
I banchi, i remi e l’ impeciate poppe .
Mandar fiamme e scintille e fumo ài cielo.
Portò di questo incendio Eumèlo avviso
Là ’ve al sepolcro era la gente accolla, '
E de 1’ incendio stesso un atro nembo
Ne diè fumando e scintillando indizio.
Ascanio il primo (sì com’era avanti ’
Duce del corso) àLmar'si spinse in guisa
Che i suoi.maestri impallidir per t$ma,
E richiamando lo seguirò invano.
Giunto che fu: Che furor, disse, è questo?
Dove, dove ne gite? e che tentate, (
Misere cittadine? Ah ! che non questi
De* Greci ,i legni, o gli steccali sono.
Voi di voi stesse le speranze ardete,
io. sono il vòstro Ascanio. E qui l’ elmetto,
Onde a la giostra era comparso armato,
Gittossia piè>_Corsevi intanto Enea:
Vi corsero de’ Teucri c -de’ Sicàni
[G59-675] -
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242 l*- eneide. [955-978].
*
Le schiere tutte. AHOr'pgr téma sparse * *
Le donne per lo litote per le selve
Se ne fuggirò*, ed appiattarsi ovunque -
Ebber dj rupi.o^di spelonche incontro ;v
Che pentite del fallo odiùr la luce,
Cangiàr pensieri, e con 1’ amor de’ suoi
I ri del petto disgombrarsi e Giuno.
Ma non però l’ indomito furore **
Cessò del foco; che la secca stoppa,
E T Utita peoc, e gli aridi fomenti
L’avedn fin dentro a le giunture appreso:
Onde nel molle, ancor viva, esalava
Un*lento fumo, c penetrava r fornii
Si, cb’ ogni forza, ogni argomento umano,’
E M mare stesso, che da tante geliti
Sopra gli si versava, erano'inv'ano. .
Squarc'iossi Enea dagli omeri la veste,
Ch’ avea Iugulil e, e da’ celesti aita
Chièdendo, al ciél volse le palme e dissq:
Onnipotente Giove,' se de’ Teucri
• •» ^ ^
Ancor non t’.c, senza riservo, in ira
La gente tutta, c se, qual sei, 'pietoso
Miri aglj umani affanni, a tanto incendio
Ritogli, padre, i male addotti legni ;•
[675-G89^
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243
# •
[079-1002] . unno v.
Hi log 1 Ir u morie queste lipcbe^afllitlc
Heliquie dc’Troiani ; o quel . che j*esla r
Tu eoi tuo proprio telo, e di tua' manò/
(Se tale è il jnerto mio) folgora e spegni.
Ciò disse a pena, che da torbidi Ròstri
E da nera tempesta il cielo involto
In disusata .pioggia si converse.
Tremaro i canipi, si crollaro i monli
Al suòn de’ tuoni ; a catarattc ppcrtc
Traboccar da le nubi i nembi c i fiumi. „ .
Cosi sotto dal mar, sovi'U’dal piolo . *• •
Le già quasi arse navi in mcTHr.o «accolte ,
Furo n- diri’ acque :.onde leliaipmein prima,'
Poscia il vapor s’estinsc ,'-c tulle spente]
Se non se quattro), si salvare alfine. ^ .
Di si fero ^accidente’ Enea turbalo, .
Molti e gtavi pensici* tra sè volgendo,
Stava infra d ut», se per suo novo seggio
(Posto il fatò in non cale) ei ^eleggesse
De la Sicilia i campi, o pur di- lungo
Cercasse Italia. In ciò Nauta* un vecchione,
■ * . .
Ch’era (mercédi Palladc c «logli apui) . .
Di molla esperienza e di- gran senno,
0 fòsse ira di Dio clic lo movesse, ^
[690- 7 Od]
244 l’ eneide. . [I003-102<j]
0 pur ch’era così nel cie| prescritto,
hi colai guisa a suo conforto disse :
Magnanimo signor, eomtmquc il fato
Nc tragga o ne ritragga, c che che sia,
Vincasi col soffrire ogni fortuna.
Acesle è (pii, eh’ è del dardanio seme « j
E di stirpe celeste un ramo anch’egli.
Prendi lui per compagno al tuo consiglio,
E con luì tr confederale t’.aduna,
Che in grado prenderallo; e tu de’ tuoi •
Ciò clic t’avanza per gli adusti legni,
0 fastidi to è di si lungo essi gl io, -
0 che 1 lingua o che tema o che sia manco
Per date o per sesso, a, lui sì lasci,
Ch’À* pur troiano, ed ci.lor patria assegni,
Che dal 'nome di lui si nomi Acesta.
* w~ * ' %
S’accese al detto del suo vecchio amico
Il troian duce; e trapassando d’ uno
• * »
In un altro p9nsicro, era già notte,
Quando l’ imago del suo padre Anchisc
Veder gli parve, che dal eiòl discesa > .
tal guisa dicesse: 0 tiglio, .amalo
Vie più de la mia vita infin eh’ io vissi,
Figlio, che segno sei de le fortune,
[70G-725]
/
. <£ .! .
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* [1027-1050] unno v. 215
Ertici fato di Troia, io qui mandalo
Son dal gran Giove, che dal ciel pietoso
Ti mirò dianzi, e i lupi legni ritolse
Da V orribile incendio. Attendi al detto-
Del vecchio Natile, e ne )’ Italia adduci
(Si come ci fedelmente li. consiglia) .
À De la tifa gioventù soli i più scelti,
I più sani, i più forti c i più famosi,
CI»’ ivi aspra gente e ruvida e feroce
Domar convicnli. Ma convicnti in prima; ^
* • .
Per via d’ Averno ne I’ inferno addurli,
E meco ritrovarli, ov’ora.io sono,
Figlio, non già nel Tartaro, o fra I’ ombre
De le perdute genti ; ma felice
Tra i felici e tras pii, .per quegli ameni
Elisii campi mi diporto c godo.
A questi lochi, aitar chc'-molto sangqc -
Avrai di negre pecorelle sparso,'
Ti condurrà la_ vergine sibilla.
Ivi contp saratti il tuo legnuggio,
E ’1 tuo seggio fatale: equi ti lascio ,
Già che varcato è de la notte fi mezzo,
E ilei nimico-sol dietro anelando
I veloci destrier venir mi sento.
* [.725-739]
— * »
246 l’ EXEMtt. [1051-407^]
E ciò dicendo, allontanossi. c sparve.
Dove, padre nc vai^- do.<e-A’ ascondi ?
Dicendo Enea, clri fuggi? o chi (i toglie*
Da le mie -braccia ? ni giàsopito foco ^
Si trasse, c lo raccese; c incenso à farro' '
0 (Tri- devoto ai sacrosanti numi
De T alma Vesta c de’ suoi putrii Lari.
ludi i -compagni, e pria di tutti Aveste*
De l’ imperio di Giove e de’ ricordi , . .*
Del caro padre" incontinente avvisa,
E M suo parer ne .porge'. In un mojnento. •
Si propon, si consulta, c s’ essequiscc.
Acestc non recusa; e già descritti • . .
I nomi de le madri, degl’ -in fermi,
E de le gentilhc misliero o cura ...
Avcari più di riposo che, di lòde.
Essi pochi, ma scelti, e gnorri er tutti
Rivolti'» risarcir gli adusti legni
Rinovaron le sarte, i remi, i banchi,
E ciò che ’l foco avea corroso od arso.
Enea de la città le" mura intanto •" , •
Insolca, e i fochi assegna; e parte Troia,
E parte Ilio ne chiama, e re n! appelli •
II buon troiano Aecste.-Ei lieto il carco-
[740-757]*' * "
» I
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[107,5-1098] Lipno v. 24J
Ne prende; indrcé il fòrp, elegge.) padri,
Ode, giudica e. manda. ÀllQrain cima . .
De l’ericimo giogo il grtfn rfelnbro ^ .
Surse a Veorre Id a l io-: e i sacerdoti .
• ' >
(ìli sì' addissero in. prima. Al Idi* s’aggiunse
Al tumulo d' AiK5hi.se TI sacro boa^o. .
•^vea già nove dì (aiti solenni ....
Sacrificii e conviti ; e ’f mare e i venti . -,
Eran placfdi e queti. Austro sovente
Spirando, in alto i lof legni invitava,
Quando un pianto dirolto;per lo.. Irto -,
Lovossi,unr condolérsi, un abbracciarsi. • ‘
\ ^ * * m
Che tutto il dì durò, tutta la .notte. <
Le mesc^iinelle donne, e quegli stessi, •
Cui dianzi spaventosa era la faccia „ .
E ’l nome intollerabile del mare,
Voglioii dk nuovo ognr mariti disagio. .
Soffrirete de l’éssiglio ogni fatica.
Ma li raqueta e li- consola Enea
Con dolci modi, e lugrimando alfine
Da lor si parte, ed al suo caro Accàte
Quanto può caramente gli accooMinwida.
Poscia, fatta al grand’ Èl ice in sul li fo
Di tre giuvenchi offerta, e d’ uif agnclla
[758-7*72]
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218 l’ eseide. [I099-H22]-
A le Tempeste, si rimbarca c scioglie.
Ed ei stesso altamente in su la proda,
Cinto il capo d’oliva, unii gran tazza
In man si reca, e di lenèo liquore
E di viscere satfre il mare asperge. . ' .
Sorgca da poppa il vento, c le sals’ onde
>
Ne ginn solcando i remiganti a gara,
Quando del figlio Citcrea gelosa
Nettuno assalse, c seco1 querelassi
In colai guisa: La grav’ ira e l’ odio
Di Giulio insaziabile m’ inchina
Ad ogni priego ^poscia che nò ’l tempo.
Nè la pietà, nè Giove, nè ’l destino _
Acquetar non la" ponilo. E non le basta
D’ aver già’ Troia desolata ed arsa,
Che le reliquie il nome e 1’ ossa c ’l cenere
Ne perseguita ancora. Ella ne sappia,
Ella ne dica la cagione: lo chiamo
.Te per mio testinion del’ improvisa-
Micidial tempesta che pur dianzi
Per mezzo de l’eolide procelle
Mòsse lor contro (tua mercede)" invano.
Or ha 1 #iniqua per le mani stesse •
De le teucre matrone i teucri legni
[772-793]
[11-23-1 146J libro- v. . 249
Dati si bruttamente al foco in predb,
Perchè i meschini, arse rè navi loro,.'
Sian di lasciare i lor compagni astretti
Per le terre straniere. Or quel che-resta, *
E eh’ a te chièggo, è che il tuo regno pmai
Sia lor sicuro, e eh’ una vòlta. alfine
Tocchili del Tebro c di Laurcnto i campi, *
Se però quel cJT io chieggo è clic dal cielo
Al miq tiglio si debba, e se quel seggio
Ne dan le Parche e ’l fato. A -lei de T onde
Rispose il domatore: Ogni fidanza *
Prender puoi, Citerea, ne’ regni miei,
Onde tu pria nascesti. E non son pochi
Ancor teca i miei merli fchè più volte
Ilo per Enea Pira e il furore esibito
E del maree-dei cielo. Ed anco in terra
Non ehb’ io (Xanto- e Simoenta il sanno)
De la salute-saia cura minore, .
Allor eh’ Achille 6,lc troiane schiere
Si parve amaro, e che fin sotto al muro
he cacciò d’.TIio, e tal di lorfe strage,
Che. nc gin gonfi e sanguinosi i fiumi p*
E Xanto da’ .cadaveri impedito : *'
Sboccò ne’ campi, e .deviò dql mare. .
[794-80&]
%■
■tf>; f
“250 l’ enf.ioe. [T147--Ì 130]
Ei a quel' {'ionio Enea il’ Aetville u fronte,
Nè dii 7iò forze uvea eli-’ a lui 4lel pari
Stessero incontro, lo fui eli» ne la jiuhe
Allo r 1’ ascosi ; io ohe ili man nel trassi, *
Quando 'più il' atterrar 'uvea desio
** #
Quelle mura odiose e disleali, . .
Clic pur de le mie rtìani eràn fattura.
Or ti conforta elio vèr lui son io \
Qual firi mài sempre, e, còme agogni-, il porto
% i
Attingerà 'sicuramente; e’I lago'
Vedrà d’ A verno, -tr. de’ suoi tutti un sok) *
• • -w
Gli mancherà. Sòl'uii eonvien che péra
Por còndili' -gli altri suoi lieti e sicuri.
Poiché «li Citereà la mente quel»-.
Ebbe de Y onde il padre, i sirol cavalli -, •
Giunti insieme c frenali, a lente briglie ' -
Sovra de V alto suo ceruleo córro
Abbandonofisi, è lievemente scórse
-Per lo uiar tutto. S^adcgiiaron P onde,
Si dileguàr ì innubi dovunque apparve,. -
Tutto figo mb rossi, del suo corso-ai suono,
CIP avoa di.tQi bo il ciel, di gonfio il mare.
Cingeón Nettuno allor da la man destfa.
Torme di pìstri e di baione immani, , * :
[808-828]
• %
*
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[1474.-4 194] libro v. * 25-1
Di Glauco ji vecchio coro, é d’ Ino il .figlio,. •
E i veloci* tritoh'i, c tutto insieme. ’ -* *
Lo sino! di Forco.. Da sinistra iptorne .
Gli c»;a Teti* Melile -è Panopèa,* ’
Spio, Nisèa, Cimòdoce é’Talia. .
• m *
Qui ; per P amara dipartenza afflitto
11 'patlpe’Eoea rassercnoss'i m parte,
E ciò che a navigar faeca mìstiero
Gioiosàrpenle a) suoi còmpagìii impose. *
Tiròr P antenne, indltjeràr le vele,
Sciolserò^ammainàr, chiaro? alzaro,
Ferie marinareschedor-bisogne G* ‘
Tutti 'in un tempori! in un tempo insieme
Drizzò r le prore al mar, le poppe al vento..
Innanzi a tutti eort-piàdegni in frotta
Già Palintlro, ìtprqVidò nocchiero/ * '
E gli altri .dietro luf di mano ih mano.»
Era, Tumida notte a mezzo il cerchio '
Del ciet salita, e già languidi c stanclif. «. -
Sui duri legnivi naviganti agiati-
Prendean quiete j quando. ecco daPalte
Stelle placido. *e liev'tf il Sonno sceso * \ .
SÌ fece quanto ìfveà d’ aere inforno ’ * !
Sereno e queto': e te^ buon PalimM*q, •
, [&23-840]
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• X»
252 ' . i/'EjfEiDE. [II9&-1218]
Senza tua colpa, insidioso assalso
Porlafido agli ocelli tuoi tenebre eterne. •
Ei di Forbantc marinaro esperto
Presa-la forma, come nolo, appresso . ‘
In su la poppa gli si pose, e disse:
Tu vedi. Palinuro;' il mar ne poi'ta
Con Iq stessè onde, e ’l vento ugual ne spira.
Temp* è che pósi ornai: china la lesta,
E fora gli ocelli a la fatica un poco, »
Poscia eli’ io son qui leco e per te veglio.
Cui Paliuurorgià gravato il ciglio,
Cosi rispose: Ah! tu non credi adunque * -
Gli’ io conosca «lei mài* le perfìd’ onde,
E ’l falso aspetto ? A tale infido mostro
Gli’ io fidi il mio signore c i legni suoi ? ' •
Ch’ai fallace sereno, ai venti instabili
Presti fede ió, clic ■son da lor deluso
Già tante volte? E ciò dicendo, uvea
- Le man ferme al timon, gli occhi a le stello.
Il Sqnno allora di letèo liquore,
E di sligio veleno un ramo asperso
Sovra gli scosse, e' I’ una tempia e 1’ altra
Gli spi* uzzo sì, elio gli ocelli anqor rubelli
Gli stri use, gli gravò, gli chiuse alfine.
£840-851»]
X
- *■
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[1219-1242] libro v. • 254
A peno avean le prime gocce infusa
La lor virili, che ’l buon uocchier disleso
Ne giacque: e.*1 dio col suo mentito corpo
Sopra gli si recò, pinse e sconfìsse
Un ghcron de la poppa, e lui con esso
E col temon precipitò nel mare.
Nè gli valse a gridar cadendo aita,
Chè T un qual pesce, e Y altro qual augello,
Questi ue 1’ onda, e quei ne 1* aura sparve.
Nè I* armata ne gfo però men ratta,
Nè men sicura ; chè Nettuno stesso,
Come promesso avea, la resse e spinse.
Era de le Sirene ornai solcando
Giunta agli scogli perigliosi un tempo
A’ naviganti ; oftdfe di teschii e d? ossa
D’ umana gente si vedean da lungo
Biancheggiar tutti. Or sol, di canti invece,
Se n’ode un roco suon di sassi e <J’ onde.
Era, dico, qui giunta, altor'ch’ Enea
Al vacillar del suo legno s’ accorse,
Clic di guida era scemo e di temone :
Ond* egli stesso, infin che ’l giorno apparve,
Se nc pose al governo, e ’l caso indegno
Del cara amico in tal guisa ne pianse:
Caro.— 17. [S57-S69]
. |
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254
l’ ENÉiDE. [1243-1247J
Troppo al sereno, e .troppo a la bonaccia
Credesti, Pnlìnuro. Or ue.T arena
Dal mar pittato in qualche* strano li r o.
Ignudo e sconosciuto giacerai, ‘ ■*.
Nò chi* t'onori avrai nè chi ti copra.
{8I0-87J} ' '
i • /
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255
DELL" ENEIDE
' *
• r
Libro Sesto.
> •
Cosi piangendo disse; e navigando
Di Cuu\a in vèr 1’ euholca riviera
Si spinse a lutto coi'so, onde ben tosto
Vi furon sopra, e v’ approdat o alfine.
Volser le prue, gitlàr V ancore j ci leghi,
Si come stero un dopo 1’ altro in (ila,
Di lungo tratto ricovrir la riva.
Lieta la gioventù nel iito esperio
fiittossi; ed in un tempo al villo intesi,
•w I
Citi qua. chi là si diero a picchiar selci,
A tagliar boschi, a cergar dumi e fonti.
Intanto Enea versò la ròcca ascese,
Ove in alto sorgea di Febo il tempio,
E là dov* era la spelonca immane
De I’ orrenda sibilla, a cui fu dato
Dal gran delio profeta animo e mente
I)’ aprir 1* occulte e le future cose~
Avea-di Trivio già varcato il bosco,
[Li»)
256 L* ENEIDE. [19-42]
Quando avanti di marmo ornato e d’oro
Il bel tcnipio si vide. È fama antica
Che Dedalo, di Creta tri lor fuggendo
Cli’ ebbe ardimento. di levarsi a volo
Con più felici e con più destre penne-*
Che ’l suo figlio non mosse, il freddo polo
Vide più presso; e per sentici' non dato
A l’uman seme, a questo monte alfine ’
Del Calcidico seno il cor$o volse.
Qui giunto c‘ fermo, a le, Febo, de I’ ali
l/ordigno appese, e ’l tuo gran tempio eresse,
Ne le cui porte era da I’ un de’ lati .
I)’ Andrògco la morte, e quella pena
Che di Còerope i- figli a dar costrinse
Sette lor corpi a l’empio mostro ogn’anno:
Miserahil tributo! e v’era l’urna,'
Onde a sorte eran tratti. Eravi Creta
Da I’ altro lato, alto dal mar levata,
Ch’avea del tauro istoriata intorno,
E di Pasife il bestiale amore,
E la bestia di"tor nata bifórme,
Di si nefando ardor memoria infame,
beavi 1 intricato laberinto ;
Eravi il filo, onde gl’ intrighi suoi
[13-28]
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[4^-6G] libro vi. 257
E le sue cicche vie Dedalo-stesso,
Per pietà ch’ ebbe a la regina, aperse.
E tu, se ’1 pianto del tuo padre e ’l duolo
Noi contendea, saresti, Icaro, a parte
Di si nobil lavoro. Ma due volte
Tentò ri tra rii in oro; ed altrettante . ' '
Si I’ nbborrì, che 1’ opera e lo stile
Di mai» gli cadde. Era con gli altri Enea
Tutto a mirar sospesi, quando Acate
Tornò) di’ era- precorso, e seco addusse
Deìfobe di Glauco, una ministra
Di Diana e d’ Apollo. El la^ rivolta
Al frigio duce, Non è tempo, disse,
di’ a ciò si badi. Or è d’offrir jncstiero
Sette non domi ancor giuvenchi, c scile
Negre pecore elette. E ciò spedito
Tosto, come s’jinpose, ella nel tempio
Seco i Teucri condusse. È da 1’ un cauto
Dell’ eubolca rupe un antro immenso
Che nel monte penètrà. Avvi d’ intorno
Cento vi 9, cento porte; e cento voci
N’ escono insieme allor che la Sibilla
Le sue risposte intuona. Era a la soglia
Il padre Enea, quando, Ora 6 il tèmpo, disse
[28-45]
2&8 L* ENEIDE. [67-90]
La vergine, di’, di'; chiedi lue sorti :
Ecco lo dio eli’ è già comparso e spira.
Ciò dicendo, de l’ antro In su Fa bocca
In più volti oungiossi c in più colori';
Scompigliossi le chiome; aprissi il petto ;
he ballò ’l fianco, c ’l cor di rabbia 1’ arse;
Parve in vista maggior; maggior il tuono
' * »
Fu che d’ umana voce; e poiché. M nume •
Più le fu presso, A che baili, 'soggiunse,
• »
Figlio jd’ Anelli te? Se non di’, non s’ apre
Questa di Febo attonita cortina. * •
E 'qui si tacque. Orror per P ossa e gieìo
Cqrse allor de’ Troiani ; e M teucro dufce
Infili da l’ imo petto, orò dicendo:
Febo, la cui pietà mai sempre a Troia '
Fu propizia c benigna, onde di Pari
Già reggesti la man, drizzasti il tèlo •
Contro al covpo d’ Achille; io, dal tuo lume
Scòrto fin qui, tanto di mare ho corso*
Tante terre ho girate, a tanti rischi- ,
Mi son esposto ;-insino a le remote
Mossile genti, insili dentro a le SLrti
Son penetrato; ed or, pur tua mercede,
Di questa fuggitiva Italia il lite
[iG-61]
Dioitiznd bv Google
'
[91-114] gBRo vi. - 259
Ecco lie già tocco, e.ci sor giunto alfine.
Ah! che quésto sia il fine e qui^rimanga
L’ infortunio di Troia! È tempo ornai, '
Dii tutti 3 Dee, cui la dardapia^genté
Unqua fece onta, che perdono eupnee • •
Le concediate. E tu, vergine santa
D?1 futuro presaga, .or ne dimostro
li peggio e ’l regno èhe ne danno i fati. »
(Se pur nèl danno) ove i Troiani afflitti, ■
Ove di Troia i travagliati numi, v- .
E i dispersi Penati alberghi e posi;
Ch'allov di saldo- marmo a Tri via, a Febo
Ergerò tempii, e del supnome i ludi * -
Consacrerollir e i dì Tèsti c solenni.
Ed ancor-tu nel nostro regno avrai
Sacri luoghi rèposti, ove serbati
Per lumi c specchi a le future genti *
Da venerandi a ciò patrizi! eletti
Saranno ideiti e i vaticini i ludi.
Quel che prima ti dileggio è clic i tuoi caj'mi
S’odan per la tua lingua, c non ch’jn foglie
Sian da te scritti, onde ludibrio poi .
Sian di. rapidi venti. E più non disse.
Ella già présa, ma non doma ancora*
[61-77]
rii
260 L’ ENEIDE. [i 15-138]
I lai febeo nume, per ili sollo trarsi '• *
A si gran salina, quasi poltra e licrd
Scapestrata giumenta, per la grotta
Im perversando e mugolando andava.
.Ila eom’ più si scotea, più dal gran dio
Era aflvcnata, e le rabbiose labbia
E l’efferato corcai suo misterio
Più mansueto e più vinto rcmlea.
Eran da lor già de la grotta aperte
l.e cento porte, allor eli’ ella gridando
(.osi mandò la sua risposta a l’.aura:
Compiti son del mar tutti i pericoli;
Kestun quei de la terra, che terribili
Stirali veracemente e formidabili.
Verranno i Teucri al regno di Lavhiio:
Di ciò Callido. Ma beu tosto d’ esservi
Si pentiranno. Guerre, guerre orribili
Sorger ne veggio, e pien di sangue il Tevere
Saravvi un altro Xanlo, un altro Siinoi,
Altri Greci, altro Achille che progenie *-■
Ancor egli è di Dea. Giulio implacabile
Allor piu li sarà, die supplichevole
Andrai d’ Italia' a quai non te ri1 e q popoli
D aita mendicando e dlsossidii!
[77-D2]
A
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LIBRO Vi.
-.2Gt
*
[139-162]
E Pian di tanto mal di nuovo origine
I)’ esterna moglie esterne sponsalizic.
Ma il tuo cor uon paventi; anzi con rutilino
Supera le fatiche c gl’ inferitimi;
Clic fua salute ancor da terra ai gotica
(Quel che mcn credi) avrà lume e principio.
Questi intricati e spaventosi liciti*
Dal più rcposto loco alto mugghiando,
ha Cumèa profetessa empieo lo speco
D’orribil tuoni: e come il suo furore
Era da Febo ralTrenato-o spinto,
0 dal suo raggio uvea barbaglio o lume,
Cosi miste le tenebre col vero
Sciogliea la lingua, è disgombrava il petto.
Poiché la furia e la rabbiosa bocca
Quotassi, Enea ricominciando disse:
Vergine, a me irullu si mostra ornai
Faccia nè di fatica nè cl’ aiTauno,
Che mi sia nuova, o non pensata' in prima.
Tutto ho previsto, tutto ho presentito, *
Che da te nv è predettole tutto io sono
A soffrir preparato. Or sòl li dileggio
(Poscia che qui si dice esser l’ inlrala
De* regni inferni, e d’ Acheronte il Ingo)
[93-107]
262 L’ ENEIDE. [I63-.1&6]
% .
'Che per te quinci nel cospetto io venga
Del mio «liletto padre; e tu la porta,
Tu M sentici* ine ne mostra, c tu -mi guida.
10 lui dal foco a da1 militarmi infeste
i
Tratto ho di mozzo a. le nimichc schiere •
Su queste spalle ; cd ci scòrta e compagno
Del mio viaggio e del mio cssiglio, meco
I perigli, i disagi e le tempeste
Del mar, del .cielo e de 1* età soflretìdo, ..
Vèglio, debile e stanco ha me seguito;
Ed egli stesso m’ ha nel sonno imposto
Che ajè ne venga, a per. tuo mezzo a lui
Mi riconduca. Abbi pietà, ti priego,
E del padre -e del tìglio; ed ambi insieme
Come puoi, (che puoi tutto) or ne congiungi;
CIC Ècate non indarno a queste selve
V ha d’ Averno preposta. Il tracio Orfeo
(Sola mercè de la. sonora cetra) ‘ .
Scender potevvi, e richiamarne in vita -*
L’amata donna. Ne potè Polluce
Ritrarre il frale, ed a vicenda seco
Vita c moige cangiando, irvi e redirvi
Tonte fiale. Andovvi Tèseo; amiovvi
11 grande Alcide ; cd ancor io dal ciclo
[408-123]
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unno vi.
[IST-^NO]
263
Traggo priucipio, e son da 'Gipye aneli’ io.
Così pregando avea le braccia avyiutu
Al sacro, altare, allor clic- la sibilla
• • i » • %
A dir riprese :• Enea, germe del cielo,
Lo scender ne l’ A verno è cosa agevole.;
Clic notte e di ne sta 1’ entrata aperta,
Ma tornar poscia o riveder le stelle,
Qui la fatica e qui I’ opra consiste. . .
Questo a pochi è concesso, ed a quei ppchi
Ch’ A Dio son cari,-o per uman vàlorcr
Se ne poggiane aLcielp. A questi è dato
Come a’ celesti. Il loco tutto in mezzo
E da selve intricalo, e da negv? acque
De l’ iufernut Cucito intorno è cinto.
Ma se. tanto disio, se tanto .amore . .* '
T’ invoglia di veder due vojlo.Stige
K due volle l’ abisso, e solTrir osi- •
Un così grave affanno, odi che prima
Oprar coAvienti. È oe la selva upacu
fra valli oscure e dense ombre' riposto
E ne V arbore stesso un lento ramo . '
Con foglie d’ oro, il cui tronco è sacrato
A Citino inforna; e chi seco divelto
Questo non porta, ne’ secreti regni
[123-141]
l/ F.>EIDE.
[2H-234]
Penetrar d i Plutone urtqua non potè.
Ciò la bella Proserp'ma comanda,
(Mie per suo dono il chiede ; e svelto V uno
Tosto P altro risorge, e parimente
Ila la sua Verga e le sue chiome d’ oro.
Entra nel bosco, e con le luci inulto
ho cerca, il truova, e di tua man lo sterpa : ,
CIP agevolmente sterperassi, quando
ho ti consenta il fato. In altra guisa
Nè con inan, nè con ferro, nò con altra
Umana forza mai fi a che si scili unti,
0 clic si tronchi. Oltre di ciò, nel filo
(Mentre qui badi e la risposta attendi)
Ciiace, lasso! d’ un tuo, che tu non sai,
Disanimato e non sepolto un corpo,
Che tutti rende i tuoi legni funesti.
A questo procurar seggio e sepolcro
Pria converrutti. Or per sua purga in prima
Negre pecore adduci, e ’n colai guisa
Vedrai gli clisii campi, e i stigii regni,
Cui vedere a’ mortali anzi a la morte
Non è concesso. E qui la bocca chiuse.
Enea gli occhi abbassando, afflitto e mesto
Da I antro uscio, Ira sè stesso volgendo
[141-157]
/
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i
*
[235-258] libro vi.
V oscure profezie. Giva con lui *
Il fido Acatc, trcon Ini parimente
Traea pensieri e passi. Erano entrambi
Ragionando in pensar di qual amico,
Di qual corpo insepolto ella parlasse,
Clic coprir si dovesse; allor clic giunti
« •
Nel secco li lo in sii P arena steso
Vider Miseno indegnamente estinto;
Miseno il figlio d’ Eolo, di’ araldo
Era supremo, e col suo fiato solo
Possente a suscitar Marta e Bellona.
Era costui del grand’ Ettor compagno,
E de’ più segnalali intorno a lui
Combattendo, or la tromba -ed. or la lancia
Adoperava: e poi che ’l fiero Achille
Ettorre ancise, come ardito e fido '
Seguì l’arme (V Enea: che non fu punto
Inferiore a lui. Stava sul mare
Sonando il folle con Tritone a gara,
Quando da lui, eh-’ aschio sentitine e sdegno,
(Se creder dòssi) insidiosamente
Tratto giù da Io scoglio, ov’ era assiso,
Fu ne I’ onde sommerso. Al corpo intorno
Convocati già tutti, amaro pianto ,
[158-175]
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26G i.’ im ride. [250.-282]’
Ed alle strida insieme ne gittaro; -
% #s
E più degir altri Enea. Poscia seguendo
Quel eli’ era lor ila Va «sibilla imposto,
Gli apprestaronl’essequie. Enlròr nel bosco.
Di fere Antico albergo ; ed elei ed orni
E frassini atterrando, alzAr gli alluri;
Poser la tomba, fabbricàr la pira,
E la spinsero al cielo. II. frigio duce
Era le sue schiere di bipenne armalo v
A par degli altri, e più di tutti ardente
Di propria mano adoperando, aTopra
Essorlava i compagni; c fra sè stesso
Pensoso, inverso il bosco il guardo inteso,
Così pregava: Oli se quel ramo d’oro
Ne si scoprisse in questa selva intanto,
Come n’ fia la sibilla, oimò, pur troppo
Di te, Miseno, annunziato il vero!
Ciò disse a pena, ed ecco da traverso..
Due colombe venir dìil ciel volando,
Cb’-avanli a lui sul verde, si posal o.
Conobbe il magno eroe le méssuggiere
De la sua madre, c Lieto orando: 0, disse,
Siatemi guide voi, inatomù augelli,
S a ciò senlièr si truova; ite per l’aura
[175-194]
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[2S3-306] unno vi. . 267
Drizzando il nostro corso, ov’ è de l’ombra
Del prezioso arbusto il bosco opaco.
E tu, madre benigna, in sì. dubbioso'
Passo, del lume tuo ne porgi aita.
E, ciò del^o, fcrmossi. Elle pascendo,
Andando, saltellando, a scosse, a volo,
Quanto l’occhio scorgea, di' mano in ipano
Giunsero -ove d’ Averno era la bocca :
E ’l tetro alilo suo schivando,. in alto
Ratto F ali spiegavo, e «hi ciel.puro.
Al desialo loco iogiù rivolte ’
Si posùr sopra a la gefnclla pianta ;
Indi tra frondi e frondi il color d’ òro,
Che diverso dal verde uscio raggiando,
Di tremulo -splendor l’aura percosse.
Come ne’ bocchi al brumai tempo suole
Di vischio un cesto in altrui scorda nato
Spiegar verdi le frondi e gialli i pomi,
E con le sue radici ai non suoi rami
Abbarbicarsi intorno; cosi ’l bronco
Era de l’oro avviticehiato a -Felce,
Orni’ era surto, c cosi lievi al vento
Crepitando moveaT aurake'foglie.
Tosto che ’l vide Enea di piglio dieili,
[195-210]
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si
2GS l’ eneide. [307-330]
s
E disioso, ancor clic duro c valido
Gli sembrasse, a la (in lo svelse; e seco
A P indovina vergine lo trasse.
Non s’ intermise di Uliseno intanto
Condor P esseqnie al suo cenere estremo.
E primamente la gran pira ostruita,
Di pingui lede e di squarciati roveri
V’ alzòr cataste: di funeste frondi,
I)’ atri cipressi ornftr la fronte c i lati,
E piantar ne la cima armi e trofei.
Parte di loro al foco, c parte a P acque,
E parte intorno al freddo corpo intenti,
Chi lo spogliò, chi lo lavò, chi P unse.
Poiché fu pianto, in una ricca bara
Lo collocaro, e di purpuree vesti
De’ suoi più noti c più graditi arnesi -
Gli feron firegi e mostre e monti intorno.
Altri (pietoso e tristo ministero)
Il gran feretro agli omeri addossarsi ;
Altri, com’ è de’ più stretti congiunti
Antica usanza, vólti i vólti indietro,
Tenner le faci, e dier foco a la pira ;
E gran copia d’ incenso e di liquori,
E di cibi c di vasi ancor con essi,
[2.10-225]
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LIDR0 VI.
[331-354]
Si come è F uso a liti cu, entro gillàrvi..
l'oidio cessar le fiamme, e ’ncenerirsi
Il rogo e ’l corpo; le reliquie c I’ ossa
l'uro» da Corinèo tra le faville r
Ricerche e sceltele di vi» puro asperse,
Poi di sua mano acconciamente in una
Di dorato metallo urna reposte.
Lo stesso Corinèo tre volte intorno
Con un rampollo di felice oliva
Spruzzando di cliiar’ onda i suoi compagni,
Li purgò tutti, e ’ì vale ùltimo disse.
Oltre a ch>, fece Enea per suo sepolcro
Ergere un* alta e sontuosa mole,
E 1’ armi e ’1 remo e la sonora tuba
Al monte appese, che d’ Aerio H nome
Eino allor ebbe, ed òr da lui uoipato
Miseno è detto, c si «lira mai sempre.
Ciò finito, a finir quel che gl’ impose
La profetessa, incontinente mosse.
Era un’ atra spelonca, la cui bocca
Fin dal baratro aperta', ampia v or ago
Facea di-rozza e di scheggiosa roccia.
Da negro lago era difesa intorno1^
E «la selve ricinta annose e folte.
Caro.— [225-23S]
“L
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270 l’ enf.ide. [355-378]
Usciu de la sua bocca a Paura un l'iato,
Anzi una peste, a cui volar di sopra
Con la vita ivgl i uccelli era interdetto;
Onde da’ Greci poi si disse Averno.
Qui pria quattro giovenchi Enea condotti
Di negro tergo, la. sibilla in fronte
Riversò lor di vin -le lazze intere; »
E da ciascun,di mezzo te due corna
Di setole maggior il eiulTo svelto,
Diè per saggio primiero al santo fogo, • -
Beate ad alla voce in ciò chiamando, '
De P Èrebo c del ciel nume possente,
l'arte di lor con le coltella in mano
Ec vittimo svenando, c parte in vasi
Stava il sangue accogliendo. Egli a la Nolte.
Che de le Furie è madre, ed a la Terra,
Ch’ è sua sorella, con la propria spada
Di negro vello un’ ugna, -ed ima vacca
Sterile a te, Proserpina, percosse.
Poscia a 1J imperador.de* regni inferni
Notturni altari ergendo, i tauri interi
Sopra a le iìamme.jinposc, e di.pingue olio
Ce bollenti lor viscere consporse.
Ed ceco a P apparir del primo solò
[239-255]
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1
271
[379-402] libro vi.
Mugghiò la terra, si crollaro i monti,
Si sgominar le selve, ut-lòr le Furie
Al venir de la Dea. Via, viaprofani,
Gridò' In profetessa, ileue lunge
Dal bosco tutto; e tu meco te n’entra,
G la tua spada impugna. Or d’ uopo, Enea,
Fa d’animo e di cor costante e fermo. .
Ciò -disse ; e da furor spinta, «on lui,
Ch’ adeguava i syoi passi arditamente,
Si mise dentro a le secrete cose.
O dii, che sopra I’ alme imperio avete,
0 l ac il' ombre, o Flegelonte, o Cao,
0 ne la notte e nel silenzio eterno''
Luoghi sepolti e bui, cou pace vostra
Siami di rivelar lecito a’ vivi
Quel c’ Ito de’ morti udito; Ivan per entro
La cicche grotte, per. gli oscuri e vóli
Regni di Dite ;,e sol d’ errori e <1* ombre
Avean rincontri: come ehi per selve ••
Fa notturno viaggio, alior che scema
La nuova lung è da le nubi involta, -
E la grand’ ombra del terrestre globo
Priva di luce e di color le cose.-
Nel primo entrar del doloroso regno
[25G-273]
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L' ENEIDE. [403-42GJ
Stanno il Pianto, l’Angoscia, c le voraci
Cure, e i pallidi Morbi e'M «loro AtTunno'
Con la dcbil Vecchiezza. Evvi la Tema-,
Kvvi la Fame: una eli’ è freno al bene,*
1/ altra stimolo al male : orrendi lutti
E spaventosi aspetti. Avvi il Disagio,
La Povertà, la Morto, e ile la Morte
Parente, il Sonno. Avvi de’ cor non sani
Le non sincere Gioie. Avvi la Guerra,
De le genti omicida, e de le Furie .
1 ferrati .covili, U Furor folle,
L’ empia Discordia, cho di serpi' ha ’l cripc,
E di sangue mai sempre il volto intriso.
Nel mezzo erge le bracoia annose al cielo
Un olmo opaco e grande, ove si dice
Clic s’ annidano' i Sogni, e eh’ ogni fronda
V’ha la sua vana imago c ’l^suo fantasma.
- Molte,, oltre a ciò, vi sou di varie fere
Mostruose apparenze. Imsu le porte
I biformi centauri, e le biformi
Doe Sci 1 le : Brìarèo di-cento doppi:
l.a Chimera. di tre, che con tre bocche
II foco avventa: il gran. Serpe di Leena
Con sette teste.; e eoh tre corpi umani
[374-28H]
• ►
nano vi.
273
[427-460}
tirilo e Gerióne; e coti Medusa
Le Gòrgóni sorelle ;e I* empie Arpie,*
Che sob* vergini insieme, augelli c cagne.
Qui preso Ènea da.sùbila paura.
Strinse la spada, e la. sua punta volse
Incontro a Pombre; e se non ch'ombre e vile
# Vote de’ corpi e nude, furine £ lievi
Conoscer ne le fé la saggia guida, *
Avrebbe impeto fatto, e vanamente* .
In vane còse ardir mostro c vplore.
Quinci preser la- via là ’ve si varca/
il tartareo Acheronte.- Un fiume è questo
Fangoso e torbose fa gorgo. e vorago, ,
Che bolle e frange, e col- suo negro loto
Si devolvo in Codiò. È guardiano
E passeggierò a'questa riva imposto
Carón Demonio spaventoso ò so*7.o,.
A cui lunga dal mento, incolta ed irta
Pende canuta barbx^ Ha, gli occhi 1100081
Come dr bragia. Ha con un groppo al. collo
Appeso tin lordo ammanto, e con un pah),.
Che gli fa remo, e con la-vela regge
1/ affumicato legno, onde tragitta
Su P altra riva- ognor la ‘gente -morta*
[239-3041
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274
l’eseide. [454-474]
Vecchio è d’ aspetto e d’anni; ma di forzo.
Come dio, vigoroso e verde è sempre.
A questa riva d’ogn’ intorno ognora
IV ogni età, d’ ogni sesso e d’ ogni grado
A schiere si traean I’ anime spente, '
E de’ tigli anco innanzi a’ padri estinti.
Non tante foglie né V estremo autunno
Per le selve eader, non tanti augelli
Si. veggon d’alto mar calarsi a lemf,
Quando il freddo gli caccia ai liti aprichi,
Quanti eron questi. I primi avanti orando
Chiedean passaggio, c coirle sporte. mimi •
Mostravano il disio de l’altra ripa.
.Ma il severo nocchiero, or questi or quelli
Scegliendo o rifiutando, una gran parte
Lunge tenea dal porto e da P arena.
Enea la moltitudine e ’i tumulto
Meravigliando, Ond’ è, vergine, disse,
Questo concorso al tiumq? c qual disio.
Mena quest’alme? e qnal grazia, o divieto
l a che queste dan volta, e quelle approdano?
A ciò la* profetessa brevemente
Cosi rispose: Enea, stirpe divina
Veracemente (che di ciò n’accerta
[304-322]
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LIBRO VI.
2-75
[175-498]
Il qui vederti), là Cocito .stagna;
Quinci va S.tige, la palude .e *1 nume
Per cui di spcrgiuta* fino agli Dei '
Del ci eh) è formidabile e tremendo.
Questi è Caronte il suo tristo nocchiero;
Quella turba che passa, è de’ sepolti ;•
Questa che torna, è de’ meschini estinti
Che nè tomba, hè lagrime, nè polve
Ebber morendo. A lor non è concesso
Traiettar queste ripe e questo fiume,
Se pria fossa non ban seggio e covcrchio.
Erran cent’ anni vagolando intorno'
A questi liti, e ’l disiato stagno
Visitando sovente, infin eh’ al passo
Non sono ammessi-. Enea di ciò pensando,
.Mosso u pietà de la lor sorte iniqua,
Kermossi; ed ecco incontro gli Si fanno
Mesti, d’essequie privi e di sepolcro
Leucaspi, e ’l coiidultor-de’ Licii Oronte,
Ambi Troiani, ambi dal vento insieme
Coi Licii tutti, e cdn l’ intera nave
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Nel mar sommersi. 'Appresso Palinuro
Il gran nocchier de la troiana armata,
Che dianzi nel tornar- di Libia, il cielo
[323-338]
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276 - t’ ENEIDE. ,[499-622]
E le stelle mi l'andò, -in mar fu. tratto.
A costui si rivolse ;-c poiché 1’ e[ibc
Per entro una granii' ombr.a u pena scoi lo,
Cosi prima gli disse: 0 Paliniflvo, .
K (piai fu degli Dei eli’ a noi li tolse,
Ed a Ponile ti diede? Or Io mi conta:
Gilè deluso dìi Febo ampia non Cui,
Se non se in te: Febo predisse pure .
Che lu nosco del mar Securo e salini
Italia a't fingeresti. Ali! dunque un dio* .
E ilio del <ycro, in tal guisa ne frod.a ?
Rispose Palinuro: indilo duce,
Piè P oraeoi (l’Apollo ha (e deluso,
ÌNè P ira ha me di Dio nel mar -sommerso;
Che ’J U'inone, oud’ fornai non ini drvelsi
«
Per tua salute, ancor per man ritenni .
Allor eli’ in mai'e io caddi. Io giuro, Enea,
Per Fonde irate, che di me non tanto
• > '
Quanto- der tuo periglio ebbi timore.
Che non la nave tua, del mio governo
Spogliala e del suo freno, al mar già gonfio
Restasse in preda. Austro tre notti intere
Cen la sua correntia per I’ ampio mare
Mi trasse p forza. Il quarto giorno a pena
[339-356]
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A
[523-646] . libro- vi. 277
BiScQvcrta l'Italia', a poco a poco
M' accostala la terra-; e giunto ornai»
Così eom' era Ancor di veste grave •
E stanco c molle, con I’ adunche mani
M' aggrappava a la ripa,- e salvo fòro;
m Se ndn'cli* ignara e fera gente incontro, .
* Cori)’ a preda marina, mi si fece,
E col t'éfro m’ aheise. Or ltfngo ai liti
Vassené il corpo mio ludibrio a' venti " *
E scherzo ai flotti. Ed io, signore invitto.
Per la superna Juce, per quell- aura
Onde si vive, per tnotpadre-Anchlsè,
Per le spcrdnze del Ino. figlio luto,
Priegoti a sovvenirmi; o che di* tèrra '
Mi c'uopra (Come puoi) cercando il corpo
Per la spiaggia di Velia, *o in altra guisaf
S’ allea ne ti sovviene, o li si mostra *
Da la tua diva madre ;*c!ȏ non Senza
Nume divino un tal-passaggio imprendi.-.
Porgimi la tua destra, e teco tra rumi -
Oltre a quell' acqtife,' perchè mòrto almeno
Pace troovi e riposo. Avea ciò detto,
Quando cosi la vergine rispose:
Ali ! Palinore, e qual dira follia
[357-373]
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278 l’ eneide. [Ó47-570]
A ciò t’ invoglia? Non sepolto adunque
1/ acque di Stige e la severa' foce
Traicttar de I’ Gumcnidi prosami?
Tu di qui tòrti a l’altra riva intendi
Senza comiato? Indarno indarno speri
Che per nostro pregar fato si cangi. *
Ma con questo t’ acqueta, -e ti conforta
De P infortunio tuo; chè quelle teine
Vicine al luogo, ove il tuo corpo giace ,
Da pestilenza e da prodigi! astrette
Lo raccorranno, e con solenne rito
(ili faran sacrificii, essequie c tomba ;
E da te per innanzi.avrà quel loco
Di Palinuro eternamente il nome.
Lieto (P un tanto onore, e consolato
Da tale annunzio, il travagliato spirto
Restò contento ed appagato in parte..
Indi il camin seguendo, a la riviera
S’ nppvossimaro; e il' passeggici’ da Luige, •
Poiché senza far motto entro a la selva
Passar gli vide c ’ndirizzarsi al vado:
Olà, ferma costi, disse gridando,
Qual clic tu sci, eli’ al nostro fiume armato
leu \ai sì baldanzoso; e di costinci,
[373-389]
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I
571-6943 UB,>0 v''
Di’ chi sci, qutl che cerchi, c perche vieni:
Chi notte solamente . sonno ed ombre
Han qui ricetto, e non le genti vive.
Cui di varcare al mio legno noli eci
E s’ Ercole e Tesòa e Pirilòo
Ciò V accettai, scorno e dolore io» ebbi;
Chi I’ un d’ cesi il tartareo custode
hicatenovvi, e, di sotto anco al se*^'“
Del proprio re, tremante a l auro ,1 Ha»». ,
E gli altri infili dal marnale albki g»
Rapir di Ditelo regina osavo.
Nulla di queste insidie, gli rispose
l.a profetessa, a macchinar si viene. .
Stanne sicuro-, c quest’ orme a di
Si portan solamente, e non ad onta-
Spaventi il con tritane, asuo .diletto
Le palliti' ombre; eternamente lai
Ne l’ antro suo ; col suo man “ 1
Si stia casta Proserpinu mai semi' re,
Che di nulla celi cale. Enea troiano -
ù (li pietà famoso e d armi,
em per disio del padre iufino al Comjo
De I’ Èrebo discende; e se 1 esempli
-ni, min ti commuove,
Di tonta carilo non »
raxy-AOo]
-
280 l’ e^eide. [595-618]
Questo almcn riconosei. E fuor ilei senp
D’ oro il tronco traendo, altro non disse.
Ei rimirando il venerabil dono
De la verga fatai, già ili gran tempo •
Non vc.luto ila lui, l’orgoglio c l’ ira
Tosto ilcpose, é la sua negra cimba
A lor rivolse, e ne la ripa stette.
Indi i banchi sgombrando e ’1 legno tutto,
1/ anime óbe già dentro erano assise,
Con sùbito scompiglio uscir ne fece,
E ’l grand’ Enea v’ accolse. Allor ben d’altro
Parve che d’ ombre curco; e si coni’ era
Mal contesto e scommesso, cigolando
Chinossi al peso, c più d’ una fissili"»
A la palude aperse.» Al fin pur salvi ,
Ne E altra ripa, tra le canne e i giunchi
Sul palustre suo limo ambi gli espose.
Giunti che furo, il gran Cerbero udirò
Abbaiar con tre gole, e ?l buio regno
Intonar lutto*, indi in un antro immenso
Sei videi* pria giacer disteso avanti,
Poi sorger, digrignar, rabido farsi,
Con tre colli arruffarsi, e mille serpi
Squassarsi inforno. Allor la saggia maga,
[40G-4I9]
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V tnr
[619-642] libro vi. 2M
Traila di mòlo c d’ incantate biade
l'qa ta-l soporifera mistura,
fa gitiò dentro a le bramose canne.
Egliiingordo, famelico e rabbioso
Tre bocche aprendo, per tre goje oh ventre
Trangugiando inandoila, e 4011 sei lumi v
Chiusi dal sonno, nnzrcol corpo.tulto
Ciacque ne 1’ antro abbandonato c vinto.
.Cerbero addormentato, occupa Enea
D’ Èrebo il' passo, e ratto s’ allontani)
Dal fiume, cui chi varca unqua non riede.
Sentono al. primo entrar voci e vagiti
Di pargoletti infoiai, che dal. latte .
E da le culle acerbamente syejii
Videi* ne’ primi di I’ ultima sera.
N arcano appressi condannati e morti"
Senza lor colpa, c unirseli za compenso '
Di giudizio-c>di sorti. Han quelle genti
Così disposti c divisati i lochi.
Sta MLnos ne I’ entrata, e l’urna avanti
l icii de’ lor nomi, e le lor vite cssnmina,*
E le lor colpe; e quale è questa o quella,
Tal le dòsito, eTq rauoa c parte.
Passai! di mano in ihano a quei clic feri
[419-434]
19.
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2$2 l* eneide. [G43--666]
Incontro a sè, la luce in odio avendo
E Palme a vile, anzi al prescritto giorno
Si son da Iqro ihdegnamenle alleisi.
Ma quanto ora vorrebbono i meschini ’
Esser di sopra, e povertà vivendo
Soffrire e de la vita ogni disagio!
Ma ’Pfato il nrega, e nove volte intorno *
Stige odiosa gli ristringe e fascia.
Quinci non luuge si' distende un’ ampia
Campagna, che del Pianto è nominata;
Per cui fra chiusi còlli e fra soUnghe
Selve di mirti, occulte se ne vanno
L’ alme, e’ ha léra mente arse e consunte
Fiamma d’ amor, eh’ ancor ne’ morti ò vi\u.
Qui videi* Cedrò e Proeri cd Erifile
Infida moglie c sfortunata madre.
Di cui fu parricida il proprio figlio;
Vider haodamia, Pasife, ^Evadile,
E Cùneo con esse, che di donna
ln*uomo, -ed’ uomoalfin cangiossi in donna.
Era con. queste la fenissa Dido*
Che di piaga Tecenle il petto aperta •
Per la gran selva spaziando andava.
I osto clic lo fu presso, Enea la scòrse
[434-452]
DiyitizuO by Googte *
LIBRO Vh
[067-600]
2S3
Per entro a l’ ombre, qual chi vede o crede
Veder tal volta infra 16 nubi e ’L-chiaro •
La nova luna, ullor che i primi giorni
Del giovinetto mese appena spunta :
E.di dolcezza intenerito il core
Dolcemente inirolla, e pianse e disse:
Dunque, Dido infelice, e’ fu pur vera
Quell’ empia che di ite novella udii,
Che col ferro 'finisti i. giorni tuoi?
Ah eh’ io cagion ne fui! HI» per le stelle,
Per gli superni Dei, per quanta fede
Ifa qua giù, se pui* v’ liu, donna, ti giuro
Che mal mio grado dal tuo lito sciolsi.
Fato, fato celeste, imperio espresso »,
Fu del gran Giove,* c quella stessa forza,
Che da V etcria luce a questi orrori
De la profonda jì otte ormi conduce,
Che da te ini divelse; e mai creduto
Ciò di me non avrei, che ’l partir mio
Cagion li fosse oud; a morir ne gissi.
Ma ferma il passo, e le mie luci appaga
De la tua vista. Ah! perchè fuggi? e cui?
Quest’ è V ultima valla, oimèl.clie.’l fato
Mi dà eli’ io ti' favelli, e loco io sia.
[.tò2-4G6]
.r) \i jfoj-'
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28 i l’eseiue. [691-714]
Così* dicendo *e lacrimando, intanto
Placar, tentavi o raddolcir quell’ alma,
Ch’ una sol volta disdegnosa e torv.ar
Lo rimirò,’ poscia o.con gli occhi in terra,
0 con gli *o inferi vòlta, ai delti- suoi
Stette qual, alpe a l’aura, ©scaglio a Tonde.
A I fin «mentre diòea, come nimica *'
fili si tolse davanti, c ne la selva
Al suo «caro Sichèo, cui fhunma Uguale
E par cura acccndca, si ricondusse.
Nè però nien dolente q. men pietoso
Hestonnc il teucro duce," anzi quaut’ oltre
Potè eon gli ocelli, c lungo spazio poi
Col pianto e coi sospiri accompagno! Ui. _ •
Coscia tornando al suo fatai viaggio
Giunse là ’vc accampato era in disparte
6 •
Gente’ di0 ferro e di valore armata. <
Qui ’l gra-p Tidèo, qui -’l gran figlio di Marte
Partenopeo, q^i del famoso Adrasto
La pallid’ ómbra Tncoutro.gli si fece.
Quinci de’ suoi più nobili Troiani
Un gran drappello avanti gli comparve.
Pianse a veder quei glóilosi eroi,
Tanto di sopra disiati e pianti,
[4G7-481]
*
L715-73&] lujro vi. givo
Coinè Glaueo, Xersiloeo, Medonte ' ’ ,
I tre figli" il’ Antenore, il Sacrato'
A Cerere .ministrò Polibete, .
E’l chiuTo Idèo con l’arinHmco e coj carro.
é
Fatto gli avean costor chi. Un. man destra,
Chi da sinistra unafcorona* intorno. ,
Nè d’ averlo veduto éran contenti,
Clȏ ciascun desiava essergli appresso.
Ragionar, passeggiar, far seco indugio,
E spiar cóme e d’oòdce perchè venne. ' *
Ma degli Argivi e le. falangi e i duci,
Quand’egli appai:ve,<fchc tea lor n© l’ombre
1 lampi folgoràr de 1’ armi sue,
Da gran timor furo .assaliti; e piarle
Volser le terga, com4 già fuggendo
Verso le navi^ e parte alzàr le voci
Che per tema sembrAr languide e fioche. '
Deifobo, di Priamo il gran figlio.
Vide ancor qùi, chè crudelmente anciso
(n disonesto, e miserabrl guisa' *
Avea le man, gli orecchi, il naso e ’l volto
Lacerato, incischiato e- monco tutto.
Per temenza iLmeschipo, e per vergogna
D’ esser veduto, con te tronche braccia
Caro.— 19. [4*3*4971*
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* • \ J h.l\: *
•• ’ ^ lift.
2SG l’ eneidc. [739-762]
Uj| fi brutto spettacolo celando,
Indarno si Tacca schermo e riparo;
Oli’ al fui lo riconobbe, e-con I -usata * ,
Domestichezza incontro gli si fece,
Cosi dicendo : Poderoso eroe,
Gran germoglio di Teucro, c chi sì crudo
Fu mai, chi tanto osò, cui ii. permise
Che facesse di te strazio sì licro? '
La notte clic seguì l’orribrl caso
De la nostra ruina, io di le seppi'
* •
Ch’assaliti i nemici e di lor. fatta
Strage che memorabile tia sempre,
Tra le caterve de’ lor corpi estinti,
Stanco via più clic vinto, aliin cadesti;*
Ed al lor io di lieto in su la riva
A l’ombra tua con le. mie mani un vóto
Sepolcro eressi, e te gridai tre volle ;
E ’l nome e Carini tue riserba ancora
Il loco stesso. Io te, dolce signore,
Nò veder, nò coprir di patria terra
Avanti al mio partir mai irou potei.
Deifobo rispose: Ogni-jnetoso, <
Ogni onorato'officio, Enea mio caro,
Ha P amor tuo vòr me compito a pieno.
[498-510J
Diqitigoò byXjOOglc
763-786]- libuo vi. 287
Ma 1’ empio falò mio, 1’ empia e malvagia
Argiva donna ù- tal in’ Ita qui condotto;
E tal di sè lasciò memoria al mondo.
Ben ti ricorda (e ricordar leu dèi) •
Di quell’ ultiiuu notte che sì Ijeki
Mostrqssi-in pria, poi ne sì volse in pianto.
Quando il fatai cavallo -il salto fece
Sopt-aìc nostre murale ’l ventre pieno '
I)’ armate^schiere ne votò fin dentro
A 1’ alta ròcca. Allora ella di Bacco
Fingendo il coro, e con le frigie donne -
Scorrendo in tresca, una gran-face in inailo
Si presele diè con essa il cenno alGreci.
lo dentro alla mia camera (infelice!)
'.ili ritrovai sol quella notte; e stanco -
Di laulexlie n’aveu con tónti affanni -,
Verghiate avanti, un tal prcudeu riposo
Che a morte più' clic a sonno era simile. *
Fece la [Tuona moglie ogn’tormc intanto
Sgombra r di casa, eia mh* fulu spado
I\li sottrasse dal -capo. Indi la por.ta
Aperse, e Menelao dentro v* accolse,
Così sperando tin prey oso dono- -
Fare al marito; c de’ suoi falli antichi
(5ll-5’271
✓
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1 1,
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288 l’ enejde. [787-810]
Riportar venia. Che più dico? Basla- '
Ch’cntràr là V io.dormia.; e con eési era
Pei* consultore Ulisse. 0 dii, se giusto •
È.M pricga mio, ricompensate voi
Di quest’ opere > Greci. E tu che vivo
Sei qui', dimmi a rincontro, il caso, o ’I fato
0 I’ errore o ’l precetto "degli Dei,
0 q imi altra fortuna t’ha condotto,
Ove il sol mai nou entra e (mio è sempre.
• # f-
Cosi tra lò'r parlando e rispondendo,
Avea già. ’l sol del suo cerchio diurno .
t Varcalo il mezzo, e l’avria forse intero;
Se non che la Sibilla rampognando * .*
Così gli fe delbrevc tempo accorti:
Enea, giù notte fassi^ c noi piangendo
Consuiuiam 1’ ore. Ecco siam giunti al loco
Dove la strada- in due sentici* si parte.
Onesto a man dritta a la città ne porla
Del gran Plutone; c quindi ai*tam(?i Elisi;
Quest’ altro -a la* sinistra a I’ empio abisso
Ne guida, ov’ hanno i rei supplizio eterno.
Il figlio a ciò di Priamo soggiunse:
Non ti crucciare, o dql gran Delio umica,
Ch’or oe dà voi- mi 'tolgo, u dii -rifiry.
[527-Ó4Ò]-
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-jgagasiBu.
£811-834}' LiBfto vi. ' -289
Piede tenebre mie. Tu nostro'tmore,
Vaiteli felice, già che scòrto sei
Da miglior. furto ; 6 meglio tè n’ avvenga.
Tanto sol disse, c sparve. .Enea. si volse. ,
Prima ji sinistra, e sotto un’ alto, rupe
Vide un’ ampia Città die tre gironi
Aven di mura, cd un di -fiume intorno •
Ed era.il fiume il negro Flcgetontc, • *
Ch’ al Tartaro con éùono e con. rapina
1/ onde seco truca, le fiamme e-i. sassi.
♦ ,
Vede nel primo incontro una g^an- pòrta
C’ ha la soglia, i pilastri e le colonne "
D’ un tal diamante; che le forze umane, \
Nòtlegli stessi Ilei, romper noi ponilo. •
Qui nei' si spicca una gran Jorre- in alto s. '
Tutta di ferro.- A guardia de l’ entrata
La notte e ’l giorno vigHando^tssisa
Sta la fiora Tesifone succinta,. • '•
Col braccio ignudo, insanguinata e torva.
Quinci di lai, di-pianti e di perisse
E di stridordi ferri e di catene
Cotale un suono udissi, che spavento
Enea .sentitine; c.raUenulo il passo, . .
Dimmi; vergine; disse, l che clulitti '
[5A5-560]-
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Ipy» .u^Vv
290 l’ihèide. .^[83à-8à8]
Son qur puniti? -e che pianti son questi?
Ed ella: Inclito sire, a nessun lece,
Che buono e giusto sia, di portar oltre
Du^quella soglia scelerata il piede.
Ma ine di ciò elio dentro vi s’accoglie
Ècate instrusse allor ch’ai sacri boschi
Ali prepose d’ Averno; c d’ ogni pena
K d’ ogni colpa e.d’ ogni loco a pieno,
Quando seco. vi fui, notizia diemnii.
Questo è di Raduniamo il tristo regno,
hà dov’ egli ode, essamjua, condanna
K discuopre i peccati, che di sopirà n.
Son da le genti o vanamente ascosi *
In vita, o non purgali -anzi a la morte:
Nè pria di Radamanto esce il precetto,
Che Tesifonc è presta ad esscguirlo.
Ella con l’una man la srerza impugna,
Ne l’altra ha serpi ; ed ambe intorno arrosta,
E grida e fere, e de le sui sorelle
Le mostruose ed empie schiere tutte
Al ministerio de* tormenti invita.
Apronsi l’-essecrate orrende porte
Stridendo intanto. Tu, che quinci vedi
Che faccia è quella che di fuor le guarda,
[ód 1-575]
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* ■
.
[JSÓ9-&8-2] libro vi. w*JI
Peusa qugl a veder-sia dentro un’ Idra
Ancor più fiera aprir cinquanta incordo
Rabbiose bocche'. Jl Tartaro vicn dopo ;
Una vorago che due volte tanto
Ha di profoodo, .quanto in su guardando 1
È da la terra al crelo’ c qui nc I’ imo'
Suo baratro dui fulmine trafitti
Son gli antichi Titàni al eiel rubclli.
Qui vidi ambi ti’ Alùo gli orrendi figli, . -
Che scinder con le mani il cielo osare,
E tór Io-scettro del. suo regno a Giove..
Vidi vi 1’ orgoglioso Sulmonèo
Di sua ieinerilà pagare il fio ;
Che temerario veramente ed empio
Fn di voler, quale il Tonante iu cielo,
'fonar qua giuso c folgorare; a pruovn.
Questi su quattro §uoi giunti destrieri,
La man di face armulo alteramente
Per la Grecia scorrendo, c fin per inerbo
t t
IV Eli.de, ov’è di Giove il maggior tempio,
Di Giove stesso.il nume, c de gli Dei
S’ attribuiva i sacrosanti onori.
Folle, che con le fiaccole e co’ bronzi, ■
E con lo scalpitar de’ suoi ronzoni
[&7G-590]
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» • • <-( ti
«• H ‘ \jà •
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292 i,* cteide. [888-906]
I tuoni, i, nembi e i folgori imitava
Cli’ imitai* non si'ponuo; e lien fu degno
Oli’ ei provasse per -man del patire eterno
I)’ altro fulmine il colpo e d’ altro -va/npo
Clic di tede e di fiwiio, e degno ancora
Che nel baratro andasse.' Eravi Tizio,
• 7 •
Quei de la terra smisurato alunno.
Che lien disteso di campagna. quanto,, '
Uh giogo in nove giorni ara 'di buoi.
• ^ |
O’uesti Ita sqpra un famelico avoltorc,
• #
Clic con lradunco rostro al cor d’ intorno
(ili picchia e rode; e perchè sempre il pasca,
Non mai lo sdenta. sì ohe ’l pa$to eterno,
Ed eterna non sia la pena sua;
Clic fatto*'» chi lo sccpip.ia* esca e ricetto, '
* * * •
Del suo proprio martir s’ avanza e cresce;
E pcrclrè sempre langua, iniqua' non more.
Di Là[iiti a clic parlot ti' IssJón.e
Di L’tritòo, e di quegli altri tutti,
C.ui sopra al oapo un’atra selce, pende
Che grave c ruijnosa tìd ora .ad ora* • ,
Sembra clic caggia? Avvi la mensa d’-oro
Con preziosi cibi in regia guisa
Apparecchiati e proibiti insieme::
[591-605]
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[907-930] fcianq vi. 293
Che la Fame,’ inferii»! furia maggiore.
Gli siede accanto jecóin’più ’l gusto incende
Di lui, più dal gustarne. indietro LI t rag gè,
E sorge* e la sua face estolle e grida.
Quei che son vissi ai-lor fratelli amari;
Quei c’ bau battuti i pad ri j quei ebefrode
Huono ordito a’ clienti ; i ricchi avari,
E scarsi a’ suoi, di- cui hi turba è grande ;
Gli occisi in adulterio; i violenti,
Gl’ infidi, i traditori in questo abisso
Ilaii tutti i Jor ridotti c le lór pei\e.
E die pena e die fórma c die fortuna
• * * /
Di ciascun sia,* non è d’ uòpo eh’ io dica:
Ma dii sassi rivolgono, e chi vólti .
Son da le |*tiole, ed nitri-in -altra guisa
Son tormentati. In un petroli eontiUo’
Vi siede,, e sederavvi eternamente,
Tèseo infelice; e Flegia infdieissmio "
Va tra l’ ombre gridando- ad alta voce:
Imparate da me voi clio^mirate
La pena inia:*non violati il giusto,
Riverite gli Dei. Tra questi tali
È cbi vendè la patria ; dii la pose
Al giogo de’ tiranni ; dii per prezzo '
1606-622]
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291 !.’ F.NF.inr. [93 1-9541
l'cec leggi c ilisfi'cc ; chi di» «stupro
K di figlia mucchiato, o di si roccl i i :i ;
Tutti che brutte-ciLcmpic scclcranze
Hanno osato, o commesso;' e cento lingue
E cento bocche, c voci anco di ferro,
Non basteriun per divisare i nomi
K le forme de’ vi/.ii e de le pene
Ch’entro vi sono. Poiché la sibilla
Kbhe ciò (letto. Via. soggiunse, attendi
A l’ impreso viaggio, è studia il passo;
Clic già le mura da’ Ciclopi estratte
Mi veggio avanti, e sotto a quel grand’arco
La sacra porta che ’l tuo dono aspetta.
Cosi mossi amhidne, lo spazio tutto;
Ch’ era nel mezzo, per sentiero opaco
Posto- varcando, anzi a la porla furo.
Incontinente Enea l’ intra la occupa;
✓
Di viva acqua si. spruzza: c ’l sacro ramo
A la regina de I’ inferno affigge.
Ciò fatto, a i luoghi di -letizia pieni,
A P amene verdure, a le gioiose
Contrade de’ felici e de’ -beati
Giunsero alfine. È questa una campagna
Con un iicr più largo, e con la terra
[622-640]
1 .
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[96^-978] libro vi. .29
Clic di un lume iK puipura è vestila,
Ed ha ’l suo sole e le sue stelle anch’ ella.
Qui se ne siati le fortunale genti,
Parte in su’ prati, e parte in su 1’ arena
Scorrendo, Volteggiando, e varii giuochi
Di piacevo! contesa essercitando.
Parte in musiche, rrt feste, in balli, in suoni
Se nc vnn diportando, ed Imn con essi
Il traéro Orfeo, eli’ in lungo obito e sacro
t
Or con le dita-cd or col plettro eburno,
Sette nervi diversi insieme imiti,
Tregge del muto legno umani accenti.
Qui di Teucro l’ antica e beila razza
Facea soggiorno ; quei fumosi eroi "
Cb’ in quei tempi migliori al mondo furo,
Ilo, Assàrac'o, Dàrdano, quei prinii •
De la gran Troia fondatori c regi.
Veggon da lunge le vane arnie ed carri
A lor d’ intorno, e Y aste in terra fisse,
E gli sciolti destrier per la campagna
Vagar pascendo ;,chè ’l diletto antico
E de l’ Armi e de’ cafri e de’ cavalli
Gli segue anco sotterra. ImlLalfri altrove
Scorgono, etie da destra e da sinistra
[640-656]
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2‘>G i.’eseide. [979- J 002
Cnnvivnndo £ cantando, sopra l'erba
Si stanno assisi, cd .Itati di lappi intorno
Un odorato bosco, onde il l’a-sorge
Sopra la- terra, e spazioso inonda.
li questi crai) oolor clic. combattendo
Non fur di sangue a la lor patria avari:
K quei che saèerijoki' erano in vita
Castamente vissuti c quei veraci,
N . r # 0
K quei pii c’Iian di (pia parlato o scViilo
Cose degne di Febo, c gl’ inventori • *
De Farli, bnd’ è gentile il mondo e bello,
li quei clic, ben oprando, bau tra’ mortali
Fatto di fama o di memoria acquisto;
Cui tutti, in segno di celeste onore.
Candida benda il fronte orna -e colora.
A questi, eh’ a la vergine sibilla
Fer cerchio intorno, ed a Museo tra loro,
Che dagli omeri in sii gli altri avanzava, -
Diss’ ella: Alme felici, e* tu buon vate.
Ditene in qual contrada e ’n qual magione
Qui tra voi si ripara- il grande Anchisc,
Chèqui cerchiamo, e sol per lui varcati
IV Èrebo i fiumi c le caverne avemo.
A cui .Museo cosi breve rispose: v
[657-672]
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[1003-IQ26] libro vi.- 297
Ntilto è di iiqi.ctì’ insalare luogo alloggi
Come in suo propria; e tulli o per le sacre
Opacbe selve, o per J* amene Vive
De’ chiari fremi o per gli erbosi prati .
Tra riva e fonti i nostri alberghi. aveino.'-
Sia se di ciò vi calertene dieco - . » v
*
Sovr’ a quel giogo; e quindi agevolmente
» •
Il sentior ne vedrete; In .ciò si mosse
Come Ior guida, e sopra al colle asceso
Mostrò Ior d’ alto i luminosi campi.
Additò ’l calle, ed inviolUal piano.
Èra per avventura in una valle. .
Atvchise, che 'da poggi era ricinta,
R ili yerde coverta. Ivi in disparte . <
De’ suoi nepoti avea l’ anime accolte* >
Cir a la vita di sopra eraii chiamate,
Fi facendo di Ior rassegna e mostra
Gli annoverava, essa minava i fati, ,
Le fortune, fi valor, di’manQ.in mano,
Gli ordini e i tempi loro.- Enea comparve'
Sul campo, intanto; a .pui tosto che ’l vide
Lieto Aneli isO avventosstr e coirle braccia
In alto d’ accoglienza, 0 figlio, disse
Dolcemente piangendo, io pur ti veggio,
|ù73-GS7]
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298 l’emide. [1027-4050]
l’m’ soi venuto, Ita pur la tua pictadc
Superati i disagi c la durezza
Di si strano viàrio. Ècco m’ è dato
Di veder, figlio, il tuo bramato aspètto,
E sentirli e parlarli, lo di ciòpunlo -
Non era in forse, c sol pensava al quando,
Contando i giorni. Oli dopo quanti affanni.
Dopo quanti perigli, o quanti stoppii
E di mare e di terra io li riveggio!
E quanto ebbi timor che di Gartago * •
Venisse al corso tuo sinistro intoppo!»
Ed egli a lui: La sconsolata imago.
Che mie, padre, di te sovente apparsa, -
Per te per le veder qua giù m* ha Fratto,
K ili sopra (in qui salvo a la riva
Del mar Tirreno il mio navile Ó sorto.
Or dammi, padre mio, domini eh’ io giunga
La mia con la tua destra, c grazia fammi
Clic di vederti e di parlarti- io goda.
Mentre cosi dicea, di largo pianto
Rigava il volto, e distcndea le palme;
E- tre volte abbracciandolo, altrettante
(Come vento stringesse, o fumo, o sogno)
Se ne tornò con le man vote al petto.
[687-702]'
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[1064-1074] unno v». 299
Intanto Enea per culto a la gran valle
Vide scevra da l’-ullre una foresta,
f %
I cui rami sonar da lunge udiva. • .
A piè di questa era di Lete il rio *
Ch’ai dilettosi e fortunati campi
Correa davanti, e piene avea le ripe ~ -*/
. Di genti mirumerubili, eli’ intorno
A caterve aliando ivano in guisa
Che fan le pecchie a’ ciliari giorni estivi.
Oliando di fiore in /fior, di giglio in giglio
Si van posando, e per i’ apriche piagge •*
Dolcemente ronzando. Enea, che nulla"-
Di ciò sapea, di sùbito stupore
Imi sovraggiunlo, c la cagion spianilo, '
0, disse, padre, che riviera è quella?
K clic gente, e chò mischia, e die bisbiglio?
1/ anime, gli rispose, a cui dovuti
Sono altri corpi, a questo fiume accolte -
lléon dimenticanze e lunghi oblii
De 1* altra vita; c questi io desiava
Che tu vedessi, e che ila me n’udissi
I nomi e i gesti,. onde contezza a pieno
Del nostro sangue, e piena gioia avessi
De 1’ aéqoisto d’ Italia. 0 padre, adunque,
[703-7 K)]
300 L’cnEiDE [1075-1 098] .
Soggiunse Enea, credei* si dee che .Pai me,
Che son qui scansile e libere c felici,
Cerchili di nuovo a la terrena ialina,
Di nuovo a la prigion tornar de’ corpi?
E. qual, misere loro! empio desire
Del- lume di lagsù tanto le invoglia .
Figlio, rispose Aneli ise, acciò. sospeso
Più noli vacilli in questo duino, ascolta;
(E ’n tal guifa per ordine gli narra):
Pnmierumpnt.e il cid, la terra e ’l mare,
L’afir, la luna, il* sol, quanto è nascosto.
Quanto appare e spi a ni’- è', muove, nndriscc
E l egge un, che v’è dentro, o spirto o mente
0 anima clic sia de P universo;
Che sparsa per lo'tutlo e per le parti
Di si gran mole,' di sè-P empie, e seco
Si volge, si rimes'cQla.e s’unisce.
Quinci Puinu.ii legnaggio, i brilli, i pesci,
E ciò che vola, c ciò. che serpe, bau vita,
E dal foco e dal eiel vigore e ^eme
Truggon, se timi se quanto il pondo c ’l gielo
De’ gravi corpi, e le-caduche meiphra
he fan terrene c tìirde. E quincTancora *
Avvici! che téma e speme e duolo e gioia
[719-733]
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1 101)9-4 libro vi. 301
Vivendo, te conturba, e die Vinchi use
Nel tenobroso carcere, e- ne. 1? ombra • *
Del- mortài velo, a le bellezze eterne ,
Non ergali jgliocclri.Ed, oltre q ciò, morendo
Perchè siali fuor itela terrena vesta»
Non del tutto si spogliàn le ineschine
. De le sue macchie j chè 'l corporeo, lezzo
Si I’ ha per lungo suo contagio infette,
Che scevre anco.dal corpo, -in-nuova guisa
Le tien contaminale, impure c,sozzc.
Perciò di purga -han d’ uopo, c per purgarle
Son de ir auliche eplpejn varii modi
Punite e travagliate : -alt4*e ne l’aura
Sospese al vento, alt re-me L’acqua immerse.
Ed altre al foco raffinate eli arser
Chè quale è di ciascuna il genio e ’l fallo,
Tale è’1 castigo. Indi a venir n’'è dato
Negli ampli elisi» campi ; e poche siamo ^
Cui si lieto soggiorno si destini.
Qui stiamo inducile ’l iempe a ciò prescritto
. D’ ogni immondizia .ne forbisca c terga,
• Si eli’ a nitida' fiamma, -a semplice aura,
A puro etcrio senso ne riduca.
Quest’ almejutìe, poiché di ipiU’auni
Caro. — 20. [733-748]
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302 l’ eneide. [1123-11 46]
Uan vólto il giro, alfi» son qui chiamate
. Di Lete al fiume, e ’u quella riva fanno,
Qual tu vedi colà, turba e concorso.
Dio le vi chiama, acciò eh’ ivi deposto
Ogni ricordo, mcn de’ corpi -schive,
K più vaglie «li vita un’ altra volta
4
l'oruin di sopra a riveder le stelle.
Ciò detto, Anchise a quelle genti in mezzo
Condusse il figlio,- e la sibilla insieme;
fi prese uncolle, ove le schiere tutte,
Si come ne venian di mano in mano,
Avea d’ incontro, e le scorgea nel volto.
Or qui ti mostrerò, soggiunse Anchise,
Quanta sarà ne’ secoli futuri
•la gloria nostra; quanti e quai nepoti
De la Dardania prole a nascer hanno;
E quante del mio sangue anime illustri
Sorgeranno in Italia. Indi a te conte
Le tue fortune e L. tuoi futi saranno.
Vedi colà quel giovinetto ardito
Che su quell’ asta pura il braccio appoggia?
Quegli a la luce è-destinato in prima,
Primo che di 'Lavinia in Lazio avrai
figlio postumo ft le già d’unni grave,
[7-48-764]
rT \
[H47-H70J libro, vi. 303
di’ alfin da lei fuor de le selve additilo,
Re sarà d’ Alba, e degli albani regi
Autore e-padre; e Sii vi i dui suo nome
Fiati tutti i nostri, che da Idi discesi
Ivi poscia gran tempo imperio avranno.
Proca è qtici dopo lui, gloria e splendore
De la stirpe troiana; e quegli è Capi,
E quegli è. Numitore; e l’altro appresso
È Silvio Enea, -cileni tuo nome rinova;
E se fia mai che ’l suo -regno ricovri,
Non sarà men di te pietoso e forte. .
Mira che gioventù, mira che forze
Mostrali, solo a vedérli. Appo», costoro
Quei che sou là di quercia, inghirlandali,
Di Gabii, dlNoinento, c ili Fidcnc ..
Parte propughcrnnti il piuciol regno,
Parte su’ monti il tempio ti porranno
D’ luue, e la terra che da lui dirassi,
E Collazia e-Pómezia e Boia e Cora;
Clic questi nomi allor quei luoghi avranno
6h’* or ne son senza. In compagnia de -Favo
Romolo se ne vien, di Marte il tiglio,.
Di Roma il padre. Al mondo Ill.a darallo
De la stirpa d’ Assprncoiin rampollo..
[7B5-786]
✓
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301 .. l* eiìeidb. [1174-4194]
Veti i I colò, c’4m iù su la teslà un elmo
l
Con due cimieri, e tal, clic il pini re' ‘Stèsso
Ciià par eli’ in cielo e irei suo seggio il ponga.
Quest], figlio, sarà quel grami’ eroe,
Onde i suoi primi gloriosi àuspieih
Avrà l’inclita Roma, quella Roma,
(Mie setto monti entro al suo cerchio accolti,
• •*
Tanto-si stenderà, clie fia con 1’ armi k-
Uguale al mondo, e con le nienti al cielo;
Roma di cosi prodi e'òliiari figli
liladre felice.' Tal di Rerecinto ^
• La maggior maitre infra i leoni assisa,
E di to^rri altamente indoro nata
Va per la Frigia, gloriosa e lieta
Clic tanti ha tìgli in gioì, tiepoli in seno,’
Tutti clic dii già sono odii si fanno.
Or qui, figliuolo; ambe le' luci affisa «
A mirarla tua gente e i ino! Romani.
Cesare è qui. qui la progenie è; tutta '
Del grande lido, a cui già s’ apre il cielo.-
Questi, questi è colui cliè tanfe volle
T’è già promesso, il gran Cesare Augusto,
Di divo padre figlio, e divo tfneh’ egli.
Per lui risorgerà quel seco! d> oro,
[780-793]
MfiRO VI.
305
[M93-4&18J
Quel ilei vefchiqlSahirno antico' regno,
*Ciie fe ’l Lazio sì bello e’1 mondo, tulio.
Q'uesli oltre ai Garamantied oltre agl7 ImJi
Impererà fin dove il sóle e Tanno
Non giunge, e più non va se non s’arretra:
Trapasserà di là dal inaurò Atlante
Che con gli .omeri suoi, folce le stelle.
Al venir di <^o$tui, sol de la voce ~
Che ne danno i profeti, i Caspii regni,
La l^eoticn terra, e quanto inonda
Il sette velie ^eminató^Niloj
Tremar già \eggio, e star pensoso e mesto..
Tanto del mondo, ij glorioso Alcide
Non corse mai, se beq de’ Ceselliti,
Di Lerna c d’firimanto i mostri ancise-,
Nè lauto ne (tornò chi domò gl’ Indi, ,
. E rtel trionfo suo di viti e pàmpini /•
A le tigri di Nisa il giogo impose.-
E sarà poi clic ’l valor nostro manchi
Di gloriar, e tu di speme e d’ ardimento
Di far d’ Ausonia il desiato acquisto?
Ma chi fia questi che da lung* scorgo
Si venerando, il cria cinto d’olivo,
Con quelle bende e con quei sacri arredi?
VMA-810]
30G l’ eneibe. [1219-1242]
A la chioma, a la barba irla e canuta
.Ili sembra, ed è «li Roma il santo rege,
Clic dal picciolo Curi a grande impero
Sarà «la lei chiamato, e sarà il primo
Clic cerimonie inlrodnrravvi e leggi.
% *
A lui Tulio vien dopo, il forte e saggio,
Ch’ ai dismessi trionfi rivocando
l.a genie già per lunga pace imbelle,
l.a tornerà, di neghittosa e mite,
Un’ alita volta armigera e guerriera. .
Anco ò quell’ altro che lo segue appresso,
('die d’onor troppo e del -favor del volgo
I)i già si mostra ambizioso e vago.
Or vedi là, se di vedvidi agogni,
Anco i Tarquinii regi, e quel superbo
Vendicato!* de la superbia loro,
Bruto, consol primiero, e quei saoi fasci
E quelle accette ond’ ei, padre crudele,
De lu patria buon figlio, i figli suoi
Per l’altrui bella libcrtadc ancide. -
Infortunalo lui! che clic dopoi
Da la posterità se ne favelle.
Vince il puhlico amore, e’1 gran desio
l)’ umana lode in lui *1’ affetto interno 1
[8.1 1-824]
oogle
[1243-1 2ff6] libro vi. 307
De In natura e de] suo sangue stesso.
Mira poco in. disparte i Deeii, i Densi,
Il severo forquate e ’1 buon Camillo ; ‘
1/ uuo che tien già la secure in mono,
E l’altro che da’ Galli ne riporta
1 perduti vessilli; I due, che vedi
Sì risplender ne 1' arnli, e die rinchiusi
In questa notte, s.em brano a la rista
Gir di pari e d’ accordo, oh se a la vita
Vengou di sopra, quanta guerra e quale,
Con che strage di genti e con tjhe forze,
l'aran tra loro! Il suocero. da Polpi
É da P-occaso, il genero .da 4’ orto
Verrà P un contea P atirò. Ah figli, ah figli,
Non così rio, non cos\ fiero apuso
D’armar, voi comtr’a voi, contr’a le viscere
De la patria vostra! E tu che traggi
Dal ciel legnaggio, tu mio sangue, astienti
Da tanta Xer iti»; perdona il primo,
E gilfa P armi in terra. Ecco qhi vincc-
Corinto e ’l popol greco, e ’n Campidoglio
Trionfando ne saglie. Ecco chi d’ Argo
E di Micena ancor Te torriaibbàlte, r
E chi-IMrro debella e’1 seme estingue
[824-840]
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■
308 l’ u.neide. [I267-1290J
• %
Del belli case Addile; alta vernicila
Clic ben degli avi ricompensa i danni,
® Y 0
E M tempio violalo db Minerva.
Dove lass’.iole, gran Catone, e Cosso?
E i Gracchi, e i due gran folgori di guerra
Ambedue' Sci pioni, ambi Africani,
Strage F un di ■Caetago^c P altro essizio?
DoveTalirizio.il povero, e potente
Con la sua povertà? Dove Serrano,
Gli’ è, ''di bifólco, al grande imperio assunto?
Dove restano-i FaUii? Eccone un solo,
Massimo veramente, che-Con arte
■ Terrà il nemico trqpquillando a bada.
Abbinsi .gli altri de I’ altre arti il vanto ; ,
Avvivino i colpri c i bronzi é i mai-mi;
Muovano con la lingua i tribunali,
Mostrinogli F astrolabio c col quadrante '
Meglio del elei le stelle e i mòti loro:
Clic ciò meglio sapran forse di Voi;'
Ma voi, Romani miei, reggete il mondo
Con F imperio e con F armi, e F arti vostre
Sien F esser -giusti in pace, invitti in guerra;
Perdonare -a’ soggetti, adeòr gli umili,
Debellare i superbi. In questa guisa
[840-855J
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tiano vi.
809
[1291-134*]
Parlava* H santo vèglio, ed essi attenti
Stavan con meraviglia ad ascoltarlo;
, ■ ' 7 \
Quando soggiunse: Ecco di qua Marcello;
Mira come se n.’ entra adorno e carco
■ • •
D’ opime spoglie, e quantojigli altri avanza.
Quesl’ è qyel generoso, eh’ a grand’ uopo
Yien*di Roma a domare i Penici Galli,
E del gallica duce i fregi -e darmi
La terza volta al gran Qurrino appende.
Qui videdìnea eli’ un giovinetto a pari *
Gli si ti*ae"à, eli’’ era d’ arnesi e d’ armi
E via^prù ^ii beltà vago e lucente;
Se non che poco lieta nveaTa fronte**
E chino il visti. Onde rivolto-nl padre,
Eclu, disse, è costui che V accompagna?
Saria de’ figli o de’ nipoti alciino
Del gran ftostrojegnnggro? € che bisbìglio
E che mischia Ira d’intorno ?0 quale e quanto *
Di già ini sembra! Sla gli veggio- al capo
D’atra notte girati di -sopra un nembo.. .
Anchise lagrirtùmdo gli rispose:
Amaro desiderio Tl cor -ti toeca
A voler, figlio, un gran danno, un gran lutto
Udir de’ tuoi. Queslj, a la luce a peua
[855-870] .
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310 i/ us Et de. [1315-13381
Verrà, che ne fia tolto. 0 dii superai.
Troppo parravvi la romana stirpe
Possente allor che in sul fiorir preciso
Ne (in si vago c si gentile arbusto.
i •
0 che duolo, o che pianto, o clic funebre
Pompa ne vedrà Roma e’1 Marzio campo !
Qual, Tiberino padre, a la tua rivo
Nuova se n’ergerà funesta mole!
tìermc non sorgerà del seme d’ilio
Più di questo gradito, uè ehc tanto
De’ latini avi suoi la speme estolta;
Nè la terra di Romolo arò inai
Piglio onde più si pregi e pfù si vanti.
(> pietà non più vista! o fede antica! ‘
O verlù senza pari ! E qual nc 1’ armi
Sarà? Chi sosterrà P incontro suo
Pedone o cavalier eli’ armato in giostra,
0 pur nel campo, il suo nemico assalga? \
Miserabil fanciullo! Così morte
Te non vincesse, come invitto fora
Il tuo valore, c come tu, Marcello,
Non men de P altro, eroica vertute.
E più splendore c più fortuna avresti..
Datemi a pione mani, oud’io di gigli
[870-b84]
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[1339-1362] librò vi. 311
E di purpurei, fiori un nembo sparga,
Che, se ben contro al già fisso destino
M’ adopro -invano, almen con questi doni
L’ombra d’ un , tanto mio nipote onori.
Dopo ciò detto, per gli aerei campi
Vagando, a partea parte e l’ ombre e i lochi
Gli mostrò, l’ invaghì, tutto d’umore
De la futura gloria il cor gli accese,
ludi le guerre e le fortune sue
D’ Italia, di' Laurehto, e di Latino
La figlia, il regno, i popoli e lo stato
Tutto gli rivelò. D’ ogni suo affanno
(Come a fuggir, come a soffrir P avesse)
Gli diè lume e compenso. Escono i'Sogni
D’ inferno per due porle; una è ili corno,
L’altra è d’avorio. Manda il corno i veri,
L’avorio i falsi; e per P'eburna Anchise
Diede (quando 4or iliè connato alfine)
A (a sibilla ed al suo figlio uscita.
Enca^verso le navi a’ suoi compagni
Fece ritorno. Indi sciogliendo, dritto
Lungo la-riva il suo corso riprese;
E giunto ov’oggi è di Gaiela il porlo,
L’afferrò, giltò P ancore, e fer mossi.
[3hà-9U2]
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[1**8]
312
* DELL’ ENEIDE
. Libro Settimo.
•v ( * *
■ Rii ancor tu, d’ Enea fida nudricc
Gaieta, ni Giostri liti eterna fama .
DéstP morendo, edcssi anco a tc diero
Sede onorata, stvd’-onore a’ morti
È d’ aver 1’ ossa consecrnte e 'I nome
Tic la famosa^Esperia. Ebbe Gaieta-, .
Dal suo piovoso alunno, essequic e lutto,
E sepoltura alteramente eretta.
Indi, <già fatto i) jnaij tranquillo c quoto,
Spiegàr le vele a’ venti, e i venti al corso
Eran secondi ; e *11 sul calar del sole
La luna, che sorgea -lucente e piena,
Chiare 1’ onde Iacea tremule e crespe.
Uscir dot porto; e pria" raserò i liti
Ove Circe del Sol .la ^icea figlia ••
Gode. felice, e mai' sempre cantando
Soavemente al periglioso varco
De le sue selve i peregrini invita:
[1-12] ’ '
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313'
[19-42] “ Liane vii. 313
E de la reggia, ove tessendo Slassi
Le ricche tele, con l’ arguto sùouo
Chcfa'n le spuole e i pettini e i telaci,
E co’ fuochi deNiedri e de’ ginépri
Porge funge- hi notte indicio e lume.
Quinci là verso il dì, lontado udissi
Rpggir-leonì, urlar lupi, adièarsi,
E fremire e grugnire orsi ^cignali,
Cb’eran uomini in prima: e’n queste foruib
Da lei con erbe e con malie cangiati'
Giacean di ferrile di ferrate sBarrì; •
Ne lé sue stalle incatenati e chiusi. *
E perchè ciò non avvenisse o» Teucri *
Che buoni erano £ pii, da colai porto
E da spiàggia sì ria Nettuno stesso*
Spinse i lor legni, e diè lor vento e foga,
Tal che fuor d’ Ogni rischio gli condusse.- *
GiiVroìsseggiava (P oriente il -balzo,
K nel suo carro d* ostro ornata e d’oro
L’auròra si traea de l’ onde fuori,
Quando sybitumente-ogn’ aura, ogn’ alito '
Cessò del vento, e ne fu ’l mare in calma
Sì eh’ a forza ne gian tle’ remi a pena.
Qai la leiu a jnirando il padre Enea- '
[12-29]
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sii l’ emeide. [ia-r.fi i
Vede un’ampia foresta, e dentro, un Uume
Lapido, vorticoso e queto insieme,
Clic per 1’ amena selva, e per la bionda
Sua molta arena si devolve al marev
Questo era il Tcbro, il tanto desiato,
Il tanto eerco suo .Tcbro fatale:
A le cui ripe, a leVui selve intorno,. ^
E di sopra volando ivaiL le schiere
Di più canori suoi palustri augelli.
Allor, Via, dice a’ suoi, volgete il corso,
Itene a riva. E tutti in un momento
Hi volti 'e giunti, de l’opaco fiume
Preser Ja foce, e lietamente entralo.
Porgimi, Èrato, aita a dir quai regi,
Quai tempi, e quale stato avesse allora
1/ antico Lazio, quando prima i Teucri
Gon questa armata a’ stioi liti upprodaro;
Ch’ io di i*ò da principio le. cagioni
E gli accidenti, onde con essi a Parme <
Si venne in pria: dirò battaglie orrende,
Dirò stragi d’ esserciti, c duelli
Di regi slessi, e la Toscana tutta,
E tutta aqco l’Esperia in arme accolta.
Tu d Elicona DPa,-tu ciò mi delta,
[29-41]
t6'7-90}
CIP alti-’ ordine di cose, altro Inroro
E maggior opra ordisco. Ero signore .
Quotalo ciò fu, di Lazio il 're Latino, ’ -
Un re che vèglio e precido gran tempo
Avea I suo regno amministralo in pace
Questi, nacque di Fanno e di Morie.
Ninfa di Laurénto, e Fauno a Pico
Era figlinolo, e Pico a te, Saturno,- ■ '
el suo regio legnaggio ultimo. autore.
, 11 avea quest» re stirpe virile,
Com’era il suo desti.ro; e q(lèlkl pJl,efcb
fu nel fior de’ suoi ver,!’ anni aueisa.
^ola d un sangue lai, U'tìn tai„0 rcgno
Kestuyu una sua ^gliu unica erede,
Che già d’annì malora, e di bellezza
Ptù d’ ogni altra fumosa, era da molli
Eroi del Lazio e de l' Ausonia lui la
Desiala e -ricerca. Avanti agli aln i
La chiedea Turno, -un giovine, il più bello,
il piu possente e di più chiara stirpe <
Clic gli altri tutti; e più eh’ agli altri, a Ini
Ann a lui $ol la sua regina màdie • -
Con mirabile affetto era inchinata.
Ma clic sua sposa fosse, avverso fato,
[41-5S] •
315
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•n
3 1 1» l’ ENi:inn. [9 1-1 1 i]
Varii porlenti c spaventosi augùri
Faccan contesa. Era un cortile in mezzo
A le stanze reali, ove un gran lauro
Cià «li gran tempo consccrato e cólto
Con molta riverenza era serbato.
Si dicea clic Latino esso re stesso
ISel designare i suoi primi editici,
Là ’vc trovollo, di sua mano a Febo
L’ avea dicalo.; e ch’indi il nome diede
A’ suoi Laurenti. A questo lauro in cima
Meravigliosamente di lontano
Rumoreggiando a la sua vetta interno
Venhe d’api una nugola a posarsi;
E con 1’ ali* e co’ piè l’ una con 1’ altra,
E tutte insieme aggraticciale c strette
* *
Sticr d’ uva in guisa a le sue fiondi appese.
Ciò l’indovino interpretando, Io veggo,
Disse, venir da lungo un duce esterno,
Ed una gente clic d’ un Jbco uscita
In un loco medesmo si raunà, *
Ed altamente ivi $’ alloga e regna.
Stando un giorno, oltre a ciò, Lavinia virgo
Sacrificando col suo padre a canto,
Ed a V aitar caste fucellc offrendo,
, s [58-72]
i
[II5-Ì38] udrò 'Vii. 317
Parve (nefanda vista F) che dal foco
Fossero i lunghi suoi capelli appresi,
E elle stridendo, non pur l’oro ardesse
De le suc-trecce, ma il ‘suo regio arnese.
E La corona stessa, che di gemme
Era fregiata. Indi con rogio vampo,
Con nero fumo e con volumi attorti
S’avventasse d’ intorno, c l’alta reggia
Tutta di fiamme empiesse: orrendo mostro,
E di gran meraviglia a chiunque il vide. '
Gfi àuguri ne dicean che fama illustre
E gran fortuna a lei si portendea ;
.Ma mina a lo stato, e guerra a’ popoli.
A questi mostri attonito e confuso
Il re tosto a l’ oracolo di Fauno
H * - *
Suo genitor ne l’alta Albunea selva-
Per consiglio ricorse, fi) questa selva
Immensa, opaca, ove mai sempre suona -
Un sacro fonte, onde mai sempre essala
Una tetra v'orago. Il Lazio tutto
E tutta Italia iji ogni dubio caso ,
Quindi certezza, aita e ’ od rizzo attende.
E I’ oracolo è tale. Il sacerdote
r
Nel profondo silenzio de la notte
Caro. — 21. [73-36]
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3I8> L* ENEIDE, . [139*463-]
Si ltt de Uàminolate pecorelle * .
Sotto un covitej.ovfj s’ adagin-e donne.
Nel sonno con mirabili apparenze
Si ve«le intorno i sinici ac ri e l’ ombre - ,
Di ciò di’ ivi si chiede, e varie voci
Ne sente, c con gli Dei parla e con gl’ Inferi!
In questa guisa il re Latino'stesso1
Al vaticinio del suo padre intento ^
Cento pecore ancide-, e i Velli e i tergili
Nel suol ne stende, c vi s’involve e corca:
Ed ecco un’alta repentina voce
Clic, de la selva uscendo; intuona e dice:
Invan, figlio, procuri,. invan t’ imagini
Clic tua figlia s’ ammogli ^ìvsposo ausonio.
Vane e nulle saniti le sponsalizie
Cli’ or le prepari. Di lontano un genero
Venir ti veggio, Y>er cui sopra a l’etera
Salirà il nostro nome; c i nostri posteri
Ne vedrà n sotto i piè quanto I’ Oceano
D’ambi i lati circonda e ’l sole illumina, -
Questa risposta e questi avvertimenti,
Perchè di notte e di secreta parte
I* osscr- da Fauno usciti, il re iion tenne
In se stesso celati; anzi la fama
[8-7-104]
le
319
[163-180] LIBRO VII.
Per'lSXerre d’Ausonia gl] spargea,.;
Quando ìa frigia àrmata di Xebra aggi uose.
Enea col figliole co’ suoi primi duci
A T oYubra iVun grand’ albero in dispórle
Dagli altri a prender cibo insieme unissi.
Eran su H eVba agiati; (e* come» avviso .
feeder si dee òhe del gran Giove fosse,) ,
Avean podhe vivande; e*qticlle poche
Gran forme di Tocacae o di farrtite . *
In vede avean di lavofé e di quadra, •
E la terra médesma e i solchi suoi
Ai pomi agresti- eran fiscelle-e nappi.
Altro per avventura àHor non yféi*a
Di clic ciham.rOitde, fluiti i <fibi9 . *
s ,
V.olser per fame a quei lor deschi i denti,
E motleggiando alldra, 0, disse Ui1or
Fino a le mense ancor ne divoriamo?
E rise e tacque. A questa voce Eneo,
Sì come a* fin de le fatiche loro,
Avverti primamente, e stupefatto
Del suo misterio, subito inchinando
' Disse:-0 da’ fati a* me puomessaderra, ;
lo te devotò adoro: e voi ringrazio,
Santi numi di-T/oia, amiche c fide
1105-121] .
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320 l’ e5eidb. [487-210]
Scorte dcjili error miei. Questa p la patria
Quest’ è V albergo nostro e questo è’LsegiK)
Che ’l mio padre lasciommi^or mi ricordo
Degli occulti miei fati), Allor, dicendo,
Che sarai, tiglio, in peregrina terra -
Da fame a manducar le mense-astretto,
Pia ’l tuo riposo: allor fonda gli alberghi,
Allor le mura. Or questa è quella fame,
Ultimo rischio ad ultimar prescritto
. Tutti i nostri altri perigliosi affanni.
Or via, dimane a I’ apparir del sole
Per diversi sentier lungi dal porto
Tutti gioiosamente investighiamo *
Che paese sia questo, da che gente
Sia cólto, o dove siati le terre loro.
Ora a Giove si bòa; Tacciasi preci
Al padre Anchise; e sian le mense tutte
Di vin piene e di ta&ze. E, ciò dicendo,
Di frondi s’ inghirlanda; e del paese
Il genio, c de la terra il primo nume
Primieramente inchina, e le sue ninfe,
E ’l Piume ancor non conto. Indi la Notte,
h de la Notte le sorgenti stelle,
E Gio\c Idèo, e d’ Ida la gran madre,
• [121-439]
by IjOOglè '
321
[21Ì-234] libro vi».
E la madre.di lui dal cielo invoca,
E da T Èrebo il padre. -E qui di lampi
Cinto, di luce e d’ oro, e di sua manor
Folgorando il gran Giove a ciel sereno
Tonò tre volte. Tu ciò repente nacque-
Tra le squadre troiane un lieto grido,
Gì’ -era già ’l teinpo'di fondar venuto
Le desiate mura. A tanto annunzio
Tutti commossi, a rinovar le mense,
Ad invitarsi, a coronarsi, a bere
Lietamente.si diero. Il di seguente
Nel sorger dell’ aurora uscir diversi
A spiai* del paese, che contrade-
E che liti eran quelli, e di che genti.
Trovftr che di Numlco era lo stagno,
E che ’l fiume era il Tebro, c la cittudc
Da’ feroci Latini era abitata.
Allor d* Anchise il generosofiglio
Cento fra tutti i più scelti oratori
D’ oliva incoronati al re destina-
Con doni, con avvisi c con ricliieste
D’ amicizia, di commodi e di'pace.
Questi il viaggio lor sollecitando
Se ne van senza indugio. Ed egli intanto
[140-157]
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322
V EJIEIDp-
[235-258}
Preso nel lito il primo alloggiamento
l-tff
Di piccjobfosSo la muraglia insolca;
4 ff ' .
E ’-n sembianza di campo è di fortezza
•t :J f
D’ argini lo circonda e di steccalo.
• i . *
Seguon gl’ kn base iato ri, c già da presso
■ . r .
La citlàj P alle torri c i gran palagi
JHj. .. ^
Scoprendo do’ Latini, ani) a le mura
- : j
Veggono' il fior «le’ giovinetti. loro ♦
,■ .>
i . .
Su’ cavalli. e su’ carri cs&crcitarsi,
LutleggLur, tirar d’ arco, avventar pali,
E cotali altre oprar contese' e prove
f)i corso, d’ attitudine e di forza.
Toslo che compariscono, un messaggio
Quindi si spicca in fretta, e prccorréndo
Riporta al vecchio re, che nuova -gente
I)i gran sembiante e d’ abito straniero . •
Vien dal mare a sua corte. 11 re comanda
Che siano ammessi; (r ned’ antica seggio
Per ascoltarli in maestà si reca.
Era la corte un- ampio, antico, augusto
Disili di' Ctento colonnati estratto
In cima a la città sublime albergo: *
Pico di Làiirento' il vecchio rege
1/ avea fondata. Era d’ oscure selve,
[157-172]
[359-28-2} mbro vii. 323
Era de. numi deprimi avi suoi . ' _
• * * '
Sovra d’ogu’ attra veneranda è sacra: - <■
Qui de’ lor féltri, qui de’ primi fasci
■S’ investivano i, regi. In questo* tempio
Era la curia,'eran'lesacre cene, • .
Era'n de’padri'i pubiici conviti
. De P occi strani ete. Avea d* antico * * -
Cedronel primo eutrar ua dictro-a l’ altro,
De1 suoi grand’ avi -i simotacri èretti. * '
Italo v’ era,- e il buon padre Sabino/* »
Saturno con la. vile e con la falce,
^ • *
Giano con ie'due testé, e gli akri regi
Tutti-di mano in man; chre combattendo •
Non far > di sangue a' |a lor patria avari.
Pendean do le pareli e da^pllastrk
Un'gran numero d’ armi e d’ altre spoglie
Prese in bàttagfiò. Ai portici. d’ intorno
Carri; trofei, catene, ehtìi e cimieri
E secarle corazze e scudi, e fancev
E rostri dinavili e ferri e sbarre
Di fracassate porte erano affìsse.
In abito succinto, « con la verga
Cbe lu poi di Quirino, q,con 1’ ùnciic
Ne la sinistra osso re Pico assìso
'[172*189]
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3 24 l’ eheide. [283-30G]
V’ era, pria cavaliero, e poscia augello;
Ch’ili augello il cangiò la maga Circe,
Sdegnosa amante; c gli suoi regii fregi
(ìli converse in colori, e ’l manto in ali.
In questo tempio sovra al seggio agiato
De’ suoi maggiori, a sé Latino i Teucri
* •
Chiamar si fece ; e dolcemente in prima
Cosi parlò: Dite^.Troiani aulici,
A che venite? ehè venite in luogo
C’ ha di Troia e di voi contezza a pieno;
Siatevi, o per errore o per tempesta
0 per bisogno a questi liti addotti,
Come a gente di mar sovente avviene;
Ch’ a buon fiume, a buon porto, a buon ospizio
Siete arrivali. Da Saturno scesi
Sono i Latini, ed ospitali e buoni,
Non per forza o per leggi, ma per uso
E per natura; c del buon vecchio dio
Seguitiam I’ orme e de’ suoitempi d’ oro.
lo mi ricordo^ (ancor che questa fama
Sia per inoli’ anni ornai debile e scura)
Clic per vanto solcano i vecchi Àuruuci
Dir clic Dardano vostro in queste parli
l.bbe il 'suo nascimento ; c quinci in Ida
[18‘J-20G]
r v
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[307-330] libro vii. 325
Passò di Frigia, e ne la tracia Saipo,-
CIT or Samotracia ò detta. Da’ Tirreni,
• » '
E da Còri lo uscio Dò Filano vostro, ‘
Ch’ or fatto è dio, e fra’ celesti in ciefo
D’ oro ha la sua ihagion, di $|elle*il seggio,
I>quu giù tra! mortali altari e voti.
Avea ciò detto? quando a* detti suoi -
Il saggio Uionèo cosi rispose)
Alto signor, di Fauno egregio figlio,
Non tempesta di mar, noil venti' aV.versi,
Non' di stelle o di liti o di nocchieri
Error qui n’ ave, od ignoranza. addotti.
Noi di postro voler, di nostro avviso* *
Ci siam venuti, discacciati e -privi
D’ un regno de’ maggiori e ite’ più chiari?
Ch’ unqua vedesse d’ oriente il sole. ' .
Da Dàrdano e da Giove il suo legnaggio
Ha quella gente, e quel troiano Enea
Ch- a le nc manda. La tempesta, i fati,
E la rubra che ne* cafopi Idèi
Venne di Grecia, onde 1’ Europa e l’ Asia"
E ’l mondo tutto sottosopra andonne,
Cui non è conia ? Citici lungé è posto .
Da noi, che non I’ udisse? « ciie da l’acquo
• $06-225]
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326 „ n* eheide. [33!-35'4}
De 1’ estremo Oceano, o che dal foe<* . w
De la torrida zona sia divido
Da la nostra notiziari! nostro affanno
Tal fece intorno a sè diluvio e moto,
•Che scosse ed- allagò la terra tutta.
Da indi in qua -disporsi e. vagabondi ,
Per tanti mari, un sol picekd ridotto • -,
Agli Dei nostri, un Irto clic ri* accolga. '
Non da nemici, un poco d* acqua e d’ aura.
Lassi ! quel eh’ ogn’ noni’ ha, cercando andiamo
Non disutili, erodo, e non indegni
Sarcni del regno vostro.» a voi uon lieve
Ne verrà fama ; e d’ un tal merto tanto
Vi sarem grati, che I’ ausònia terra
Non ipai si pentirà* d’ aver i tigli
De la misera Troia in grembo accolti. »
Io ti giuro, signor, per le fatiche,
Per gli fati d’ Enea, per la possente
Sua destra, già per fede c per valore
Famosa ol mondo, che da molte genti -
. H
Molle fiate (c ciò vii non ti sembri,
Che da noi stessi a te ci proferiamo
E ti preghiamo) siain pregati nói,
È per compagni desiati esercii».
{22a*238]
Dicyjized^b^^ogle
[3o5-378] ninno vii. ^ • 327
Ma dai Tali? signore, e dagli Dei
Siam qui .mandati, Dardauo jqui nacque,
Qua Febo ne richiama. Febo-stessor- . •
E quei dà Deio, è eh’ ai Tirreni, al Tebroj
* • •
Al fonte di Rumici a voi c’ invia.
Queste, oltre a*ciò, poche reliquie e segni
De P andata fortuna c del suo amoFfc * -
Il.i^ ifostro vi manda, che dal fot*>
Son de la patria movrate a pe»a.J
Con questa coppa il stiO Inibii padre Anchine
Sacrificava. Questo. regno in testa,
Quando era in solio, il gran. Priamo uvea :
Questo è lo scettro, questa è la tiara,
Sacro suo pesamento; e queste vesti
Son de le donne d’ IHq opre e fatiche.
' ÀI dir dMdioiièo stavn Latino
Fisso col voi tool terra immoto, e saldo, v
Come* in astratto, c solò uvea le luci
Degli occhi iutese a rimirar, non tanto
Il dipinti ostro c gli altri regii arocsir
Quanto in pensar de la diletta figlia
Il maritaggio, e ’l vaticinio uscito ,
Dal vécohio Fauno.- E ’n sè stesso ruccollb,
Questi è certo* dipea, quei che da’, fati «
[239-255]
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328 l’ ENEIDE. [379-402]
Si denunzia venir di strati paese
Genero a me, sposo a Lavinia mia,
Del mio regno partecipe e consorte.
Onesti è ila cni verrà l’egregia stirpe,
Clic eoi valor fat assi c con le forze
Soggetto e (riluttano il mondo lutto.
Ed a I fi n lieto, 0, disse, eterni Dei,
Secondate voi stessi i vostri auguri *
E i pensici* mici. Da me, Troiani, aretc
Tutto clic desiate; e i vostri doni
Gradisco e pregio; e mentre re Latino
Sarà, sarete voi nel regno suo
Cortesemente accolti; e ’l seggio e i campi
E ciò eh’ è d’ uopo, come a Troia foste,
In copia arele. Or s’ei tanto desia
L’ amistà nostra e ’l nostro ospizio, vegna
Egli in persona, c non abborra ornai
Il nostro amico aspetto. Arra e certezza'
Ne Ha di pface il convenir con lui,
E dritti stesso aver la fede rii pegno.
Da l’altra parte, a mio nome gli dite
Quel eli’ io drrovvi. Io senza più mi trovo
Una rnia figlia. A questa il mio paterno
Oracolo, c del ciel molti prodigi
[255-268]
[403-426] libro vn. 329
Vietan eh’ ro dia marito nitro -eh’ esterno»
D* esterna parte, tal d’ Italia è M fato,1
Un genero dal ciel mr si promette,- '* *
Per labili stirpe il. mio nome e’I 'mio sangue
Ergeraàsi a le stellc. Or.se del vero ,
Punto è’1 mio. cor presago, egli è quel desso
r Cred’io,che ’l fato accenna, e ’l credo e’1 bramo.
Cfò detto, de’ trecento, che mai sempre .
A' suoi presepi avea, nitidi e pronti
Destrier di fazione e di rispetto,- . .
Per gli cento-orator cento n’ elegge, »
di’ avean le lor coverte e i lor girelli,
l.e pettiere c le briglie in varie guise
D’ ostro e di seta ricamati e d’ oro,''
E d* òr le ghie re* e d’ òr le borchie e i fréni.
Al troiaa duce assente un carro invia
Con due corsier chKerón di quei del Sole
Generosi bastardi, e vampa e foco
, Sbruffava!! per le nari. Al Sol suo padre
La razza ne furò la scaltra Circe
Allor eh’ a 1* incantate sue giumente
Eto e Piròo furtivamente impose.
Tali in su tai cavalli alteramente
Tornando i Teucri iti teucro duce, allegri
• {209-285]
330 l’ cneide. [427-450]
Portàr novelle e parentela e pace. - >
Ed ecco che di Grecia uscendo c d’ Argo,
1/ empia moglie di Giove, alto da terra
Sospesa, infin dal -siedo Pachino m
Yjde i legni troiani; e vide Enea
Cou tutti i "suoi , che lieto e fuor del more
E secur de la terra, incominciava . „
IP alzar gli alberghile di fondar le mura
Già d’ un alti ’ Ilio. E, punta il voi' di doglia,
Squassando il capo, Ali, disse, a. me pur troppi
Nimicn razza! uh troppo a’ fati mici
Fati de’ Frigi avversi ! E forse estinti
Fur ne* campi sigei? forse [uituli
Si son prender gjà presi, ed arder arsi ?
Per mezzo ile le schiere c de gl.’ incendi i
llan trovala la via. Stanca fia dunque
Questa mia deità, quando qncor sazia
ISon è de I’ odio? E già s’ è resa, quandq
Ila fin qui nulla oprato? E che mi giova
Che sian del regno e de la pall ia in bando?
Che .mi vai ch’io.mi sia con tutto il mare
A loro opposta? Ali ! che del mar già tutte,
E del ciel centra lor le forze ho logre.
E che le Sirti, e che. Scilla e Cariddi
[285-302]
[451-474] Lffino vu. 331
A me con lor son va|se? Ecco iian dclTebro
La desiata foce; e non Iian tóma
Del mar più, nò di riie. Marte polóo
Disfar la gente de’ Lóprti immane ; ' .
Potè Diana aver ila Giovò in preda
Del suo disegno i Calidòni antichi,
Quando do’ Calidòni e de’ Capili ,
Vèr le pene era il fallo o nullo o leve:'
Ed io consorte del gran Giove esuma,
Misera, incontro a lor che non ho mosso?
Che di me'noii ho fallo? E pur son -vinta.
Enea, Enea mi vince. Ah'se con lui •
Il mio nume non può, perchè d’ognuno,
Chiunque sia,- npn ogni aita imploro?
Se mover contea fai non posso ^ cielo.
Moverò I* Acheronte. Oh non per questo '•
Il fato si distorna; e<l ci-Tionmeno
Dilatino otterrò la figlia e.M regno.
Che più? Lo tratterrò:, gli darò brigo: *
Porrò, s’ altro non posso, in* tanto affare '
Gara, indugio e scompiglio: a strage, a morte
Ad ogni strazio condurrò le genti *
De l’un rege e de I’ altro; c questi avadzi
Fauan primieramente i lor- suggelli
(303-316] •
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V; J '
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332 l’ exeide: [175-498]
Di* la lor amistà. Con questo in prima,
Si sinn silurerò e genero. Di sangue
De’ Troiani e tic’ Rullili dotala
N’andrai regia donzella, al tuo marito;
E del tuo maritaggio c del tuo letto
Auspice Pia Bellona in vece mia.
Colai non partorì di face pregna
Kcuha a Troia incendio, qual Ciprigna
Ara con questo suo novello Pari
Partorito altro foco, altra mina
A quest’ altr’ Ilio. Ciò dicendo, in terra
Discese irata, e da I’ inferno grotte
A sò chiamò la nequitosa Metto.
De le tre dire Furie una è costei,
Cui son P ire, i danneggi, i tradimenti,
Le guerre, le discordie, le mine,
Ogn’ empio officio, ogni mal’ opra a core.
E tale un mostro in tanti e così Pieri
Sembianti si trasmuta, c de’ serpenti
Sì tetra copia le germoglia intorno,
Che Pluto c le tartaree sorelle
Sue stesse in odio ed in fastidio 1’ hanno.
Giunon le parla, c via più co’ suoi detti
In tal guisa Faccende: 0 de la ISolt-c
[317-331]
■I
3
[499-522] libro vii. 333
Possente. figlia, io per mio proprio affetto,
Per onor del mio nume, pei* Salvezza
Oe la mia fama un tuo servigio agogno.'-
Adòprati per me, che, mal mio grado,
Questo troiano Enea del re Latino
Genero don divenga, e nel suo. regno
Con gran mio pregiudicio non s* annidi.
Tu puoi, volendo, armar l’ un contea l’altro
I concordi fratèlli: odii e zizzanie
Seminar tra’ congiunti; e perle case'
Con mrll’ arti nocendo, in mille guise
Infrà mortali indur morti e ruine.
-» )
Scuoti il fecondo petto, e le sue forze
T utt’a quest’ opra accampa. Inferma, annulla
Questa lor pace; infiamma i cori a 1’ armi
Arme ognun brami, ognun le gridi-e prenda.
Di serpi e di gorgònei vèneni *
Guarnissi Aletto; e per lo Lazio in prima
Scorrendo, e per Laurénto, e per la corte
De la regina Amata entro la soglia
Insidiosamente si nascose.
Era allor la regina, come donna,
E come madre, dal materno affetto,
Da lo scorno de’ Teucri, dal disturbo
Caro. — 22. [331-345]
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— i
334 'l'ékeide. [.523-546]
De le nozze di .Turno in molte guise
Afflitta e conturbata, -quando AlcUo, .
Per rivolgerla in furia, e co’ suoi mostri _
Sossopra rivoltar la reggia lutta,
Da’ suoi cerulei crini un angue in seno
- %
1/ avventò sì, clie'P entrò poscia al cqre.
Ei primamente infra la go.nna e ’I petto
Strisciando, c non mordendo, a poco a poco
Col suo vipereo liuto un non sentito. /
Furor Je spira. Or le-si la monile
Attorcigliato al coljo; or lunga benda *
Le pende da le tempie; or quasi un nastro
L’ annoda il crine. Alfin lubrica errando,
Per ogni membro le s’ avvolge c serpe.
Ma fin che prima andò languido e molle •
Soli i sensi occupando il suo vpleno,
Fin clic il suo foco penetrando a P ossa
Non nyen tutto ancor P animo acceso,
Ella donnescamente lagrimando
• Sovra la figlia .e sovra le sue nojtze
Con tal queto rammarco^si dolea: *%
.. Adunque si darà Lavinia nna
A Troiani? a banditi? E lu suo padre, ..
I u cosi la collòchi? E non t’ incresce
: [345-3G1]
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[547-570] libro vii.* 335
Di' lei, di te, di «ut» madre infelice?.
• > %•
CI»* al primo vento di' di tfuoi legni spiri, *
Di così caro pegno orba rimas i
(Come dir si potrà) da questo infido
Fuggitivo ladrone abbandonata
Del mar vedrolla e do' e orsa ri in preda?
0 non cosi di Spartà’anco rapita '
Fu la figlia di Leda?. E chi rapida -*
Non fu Troiano anch’egli? Ali ! dov’è, sire.
Quella tua santa iòViolabil Tede ?
Quella cura de* tuoi ? quella promessa
Che s’ è fatta da tegià. tante volte
Al nostro Turno?.*Sc d' esterna gente
Genero ne Videe; se fisso c saldo
È ciò nel Hia*. pensiero j sé di Fauno .. ->
Tuo padre il Vaticinio a ciò Ti stringe ; **
-lo credo .che ogni Terra, ch’ai Ino scèttro
Non è soggetta, £ia straniera à noi.
Così ragion mi delta,. c cosi, penso* *
Che T oracolo intenda. Olire .clic Turno
* - • *
(Se la sua prima originasi mira) »
Per suoi progenitori irfa'ci), Acri sio, •
m * •
E per patriaTia Ittfecue. A qiiesto dire
Slava nel soo proposito Latini? -
[.36 1-373]
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X
•> 'v^i :■
1
336 l’ ereide. [571-594]
Ognor più duro. E la regina intanto.
é f *
Più dal veleno era del serpe infetta:
E gin tutta compresa, e da gran mostri
Agitata, sospinta e forsennata, •
Senza ritegno a correre, a scagliarsi,
A gridar fra le genti e fuor d’ogni uso
A tempestar per la città si diede.
Qual per gli al ri i scorgendo e per le sale
Infra la turba de’ fanciulli a volo
Va sferzato palèo eh’ a salti, a scosse,
Ed a suonali guinzagli roteando
E ronzando s’ aggira. e si travolve,
Quando con meraviglia e cou diletto
(ìli va lo stuol de’ semplicetti intorno,
E gli dan co’ tlagelli animo e forza ;
l ai per mezzo del Lazio e de’ feroci
Suoi popoli magando, insana andava
La regina infelice. E quel clic poscia
• •
l’u d’ ardire c di scandalo maggiore,
Di Racco simulando il npine c ’l coro
l’er.tòr hi figlia ai Teucri, e le sue nozze
Distornare o’ndugiure, a’ monti ascesa
Nq le selve I’ ascose: 0 Bacco, o Libero,
Gridando, Euòò, questa mia vergine
[374-38't»]
337
[595-618] libro vii.
Sola a te si convien, solo a te serbasi.
Ecco per te noi tuò coro s’ esserci!»
Per te prende i tuoi tirsi, a te s’ impampinu,
A te la chioma sua nodrisce e dedica.
Divolgasi di ciò la fama intanto
Fra le donne di Lazio, c tutte insieme
y Da furor tratte,' e d’ uno ardore accese
Saltan fuor degli alberghi a la {presta.
Ed altre igaude i colli e sciolte i crini,
D’ irsute pelli involte, e d’ aste armate,
Di tralci Avviticchiate e di corimbi,
Orrende voci e tremuli ululati
Mandano a l’ aura. E la regino in mezzo
A tutte I’ altre una facella in mano
Prende di pino ardente, e P imeneo
De la figlia e di Turno imita e canta,
E con gli ocelli di sangue e d’ ira infetti
Al cielo ad or ad or la voce alzando,
> Uditemi, dicea, madri di Lazio,
Quante ne siete in ogni loco, uditemi.
Se può pietàte in voi, se può la grazia
De la misera Amata, e la miseria
Di lei, eh’ ad ogni madre è d’ infortunio,
Disvelatevi tutte e scapigliatevi j
[390-402]
338 l’ exeidi^. [6tO»G42]
liiiòè^ a questo sacrificio
Ne venite con me, meco ululatemi.
Cosi da Bacco e da lefurie spinta •• »
Ne già per selve e [ter deserti alpestri
La regina infelice, quando Aletto,
Cli’ assai già disturbato aveà il consigliti
Di re bai ino e la sua regia tutta,
Ratto su je |'osc’ ali à 1’ aura alzossi;'
li là ’vc già d* Acrisio il seggio pose
L’avara figlia, ivi dal vento esposta,
A I’ orgoglioso Turno si rivolse.
Ardèa fu quella terra allor nomata,
li d’ Ardèa il nome insino ad or le resta,
Ma non gin la fortuna. In questo loco
liti t ro al suo gran palagio a mezza notte
l'rendea Turno riposo. Allor. di’ Aletto.
Vi giunse, r ’l torvo suo maligno aspetto
Con ciò eli’ uvea di Furia, hi seui I. forma
Cangiando, raggrqppossi, incanutissi,
li di bende e d’ ofivo il erin velossi :
Calibe in tutto fessi; una veeebiona *
di’ era sacerdotessa e guardiana
Del tempio di Giunone; e ’n eòtal guisa
Si pose a lui davanti, c cosi disse:
[403-420] •
1
1
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[643-6d6] libro vii. 339
Turno; adtfnquc a-vrai tu sofferte indarno
Tante fatiche', e questi Frigi- avranno '
La tua sposale 1 tuo regno? -il re, la-figlia
E la dote, eh* a te -pei: gli tuoi merli, "
Per Io. sparso tuo sangué era dovuta, ' ""
E già dir lui' promessa, or ti ritoglie;
E de l’ uria e de V altro erede e sposo
, . ' * «* * .
Passi un esterno» O vn’ così -deluso,
E per ingrati Ja persona eXsflma
Inutilmente a! tanti rischi esponi.
Va’, fa’ strage de’ To9cJit. Va*; difendi .
I tuoi Latini, .£ in pace li mantieni. -
Questo mi mauda apertamente a dirti
La gran saturriia Giuno. Arma, annidi tuo»;
Preparati a la 'guerra; esci un campagna;
Assagli i Frigi', e snidagli -dai fiume- . - •
C’ han di già-proso, e i lor.\»aviH incendi.
Dal.ciel ti si comanda. E seJLalinp . .
A le promisslon non corrisponde;
Se Turno nou accetta e non gradisca. ' -
Nè per suo difensor nè per suo genero, *
Pruovi qualsia-iie l’armi, e quel eh’ importi
Averlo per niiwice. Al cui parlare • •
II giovine con beffe e con rampogne
[421-435.]
i* * , ■ k
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mia •;
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310 l’ Eneide. [667-690]
dosi rispose: Io non son, vecchia, ancoro,
Come te, fuor tlc’sensi ; e ben sentita
Ilo la nuova de’ Teucri, c me ne cale
Più clic non creili. Non però ne temo
Onci che tu nc vaneggi; e non m’ ha Giano
(Penso) in tanto dispregio e ’n tale oblio.
Ma tu dagli anni rimbambita c scorna
Entri folle in pensici' d’armi e di stati,
Ch’ a le non tocca. Quel eh” è tuo mestiero,
Governa i templi, attendi ai simulacri,
E di pace pensar lascia e di guerra
A chi di guerreggiar la cura ò data.
Furia a la Furia questo dire accrebbe,
Sì che d’ ira avvampando, ella il suo volto
Ri prose è rincagnossi: ed ei negli ocelli
Stupido ne rimase, e tremò tutto:
Con tanti serpi s’ a mitrò I’ Erinni,
Con tanti ne fischiò, tale una faccia
Ee si scoverse. Indi le bieche luci
Di foco accesa, la viperea sferza
Gli girò sopra; c si com’ era immoto
Per lo stupore, cd a più dire inteso,
Eo risospinse ; e i suoi delti e i suoi scherni
Cosi rabbiosamente improvcrògli :
[435-451]
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{' *;
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[691-714] LIBRO vii, 3.41
Or vedrai ben se rimbambita e scema
Sono entrata in pcnsier d’ armi c di stati,
Oli’ a me non tocchi le se son vecchia e folle
Guardami, e riconoscimi; eh’ a questo
Son dal Tartaro uscita. E guerra -e mòrte
Meco ne porlo. E, ciò detto, avventògli
} Tale una. face e con tal fumo un foco,-
Che fe tenebre agli occhi e fiamme ttl core.
Lo spavento del giovine fu t^le,
Che rotto il sonno, di sudor bagnato
Si fi*ovù pér angoscia li corpo tutto:
E stordito -sorgendo, arme d'intorno
Cercossi, armi gridò, d’ ira s' accese,
D’empio disio, di scelerala insania
Di scompigli ò di guerra ;sin quella guisa
Che con alto bolior risuona e gonfia •
tJn-gran caldai*, quand’ ha di verghe a' fianchi
Chi gli ministra ognor foco-maggiore, *
j Quando l’onda più ferve, e gorgogliando
Più rompe, più s' volve e spuma e versa,
E’I suo negro vapore a I* aura essala.
Così Turno commosso a muover gli altri
Si volge inconlingnte ; e de' suoi primi,
Altri al re manda con lu rotta pace,
[453-4G7]
m ?
■ 1.
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342 l’ eneide. [7+5-7$8'|
Ad altri 1’ apparecchio impon de I’ arnie,
Onde Italia difenda, onde i Troiani
Siau .d’ halla cacciati, cd eLsi vanta
Con tra' de’ Teucri c contea de’ Latini
Aver forze a bastanza. E ciò commesso,
E ne’ suoi voli.» suoi numi invocati,
I Putidi infra loro.a gara armando
S’ essortavan I’ ufi t!ialtro ; e lutti insieme
Eran tratti via lui, chi perdili stesso
(Clic giovili era amabile c*genlilc)
Chi per‘Ia nobiltà de’ suoi maggiori, .
E ehi per la vietule, c per le pruovc 1 •
Di lui viste altre volte in altre gnerre.
IVI cn tre cosi de’ suoi Turno dispone
' fili animi c V armi, m altra parte Alelto
Sèn vola a’ Teucri, e con nuov’ arte apposta
In su la riva un Loea,ove jn .campagna
Correndo c ’nsidiando il bello lulo
Seguia le fere fuggitive in caccia.
. Qui drsdbita rabbia i cani accese *•
La virgo vii .Cocito, e per la traccia v
Cdi mise lutti; onde scoprirà un cervo
Che fu poi di tumulto, di rottura <•
I)i guerra e d’ogni mal prima cagione.
[468-4823
[739-762] nono vii. 343
• Qi^to era. tfn cervo mansueto e v»go^
Gitv grande e di gran corna., che divello .
Da la sua madre, era nel gregge addotto
Di Tirro c de’ suoi figli:- ed era/Tirro -
Il eustode maggior de^regii armenti
E de’ regi» .poderi-;- ed egli stesso •
f 1/ avea nudrito e fatto-umile e fnanso.
Sìlvia, ona giovinetta sua figliuola, * " *
L’nvea per suo trastullo; e c<m gran cura
Di fior J’ inghirlandava, il pettinava,
Lo lavava sovente. Era a la mensa -
• %
A lor d* intorno;" e da for-tiitti anuria *' '
Esser pasciutd. e vezzeggiato e tocco.
Errava per le selve a suo diletto, _ -
E da sè stesso poi Ih sera a cn&u,. * »
Come a. proprio cosi+, se ne kmnava.
Quel- di’ per avventura di lontano -
Lungo il fiume venfatra -1* ombre e Fonde,
Da la sete schermendosi e dal -CQldo,
Quando d’ Aseanio I’ arrabbiate rca'gue
(ìli-s’ avventa ro, ed esso a farsi inteso
■ ♦ s
D’uii tale onore e di tal preda acquisto, -.
Diede a V arco di piglio, «snettollo. .
La Furia stessa gli drizzò la mano, *
[483--Ì98]
3i4 l’emeide. [7G3-786]
I-' spinse il dardo sì^th’ a pieao il colse
Ne P un de’ fianchi, c pcnetrògli a l’ epa.
Ferito, insanguinato, e con lo strale*
Il meschinello ne le coste infìsso,
Al consueto albergo entro ai presepi
Mugghiando e lamentando si ritrasse;
Ch’ un lamentarsi, un dimandar aita
D’ uomo in j;uisa più tosto che di fera.
Frano i mugghi onde la casa empirà.
Silvia lo vide in prima, -e col suo pianto,
(’.ol batter de le mani, c con le strida
Mosse i villani a far turbe c tumulto.
Sta questa peste per Je macchie ascosa,
Di topi in guisa, a razzolar la terra •'*’
In ogni tempo, si che d’ ogni lata
.V uscirmi d’ improvviso; altri con pali
E con forch$ e con bronchi aguzzi al foco;
Altri con mazze nodorose c grhvi,
E tutti con quell’ armi eli’ a ciascuno > ,
Fecer P ira e la fretta. Era per sorte
Tirro in q.ucl punto ad una quercia intorno,
E per forza di cogiti- e di bipenne
1/ uvea tronca e squarciata :,onde affannoso.
Di sudor pieno, fiera'mentc ansando
[498-5 10]
545
[787-810]
LIBRO VII.
Con la stessa eli’ avea secure io- mano
Corse 'a le grilla, e le masnade oecolse.
L’infernal Dea, eh’ a la veletta stava
Di tuttoché seguia, veduto il tempo
Accoimuodato al suo pensier malvagio, ' '
Tosto nel maggior opimo se ne salse
p De In, ca.panna, e con un corno a-bocca
Sonò de Tarmi il- pastorale accento.
La spaventosa voce phe n’ uscio • •
Dal tartaro spiccossi. E pria le selve .
Ne tremar tutte; indi (limano- in mano
Di Nemo udi Ila e di Diana il lago,
Udilla <je la Nera-il bianco iiume,
E di Velino i fonti,. e lui T udirò,
Che ne stringer le madri i figli in seno.
A quella voce, e verso quella parte
Onde sentissi, [contadini armati,
Comunque ebhei* tra via d’armi rincóntro,
Subitamente insieme s’ adunal o.
• r
Da T altro lato i giovani Troiani
Al soccorro d’ Ascanio in campo uscirò,'
Spiegar lc.schiere, misersi in. battaglia,
Vennero a Tarmi'; si clic non più «uffa
Sembrava ili villani, e non più pad
[510-524]
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34G i.’ e.xeide. [SII -831]
Avean penarmi, ma. forbiti ferri
Serrati insieme, elio dal sol percossi
Per le campagne e fi i> sotto- a le inibì
Ne mandavano i lampi; ili quella guisa
Clic lipve al primo vento il mar s* increspa?
Poscia biancheggia, ondeggia, e' goufia e frange
E cresce in tanto, che dà P imo fondo H
Sorge fino a le stelle. Alinone, il primo •
Figlio di Tirro, primamente cadde
In questa pugna. Ebbe di strale un colpo
In su la strozza, clip la via col sangue
Gli chiuse e de la Voce e rie 1,1 vita. *
Caddero intorno a lui moli* altri corpi.
Di bona gente. Cadde tra’ migliori.
Mentre V armi detesta, e per la pocc
Or con questi or con quelli si travaglia,
Gaiòso il vecchio* il più giusto e ’l più ricco
De lu contraria. Cinque greggi àvea •
Con cinque armenti ; e con ben cento arati i
Coltivava e pnscea F ausonia terra. -
Mfentré così vie’ campi si combattè
Con egual marie, Aletto già compita'
• La sua promessu, poi eh’ a i’ armi, al.sanguo
lui a le stragi era la guerra addotta1,
[52.1-5 i 2]
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[835-S5S] libqo Vii. 347.
Uscì 4el La^io, e baldanzosa a Paura
Levossi, ed a Giunon supecba disse: •
Eccoti 1’ arme e lei. discordia irr campo,
E la guerra già rotta. Or di’ eh’ amici,
Di’ che con federati, 7 & che paventi-
si sieno ornai, poiché d’ausonio sangue
y Giù- sono i Teucri .aspersi. Io, se*più vuoi,-*
Più farò. Di rumori e di' sospetti v’ * , •.
Empierò questi jiopoli vicini;' .
Condnrrògji in aiuto; andrò per lutto
• ^
' Desiando amor di guerra; andrò spargendo
Per le campagne orror/funJrc ed armi..
Assai, Gi unp rispose, Irai di terróre
E di frodo commesso: ha già là guerra •
Le sue cagioni } Iranno (comunque in prima
. La sorte le si regga) ainbe; le parti ’
Le gentiin campo, e l'jvrmi in mutui, cP armi *•
Son già di suugue tinte, e ’1 sangue è . fresco.
Or queste' sponsalizie e queste nozze-
Comincino a godersi il .re Latino, -
E questo di Ciprigna egregio Piglio.-* •
Tii,. perchè uon.ednsent6.il Padre eterno
Cli’in questo eterea luce c sopra terra
Còsi licenzìosfirte nc vada' - . .
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3 i8 ' l’exeidb. [859-882}
Torna a’ tuoichiostri;edio,s’altro infciò resta
Da finir, finirò. Ciò disse a pena
La figlia di Saturno, che.d’ Alcllo
Fischiar le serpi, e dispiegarsi l’ ali
In vèr Cocito. È de l’Italia in mezzo
E de’ suoi monti una famosa valle,
Clic d’ Anisanto si dice. Ila quinci e quindi 4
Oscure selve, e tra le selve un fiume
Che per gran sassi rumoreggia e cade,
E sì rode le ripe 6 le scoscende,
Che fa spelonca orribile e vorago,
Onde spira Acheronte, e Dite essala.
In questa buca 1’ odioso nume
De la crudele e spaventosa Erinne *
Gittossi, e dismorbò 1’ aura di sopra.
Noii però Giulio di condur la guerra
.* Ri liiansi intanto. Ed ecco dal confiilto
Venir nC la città la rozza turba
De’ contadini, e riportare i corpi
» *
Del gioviuctto Alinone e di Galèso,
Cosi coni’ erau sangóinosi e sozzi:
Gli mostrano; ne gridano; n’ implorano
Dagli Dei, da Latino e da le genti
Testimonio, pietà, sdegno e vendetta.
[5*9-576]
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349
[8S3-906] libro vii, .
Evvi Turno presente, che con essi
Tumultuando esclama, e ’l fallo aggrava,
E detesta e rimprovera e spaventa.
Questi, questi, dicendo, son chiamati
A regnar ne l’Ausonia: ai Frigi, ai Frigi
Dà Latino il suo sangue, e Turno esclude.
' Sopravvengono intanto i furiosi,
Che, con le donne attonite scorrendo,
Gian con Amata per le selve in tresca;
Chè grande era d’ Amata iti tutto il regno
La stima e.’l nome; e d’ogni parte accolli
Tutti contro gli annunzi, coutru i Fati
L’ armi chiedendo e la nou giusta guerra,.
Yan di Latino a la magione intorno.
Egli di rupe in guisa immoto stassi,
Di rupe che, nel mar fondala e salda,
Nè per venti si crolla, nè per onde
Che le fremano intorno, e gli suoi scogli
Son di spuma coverti e d’ alga invano.
Ma poiché superar non puote il cieco
Lor malvagio consiglio, e che le cose
Givan di Turno e*di Giunone a voto^
Mollo pria con gli Dei, con le van’aurc
Si protestò 5 poscia, Dal fato, disse,
Caoo. — 23. «[0/7*594]
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350 . l’bxmbb. [907-930]
Som vinto, o la- tempesta mi trasporta.
Ma voi per questo sacrilegio vostro
Il fio nc pagherete. E tu fra gli altri,
Turno, tmpria n! avrai supplizio c morte;
E preci e voti a tempo ne farai,
(lira tempo non saranno. Io, quanto a n»e,‘
(lià de’ mie» giorni 'e de la mia quiete
Son quasi in porto : c da voi sol m’ è tolto
Morir. felicemente. E qui si tacque,
K T governo depose, e ritirossi. "
. Era in Lazio un costume, che venuto
È poi di mano in man di Lazio in Alba,
fi d’ Alba in Roma , ch’ or del mondo è capo ;
dhe nel muover de l’ armi ai Geli, agl’ lndi,v
Agli Arabi, agl’ litania qual sia gente
Gli’ elle situi mosse, si com’ ora a’ Parti
Ter ricovrir le mal perdute insegne,
$’ apron le porte de la guerra in prima.
Queste sòn due, che per la riverenza,
Per la religione e per la tema
Del fiero. Marte, orribili e tremende
Souo.a le genti ; e con beh cento sbarre
Di rovere, di ferrò e di metallo
Stai» sempre chiuse :*è'lor- custode è Giulio.
[594-6 IO]
LIBRO VII.
[93* -95£J
551
Ma quando per .consiglio e per 'decreto
De’ Padri si deiernfiiià e s’ appruova
Clic si guerreggi, il consolo egli stesso', .
Si come p I’ uso, in abito c.cOh-ponipa
C’ ha da’ Gabini origine e da’ regi, . -•
Solennemente le disferro e I’ opre:
* Ed egli stesso, al suon de le catene r *
E de la ruginosa orrida soglia,
La guerra intitolili : guerra 'dopo lui*
Grida la gioventù; guerra e battaglia »
Supnun le trombe;. ed 'èr la guerra iudiUu.
In questa guisa era Latino astretto
D’ annunziarla ai Teucri; u lui quest* atto
D* aprir le triste e spaventose porle
Si doveu come a rege.'Ma ’l buon padre;
Schivo -di si neftUido ministero,
S’ nstennCdi toccarle, è gli ocelli indietro
Volse per non ’vederle, e «si. nascose. • . •
>. Ma per tórre ogni indugio un’altra volta.
Ella stessa Regina de’ Celesti *
Dalciel discesele di sua propria mano *
Pinse, disgbanglierò, ruppe e sconfìsse
De le sbarrale portò ogni ritegno,
Si die I’ aperse. Allor l’ Ausonia tutta, ■
-t&H-oaaV
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352 l’ eneide. [955-978}
Ch’ora dianzi pacifica c quieta,
S’ accese in ogni parte. li (pia pedoni, '
Là cavalieri; a. la campagna ognuno,
Ognuno a l’arme, a maneggiar destrieri,
A fornirsi di scudi, a provar elmi,
A far, dii con la cote, e chi con I’ unto,
Ciascuno i ferri suoi lucidi e tersi. . -,
Altri s’addestra a sventolar l’ insegne,
Altri a spiegar le schiere, e con diletto
S’ode annitrir cavalli e sonai* tube.
Cinque grosse città con mille incudi
A rubricare, a risarcirai danno
I)’ ogni sorte armi. La possente Alina,
Ardua P antica, Tivoli il superbo,
E Crustumerio, e la tornita Antenna. •
Oui si vede cavar elmi e celale;
Là torcere e covrir targhe c pavesi ; -
Per tutto riforbire, auzzar ferri,
Annestar maglie, riti ter za r corazze,
E per fregiar più nobili armature,
I irai- lame d’ acciaio, (ila d* argento.
Ogni bosco fa lance, ogni fucina
Disfà vomeri e marre, e spiedi c spade
Si formati dui bidenti e da I c ' fu lei.
[G23-rt3dj
• ^
1
[979-1002] libro vii. 353
Suoiian le trombe, dossi il contrassegno, .
Gridasi a Tarmi: e chi cavalli accoppia,
E chi prende elmo, e chi picca, e chi scudo.
Questi ha In piastra, equei la maglia indosso,
E la sua fida spada ognuno a canto»
Or m’ aprite Elicona, e di conserto
Meco il canto movete, alme Sorelle,
A dir quui regi e quai genti e qual’ armi
Militassero allora, e di che forze,
E di quanto valore era in quei tempi
Lu milizia d’ Italia. A voi conviensi
Di raccontarlo, a cui conto e ricordo
De le cose e de’ tempi è dato eterno:
A noi per tanti secoli cimasa
N’ è di picciola fama un’ aura a pena.
11 primo, che le genti a questa guerra
Ponesse in campo, fu Mezenzio, il fiero
Del eie! dispregiatore e degli Dei.
D’Etruria era signore, e di Tirreni
Condueea molte squadre. Avea suo figlio
Lauso con esso, uu giovine il più bello.
Da Turno in fuori, che I' Ausonia avesse.
Gran cavaliero, egregio cacciatore
Pino tillor si mostrava; e mille armali
[G37-G52]
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334
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Avea la schiera sua, che sèeo uscita
Fuor d’ Agillina, ne 1’. essigli© ancora
ImlariK) lo seguia; degno che fosse
Ne I’ imperio del padre. A questi dopo *■
Segue A venti ivo, de Finvilto Alcide '•*
Leggiadro figlio. Questi col suo capro '
Di palme adorno, e co’ vittoriosi
Suoi corridori in campo apprescntossi.
Avea nel suo cimiero e nel suo scudo,
In memoria del padre, un’ idra cinta
Da cento serpi. D’Èrcole o-.di Rea
Sacerdotessa ascosamente nato
Nel bosco d’Avcntino era costui j
Clic con. la madre il poderoso iddio -
Quivi si mescolò quando di Spagjrn, *
Da Geritone estinto, ai campi venne. ,
Di Laureato; e nel Tirreno (iumc
. *
Lavò d’ Ibèro il conquistato armento.
Eran di mazzafrusti, di spuntoni,
Di cbjuvnrine, ,e di snvclii spiedi
Armate le sue schiere. Ei| egli, a piedi,
I)’ un cuoio di Icon velluto ed irlo * .
Vestia gli omeri e ’l dorso, e- del suo ceffo,
Clic quasi digrignando ignudi e biaucjii
[«52-667]
. Diqilized by CooqIc
[ IOiT7-'i050] . libro vii. 35-6
Mostrava i d.enti e l’ima e Talora -gola,..
'Si coppia ’lcapo. E con tal fiera mostra, :
D’Èrcole in guisa, a corte si condusse. . -
Vennero appresso -i due fratelli' ar gì vi
Catillo e Cora: e di Tiburte il tèrzo
(iuidùr ledenti, che da lui nomate
Fur Tiburtine. Boi lor colli entrambi
Calando avanti a l’ ordinate schiere,
Due centauri sembravano u vedergli,
Che gwi- correndo da’ nevosi gioghi
6’Òmole e d’Otri, rjsonandp funsi ..
Dar la via da’ virgulti c da le selve.
Cècolo, di Prenèste U fondatore;
Comparve aneli’ egli: un re che do bambino
fu tra l’ agresti belve appo d’ un foco
Trovato esposto ; onde di foco- natp . .
Si crede. poscia,- e di Volcanp figlio. •
Avea costui di rustici d’ intorno
Una gran compagnia, cb’eran.de l’ alta
Preneste, de’ sassosi èrnici monti, , .
De la gabina Giuno c d’ Amène,
È d’Àmasèno e de la ricca Anagni ,
Abitanti e cultori : e come gli altri»
Non erano ih su’ car^i , o d’aste armati
[668-685]
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356 I.’ ENEIDE. [1051-1071]
0 ili scudi coverti. Una gran parie
Fruii frombolatori, e spargean ghiande*
%
Di grave piombo, e parie avean due dardi
Ne la sinistra, e cappelletti in testa
D'orridi lupi: il manco piò discalzo,
Il destro o d’ uosa o di corteccia involto.
Messiipo venne poscia, de’ cavalli
Il domatore e di Nettuno il tiglio,
Contro al ferro fatalo e contro al foco. *
Onesti subitamente armando spinse
Le genti sue per lunga pace imbelli.
Deviò dalle nozze i Fescennini,
Da le leggi i Falisci : armò Soratte
Armò Flavinio, c tutti che d’intorno
Ila di Cimini c lu montagna e ’l lago,
F di Capèna ì' boschi. Ivan del pari
In ordinanza, c del suo re cantando;
Come soglion talor da la pastura
Tornarsi in vèr le rive al ciel sereno
1 bianchi cigni, e le distese gole
Disnodar gorgheggiando, e far di Slitti
lale una melodia, che di Cuistro .
Ne suona il fiumo e d’Asia la palude.
Nè pur un si movea di. tanta schiera
[686-703J
[1075- IG9S] libro vi». 357
Da la stia- fila, in ciò 1q siuol sembrando
De’ roehi augelli allor che di passaggio
Vico d’ alto mare, e come intera nube
A terra unitamente se ne cala.
• Ecco di poi venir Clauso il sabino,
Di quei vero sabino antico sangue;
Ch’ avea gran gente, e la sua gente tutta
Pareggiava sol egli. Il nome suo
Fece Claudi^ nomare e la famiglia
E la tribù romana allor che Roma
Diessi a’ Sabini in parte. Era con lui
La schiera d’Amitqrno e de’ Quiriti
Di quegli antichi. Eravi il popol tutto
D’ Erèto , di itfbtisca , di Nomento
E di Velino, c quei che da l’ alpestri»
Tètrica, da Sevèro, da Caspèriu,
Da Fòruli e d* lineila erau venuti :
Quei che bevean del Fàbari e del .Tebro ;
Che da la fredda Norcia eran mandati ;
Le squadre degli Ortini, il Lazio tutto,
E tutti olfin che nei calarsi al mare
Bagna d’ ambe le sponde Alita infelice.
Tanti flutti non fa di Libia il golfo
Quando cade Orion ne V onde, il verno ;
[703-719]
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358
358 l’£S«i>e. [1099- Il 22]
Nè tante spiche hanno dal sole aduste,
ha state, o d’ Ermo o de la Licia i campi.
Quante emù genti. Arme sonare e scudi
S’udian per tutto, e tutta al suon eie' predi
Trepidar si vedrà l’Ausonia terra. .
Quindi ne vieti I'Agamennonio auriga *
Alèso, <lel troion nome nimico;
Che di mille feroci nazioni
In aria di Tufno un gran miscuglio •
Dietro al suo carro aveadi montanari.
Parte de’ pampinosi a Bacco amici
s s
Màssici colli, e parte degli Anemici, - '
De’Sedicini liti, di -Volturno, w
Di Cale, dc’Saticoli, e degli Osci.
Questi per arme avean mazze e lanciotti
Irti di molte punte, e di soatto
Scudisci al braccio, onde erano i lor colpi,
Traendo, e ritraendo, in molti modi *
Continuati e doppi. E pur con essi
Avcano e per ferire e per coprirsi ;
Targhe ne la sinistra, e storte al fianco.
Nè tu senza il tuo nome a questa impresa,
hhalo, te n’ andrai del gran Telone
E de la bella ninfa di Scbcto
[720-734]
(ìnoglr
[I42ÌSMÌA#} libro vii. 359
Figlio onorato. Di costui §i dice
Clie, nop contento del paterno regno, .
CtìpTral vfecc^iiò lasciando c i Tcleboi,
Fe iY esterni paesi ampio conquisto,
E fu re de’ Saldasti e de le genti
Clic Santo, irriga. Insignorissi appresso
Di Bàttilo, di Uufra, di Celenne
E decampi fruttiferi d’Àvella.
Mezze, plfccjie avean questi a la tedesca
Per avventarle, e. per celate in capo
Suveri scortecciati, e di metalli
Brocchieri- a la sinistra, c stocchi a loto. .
.Calò di Nursa e de’ suoi monti alpestri
Uferìtc iw.condottiei\cli’ erti in quei .tempi
Di molta fama e fortunato in arme.
EqiitgoliTivea seco la più parte,
Orrida gente, per le selve avvezza
Cucciarle fere, adoperar- la marra,
Arar con 1/ armi in dosso, e tutti insieme
Viver di cacciagioni e di rupine.
De la gente marrubio nn sacerdote
Venne fra gli altri 5 sacerdote insieme
E capitan di gelile ardito e forte.
Umbrone era il suo nome ; Arcb'rppo il rege
' [735-752]
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300 L* ENEIDE. [1147-1170]
Clic lo mandava. Di felice oliva
Aven il cimiero c l’elmo intorno avvolto.
Era gran ciurmatore, c con gl’ incanti ,
E col tatto ogni serpe addormentava : |
Degl’ idri, de le. vipere, e de£li aspi
Placava l’ ira, raddolciva il losco,
E risanava i morsi. E non per tanto _
Potè, nè con incanti nò con erbe
De’ marsi monti, risanare il colpo
De la dardunia spada: onde il meschino
ISe fu da le foreste de l’Angizia,
Dal cristallino Fucino e dagli altri
Caghi d’intorno disiato c pianto.
Mandò la madre Aricia a questa guerra
Virbio, del casto Tppolito un figliuolo,
Gentile e bello: c da le selve il trasse
D’ Egèria, ove d’ Imèto in su la rivsj
Più cólta e più placabile è Diana;
Cliè, per fama, d’ Ippolito si «lice,
Poscia clic fu per froda e per disdegno
De l’ iniqua madrigna al padre in ira,
E che gli spaventati suoi cavalli
Strazio e scempio ne fòro, egli di nuovo,
Per virtù' d’erbe e per pietà che n’ebbe
[702-768]
[1171-1194] libro vii. 361
La casta Dea, fa rivocato in vita.
Sdegnossi ii padre eterno eh’ uu mol lale
Fosse a morte ritolto; c l’ inventore
Di cotal arte, clic d’Apollp nacque,
Fulminando mandò ne’ regni bui.
Ippolito da Trivia in parte occulta,
Scevro da tutti, a cura fu mandalo
D’ Egèria ninfa, e ne lu sclvu aseoso,
Là ’ve solingo, e col cangiato nome
Di Virbio, sconosciuto i giorni mena
D un’altra vitu. E quinci è che dal tempio
E da le selve ’a Trivia consecrate
I cavalli 4ian divieto : chè lor colpa
Fu’l suo carro e‘l suo corpo al murin mostro,
E poscia a morte, indegnamente esposto.
II figlio, clic pur. Virbio era nomalo, .
Non nieu di lui feroce, i suoi destrieri
Essercitava, c’nsu’l paterno carro
Arditamente a questa guerra uscio.
Turno infra’ primi, di persoua e d’ unni
Riguardevole cTicro, e sopra tutti.
('.un tutto’! capo in campo appreseli tossi,
lln cimo uvea con tre cimieri in testa
E stivi una Chimera, checon tante
[769-785]
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i
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■r \k/'\
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302 [;t 195-4 21 S]-
Bocclic foco anelava, quante a pena
Non aprnrMongibello ; o-con piu -fremito
Spargea le fiamme, come piu crudèle
Era la /uffa, e pi ù- <1 i saligne av$n% •*
Lo scudo era d’acciaio, e d’oro iittóino . •
Tulio commesso, e d’ òr nel mezzo un’ Io
Era scoi pi taglie già ’l manto e ’l ceffo. *
Le setole c le corna avea di bue:
• »
Mcmorabil soggetto! Eravi appresso
Argo che la guardava; oravi il padre .
Inaoo, die chiamandola, versava,
Non men degli ocelli, diede l'urna, cu fiume.
, Dopo Turno venni di fanti up pendio,, ^
IJn’ ordinanza, una campagna pie.ua .
Tutta di scudi. Eran le genti sue * * .
° • Z.% t
Argivi, Aaroiici, "Rutiili, Sicaui • *
E Sacràni e Labici, che dipinti
Portali gli setoli. Avea del Tiberino,. ~
Avea del sacro lite di Nuniico
E «le Rutuli cojli e delCircèo, . ’ *
D A usure a Giove sacro, di Eeroniu
Diletta a Giuno. de là. paludosa . . \
Satura, e del gelalo e scemo Utente
Gran turba di villani c d’ araTori.
[780-802]
' !
• 4
uhy-CkìOglp
21219-1241] unno vii, 3o*3
L’ ultima a l*k rassegua vieti Camilla
Cli’ eri» ìli volsca gente una (lamella,
ISon di conocchia o di rioanii esperta.
Ma d’ armi e di cavalli, e .benché virgo,
Di cavalieri e di caterve armate
•Gran condottiero, e ne le guerre ‘avvezza.
Era fiera ili Attaglia, é lieve' a l'ebrèo'
< Tanto, che, quasi oh vento sopra Pcrlu»
Correndo, non avrebbe anco de’Jìori *
Tocco, nè-cfe l’ ariste il Sommo a pena.' "
Non avrebbe per E onde e per gli flutti
Del gonfio mar, non clic le piante immerse,
Ma nè pur tinte.' Per veder costei * ' '
Usciali de' tetti, fcmpìèan le strade eTcfftnp*»
Le genti tutte ; i giovini e l<f donne- ■
Stavan éon meraviglia e con diletto
Mirando e vagheggiando qiiqfe andava,
E cpial sembrava-; ccrnie'regianiente '
D'ostrò ornato avcti ’l tergo, e ’l capò dWo!;
È con che dispregiata leggia'drfà * .
Portava un pqstoral nodoso nifrto
Loti piccini ferro' in punta; e con dtp grazia
Se ne già d’ arco e di faretra armata* ' ** K
. • V‘- [803-817] • . ‘
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3G4
[M*J
DELL’ ENEIDE
Libro Ottavo.
Poscia clic di Laurcnto in su la ròcca
Fe Turno inalberar di guerra il segno,
E che. guerra sonòr le roche trombe,
Spinti i carri e i destrieri, e 1’ armi scosse
Di Marte al tempio, incontinente i cuori
Si turbAr tutti, e tutto il Lazio insieme
Con subito tumulto si ristrinse. _
0 s
Fremessi, eongiuròssii rassettossi
Ognun ne l’ urm.e. I tre grun ‘'condottieri
Messùpo, Ufente, e l’empio de’ celesti
Dispregiato)’. Mezenzio, uscirò in prima.
Accolsero i sussidi ; arinAr gli agresti ;
SpogiiAr d’ugricoltor le ville le i campi.
In Arpi a Diomede si destina
Venuto imbasoiatorc : e gli s* impone
Glie soccorso gli chiegga, e clic gli esponga
. Quanto Ciò dq 1* Italia c del suo stato *
I orni u grand’ uòpo; con che gente Enea,
’ * [ I - i 0]
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y
[ 1 9-423 ' libro vili. 365
Con quale armala v* ha già posto il piede.
E fermo il seggio, e rintegrolo il culto
A’ suoi vinti Penati ; come aspira
A questo regno, e come anco per fato,
E per retaggio del durdanio seme, ,
Lo si promette. Che perciò da molti
È già seguito e ch’ogni giorno avanza
JcL di forze e di nome. Indi soggiunga:
Quel che’l duce de’ Teucri in ciò disegni
E che miri e che tenti (se fortuna
Gli va seconda ) a le via più eh’ a Turno
Esser può manifesto, e eh’ a Latino.
Questi andamenti e queste trame allora
Correan per Lazio, e lo scaltrito eroe
Le sapea tutte, onde in un mare entrato
Di gran pensieri, or la sua ménte a questo.
Or a quel rivolgendo ili varie parti,
D’ ogni cosa avea téma c speme c cura.
Così di chiaro umor pieno un gran vaso.
Dal sol percosso, un tremulo splendore
Vibra ondeggiando, e rinfrangenilo a volo
Mandò i suoi raggi, e le pareti e i palchi
E l’aura d’ ogn’ intorno empie di luce.
Era la notte, e già per ogni parte
Caro. — 24. [41-26]
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366 l’ ENEIDE. [43-66]
t *
Del mondo ogni animai d’ aria e di terra
Altamente giacca nel sonno immerso,
Allor die ’i padre Enea, cosi eom’ era
Dal pensier de la guerra in ripa al Telino
Già stapco e travagliato, addormentossi.
Ed ecco Tiberino, il dio del loco
Veder gli parve, un che già vecchio al volto „
Sembrava. Avea di pioppe ombra d’intorno;
Di soli il velo e trasparente in dosso
Ceruleo ammanto, e i crini e ’l fronte avvolto
D’ombrosa canna. E de l’ameno li urne
Placido uscendo, a consolar lo prese
In cotal guisa: Epea, stirpe divina,
Clic Troia da’ nemici ne- riporli «
E la ravvivi e la conservi eterna ;
0 da me, da’ Laureali e da’ Latini
Già tanto tempo a tanta speme atteso,
> —
- Questa è la casa tua, questo è sccura-
mcntc, non l’arrestare, il fatai seggio
* Che t’è promesso. Le minacce e ’l grido
Non temer de la guerra. Ogn’ odio, ogn’ ira
Cessa già de’ celesti. E perché ’l sonno
Credenza non ti scemi, ecco a la riva
Sci già del fiume, u’ sotto a 1’ elee accolla
[2G-43]
ied-byXIuogle
.•1
[67-90] libro vm. 367
Sta la candida troia con quei trenta
Candidi fi^li a le sue poppe intorno.
Questo Ha dunque il seguo c’ I tempo e’ I loco
Da fermar la tua sede. E questo è ’l fine
De’ tuoi travagli; onde il tuo figlio Ascanio,
Dopo trent’ anni, il memorabil regno
Fonderà d’Alba, che cosi nomata
Fia dal candore e dal felice incontro
Di questa fera. E-tutto adempiessi,
Ch’ io li predico, e t’è predetto avanti.
Or brevemente quel ch’oprar convieni!',.
Per uscir glorioso e vincitore
Di questa guerra, ascolta. È ili qui lunge
Non molto Evandro, un re clic de l’Arcadia
E qua venuto ; e sopra a questi monti
Ha degli Arcadi suol locato il seggio.
H loco, da Pollante suo hisavo,
È stato Pallantèo da Itii nomato ;
Ed essi perchè son nel Lazio esterni,*
Son nemici abatini ed han con loro
Perpetua guerra. A te fa di mestiero
Con lor confederarti, e per compagni
A questa impresa avergli. Io fra le ripe
.Mie stesse incontro a 1’ acqua a la magione
[44-57]
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368 V ejikide. [91-114]
D’ Evandro agevolmente condurrolti.
Désta ti de la Dea pregiato figlio;
E come pria vedrai cader le stelle,
Porgi solennemente a la gran Giuno
Preghiere c voli; c supplicando vinci
De 1’ inimica Dea I’ ira c l’orgoglio ;
Ed a me, poi che vineitor sarai,
Paga il dovuto onore, lo sono il Tebro
Cerco da te, che qual tu vedi, ondoso
Rado queste mie rive, e fendo i campi
De la fertile Ausonia, al cielo amico
Sovr’ ogni fiume. Quel che qui m’ò dato,
E ’l mio seggio maggiore ; e fia che poscia
Sovr’ ogni altra citladc il capo estolla.
Così disse, e tufTossi. Enea dal sonno
Si scosse; il giorno aprissi, ed ci col sole
Sorgendo insieme, al suo nascente raggio
Si volse umile: c con le cave paline
De P onda si spruzzò del fiume, e disse :
Ninfe laureati, ninfe ond’ hanno i fiumi
1/ umore c M corso ; e tu con P onde tue,
Padre Tebro sacrato, al vostro Enea
Date ricetto, e da’ perigli ornai
Lo liberate. E io da qual sia fonte,
[58-74]
[M5-T38] libro vi». 3G9
Che sgorghi, iu qual sii riva, in qual sii foce
(Poiché tanta di me pietà ti stringe)
Sempre t’ onorerò, sempre di doni
Ti sarò largo. 0 de I’ esperiti’ onde
Superbo regnatore, amico e mite
Ne sia il tuo nume, e i tuoi detti nou vani.
Così dicendo, de’suoi legni elegge
I due migliori, e gli correda e gli arma
Di tutto punto. Cd ecco d’ improviso
( Mi rabil mostro ! ) de la selva uscita
Una candida scrofa, col suo parto
Di enndor pari, sopra l’-erba verde
Ne la riva accosciata gli si mostra.
Tosto il pietoso Eroe col gregge tutto
A 1* aitar la condusse ; e poiché sacra
L’ ebbe al gran nome tuo, massima Giuno,
A te l’ uccise. Il Tebro quella notte
Quanto fu lunga, di turbato c gonfio
CIP egli era, si rendè tranquillo e queto
Si, che senza rumore e quasi in dietro
Tornando, come stagno, o come piena
Palude adeguò 1’ onde, e tolse a* remi
Ogni contesa. Accelerando adunque
II cantin preso, iben unti c spalmati
[74-90]
370 l’ ene|de. [159-162]
Loi* legni so ne vati no incontro al fiume '
Coni’ a seconda ; si die 1’ onde stesse
Stavan meravigliose, e i boschi intorno,
Non solili a veder Tarmi e gli -scudi,
E i dipinti navi I i, clic da lunge
Tacean novella c peregrina mostra.
Se nc van notte e giorno remigando
Ili tutta forza, e i seni e le rivolte
Varcati di mano in inano, or a P aperto,
Or tra le macchie occulti, c via volando
Segati P onde e le selve. Era il sol giunto
A mezzo il giorno, quando incominciaro
Da lunge a discovrir la ròcca e’I cerchio,
E i rari allor ilei poverello Evandro
Umili alberghi, ch’ ora al cielo adegua
ha romana potenza. Immantinente
Volscr le prore a terra ed appressarsi
Là ’ve per avventura il re quel giorno
Solennemente in un sacrato bosco
Avanti a la città stava onorando
Il grande Alcide. Avea Fallante seco
Suo figlio, c del suo povero Senato,
E de’ suoi primi giovini un drappello,
Che d incensi, di vittime c di fumo
[91-106]
?
A '.un^k1
[163-4 86] nano A-iii. 371
Di caldo sangue empican Pare e gli ailari.
Tosto che di lonlan videp le greggio,
E per entro de’ boschi occulte e chete
Gir. navi esterne, insospettiti in prima
Si levàr da le mense. JMa Pollante
Arditamente, Non movete, disse,
Seguite il sacrifìcio. E tosto a Porrai
Dato di piglio, incontro a lor si spinse.
Giunto, gridò da P argine : 0 compagni,
Qual fin v’ adduce, o qualV intrica errore
Per così torta e disusata via?
Ov’ andate ? chi siete ? onde venite ?
Che ne recate voi ? La pace, o P armi ?
Enea di su la poppa un ramo alzando
Di pacifera.-oliva, Amici, disse,
Vi siamo, e siam Troiani, e coi Latini _
Vostri nimici inimicizia avenio.
Questi superbamente il nostro essiglio
Perseguitando ne fan guerra cd onta.
Ricorr.emo ad Evandro. A lui porgete-
Da nostra parte, che de’ Teucri alcuni
Son qui venuti condottieri eletti
Per sossidi impetrarne, c lega d’arme.
Stupì primieramente a sì gran nome
[106-121]
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372
*
l’ ENEIDE.
[187-210]
l'aliante, indi vèr lui l ivello umile,
Signor, qual clic tu sii, scendi e tu stesso
Parla, dissecai mio padre, e nosco alloggia.
E lo prese per mano ed abbrucciollo.
I. ascialo il fiume c ne la selva cufrati,
Enea dinanzi ai re comparve c disse:
Signor, che di bontà sovr’ ogni Greco,
E di fortuna sovr* a me leu vai
Tanto che supplichevole, e co’ rami
Di benda avvolti a tua magion ne vengo;
lo, perchè sia Troiano e tu di Troia
Per nazion nimico c per legnaggio
Agli Atridi congiunto, or non pavento
Venirti avanti, chè’l mio puro affetto,
(ìli oracoli divini, il sangue antico
De’ maggior nostri, il tuo famoso grido,
E ’l fato c’I mio voler m- Ilari teco unito.
t
Dardano de’ Troiani il primo autore
Nacque d’ Elettra, come i Greci han detto;
E d’ Elettra fu padre il grande Atlante,
Che con gli omeri suoi folce le stelle.
Vostro progenilor Mercurio fue,
Che nel gelido monte di Ciilene
De la candida Maia al mondo nacque; -
[121-1 39]
LIBRO Vili.
373
[2M-234]
E Maia ancor, se questa fama è vero,
Venne d’Atlante, e ila lo stesso Atlante
Clic fa con le sue spalle al ciel sostegno.
Così <!’ un fonte lo tuo sangue c’I mio
Traggo» principio.' E quinci è che sccuro
Senza opra ili messaggi e senza scritti.
Pria eh’ io ti tenti, e pria che tu m’ affidi.
Posto ho die stesso e la inia vitati rischio,
E supplichevolmente' a la tua casa
Ne son venuto. I Putidi eh* infesti
Sono anco a te, se de P Italia fuori
Caccerun noi, già de l’Italia tutta
L’imperio si promettono, e di quanto
Ragna l’un mar/è e l’altro. Or la tua fede
Mi porgi, c la mia prendi ; ch’.ancor noi
Siamo nsi a guerra, e cor ne’petti «verno.
Il re, mentre eh’ Enea parlando stette,
il volto e gli occhi e la persona tutta
Gli andò squadrando $ e brevemente al line
Così rispose: Valoroso eroe,
Come lieto iò t’accolgo, e come certo
Raffigurar mi sembra il volto e i gesti
E la favella di quel grande Anchise
Tuo genitore! Io mi ricordo quando
[140-157]
374 l’ ejieide. [2^.5-258]
Priamo per riveder la sua sorella
Estone e’I suo regno, in un passaggio
Che perciò fe da Troia a Salamina,
Toccò d’ Arcadia i gelidi confini. . . 1
De le prime lanugini fiorilo .
Era il mio mentova pena allor ch’ io viihi
Quei gran duci-di Troia, e dé’ Troiani
Lo slesso re. Con molto mio diletto
Gli mirai, gli ammirai, notai di tutfi *. :
• Gli abili e le fattezze, e sopra lutti
Leggiadro, riguardevole ed altero
Sembrommi Ancbisc. Un desiderio ardente
Mi prese allor d’ offrirmi, e d’ esser conto .
A quel signore. Il visitai, gli porsi
La destra, ospite il fei, nel mio Feneo
Meco I’ addussi. Ond’ci poscia partendo,
Un arco, una faretra e molli strali ;
Di Licia presentommi, c d’oro appresso
Una ricca intessuta sopravesta
Con due freni indorali eli’ ancor oggi
Son di Pollante mio: si die gid ferma
fi tra noi quella fede e quella lega
CIP orme chiedete. E non fìa il sol dimane
Dal balcon d’ oriente uscito a pena,
[157-170]
-Bìgifeed by iìpagle
LIBRO Vili.
375
[25*9-282]
Che le mie genti e i miei sossidi avete.
Intanto a questa festa, che solenne
f acciamo ogni anno, e tralasciai' non lece,
(Già che siete venuti amici nostri)
Nosco restate, e come di compagni
Queste mense onorate. Avea ciò detto,
Allor che nuovi cibi e nuove tazze.
Ripor vi fece, e lor tutti nel prato
A seder pose; e sopra tutti Enea,
Di villoso leon disteso un tergo,
Seco al suo desco ed al suo seggio accolse.
Per man de’ sacerdoti e de’ ministri
Del sacrificio, d’ arrostite carni
De’ tori, di vin puro, di focacce,
Gran piatti, gran canestri e gran tazzoni
N’ andavo a torno; e co’ suoi Teucri tutti
Enea fu de le viscere pasciuto
Del saginato a Dio devoto bue.
Tolte le mense, e ’l desiderio estinto
De le yivande, a ragionar rivolti,
Evandro incominciò: Troiano amico,
Questo convito e questo sacrificio
Cosi solenne, e questo a tanto nume
Sacrato altare, instituiti c posti
[171-188]
l’ fpieide.
376
[283-306]
Non sono a caso ; cliè ilei vero cullo
li «logli antichi Dei notizia avemo.
Per memoria, per merito e per voto
D’un gru il periglio sua mercè scampato,
Son questi onori a questo dio dovuti.
Mira colà quella scoscesa rupe, •
E quei rotti macigni, e di quel colle
Quell’ alpestre ruina, c quel deserto.
Ivi era già remota e dentro al monte
Cavata una spelonca, ov’ iniqua il sole
Non penetrava. Abitatore un ladro
N’ era, Caco chiamato, .un mostro orrendo
Mezzo fera e mezz’uomo, e d’uman sangue
Avido si, cho^Lsuol n’ aVea mai sempre
Tiepido. Ne grommavao le pareti,
Ne pendevano i teschi intorno adissi,
DiqiaUùr, di /quallor luridi e marci.
Voltano -era 'suo padre; c de’ suoi fochi
Per la bocca spirando atri vapori,
Giu d’ un colosso c d'umi torre in guisa.
Centra si diro mostro, dopo molti
Dannagli e molte morti, il tempo aliine
Ne diede e questo dio soccorso e scampo.
Egli di Spagna vincitor ne venne V
[188-201]
[307- 330] libro vili. 377
In queste parli, 'de le spoglie altero *
Di Gerìone, in cui tre volte estinse
In tre corpi una vita, e ne condusse
fai qui d’ibèro un copioso armento, '
Oh’ avea -pien questo fiume e questa valle.
Caco ladron feroee-e furioso,
D’ogni misfatto ed’ ogni sceleranza
Ardito e frodolente essecutore,
Quattro tori iuvolonne e quattro vacche,
Ch’ eran fior de I’ armento. E perchè 1* orme
Indicio non ne dessero, a rovescio
Per la coda gli trasse; e ne la grotta •
Gli condusse, e celògli. Eran 1’ impronte
De’ loi* piè volte al campo, e verso l’ nutro
Seguo non si vedea eh’ a la speloncn
Il cercator drizzasse. Avea già molti
Giorni d’ Anfìtrion tenuto il figlio
Qui le sue mandre, e ben pasciuto e grosso
* Era il suo armento; sì che nel partire
Tutte queste foreste e questi colli
Di querimonie e di muggiti empierò.
Mugghiò da 1’ altro canto, e ’l vasto speco
Da lunge rinlonar fece una vacca
De le rinchiuse: oude schernita e vana
[202-318]
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378 l’ ENEIDE. [331-35A]
Restò di Caco la custodia e'I furto, . .
Gli’ udilla Alcide, c d’ ira e di furore
In un subito acceso, a la sua mozza,
Ch’era di quercia nodorosa e grave,
Diè di piglio, c correndo al monte ascese.
Quel dì da’ nostri primamente Caco
Temer fu visto. Si siparrì negli ocelli,
Si mise in fuga e fu la fuga un volo:
Tal gli aggiunse un timor le penne a’ piedi.
Tosto clic ne la 'grotta si rinchiuse,
Allentò le catene e di quel monte
Una gran falda a la sua bocea oppose;
Cb’ a la bocea de 1’ antro un sasso immane
Avea con ferri e con paterni ordigni
Di cataratta aceommodato in guisa _
Con puntelli per entro e stanghe e sbarre.
Ecco Tirinzro arriva, è come è spinto
Da la sua furia, -va per tutto in volta
Fremendo, ora ai vestigi, ora ai muggiti,
Ora a l’ entrata de la grotta intento.
E portalo da l’impeto, tre volte
Scorse de I’ Aventino ogni pendice;-
Tre volle al sasso de la soglia intorno
Si mise indarno; e tre volte aiTunnnto
[218-2321
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[35&'-3.78] libro vili. 379
Biforcò ne la valle a riposarsi.
Era de ki spelonca al dorso in cima
Di selce d’ ogn’ intorno dirupata
Un cucuzzolo altissimo ed alpestro,
Eli’ ai nidi d’ avvoltoi e di tali altri
Augelli di rapina e di carogna
f Era opportuno albergo. A quesfo intorno
Alfin si mise; e siccom* era al fiume
Da sinistra inchinato, egli a rincontro
Lo spinse da la destra, lo divelse, ■
Col calce de la mazza a leva il pose,
E gli diè volta. A quel fracasso il cielo
Rintouó tutto, si- orollàr le ripe,
E ’l fiume impaurito si ritrasse.
Allor di Caco fu lo Speco aperto:
Scoprissi la sua regia, e le sue dentro
Ombrose* e formidabili caverne.
Coinè chi de la terra il globo aprisse
* A vivafprza, e de l’ inferno il centro
Disctovrissje in un- tempo, e che di sopra
De l’ abisso vedesse quelle oscure *
Dal cielo abbomìnale orride bolge :
Vedesse Pluto a I’ improviso lume
Restar del sole attonito e confuso ;
[232-246]
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3S0 l’ eneide. [379-402]
Colai Caco ila subito splendore
Ne la sua tomba abbarbagliato c chiuso-
Digrignar qual mastino Creole vide;
E non più tosto il vide, ebe di sopra
Sassi, travi, tronconi, ogn’ arme addosso
Fulgorando a v ventàgli. Ei ebe nè fuga
Avea, nè schermo al suo periglio altronde, -j
Da le sue fauci (meraviglia a dirlo!)
# t #
Ir 1
^ . (
Vapori e nubi à vomitar si diede
)
Ir-
Di fumo, di caligine e di vampa,
1
•ii
Tal che miste le tenebre col foco
Toglican la vistaagli ocelli, eM lumeal’antro.
Non però si contenne il forte Alcide,
die d’ un salto in quei baratro gitlossi
Per lo spiraglio, e là V era del fumo
La nebbia e I’ ondeggiar più denso, e’J foco
Più rogio, a lui ebe ’l vaporava indarno,
S’ addusse, e lo gbermi ; gli fece un nodo
De le sue braccia, e si la gola c ’i banco
Gli strinse, che scoppiar gli fece il petto,
Escbitzargliocchi ;c’l foco e’1 batoel’nlma
In un tempo gli esliusc. Indi la bocca
Apri de I’ antro, e la frodata preda,
h del suo frodatore il sozzo corjM)
[247-2G4]
J
r
[403-426] ufino \;m. 381
Fuor per un piè ue trassero cui dintorno
Corser le genti ameraviglia, ‘ ingorde
Di vedetegli occhi- biechi, il volto atroce,
E’ ispido petto, e V ammorzato, foco.
Da indi in qua questo di -santo ógn’ anho
Da’ nostri è liètamente celebralo, ■*
E ne sono.i Petizii i primi autori,
E i Pinarii ministri. Allor quest’ ara,
Che massima sì disse^ oche inai sempre
Massima ne sarà, fu consecrata, .
In questo bosco. Or via dunque, figliuoli,
Per celebrar tanV onorala festa,
Coprami in fronte c eoa le lazze in mano
. * * *
Il compì un. dio. -chiamato, e lietamente
. L’un Con Y altro, invitatevi, e beete.
Ciò detto, il divisalo erculeo pioppo-
Tessérp filtri in ghirlande, qltri in festoni,
Altri i maii nè piantanvEdi ght .pieno
Di sacrato liquore il gran- catino,
Tutti p mensa gioiosi s’ adagiato,
E spargendo e beando, ni santi numi
Porser preghière, c .voti. Espcro intuii Io-
Era a l’ occidente! 1 ilo ipeiuo **
Già pertufTnrsi,. quando i sacctdoti
Caro. — 25. [265-281]
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I
382 l’ ereidb. [427-450]
Un’ ultra volta, e ’l buon PotLzio avanti
Con pelli indosso e. con Taccile ifi inano,'
Coni’ è postume, a convivar tornato,
E le seconde mense c I’ are salite
Di grati doni e di gran piatii empierò. •
# ”* •
I Salii intorno ai luminosi altari
Givano it) tresca, c di populea fronde
Cingcair Ip tempie. I vecchi da 1’ un coro
he prodezze cantavano e le lode
Del grande Alcide. 1 giovini da Fottio
IS’ atteggiavano i fatti: come prima
Fauciul da la matrigna insidialo
I due serpenti strangolasse in citila;
Come al suolo adeguasse Ecalia e Troia,
Cititi famoso; come superasse
Alili’ altre insuperabili fatiche •
Sotto. al duro tiranno, e coutr.’ai fati
_ De l’empia Dea. Tu sei, diccqti cantando,
Invitto iddio, che de le nubi i ligli
ISilèo e Folo uccidi ; lu che ’l mostro
Domi di (Anita; tu che vinci il fiero
Ncmòo leone; te gi’inferni laghi,
le 1 inferno custode ebbe in orrore
Ne 1’ orrendo suo stesso e diro speco/
[281-29-G]
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LIBilO V41I.
383 •
[Vói -474]
Là ’vfe tra ’l Sangue c le corrose membra
Ila de la morta gènte il suo covile*
Cosa non è si spaventosa al mondo.
Che te spaventi, non lo stesso armato
Incoiftn’ al eiel Tifèo, nè quel di terna
Con. tanti e tanti capi orribil angue
Senza avviso'ti J*ide o senzu ardire.
A te vera di Giov? inclita prole,
llmilmentè inchinarne, a te del cieto
Nuovo aggiunto ornamento. E tu benigno,
Mira 1 cor nostri. e i sacrifìci! tuoi.
Così pregando e celebrando in versi
Cantavan le sué pruovc. E sopra tutto
Diccan -di Caco, e de la sua spelonca
E de’ suoi fòchi; c i boschi a i colli intorno
Rispondeun rintonando. Eran finiti
1 sacrifici!, quando ilvreocfiio Evandro.
Mosse vèr là citiade ; e seco a puri
Da T un de’ lati Enea, da l’altro il figlio
Avea, cui s’ appoggiava; «-ragionando
Di varie. cose, agevolava il calle.
Enea, meravigliando, in ogni parte
Volge» le luci, desioso e lieìo
Di veder quel paese, e di Saperne
[297-312]
3Si l’ i:nkit»e. [475-498]
I sitici luoghi e le 'memorie antiche.
Di che spiando, il pruno fondatone .• .
De In romana ròcca in calai guisa
A tlir gli cominciò : Questi contorni . .
Eran pria selve ; e gli abitanti loro .
Eran qui nati, ed eran fauni p ninfe,
,E genti che di roveri e dUtroncl\i
Naie, nè di' costumi, nè di culto,
Nò di tela accoppiar, nò -di por viti, »
Nè d’ altr’arti o d’ acquisto o di rispiarmo
Avcan notizia o cura : c’I vili od oro.
Era dbcaccingion, d’ erbe e di pomi;
E la lor vita, aspra, inuocenlè e pura.
Saturno il primo fu eh’ in queste parti
Yenue, dal ciel cacciato, c vi s’ascose.
• • * <
E (fucile rozzo genti, che disperse
Eran per questi monti, insieme accolse,
E diè lor leggi; onde il paese poi
Da le latebre sue Lazio no mossi.
Di con che sotto il suo placido impero „
(>)n giustizia^ con "pace e con amore"
Si visse-.un secò! d’oro,' in fin che poscia
1/ctà, degèneraìulo, appoco a poca
Si fe d altro colore e (Koltra lega.
[3 E2-326]
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*
[499- ó22] libro vhi» 385
Quinci di gareggiar fenile, ii furore,
L’ ingordigia iP avere, e lemischianr.e
De Pulire genti, fc’ assalir gli Ausoni; - *
L’inondàr i Sicani] ónde-più volte -
Quésta, che pwa Saturnia èra pomata,
Ila con la signoria cangiato il nome, * .
E co’ signori. E quinci è die da Tetro*
Che ne fu re terribile -ed immane,
Telmo fumetto qucstQ fiume an.co'ra,*
Ch’Àlbulasi di eoa ne’ tempi antichi.
Ed ancor me de' la mia patria in bando'
Dopo molli perigli ^ molli* affanni
Del mar sofferti, ha qfcì l' onnipotente
Fortuna, ei’ invincibil mio destino
Portato alfine ; e qui pQsar mi fero
Gli oracoli' tremendi e spaventosi
Di Carmenta mia madre, e Febo stesso
Che mia madre inspirava. E fin qui «letto,
Si pinse avanti, e quell’ava mt>£lrògli,
E quella portar che fu poi di Roma _ .
Carmentaridetta, onore e ricordanza^ .
De la ninfa indovina, eh’ a*n7.i a tutti •
Del Pallantèo predisse, e de’ Romani/. -
La futura grandezza: Indi seguendo
" [327-341]
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386 l’ eneide. [523j-546]
Un gran bosco gli mostra ; ove 1* Asilo
Romolo contrafece p e ’l Lupercalc, ,
Clic, quale era in Arcadia a Pan Liceo,
Sotto una fredda rupe era dicalo.
Poscia de l’Argileto gli dimostra
La sacra selva ;-e d’Argo ospite il caso
fili conta, c se ne purga c se ne scusa.
/
A la Tarpeia Rupe, al Campidoglio
Poscia 1’ addusse; al Campidoglio or 'd’oro,
'die di spini iij quel tempo era coverto,
Un'ermo 'colle dai vicini agresti
Per la rcligìon del loco stesso
Insino ullor temuto e riverito:
Ch'a vedep sol quel sasso e quella selva
Si paventava. Equi soggiunse Evandro:
In questo bosco, c là -ve questo monte
E più frondoso, un ilio, non si sa quale, „
.Ma certo abita un dio. Queste mie genti
D’Arcadia bau /erma fede aver veduto
»
Qui Giove stesso balenar sovente,
E far di nembi occulta. Oltre a ciò vedi,
Qui su, quelle mine e quei vestigi
Di quei due cerchi antichi. Una di queste
Città fondò Saturno, e l’ultra fiiano,
[342.-357]
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[547-5J0] ujmo yju. 3S
Clic Saturnia, e Gialliccia fui* «lette.
In cotal guisa ragionando Evandro,
Se ne gian verso il.suo picciolo ostello.
Elie l’ urinar, là VoY di Roma è il Fòro,
Ov’ è quella più florida contenda
De le Carine, ad ogni passo intorno
Udian greggi. belar,' mugghiare armenti.
• •
Giunti oli.e furo : In questo umile albergo
Alloggiò, disse, il vincitore Alcide.
Questa fu la soa reggia. E tu v’ alloggia.
E tu M gradisci, e le delizie e gli agi -
Spregiando, imita iu ciò Tinnzio c Dio,
E del tugurio mio meco ^appaga. .
Cosi dicendo,'. il grand’ospite accolse
Ne 1’ angusta magione; e collopollo
Là dove era di froridi e d’irta pelle '
Di libic’orsa attapezzato un seggio. .
Venne la notte, e le fase’ ali stese
Avea di. già sovra la terra, quando
Venere come madre, e non in vano
Del suo figlio gelosa, il gran tumulto
Vcggendo c le minqcce.de’ Lqurcnti,
Con Volcan suo marito si ristrinse
Con gran, dolcezza ; e nel suo letto d’oro,
[358.373]
388 * t’ éxeidiì. [571-594]
Amor spirando, io-tal guisa gli disse : -
Caro consorte, iiifinchè i'i:egi argivi
Furo a’danni di Troia, e che jjer fat.o
Cader dovea; audio- da le seecoi’so
Volsi, o da Carte tua; nè ti richièsi L
D’armi allor, nè di macchine, nè d’altro
Per iscampo de’ miseri Troiani.
Le man, T ingegno tuo, le tue fatiche .
Oprar non volli indarno, ancor che molto
Con Priamo e co’ figli ehligo avessi*.
E molto mi premesse il duro ufiauQO'
D’Enta mio figlio. Or per imperto espresso *
E de’ fati e. di (dove -egli.Hfcl Lazio’-
E tra’ Rotoli è fermo. A te, mio sposo, - •
Ricorro; a te, mio-vefièrando numi;
E madre per un figlio arme li. dileggio^
L)ud die da te di Nòreo la figlia,
E di Titoli la moglie hanno impetrato.
Mira in qiihtit’uopoìo le ti dileggio, e (pianti
E che popoli sono,- a mia mina
E de’ miei, congregali; e qunl fan -d’armi
•'X , • *
A porte chiuse orribile apparecchio.
Stava a questa richièsta in sé Vulcano
Ritroso anzi che no quando Ciprigna
% r / tiiw i
* /
*
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I
389
[59^-618] libro
Con la «tiepida neve p col viv’ ostro
De le sue faccia al 'colto gli si avvinie,
C striaselo e baeiollo. In un momento
La consueta fiamma gli s’apprese, - " ;
E per Tossa gli corse e Te midolle,
E per Ip-v-ene al corej in quella guisa
Che di coruSCa nube esce repente . ^
Una lucida jlsta, e lampeggiando'
E serpendo, il ciel tutlo empic'di foco. -
3entì la scaltra, che sapea-'la forcai
Di sua beltà', 'che Tavqa prego e vinto;
E de T inganno Si ceippiacquc e rise.
E’Lbuon marito, che iT eterno amore
Avea il coY punto, le si volse, e disse:.
A che si lurfgo essordio? Ov’è, ccrtisorte,
Vèr me la tua fidanza? Lo fin d’ allora,
Se l’era grado^avrei d’arme provisti
I Teucri tuoi; nè’l .padre onnipotente, :
Nè i fati ci vietavano che Troia *
Non si tenesse*, e Priamo non fosse*''
Restato .ancor per diecc al tr’ anni in vita.
Ed or s*-a guerra t’apparecchi, e questo •
È tuo consiglio, quel die Torte’ paolo .
0 di. ferro, o di liquido metallo,
[387-402]*
3M) I.’ EJCE1DE. [fi .l ‘J - fi i g2]
i
Quanto i mantici han (iato, c forza il foco,
10 li prometto. 1*1 lu con (|4icsìi (neghi -
Cessa di rivocnr la pòssa in forse * .
Del tiro volere, e’I mio desir eh’ è sempre
Di far le voglie lue paghe e contente.
Così dicendo, disioso in braccio >
La si recò; gioitine, c poscia in grembo
. Di lei placidamente addormentassi.
Finito il primo sonno, e de hi notte
(ìià corso il mezzo, come fcmiuella
Che col fuso, con l’ago, e con laspuoja
La sua vita sostenta e de’ suoi figli ;
Clic la notte aggiungendo al suo lavoro, •
11 dal suo focolar pria clic dal sole
Procacciandosi’! lume, a la conocchia,
A l’aspa, a l’arcolaio esscrcitando
Sta le povere ancelle, onde mantenga
'Il casto letto e i pargoletti suoi;
Tale in tal tempo, e epu tal cura a l’opra
Sursp il gran labro, C la fucina aperse.
Ciuco tra la SicamylaT un canto
h Lipari da l’altro un’ isolctta
(di alpcstra ed alta esce de Fonde, c fuma.
Ila sotto una spelonca, c grotte iiUornn,
[403-418]
fi
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I&43-666J. libro viti. 3'J!
Che drferj ciclopi antri e fucine
Son, dà* lor fochi affumicali e rosi.-
Il picchiar ded’iucudl e de’ martelli
Ch’entro si. sente, lo stridor de’ ferri,
Il fremere e’1 bollir de le sue fiamme
E de le subornaci, d’Etna in guisa'
intonar s’ode ed anelar si vede.
Questa è la casa, ove qua giù s’adopra^
Vulcano, oude da lui Yolcunia è detta : '
E qui per Tanni fabbricar discese
Del grami’ Enea.- Stavan ne Ta-ntro allora
Stèrope e Bronte e Pi memòrie ignudi
A rinfrescar T aspre saetto a Giove.
Ed una aliar n’avean parte polita,.
Palle abbozzata, -con tre raggi attorti
Di grandinoso nembo, tre «li nube
Pregna di pioggia, tre d’acceso foco,
E tre di vento impetuoso e fiero.
I tuoni v’ aggiungevano e i baleni,
* * • ^
E di fiamme e ìli furia e di spavento
lln cotal misto. Altrove erano intorno
* *
Di jttarte at carro', e le veloci- ruote
Accozzavano insieme, ond’ £gli-urmnto
Le genti e le città scuote e Coinmovc.
[418-434] v
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392* l' eheide» ,{667-690]
l-o scudo, la corazza c l’pjnjoe l’ tosta*
Avean da K "al Ira’ parledncominciati
De l’ armigera Palla, e di affinmcsso ' .
I.e fregiavano a gara. Erano i fregi
Nel pollo de la Dea gruppi «Li serpi
Clic d’oVo avean lefscaglie, c conio intrichi
Facean guizzando di Medusa intorno .
Al fiero teschio, che così com’era
Disanimato e tronco, le sue luci
Volgea d’ intorno minacciose o torve.
- Tosto che- giu use,' via, disse a’ ciclopi,
Sgombratevi davanti ogni laVoro,
E qui. meco a guarnir d’orme attendete
IJn gran campione. E s' iniqua fu mest-ieró
D’arie, di sperlenza e di prestezza,
È questa volta. Or v’ accingete a l’ opra
Senz'altro indugio.’ E. fu ciò. detto a pedi», *
Che divise le vcei e i magisteri,
A fendere, ^bollire, a martellare
Chi. qua, chijà si diede. 1+ bronzo e l’oro
Corrono a rivi :s’ ammassiccia il ferro,
Si raffina l’acciaio; e tempre e leghe
In più guise si fan d’ ogni metallo.
. 1)1 sclt? falde in selle doppi unite
[435-447] •
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[6JH-714] LiBUOvut. 393
fticotto.al /ocoé ribàttrite e salde
Si forma un saldo e smisurato scudo; •
Da poter solo incontri) Uunnùtutte
Star dc’Latini. Il fremito del vento
Che Spira da* gran mantici, e le strida
Clic, -ne’ laghi alt uffa ti fe ne'T incudi
Battuti, .fanno i ferri, in un sòl-' tuono
Ne l’antro uniti, di tenore fu guisa
Corrispondono a’ colpi de’ ciclopia
Ch*ahmota.'dg Imbraccio or* al Le or basse
.Con le tenàglie c co’, martelli a lempa
Fan cpnserto, armonia, numero e metro*
Mentre in Eolia era A quest’ opra intento
Di Lenno il padre, ecco, sorgendo il sole,-
Sórse al cantar dei inai lo li ni augelli*
Il vecchio Evandro; e fuori use iq vestito
Di giubba coi\ le guigge a’ pSiedi.avvolte, .
Com’ò terrena usanza. Avep dal destro
Omero a .la Tegéa nel manco lato
Una sua greca scimitarra appesa-.
Avcà da la sinistra di pantera
Una picchiata pelle, che. d’tiU*tergo'<
Gli sbyolgen su V altro ;.c da la ròcca -
Scendendo, glf veuitUMbre cani avanti,
3^1 • l’ F.jtKiDE. [715-73*]
Come custodi i suoi passi osservando. *
In questa guisa il gQiferoso eroe,
Come quei die Tehea 'memoria e cura
Di compir quattro avca la sera avanti
Ragionatole promesso, a le scesele
Stanze del padre Enea si ricondusse.
Enea da l’altra parte assai jier tempo
S’era levato; e solo in compagnia
L’un seco avea -Fallante, c l’altro Acato.
Poscia che rincontrati e ’nsieme accolti*
Si saluterò, al fin, tra loro essisi,
A ragionar si diero. E prima Evatufro *
Così parlò : Signor, cui vivo, in vita
Dir-si'pbò che sia Troia, c che del tutto
Non sia caduta c vinta; in questa guerra
Quel che possMo per tjjo sossidioè poco
A tanto affare. Il mio paese èchiuso
Quinci dal Tosco fiume, e quindi librarmi
Clic gli suonati ile’ Ruttili d’ intorno
Fin sulle porte. Avviso c pensier mio
E per confederati c per compagni
DurtPuna gente* numerosa c grande
Con molti regni. lu tai qui UTnipo. amputilo
Sci capitato, c tal felice inoonlro
[ 4G2-477]
-X
LIBflò vili.
335
[739.?(J2J
Ti porge amica e non pensata sorte.
non. lungo di qui, su questi monti
.D’ EtruTia, una famosa enobil ìerra ->
CI»' è sopra' un sasso anticamente estrulh».
Agiliitia si dice^òve lor seggio
Posero (è giù grau tempo) i «bellicosi
E chiari -Lidi ; e floridi e felici
Vi fur gran tempo ancora. Or sotto il giogo
Son di Mezenzio capitati ai line.
A che "di lui contarle sceleranze?
A clie Ha feritili? Dio le riservi
Per suo fustigo c de’ seguaci suoi.
Questo crudele insino, , a’ corpi morti
Mescolava co’ vivi (odi tormento)
Elie -giunte inani a mani., e bocca a bocca,
In cosi miserando aliracciamento \
, Dii face» dr putredine e di le**o,
Vivi, di lunga morte alfin morire.
I cittadini o (li itti,- disperati,
E fatti pev paura aitili securi,
l esero insidie a lui, fecero strage
De’sufìi, posero assediò, avventàr foco
A le sue case. £1 de le mani uscito” -
Degli uccisori, ebbe rifugio a Turno
[477*493]
306 f enkide. £763-786]
CIP or P accoglie cM difende. Onde commossa
li per giusto cagione in fùria volta
L’ Etrurja tutta in conira al suo tiranno
Grida che muoia, e già con Parrai in filano
.A morte lo persegue. A questa gente • - .
Di molle milil condotticroie cape
Aggiungerò! ti’. li già d’arriiulc navi-, .
Son pieni itili : ognun freme* o gnu fi chiede
Che si spieghiti P insegne; uii vccchip'solo
Aruspice e ’ndovinoè, che sospesi .
Gli ficue infoio a qui; Gente meoniu*
Dicendo, .fiondi gente antica o nol>ile>
Benché giifsto-dolor colitra a Mczcnzio,
E degli’ ira-v’ incenda, incontro a-Lazio •
Non movete voi già; ch’a nessun. Italo
Domar cP Italia una tal geote è lecito, ,
S’cstcruo duce à t a ut’ uopo non preudesi.
Così parato, e per timor confpso '
Del vatreinio stassi-il campo etruscol - u
E-già Tacconi e stesso a questa impresa
M’invita, è già mandalo a presentarmi
Ha la. sedia e lo scettro e P altre Insegne
Del tosco regno, 'perdi’ io re ne sia, 1
Ed a PostOic vada. Ma là- tarda
[4&3-508]
397
[787-8 fO] unno viti.
E fredda mia vecchiezza, e le mie forze
Debili, smunte c diseguali al peso
Fan di’ io rifiuti. Essorlercj Fallante
Mio figlio a questo impero, SO non fos'se
Che nato di Sabella, Italo anch'egli
È per materno razza. Or questo incarco
Dagli anni, da la1 gente, dai destino,
Dal tuo stesso valore a le si deve.
E tu il prendi, Signor, eh’ abile c. fot* te
Sci più d’ogni Troian, d’ ogni Latino
A sostenerlo. Ed io Pallante mio,
La mia speranza e ’l mio sommo cerfforto,
Manderò teco; che ’l meslier de l’arme,
Che le fatiche del gravoso Marte
Ne la -tua scuola a tollerare impari*:
E te da’ suoi prirti’ anni, e i gesti tuoi
Meravigliando ad imitar s’ avvezze.
Dugento'cavalieri, il nervo e ’l fiore
De’ miei d’ Arcadia, spedirò coti lui,
E dugento altri il mio Pailaute stesso
In suo nome duratti. Avea ciò dótto
Evandro a pena, che d’ Anchise il figlio
E ’l fido Acate ster co’ volti a terra
Chinati. E da pensier gravi e molesti
Caro.— 26. [508-52?]
398 l,’ r.ixEiDE. [84 1-834]
Fòran oppressi, se dal cicl sereno
liti madre Citcren segno non dava,
Sì coinè diè. Chè (al per 1’ aria un lume
Vibrassi d' improviso c con lai suono,
Clic parve di repente il mondo tutto
Come scoppiando e minando ardesse;
Ed in un tempo di terreue tube
Squillar ne l’aura alto concento udissi.
Alzarmi gli ocelli; e la seconda volta,
E la terza iterar sentirò il tuono;
K vider là ’ve il cielo era più scarco
E più tranquillo, una dorata nube
E d’armi un nembo die tra lor percosse
Scintillando facean fremili e lampi.
Stupiron gli altri. Ma il troiano eroe
Che ’l cenno riconobbe e la promessa
De la diva sua madre, Ospite, 'disse,
Di saver non ti caglia quel eh’ importi
Questo prodigio; basta eh’ ammonito
Son io dal cielo, e questo è ’l segno e ’l tempo,
Che la mia genitrice mi predisse;
Che quandunque di guerra incontro avessi^
Allora efla dal ciel presta sarebbe
Con 1’ armi di Voltano a darmi aita.
[522-530]
[835-858] libro vili. 399
Or quanta di voi strage mi prometto,
Infelici Laurenli! e qua! castigo,
Turno, da nie n’ avrai ! quatti’ armi, quanti
Corpi volgere al mar, Tcbj-Q, ti veggio !
Via, patto e guerra mi si rompa untai.
Cosi detto, dal soglio alto lu$ossi;
E con Evandro e co’ suoi .Teucri in prima
D’ Ercole visitando i sunti altari,
il sopito carbou del giorno avanti
Lieto desta e raccende; I Lari itichina ;
I pargoletti suoi Penati adora,
E di più scelte ugnelle il sangue offriste.
Indi torna a le navi, e de* compagni
Patte due parti, la più forte elegge
Per seco addurre a preparar la guerra ;
L’altra a seconda per io fiume invia,
Che pianamente e scnz’ alcun contrasto
Si rivolga ad Ascauio e dia novelle
De le cose e de! padre. A quei che seco
In Etruriu adduce», tosto provisti
Puro i cavalli. A lui venne in disparte
Da tutti gli altri un palafreno eletto,
Di pelle di leon tutto coverto
CI»' » velli avea di seta e Pugna d’oro.
[537-553]
•A
*
i
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400 i.’ r.NEiDE. [859-882]
4
Per la piccola terra in un momento
Si sparge il grillo ch’ai tirreni liti
Ne va lo st noi de’ cavalieri in fretta. -
* w
he madri paventose ai tempii intorno
llinovcllano i voti : e giù per téma
Più vicino i 1 -periglio, c più l’aspetto •
Sembra di Marte atroce. Evandro il figlio
Nel dipartir teneramente abbraccia ;
Nò divelto da lui nò sazio ancoro
Di lagrrmar gli dice: 0 se da Giove
Mi fosse, figlio, di tornar concesso
Ora in quegli anni c ’n quelle forze, orni’ io
Sotto Preueste il primo incontro fei
Co’ miei nemici, e vincitore i monti -
Arsi de’ scudi ; allor clf Èri lo stesso,
Lo stesso re con queste mani cucisi,
A cui nascendo avea Feronia madie
Date tre vite e tre corpi, e tre volte
(Meraviglia a contarlo !) era mestiero
Combatterlo c domarlo ; ed io 'Ire volle
Lo combattei, Io vinsi e lo spogliai
IV armi e di vita-, se tal, dico) io fossi,
Mai non sarei da te, figlio, diviso;
Mai non fòra Mezenzio oso d’apporsi
[554-569]
libro Vili.
401
[883-006]
A questa barba ; nè per tal vicino
Vedova resterebbe or la mia terra . _
Di lauti cittadini. 0 dii superni, *
0 de' superni dii nume maggiore,
Pietà d’.un re servo e devoto a voi,
E d’ un padre clic padre è sol d’ un figlio
Unicamente amato. E se da’ fati,
- Se da voi m’è Fallante preservato,
E s’ io vivo or per rivederlo mai,
Questa mia vita preservate ancora
Con quanti iniqua soffrir potessi affanni.
Ma se fortuna ad infortunio il tra,r,,e
PC ?
Cli io dir non oso, or, or. prego, rompete
Questa misera vita, or eli’ è la tema,
Or eli’ è la speme-dei futuro incerta;
E che te figlio mio, mio sol diletto
E da me desiato in braccio io tengo,
Anzi eli’ altra novella me ne venga
Clic’l cor pria che gli orecchi mi percuota.
Oosi ’l padre ne I’ ultima partita
Oisse al suo figlio ; c da l’ambascia vinto,
Imi da’ sergenti riportato a braccio.
A la campagna i cavalieri intanto
beano usciti. Enea col fido Acato,
[Ò70-Ò8G]
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402 l’ eneide. [907-930]
li co’ suoi primi era nel primo stuolo.
Pallante iirmezzo risplemlea ne 1’ armi*
Commesse il’ oro, risplemlea nc 1' ostro
Clic l’arme avean per sopravesla intorno;
.Ma via più risplemlea ne’ suoi sembianti
di’ eran ili fiero c di leggiadro insieme.
Tale è quando Lucifero, il più caro ..
Lume di Citerea, da l’Qceàno,
Quasi da 1’ onde riforbito, estojlc
Il sacro volto, e 1’ aura fosca inalba.
Stan le timide madri in su le mura
Pallide attentamente rimirando
Quanto puon lunge il polveroso nembo
l)o l’armate caterve; e i lustri e i lampi
(Mie facean l’armi, tra i virgulti e i dumi
Lungo le vie. Va per la schiera il grido
Che si cavalchi: e lo squadron già mosso
\ Al calpitar de la ferrata torma
Fa ’l campo risonar tremante e trito,
li di Cere vicino, appo il gelato
Suo fiume un sacro bosco antico e grande
D’ombrosi abeti, che da cavi colli
Intorno è cinto, venernbil molto
L di grau lunge. È fama clic i Pelasgi,
^ [6S6-G00]
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LIBRO Vili.
403
[931-954]
Primi del ^.azio'occupatori esterni,
A Sii van, diade’ campi e degli armenti,
Consociar cresta selva, e con solenne
Itilo gli dedicar la festa c’I giorno.
Quinci poco lontano era Tarconte
Co’ Tirreni accampato; e qui del campo
Giunti a la vista, là ’ve un alto colle
Lo scopria lutto, Enea, co’ primi suoi
Fermossl. ove i cavalli e i corpi loro
Già stanchi ebbero uliiji posa e ristoro.
Era Venere in Ciel candida e bella
Sovr’un etereo nembo apparsa intanto
Con l’armi di Volcano ; e visto il figlio'
C’ oltre al gelido rio per erma valle
Sen già dagli altri solitario e scevro,
Apertamente gli s’offerse, e disse:
Eccoti ’l don che da me, figlio, attendi*
Di man del mio consorte. Or francamente
* %
Gli orgogliosi Laurenti e’I fiero Turno
Sfida a battaglia, e gli combatti e vinci.
E, ciò detto, 1’ abbraccia. Indi gli addita
D’armi quasi un trofeo, cli’appouna quercia
Dianzi da lei disposte, incontro agli occhi
Facean barbaglio, e contro al sol, più soli.
[G00-GI0]
4G4 l* epoeide. [955-978]
D’ un tanto donqEnea, d’iin tale onore
Lieto, e non sazio di vederlo, il mira,
L’ammira e ’l tratta, Or l’elmo in munsi prende
E l’ ori-ibi I cimici' contempla e ’l foco
Clied’ogni parte avventa: or vibra il brando
Fatale^ or ponsi la corazza avanti
Di fino acciaio e di gravdso pondo,
Che di sanguigna luce e di colori '
Diversamente accesi era splendente,
Oual sembra di loritan cerulea nube
Arder col sòie c variar col moto.
Brandisce l’asta; gli stinier vagheggia
Nitidi e lievi, che fregiati e fusi
Son di fin oro e di forbito elettro.
McravigliandtfTilfin sopra Io-scudo *
Si ferma, c.l’ incredibile artifìcio
Ond’cra intesto, e l’ argomento esplora.
In questo di commesso e di rilievo
Avea fatto de’ Incili il gran maestro
(Come de’ vaticini e del futuro
Presago anch’egli) con mirabil urte
Le battaglie, i trionfi e i fatti egregi
D’ Italia, de’ Romani e de la stirpe
(.he poi scese da lui. Dal figlio Ascanio
[6 17-629] ‘
.'.i&raag
[979-ÌO02] udrò vii». 40>
Incominciando, i discendenti tutti
E le guerre che fèr di mano in mano.
V’ avéa del Tebro in su la verde riva
Finta la marnai nudricc lupa
In un antro accosciati*, e i due gemelli
Cbe da le poppe di sì fiera madre
Lascivetti pcndean, senza paura
Seco scherzando. Ed ella umile e blanda
Stava col collo in. giro, or Tulio or l’altro
Con la lingua forbendo e con la coda.
V’era poco lontan Roma novella
Con una pompa, e con un circo avanti <•
Pien di tumulto ov’ era. un’ insolente
Rapina di donzelTe, un darsi a l’arme
Infra Romolo e Tazio, e Roma c Curi.
E poscia infra gli stessi regi armali
Di Giove anzi às l’altare un tener tazze
Invece d’ armi in mano, un ferir d’ambe
Lé parti un porco, e far connubi e pace.
Nè di qui lunge, erano a quattro aquatico
Giunti n due carri otto destrier feroci, .
Che, qual Tulio imponea, (stato non fossi
Tu si -mendace e traditore, Albano ! )
In due parti traean di Mezio il corpo;
[629-644]
\ M
\
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•406 i.’ eneide. [I003-*1026]
K si com’cr-a tratto, i brani e’1 sangue
Ne mostravan le siepi, i carri e’I suolo.
V’era, olire a eiò, Porsenna, il tosco rege,
CIP imperiosamente da l’cssiglio
Invocava i Tarquini, e.’n duro assedio .
Ne tenea Roma, che del giogo schiva
S’avventava nel ferro. Avea nel volto
Scolpito questo re sdegno e minacce,
E meraviglia, che sol Code osasse
Tener il ponte; e Clelia, una donzella,
Varcar il Tebro e seior la patria e lei.
In cima de lo scudo il Campidoglio
Era formato e la Tarpeia rupe,
E Manlio clic del tempio e de la ròcca
Stava a difesa; e la romulea reggia
Che ’I comignolo avea di stoppia 'ancora.
Tra’ portici dorati iva d’argento
E’ ali sbattendo e schiamazzando un’oca,
Ch’apria de’ Galli il periglioso agguato:
E i Galli per le macchie e per le balze
De 1* erta ripa, da la buia notte
Difesi, quatti quatti erano in cima
Giù de la ròcca ascesi. Avean le chiome,
Avea n le barbe d’ oro: aveano i sai
[615-659]
e
e^s**.* c-
[I027-t<0ó0]l LIBRO Vili.
Di luciti’ ostri divisali a liste,
E ti’ òr monili ai bianchi colli avvolti.
Di forti alpini dardi avea ciascuno
Da la destra una coppia, e ne’ pavesi
Slavan coi corpi rannicchiati e chiusi.
Quinci de’ Salii c dc’Luperci ignudi,
E de’ greggi de’ Flamini scolpito
V’ avea le tresche e i cantici e i tripudi,
Ed essi tutti o coi lor fiocchi in testa,
0 con gl» anelli ocon le tibie in mano :
Cui le sacre carrette ivano appresso
Coi santi simolacri e con gli arredi,
Che tnrean per le vie le madri in pompa.
E più lunge nel fondo era la bocca
De la tartarea tomba, e del gran Dite
La reggia aperta : ov’ anco eran le pene
E i castighi degli empi. E quivi appresso
Stavi tu, scelerato Cutilina,
Sopra d’un ruinoso acuto scoglio
Agli spaventi de le furie esposto.
K scevri eran da questi i fortunati
Luoghi de’ buoni, a cui M buon Calo è duce.
Gonfiava in mezzo una marina d’oro
Con la spuma d* argento, e con delfini
[669-07.3]
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408
L* ENEIDE.
[1051-4074]
» ±
I)’ argentino color, die con le code
Givnn guizzando, e con;le scjiienc in arco
Gli aurati flutti a loco a loco aprendo.
E i liti e’I mare e’I promontorio tutto
Si vedea di Lenente a ì’Azzia pugna
Star preparati; e d’ una parte Angusto
Sovra d* un’ alta poppa aver d1 intorno
Europa, Italia, Roma e i suoi Quiriti,
E*) senato c i Penati e i grandi iddii.
Di tre stelle il suo volto era lucente.
Due ne facea con gli ocelli, ed una sempre
Del divo padre ne portava in fronte.
Ne l’ altro corno Agrippa era con lui,
Del maritimo stuolo invitto duce,
Gli’ altero, e’I capo alteramente adorno
De la rostrata sua nn.val corona,
I venti e i numi avea fausti e secondi.
Da 1’ altra parte vincitore Antonio •
Di vèr I’ aurora e di vèr l’onde rubre
Barbari aiuti, esterne nazioni
E diverse armi dal Cntaio al Nilo
Tutto nvea seco l’Oriente addotto:
E la zingara moglie era con lui,
Milizia infame. Ambe le parti mosse
[673-689]
D " “ j t Google
[1075-4098] libro vili. 409
Se nc ginn peiv urtarsi, e d’ambe il mare
Scisso da’ remi e -da’ stridenti. rostri
Lacero si vedea, spumoso e gonfio.
Prendean de 1? alto, i legni in tanta altezza,
Che Cicladi con Cicladi divelle
Parean nel mar gir a ’ncontrarsi,ó ’n terra
Monti con monti: di si fatto moli
Awcntavan le genti e foco e ferro,
Onde il mar tutto era sanguigno e rag io.
Stava qual Isi la f'cgina in mezzo
Col patrio sistro, e co’ suoi cenni il moto
Dava a la pugna ; e non vedea {meschina!)
Quai due colubri 4e veniali da. tergo.
1/ abbaiatore Anòbi e i mostri tutti,
CI»’ eran suoi dii, confra Nettuno c contea
Venere e Palla artnati eran con lei.
E Marie in .mezzo che nel campo d’oro
Di fen*o era scolpito or questi or quelli
A la zuffa infiammava : e l’ empie Furie
Co’lor serpenti, la Discordia pazza
Col suo squarciato ammanto, con la sferza
Di sangue tinta la crudel Bellona
Sgoiniifavnn le genti ; e l’Azzio Apollo
Saettava di sopra: agli cui strali
[689-705] •
410
l’ ENEIDE.
[1099-1122]
1/ Egitto c gl’ indi e gli Arabi c i Sibei
Davan le spalle. E già chiamare i velili,
Scioglier le funi, inalberar le vele
Si vede a la regina a fuggir volta.
Già del pallor de la futura morte,
Ond’ era dal gran fabro il volto aspersa,
. In abbandono a fonde, e de la Puglia
Ne giva ai vènto. Avea d* incontro il Nilo
Un vasto corpo, clic, smarrito e mesto,
A' vinti aperto il seno c steso il manto,
I letabrosi suoi ridotti offriva.
Cesare v’era alfin che trionfando
Tre volte in Roma entrava; e per trecento
Gran tempii a’ nostri dii voti immortali
Si vedean consecrati. Eran le strade
Piene tutte di plauso, di letizia,
E di feste e di giuochi. Ad oglii tempio
Concorso di matrone; ad ogni altare
Vittime, incelisi e fiori. Egli di Febo
Anzi al delubro in maestade assiso
Riconoscea de’ popoli i tributi,
, E la candida soglia e le superbe
Sue porte ne fregiava. Iva la pompa
De le genti da lui.domatc intanto
[705-722]
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LIBRO Vili.
[H23-H38]
Varie di gonne, d’ idiomi e d’armi.
Qui ili Nomadi e d’Afri era una schiera
In abito discinta; ivi un drappello
Di Lèlegi, di Cari e di Geloni
Con archi e strali. Infili dai liti estremi
I Mòrini condotti erano al giogo
E gl’indomiti Dai. Con meno orgoglio
Giva l’ Eufrate: ambe le corna fiacche
Portava il Reno : disdegnoso il ponte
Nel dorso si scotea l’armenio Arasse.
A tal, da tanta madre avuto' dono.
Ed’ un tanto maestro. Enea mirando.
Benché il velame del futuro occulte
Gli tenesse le cose, ardire e speme
Prese e gioia a vederle; c de’ nepoli
La gloria .e i fati agli omeri s’ impose.
[723-731]
DELL’ ENEIDE
»»
N
Libro Nono.
Mentre così da’ suoi scevro e lontano,
Enea fa d’armi e di sossidi acquisto,
Giulio di concitar la furia e l’ira
Di Turno unqtia non resta. Erusi Turno
Col pensier de la guerra al sacro bosco
Di Pi Iti n ho suo padre allor ridotto,
Che mandala da lei di Taùmanle
Gli fu la figlia in colai guisa a dire:
Ecco, quel clic tu mai, chiedere a lingua,
O'mpetrar dagli Dei, Turno, potessi,
Per sè l’ occasi on li porge o ’l tempo.
Enea, mentre dagli altri implora aita,
Le sue mura, i suoi legni e le sue genti
Lascia ora a te, se tu ’l conosei, in preda.
Ei coi migliori al palatino Evandro
Se n’ è passalo, e quindi è ne l’estremo
Penetrato d' Strutta. Ora è nel campo
De’Toschi, e favvi indugio ed arma agresti.
[MI]
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• «1
[19-42] unno ix. 413
E tu qui badi or che-di* earri-c d’ armi-
E di prestezza è d’ uopo? E clic non premii
1 suoi steccali clic som or di tanto'
Per 1’ assenza di lui turbali (* scemi?
Poscia che così disse, alto su Pali
La Dea levossi ; e Ira P opache- nubi
Per entro al suo grand’ arco ascese c sparve:
Turno che la conobbe, limbo a le stelle
Alza le palme; c nel fuggir con gli occhi
Scguilla c con la voce, Il i, dicendo,
Lume e fregio dot cielo, e chi li spiega
Or da le nubi ? E uhi quaggiù ti manda ?
Ond’è l’aer si chiaro e si tranquillo
Così repente? Io veggio aprirsi il cielo,
Vagar le stelle. 0 qual tu de’ celesti
Sii; eli’ a Panni m’ invili, io lieto accetto
Un tanto augurio, e lo gradisco c’1 seguo.
Cosi dicendo al fiume si rivolse;
IV attinse ; se ne sparse ; e precide voli
Molte fiate al ciel porse e riporse.
Eran già le sue genti a la campagna,
E de’ cavalli il condottici' Messàpo
Di ricca sopravesta ornato e d’oro
Movea d’ovanti. I giov ini di Turo
C \ no. — 27. [12-28]
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*
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*
•ili L* ENEIDE. [43-66]
TVncan rultimc squadre, e Turno in mezzo
Con tutto il capo a tutta la battaglia
Sopravanzando, armato cavalcava
Per P ordinanza. In colai guisa i campi
Primieramente inonda il Gange, o ’l Nilo
Con sette fiumi; indi’ ristretto c queto'
Correndo, entro al suo letto si raccoglie.
Qui d’ improviso d’ un oscuro nembo
Di polve il ciel ravvilupparsi i Teucri
Scorgon da lungc, e intorbidarsi i campi.
Caico il primo da l’avversa mole
Gridando, 0, disse, cittadini, un gruppo
Vèr noi di polverio ne l’aura ondeggia.
Ognuno a l’armi ; ognuno a la muraglia :
Ceco i nemici. Di ciò corre il grido
Per tutta la città; chiuggon le porte:
Empion le mura. Tale avea, partendo,
Dato il sagace linea precetto e nórma,
Ch’ in caso di rottura, a campo aperto
Senza lui non s’ardisse o spiegar schiere .
O far conflitto ; c solo a la difesa
S* attendesse del cerchio. Ira c vergogna
Gli animava a la zuffa; editto e tema
Gli ritenea del duce. Ond’ entro armati
[38-46]
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LIBRO IX.
415
[67-90]
Ne le torri, iu su’ merli e ne’ ripari
Aspettaro i nemici. Aleuto passo
Proccdea l’ ordinanza ; e Turno a volo
Con venti eletti cavalieri avanti •
Si spinse, e d’ iinproviso npprescntossi.
Cavalcava di Tracia mi gran corsiero,
Di bianche macchie il vario tergo asperso,
E’I suo dorato e luminoso elmetto
D’alto cimici* copria cresta vermiglia.
Qui fermo: Chi di voi, giovini, disse,
Meco éarà conte’ a’ minici il primo?
E quel ch’era di pugpa indiziò e seguo.
L’asta a l’aura avventando, alteramente
Trascorse* il campo, ed ingaggiò battaglia.
Con alte grida c con orribil voci
Fremendo lo seguirò i suoi compagni,
Non senza meraviglia che si vili >
Fosserò i Teucri a non osar del pari
Uscirgli a fronte, non mostrarsi in campo,
Ferir da lungo, c di muraglia armarsi.
Turno di qua di là turbato c fiero
Si spinge, c scorre il piano, e cerchia il muro,
E d’entrar s’argomenta ov’anche ò chiuso.
Come rabbioso ed affamato lupo
[46-59]
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*
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I
416 L* ENEIDE. [94-114]
Al pieno ovile insidiando, freme
La notte, al vento ed a la pioggia esposto-,
Quando sotto le madri i puri agnelli
Brian secali, ed ci la fame c l’ira
Incontro a lor che gli son lungc, accoglie ,
Cosi gli occhi di foco e’I cor di sdegno
Il Buttilo infiammato, anelo è fiero
Va de’ ni miei agli steccati intorno,
7 i. |
Ogni loco, ogni astuzia, ogni sentiero
Investigando, onde o co’snoi vi snlga?
0 lor ne sbuchi, e ne gli tiri al piano.
Alfin l’armata assaglie, eli’ a’ ripari
Da 1’ un canto congiunta, entro un canale t
IV onde e d’argini cinta, era nascosta.
Qui foco esclama, e foco di sua mano
Con un ordente pino a’ suoi seguaci _
Dispensa, e lor con la presenza accende:
Onde tosto e le faci c i legni appresi,
Fumo, fiamme, faville e vampi e nubi
F volumi di pece al ciel n’andaro.
Muse, ditene or voi qual nume- allora
Scampò de’ Teucri i legni, e come un -tanto
De la novella Troia incendio estinsc.
Fama di tempo in tempo e prisca fede-
[59-79]
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417
- [ 1 15-138] libro ix.
M* avvera il fallo, e ^oi conio ne 'l.fjie.
Dicon che quando a navigar .costi-elio '
Enea -primieramente i suoi navili
A formar cominciò nel bosco Ideo;
D’Ida di Bereeinlo e degli Dei >
Là madre, al sommo Giove orando, disse :
Figlio, che sei. per me de.i’ universo
Monarca eterno, a me tua .cara .madre
Fa’ quel ch’io chieggio, e tu mi devi, onoro.
K nel Gàrgaro giogo un bosco in cima
Da me diletto, ed al mio nume addillo -
Già di gran tempo. Era d’ abeti e d’aceri
E di pini e di peci ombroso e denso;
Ma quando de l’armata ebbe uopo in prima
Il giovine Troiano, al magistero
Volenticr de’ suoi legni il concedei.
Quinci uscir le sue navi ; e come figlie
Di quella selva, a me sou sacre e care
Sì ch’or ne temo; e del timor che n’ aggio
Priego che m’ assicuri; c ’l priego mio °°
Questo possa appo a te, che tanto puoi,
Che nè da corso mai, uè da fortuna
Sia» di venti, o di flutti, o di tempeste
Squassate o vinte: e-lor vaglia che nate
[79-923
*
Ì:
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4 IS l’emide. [139-162]
Son nc’ miei monli. A cui Giove rispose:
Madre, a clic stringi i fati ? E q.ual, per cui,
Cerchi tu privilegio-? A mortai cosa
Farò dono immortale? E mortai uon)o
Non sarà sottoposto a’ rischi umani ?
Ed a qual degli Dei tanto ò permesso?
l’iù tosto allor clic saran giunte al fine, 1
E che in porto saranno, a quelle tutte
Che, scampatela Fonile, il teucre ducè
Avraii ne’ campi di Lourento esposto,
'Porrò la mortai forma, e Dee farolle,
Che qual di Nòreo c Dolo e Galateo
Fendaci coi petti e con le braccia il male.
Cosi detto, il torrente e la vorago
E la squallida ripa e l’atra pece
D’Achcronte giurando, abbassò ’l ciglio,
E fe tutto tremar col ccnuo il mondo.
Or questo era quel di, quest’era il fine
Da le Parche devoto ai teucri legni:
Onde la madre Idèa centra 1’ oltraggio
Si fe di Turno, e gli sottrasse al foco.
Priinieramantc inusitata luce
Balenando rifulse; indi un gran nembo
Di Coribanti per lo ciel trascorse
[93-111]
411)
[163-186] unno ix.
Di vèr -l’aurora; ed una voce udissi
Ch’empiè di meraviglia e di spaventa
L’ un esercito e l’altro : 0 miei -T roteili,
Dicendo, non vi caglia a’ miei navili
Porger soccorso; nè perciò nel campo
Uscite a rischio. Arderà Turno il ma*e
Pria che le sacre a ine dilette navi.
E voi, mie navi, itene sciolte ; e Dee
Siate del mare, lo genitrice vostra
Lo vi comando. A questa voce, in quanto
Udissi a pena, s’ allentar le funi
De’ lor ritegni ; e di dellìni in guisa
Coi rostri si tuflaro. Indi sorgendo
[Mirabil mostro!), quante a riva in prima
Eran le navi, tanti di donzèlle
Si vider per lo mar sereni aspetti.
Sgomentaronsi i Rutuli ; e Messàpo
Co’ suoi cavalli attonito fcrmossi.
Il padre Tibcrin roco mugghiando
Dal mar fuggissi. Nè perciò di Turno
Cessò l’audacia, anzi via più feroce,
Gli altri cssortandoe riprendendo, Ah, disse
Di che temete? Incontro ai Teucri stessi
Vengon questi prodigi; e loro lia Giove
. [H2-12>]
•420 * l’ejieide. [187-210]
De le lor forze cssausli. il ferro e’1 fuoco
Non aspettati de’ Rullili : lian del irrure
Perduta c de la fuga ogni speranza.
^ •
Essi del mare infino a qui son privi
E la terra è per noi: tante son genti
D' Italia in arnie. Nètein* io de’ vanti
Che de’ lor vaticini! e de’ lor fati
Da lor si danno. Assai de’ fati, assai
E l’ intento di Venere adempito,
Clic son nel Lazio. E’ncontro ai fati loro
Son anco i miei, clic <tòr de].Lazio iodeggia,
Anzi del mondo, questi scelcrati
De I’ altrui donne usurpatori c drudi :
Che non soli gli A trilli, e non sola Argo
N* lini) duolo e sdegno. Oli! hastach’una volta
Ne son periti. Sì, se lor bastasse
D’aver in ciò sol una volta errato.
Nuovo error; nuova pena. Or non aranno
Ornai quest’ infelici in odio adulto
Le donne tutte, a tal di già condotti,
Che non lian de la vita altra fidanza,
Clic questo poco e debile steccato
- Clic da lor ne divide? e lauto a pena
Son (unge dal morir, quanto s'indugia
[12D-142J
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[211-234] libro ix. , 42
A varcar questa fossa. In ciò riposto
flan la speme e P ardire.* 0 non ban visto
Le mura gnco di Troia, che costruite
Fur per man di Nettuno, a terra sparse
E’n cenere converse? Ma chi meco
Di voi, guerrieri eletti, è che s* accinga
D’assalir queste mura e queste genti •
Già di paura offese ? A me lor con Ira
D’uopo uon son nè Farmi di Voleano,
Nè mille navi. E vengane pur tutta
L’Etruria insieme. E nou furtivamente
E non di notte, come fanno i vili,
It Palladio involando, ^de la ròcca
I custodi occidendo, assalirògli ;
Nè del cavallo ne l’ oscuro venite
M’ appiatterò. Di giorno apertamente
D’armi e di fuoco cingerògli iti guisa,
Ch’altro lor sembri, che. garzoni e cerne
Aver di Greci e di Pelasgi intorno',
Di cui l’assedio infido al decidi’ anno
Ettor sostenne. Or poscia die del giorno
S’è buona parte insino a qui passata
Felicemente, il resto che n’avanza •
Attendete a posarvi, a ristorarvi,
[143-iòS]
422
L* ENEIDE. [2S5-2ÓS]
A disporvi a l’assalto; e ne sperate
Lieto successo, ludi n Mossa po incarco
Si dà, die sentinelle c guardie e fochi
Disponga anzi 'a le porte c’ntorno al muro.
Ei sette e sette capitani egregi,
Hululi tutti a quest’impresa elesse,
Con cento che n’avca ciascuno appresso
Di purpurei cimieri ornati e d’ oro.
Questi, le mute variando c Pure, •
Scorrevano a vicenda; e’ntorno a’ fochi
Desti in su l’erba, infra le tazze c I’ urne
Tracan la notte in gozzoviglie e’n giuochi.
Stavano i Teucri il campo rimirando
Da la muraglia ; e per timore, armati
Visitavan le porte, e ’n su’ ripari
Pacca n bertesche e sferratole e ponti.
Era Mennno lor sopra e’I buon Sergesto,
Cile fur dal padre Enea nel suo partire
A guerreggiar, se guerra si rompesse,
Per condottieri e per maestri eletti.
Già su le mura, ovunque o da periglio
0 da la vece eran disposti, ognuno
1 enea il suo luogo. Un de’ più (ieri in arme,
ISiso d il iaco il lìglio, ad una porla
[458-17GJ
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423
[259-282] unno ix.
Era proposto. Da le cacce il’ Ida
Venne costui mandato al Irokm duce,
Gran feritor di dardo e di saette.
Eurìalo era seco, un giovinetto
e
Il più bello, il più gaio e’I più leggiadro,
Che nel campo troiano arme vestisse ;
Cb’a pena avea la rugiadosa guancia
Del primo bordi gioventute aspersa.
Era tra questi due solo un amore
Ed un volere; e nel meslrcr de Tarmi
L’un sempre eracon Ualtro ed ambi insieme
Stavano ullor vegghiando a la difesa
Di quella porta. Disse Niso in prima :
Em ialo, io non so se Dìo mi sforza
A seguir quel eli’ io penso-, o se’l .pensiero
Stesso di noi fossi a noi forza e dio.
Un desiderio ardente il cor m’ invoglia
D’ uscire a campo, e far conlr” a’ nemici
Un qualche degno e memorabil fatto:
Sì di star pigro e neghittoso aborro.
Tu vedi là come securi od ebri ;
E sonnacchiosi i Rutuli si stanno
Con rari fochi e gran silenzio inlorqo.
1/ occasione è bella, ed io son fermo
Di porla in uso: or in qual modo ascolto.
Ascanio, i consiglieri e’I popol tutto,
Per richiamare linea, per avvisarlo,
E per avvisi riportar ila lui,
Ccrcan messaggi, lo, quando a te promesso
Premio ne sia (eli’ a me la fama sola
Pasta del fatto) di poter m* affido
Lungo a quel colle investigar sentiero,
Onde a Pollatilo a ritrovarlo io vada
Securuinente. Eurìalo a tal dire
Stupissi in prima; indi d’amore acceso
Di tanta. lode, al suo diletto amico
Così rispose : Adunque ne l' imprese
Di momento e d’onore io «la te, Niso,
Son co.<i rifiutato? E te posso io
Lassar sì solo a sì gran rischio andare 3-
A me non diè questa creanza Ofelte
.Mio genitore, il cui valor mostrossi
Negli affanni di Troia, e nel terrore
De 1’ argoliea guerra. E«l io tal saggio
Non t’ Ito dato di me, teco seguendo
Il duro fato e la fortuna avversa
Del magnanimo Enea Questo mio core
È spregiatore, è spregiatore anch’egli
[15)1-200]
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[307-330] libro rx. 42
Di questa vita, e degnamente spesa
La tiene allor che gloria se ne merchi
E quel ehe cerchi, ed n me nieglii, onore.
Soggiunse NisoT: Altro di te concetto
Non ebbi io mai, nè tal sei tu eh' io deggia
%
Averlo in altra guisa. Cosi Giove
Vittorioso mi ti renda e lieto
Da questa impresa, o qual altro sia nume
Che propizio e benigno ne si mostri.
Ma se per caso o per destino avverso
«
(Coinè sovente in questi rischi avvène)
Io vi perissi, il mio contento in questo
È che tu viva, sì- perchè di vita
Son più degni i tuoi giorni, e si perdi’ io
Aggio chi dopo me, se non con l’ arme,
Alinen con- l’oro il mio corpo ricovre,
E lo ricuopra. E s* ancor ciò m’è tolto,
Allin sia chi d'essequie è di sepolcro
Lóntan m’ onori. Oltre di ciò cagione
j ""
Esser nondeggio a tua madre infelice
D' un dolor tanto : a tua madre che sola
Di tante donne ha di seguirti osato,
I commodi spregiando e la quiete
De la città d’Aeestc. A ciò di nuovo
[206-219]
426
t’ ENEIDE.
[331 -35 i)
Eurìulo rispose: Indarno adduci
Sì vane scuse; ed io già fermo e saldo
Nel proposito mio pensici* non muto.
AflYcltianci a P impresa. E, cosi dello,
Desiò le sentinelle, e le ripose
In vece loro ; e P uno e P altro insieme
Se ne partirò, e ne la reggia andaro.
Tulli gli altri animali aventi, dormendo,
Sovra la terra oblio, tregua e riposo
Da le fatiche e dagli alTanni loro.
I teucri condottieri c gli altri eletti,
Clic de la guerra avean P imperio e’I carco,
S’ erano e de la guerra e de la somma
Di tutto ’l regno a consigfiar ristretti:
E nel mezzo del campo altri agli scudi,
Altri a P aste appoggiali, avean consulta
Di che far si dovesse, e chi per messo
Ad Enea si mandasse. I due compagni
D’essere ammessi e ’ncontinenle uditi
Kccer gran ressa e di portar sembiante
Cosa di gran momento, e di gran danno
Se s’indugiasse. A questa fretta, il primo
Si fece Ascanio avanti; e vólto a Niso
Comandò die dicesse. Egli altamente
[219-234]
427
[355-378] ueno ix.
Parlando incominciò : Troiani, udite
Discretamente ,* e quel che si propone
E si dice da noi, non misurate
Dagli anni nostri. I Kutuli sepolti
Se nestan da la crapula e dal sonno;
E noi stessi appostato avemo un loco
Da quella porta che riguarda al mare,
Atto a le nostre insidie, ove la strada
Più larga in due si parte. Intorno al campo
Sono i fochi interrotti : il fumo oscuro
Sorge a le stelle. Se da yoi n’ è dato
D’usar questa fortuna, e quest’ Onore
Ne si fa di mandarne al nòstro duce,
Al Pallantèo n’andremo, e ne vedrete
Assai tosto tornar carchi di spoglie
Degli avversari nostri, e tutti -aspersi
Del sangue loro. E non Ha che la strada
Ne gabbi: chè più volte qui d’intorno
Cacciando, avemo e tutta questa valle
E tutto il fiume attraversato e scorso.
Qui d’ anni grave e di pensici’ maturo
Alète al cicl rivolto, 0 putrii Dii,
Disse esclamando, il cui nume fu sempre
Propizio a Troia, pur del tutto spenta
[234-248]
428
[379-402]
L’ ENEIDE.
Non volele clic $ia mercè di voi,
Poscia che questo ardire e questi cori
Ne’ petti a’ nostri giovini pouete..-
E stringendo le man, gli omeri e ’l collo
Or de Pana or dell’altro, ambi onorava.
Di dolcezza piangendo. E qual, dicea,
Qual, generosi figli» a voi durassi
Di voi degna mercede? Iddio, eli’ è primo
Degli uomini e supremo guiderdone,
E la vostra virtù premio a sò stessa
Sia primamente. E neh poscia useravvi
Sua largitale, c questo giovinetto
Clic d’ un tal vostro mcrtoavrà mai sempre
Dolce ricordo. Anzi io, soggiunse lulo,
Clic senza il padre mio la mia saltile
Veggio in periglio, per gli dei Penati,
Per la casa d’ Assórueo, per quanto
Dovete al sacro e vcnerabil nume
De la gran Vesta, ogni fortuna mia
Ponendo, ogni mio aliare, in grembo a voi,
Vi prego a rivocare il padre mio.
Fate eli’ io lo riveggia;c nulla pòi
Sarà di eli’ io più tema. E già vi dono
Due gran vosi d’argento, clic scolpiti
[24S-2Ù4]
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1
■ Xmì*
. [403-^ÌCJ LIBRO IX. J&Q
Sono a ((gucfjjjn dot più ricchi arnesi
Cbe del sacco tP Arlsba in. preda avesse
Il putire mio; due Wrpodij’ dtìe'lT OJMI
Maggior talenta ed uiLtazzone antico - .
DtHar siiteli iù Ilidor P^se n’è dato'* /
TQner <l’ Italia il desialo regno., ’
E che preda .iteritene uuqaa mi tocchi, .
Qtiellò stésso, destr ter, quello stc^c armi. *
Guarnite d. oro, onjJe vu Turim altero, *
P quel suo scudo, e . quel cinMer.sanguig.no • »
Sotjrarr.ò d& la-sorte; e. di già,’-!Siso*
Gli ti consegno; ; c-ti -prometto in nome * .
•Dgl pjOTre. mio, .clic lairgiralli ancora *
Dodici tra rolli’ altri eletti. corpi
Di bdÌis?im£-donue, e dodici altri’.
DI gioyiiii. prigio'nij e P armi' lofo>ft-
Con essi inaiein.e, e di Latino stesso
La regia villa. Or te, .mio -venerando
Fanciullo, abbracciò, aglixmi gi'ot*ufl i»T?i
Vajl piò vicini, lo te cuti tutte il core .
Accetto -pct compagno e per fratello
In ogui'CTisoj e nqlla o gloria o gipia
Procurx'rornmi in paCQinnqna od inguciya.
Che non sii meco d’ ogni mio pensiero *
Caro. 28. [264-27n].
(
v
l
1 V
i.
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,* I
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131) . l’ FtfninÉ. [Ì27-450]
• •* .
K d’ogni ben partecipi? e consorte}1
E iie le tue parole e ne* tuoi fatti v *
Sonuna speme avrò sempre c Somàlia fede.
• * .r** $ *
Minialo rispose: 0 fera 0 mite
Clic fortuna mi sia, non sarà filai
1 . v.* , »
Gli’ io discordi da me : mai non uguale
Lo mio cor non ved cassi à questa imprèsa :
àia sopra a’gli altri tuoi promessi doni
Onesto solo brani’ io. La riunire mia:
# 7 *
Che dal ceppo di Priamo è discesa,
E clic per me seguire ha la meschina ' '
Non pur di -Troia abbandonato il uido^
^ ^ i s • / ^
àia ’l ricovro d’Aceste, e la sua vita
Stessa- (a tanti per me i’ ha fischi esposta),
Di questo mip periglio/ qunl che e’ Sia;
Nulla ha notizia; ed io da lei- mi partor
Senza che la saluti, c che 1o;veggia.
Per questa man, per questa' notte io giuro,
Signor, clic nò Vederla, nò la pietà
Soffrir de le sùé lagrime non posso.
I u questa derelitta povèròlla
Consola, te nò priego, c là sovvipni
in vece mia. Se tu di ciò ta’ùffidf, * ■!
Andrò, con questa speme, ad ogni rischio
[279-292}
*
> m
[-tó 1-474] libro' tx. .431
Con pili- baldanza. Si coinmosseMntii
A fai paròle, c higjuinàro i'Teutfri.}
l’i pio di lutti Asconio,^ cui-soyveiinc
De la pitti-cli’ ebbe $ùo padre al padre;
K disse al giovinetto: lo mi ir' lego
Per fede^ tutto ciò 'clic fa grandezza •*
Di questa impresi» e ’l tuo valor richiède.
E perchè mia sia Ha’ tua madre, il nomp
Sol di Crcusa, è uiHI’ altro le manca.*
Nè di- picciolo mMo è'cli’lfn tal figlio
N uggia prodotto, segua elio clic "sia
•Di questo fatto. Ed io per lo-ìnio^òpo
Ti giuro, per lo qual solca pur dianzi
Giurai* iniò padre, cltfà la madre tua,
A tutta la lira stirpe si daranno
I doni stessi clic $crbar mi' giova
Pur a te nel felice tuo ritorno.
Così disse piangendo; e la stia spada,
Clic di man di J.icàone gtiaimito
Avrà (l’avorio il fodro, q Polso d’oro,
Distaccossi dal funicolo lui nc cinse,
iltemmo al tergo di Niso un tergo impose
Di vi.Hòso Icorte'; e-M fide Alcte
(ili scambiò I’ dm'o. Cosi tosto armali .
L’^ENctop. [47^5.»4?98] .
Se rì’ uscjr <b» li» reggia; 'e i primi- lutti
(liovini c veeclii il» veCe d’onoranza
• •
.rino a la. pol la con.prcconii -e voti * - -
(Ili accampa girò ro. Il giovinetto l.uio-
t - • f v • *
Con v i rii cura e.jion pensier fn;i
Innanzi ^ìgl i anni, ragionando innjezzo
Diva al’ entrambi : c<l or H uno ed or Tallio
% . * " . » «
Mollo avvertendo, motte cose a dire- . , a
Mandala al padre.; le qtiaf tratte a-Pvento. ,
Fnrgn..coinniesse,-e.dissipate a J’ apra.
Escono alfine. E già, varcalo LI fosso, ^
Da le uóttnrnè tenebre cqverli
Si metipn per la via clic gli conduce
Al campo de* nemici, apii ada morte. . . •
Ma non ittorjrpnnp, che macello eslrage •
Farao di molti in .prima. O.vunqu'e vanno
Veggion corpi ili genti, clic sepolti,
Son dai sonno- e dal vino. I can i vóli
Con ruote e lu iglic intorno. uomiili cd otri .
E lazze c scudi in un miscuglio avvolti.
Disse d’ irla co il figlio; 6r qui bisogna,'.
KiUjalu, aver *ore, oprarle mani,
E conoscere il tempo. Il camini» nostro .
È per di -qua. Tq.qui li ferma, c V occhio
v< W [308-321]*--' *
[199*522] libro ix. 433
Gira .per lutto? die non sia da tergo *
Chi n’ impedisca ; ed io Unito col fgrro-
•. é
Sgombrerò M passone l aprirò 1 sentiero.
Ciò eliclo disso. lùdi Ilunnèle assale,
Il superbo Rannète, che per sorte
Entro una- sua trabacca aVaiiti a lui
In sii tappeti a grand* agio doniija,' '
E russava altamente. Erbosi ili
* • . \
A re Turno gratissimo, ed anch’egli'
Regc c ’ndovino^ ma noti Seppe il folle
• • •
Indovinar ijuel di’ a- lui stesso pyveniie. » '
Tre suoi famìgli, Clic dormeìplo appresso
Ciiacean fra l’ Ùrmi rovesciati a caso,
^ « 0 _ • *
Tutti in un mucchio uccise, ed un valletto.
Ch’era di Uomo, c sotto i suoi cavalli
Lo stesso a'urigu. A costui trasse un col|n>
Che gli oìuiidò giù ciondoloni il collo:
Indi al padron di netto lo recise
Si, clie’1 sangue spi eoi andò d’ogni vena,
La terrario stramazzo e ’l. desco 'intrise.'
Tamiro estinse dopo questi C Lamo,*-
EM giovine Sacrano. Un bel garzone
Era costui gran' giocatore, e ’n gioco*
Insino allora avoa sempre -vegliato.
[322-3-S7]
•!
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431 l’kkeide.. [523-.V4G]
Felice lui per lo suo vizio slesso *
Se giocato e perduto ancora avesse-
Tutta. la noltej Era a veder ,tiva loro -
Il lìero Niso', qual «la faine spinto
Non pasciuto Icone, un pieuo ovile
Imbelle e per timor già mulo «fssaglU*,
Clic d’unghie armato, e sanguinoso il dente
Trnendó c divorando ancide 6-rugge.
Nò Te- strage minor da l'altro canto'
Furialo, eli’ acceso c furioso
Tra molta plebe molti senza nome '
E quasi senza vita a morte trasse;
Sì dal sonno eran vinti ;-e de’ nomati
Oceise-Ebèsq, Fado, Àlrari e Roto.
Qoesto Reto era desto: onde reggendo
Coti la morte degli alilo il suo periglio,
Per la paura appo d’ un1 urna ascoso •
Quatto e queto si stava. Indi sorgendo
fili fu ’I giovine sopra, c’1 ferro-tutto
Entro al petto gl’ immerse, e con gran, puete
De la sua vita indietro lo ritrasse;
Si che tra’l vino e ’l sangue ond’ era involta,
(di usci l’alma di purpura vestita. -
Con questa occision di buia notte
[337- 350.)
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4|
[5 47-570] j.iBno ix.
E ai furtivo agguato, il.buoix gavone
Fervidamente instava. E già rivolto
S’ era contro a la schiera di Mcssàpo - .
’ve’l foco vei^ea «rei totto-cstii)to,
E là ’ve i suoi cavalli a la^cnmpagna
Pasccan legati ; all'or clic Niso il vide ; ,
Elie da l’occislone c da l’ardore
Trasportar si lasciava. E brevemente : ^ • .
Non più, gli disse, che ’l nimico, sole
Ne sorge incentra. Assai di sangue astile,
Fin qui s’ è sparso;, assai di largo aveiuo.
Moli’ armi, inolt’ argenti’ e inoli’ arnesi
Lasciarò indietro. I guarnimcnti soH
Del cavai di Ranuòlc e le sue borchie
Furialo si, prese con un cinto 1 /
Bollato d’oro, un pre/.joso dona . :
Che Cèltico, un ricchissimo tiranno,
A Remolo tiburte òspitivassente . -
Fece in quel tempo. Remolo al iti poto
Lo lasciò per retaggio e quest] in guerra
Ne fu poscia da’Rutuli spogliato:.
Quinci gli ebbe Ranuètg, e quinci preda
Fur d’ Euri alo al fine.' Egli graVoune
1 forti omeri indarno. Appresso in capo
[350-365]
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>*-
“t- Ja
4^0 1/ EÌlElDF.. [o7-t-M£t]
• N •
S’adattò di Messàpct un lucid’ elinrt "•
I)’ alto cimiero adorno ;Vn questa gq-isa.' .
Se né pài*tia il ,V ilio r't os iV-safi v i . ■» ‘ , r...
iti la n Co di* Laureato eraìi Jescliiere
Uscite a campo, c i lor camalli avanti
Precorrenti Uui-dinanza; -ed a re Turno
Ne portavano avviso. EràiPtT’écétflo.v. .
Tutti di 6cudi.*arroalf; e capone gurcTit :‘.‘
N’era Volscente.jGià vicini al campo . -
Scorgdàn le mura ; quando fuor di stintela
Videro da man munteti i due compagni ; ■'
Tener sentieri obliquo. Era un barlume * •
Là ’v*erà 1’ ombVà, e làVeraJa luna,*. ‘
». • , .••••*’ •
• Agli avversi suoi- raggi la celata
Del malo accorto Éorlalo rifulse:^
Di cotal vista InsósjleHi Vo^centc,.
E gridò dà la sq.uàdrà ; 0 là, fermate. ,
Chi. viva? A eh e vcpitc?-6ve n’andate? -
Clù siete voi? La lor risposta incontlpo .
Fu sol di porsi in fuga.e prevalcrsi
De la selva c flel buio. I cavalieri' • v.y; -
i # r » 0 ^ % ■ • * ^
Ratto dìi quadri là corsero a’ passim >;vr
Circondarono 11 bosco ; ad ogni uscita
Poserà assedio. Ertila selva un’ arti pia
[365-
•«
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[-5-95-61-8] * libro ix.
« • ' * ^ ^ .
Macchi;} d’alci e di pruni prrida e Taira,
Gli’ uvea tari i sentièri, occulti c stretti.
E JiFAutriclii de- rami e de- la preda
Eli’ era pur grave, cTdùbtiio «l«f- la strad
Teneau sovente Eurralo impellilo.
ISiso xKscioliò e' IicVe, enlel compagno
Non s'accorgendo di’ era indietro assai,
Oltre si spinse. E già fuor de’ nemici
Era ne’ campi che dal nome d'Àlba
Si spu poi delU albani. Allor le tazze*
, k | *• • »
E le Stalle V avea de* suoi cavalli s
% , * * ( ■ •
Il re Latino. E qui ’posCìif’cli' un’noco
• • • •* -
Kbbcjl suo caro amico indurila atteso,
(Iridando, ph disse, E, ni lalo infelice, *
U’sei riinaso? U’ più (lasso) ti trovo
Per questo labirinto ? E tosto indietro*
I e
Rivolto, per le vie, J^r l’ orme stesse-
hi tornar ricercando, si rimboséa.^
Erra pria lungamente, e nulla sentii: .*
Posffia senta di trombe e di cavalli
E di voci, un tumulto: ovede appresso
Eurlalo fra mezzo a quelle genti, .
Qual cacciato icone. E già daHocó.
E,da la notte oppresso si travaglia,
[381-39S]
^ I
438 i.* Eterne. • [619.642]
E si difende il payqrfllo invano. . *
Che farà? Con clic forze, c con qual* armi . '
Eia che'lo scampi ? Avventerassi in mezzo
De’ minici a- morir morte onorata?
Così risolve, e prestamente uq dardo
S’ adulta in mano; è. vólto io vèr la Lupa, *'
Cli’ allora alto splendca, cosi la prega :
Tu, Dea, tu de Ja notte eternò lume,
Tu regina de* Loschi, in tanto rischio
* • * ' • \
Ne porgi aita. E s’trlaco mio padre
Per irte de le sue cacce, io de le mie
Il dritto iniqua t’ offrimmo ‘t e se t’ appesi, •
E se t'affissi mai teschio* nè spoglia
Di fera belva, or mi eonccdi ch’io
0 “ #
Questa gente scompigli* e la m hi mano
Reggi, e i mici colpi. E piò dicendo, il dardo
Vibrò di tutta forza. Egli volando
Fendè la notte e giunse ove a rincontro
Ero Salutone, e T investi nel tergo
Là ’vc pentirà lo targa ; e T ferro c l’asta
Passagli al. petto, e gli trafisse il core.
Cadile freddo il meschino: e con un caldo
" • t %
Fiume di sangue, clic gli uscio davanti,
l ini la vita c col singozzo il'fiuto.
[398-415]
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UDRÒ IX.
[ti Ì3-666]
433
Guarda ii si l’uno a l’ altro; c tutti, insieme
Miràn d’ intorno ^li.stupor .confusi. •
E di timor d’ insidie. E.Niso inlauto » . ,
^ ia più si sludia ; ed' ecco un altro fiero
Colpo, eli’ anca *li giù librato, e dritto . .
Di sopra gli si spierà da l’ Orecchio,
E per l’aura ronzando in una teiqpia
Si conficca dbTag'o, c passa a l’altra. ~. •
N discente acceso d’ira, non veggcndo
Con chi sfogarla, al giovine rivolto,
1 u me ne- pagherai per ambe il fio,
Disse, e strinse la spada, e vèr lui sorse.
Niso a tal vista spaventato, c fuori
Uscito de l’Ttggualo c di sé stesso
(Chi soffrii; poi! poteo tanto dolore)
Me, me., gridò, me, Rullili, uccidete,
lo son che ’l, feci; io son che questa frothi
Ho prima ordito. In me l’armi volgete;
Che nulla hu contea a voi questo meschino
Osalo,. n£ potuto. Io lo vi giuro
l'er lo ciel che n’è conscio c per le stelle, /
. Questo tanto ili mal solo ha. commesso,
Che troppo amalo ha .1’, infelice amico.
Mentre cosi dicea, Volscentc il colpo
[4Ì0-43ÌJ •
. i
440' l’ ENEIDE; [GG7r600]
' w. . . :
C.ià con "ran forza spinto, il bianco petto
Del giovine, trafisse*. E già morendo". *
Eurìalò-cadea, di sangue asperso
belle-membra, erovesefutó il eòlia'
Qual reciso dal Voniéro languisco
Purpurea fiore1, o di rugiada pregno ’ '
Papavero ch’a terrari capò inchina.
^ i* \ * • •
In meno de lo sluul Niso si scoglia
Solo a Volsòeutc, solo contea Uri
Poti la sua mira. I cavali ér che intorno '
Stavano a sua difesa, or quinci or quindi
l.o tenevano a didtro. Ed-erpur sempre
‘Addosso a lui la sua 'fulminea spada
Potava a ccrccù E si ie largo intanto *
Ch’ai fih fo giùnse ; e mentre- cho^gridava,
Cacciagli il ferro ne la Strozza, c spinse.
vCosl non inorsè, clic. si vide avanti
« *
.Morto il nemico. Indi da ccifto lance ,
• , • * •
Trafitto addosso q lui, per eoi moriva.
C.it tossi: e sopra lui contento giacque.
Fortunali amhrdue! Se i versi mici
lauto ha» di forza, nò pei* morte ifitii
Nò per teinpo sarà (dte.’l valor ‘vostro
Glorioso non sia, 'finché la stirpe . .
[691-714] libro ix. . 441
I)’ Etnra possederà del Campidoglio
L’ immobil sasso, line he- imperai lingua
Avrà l’jnvitta c fortunata Roma.. '•
1 Rutuli con T armi e con le spoglie
Dei due compagni uccisi il modo còrpo .
Al campo ne porTAr del duce loro :••••.
Lacrimosa littoria !.E non meno anco
Fu nel campo uf lagrime e di lutto,
_ _ • • ^
Allorché di Rannète e'di Surrano \
E di Nuora Ju. Strage si geoverse. . -
E di lani’ altri efi’cran morti in prima.
Corse ognuno veder j-chè parìe spenti/
Parte ermi -mozzi vivi; e calilo c pieno
E spumante di sauguo era anco iPsuolo
Ove giàcean quegl-’ iu felici estinti;
Riconobbcr trajor le spòglie e I’ elmo
EM cwnior di.jllessnpo, c i gnqtnimenti
-Che con tento' suilon ricoverati • .
. » ■ j * . • .•
S’ erano a pena. Era vermiglio c rancio **
l'atto già de. la notte it nero ammanto,
/ • /
Lasciando di Titoli f’Aurura. il letto ;
. . • • *
E comparso era il spie, e drsètJvCvk» ,
Già ’l moHifo .Curio, allor obe Turno armato-
•’ . y - • * ■ *
A’ l’arme, a. l’ ordinanza, a la battaglia . .
[4^-46^ • . • *
*
«
I
V
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4
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l’ ENEIDE.
442 l’e*eide. [715-738]
Concitò M campo ; e diede ordinò e loco
Ciascun a1 suol. Vendetta, ira e disio
D’assalir, di combatter, di far sangue
Vfcdeansi in tutti*.* A «lue grandmaste’ in cima
• l • • . »
Conllccarondc teste (orribil mostra T)
* ^ • ‘ v * m
D’ Enfialo e di Nrso, c'pon le grida
Nc fòro onta c spettacolo a’ juùniei.-
I Teucri arditamente' in su.le mura:
Da la sinistra incontra si mostralo;
Clic la destra dal fi il me era difesa.
E cld’dà le trincee, -chi da le torri
Sla'van dòlenti rimirando i teschi
>e P aste affìssi polverosi e lórdi, "
CIP ancor sangue gocciando eran pur troppo
Cosi Inngc -da’ miseri compagni
* t * m * r
Raffigurati ji le fattezze conte.
Spiegò la Tiima le* sue perniò intanto, .
E la trista novella in ogni parto
Sparse 'per la- città, si di’ agli oreccjii
De la Vnatfrè «P ÉuriaTo pervertine.
Corse subita mente' ri n giel per l*ossa
A. la meschina'; c db fé man le uscirò’
i.c sue tele e i suoi fili. Indi; rapita' ' *
Dal duolo e da la furia, forsennhta
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LIBfiO IX.
[7391762] ,
413
E scapigliata*- ne là si rada uscio >
E per meszorde l’armi c de le genti
Correndo-, e' mugolando, senza téma
Di periglio « di hiasrno, {iridò gridando/
E di questi dementi il cielo empiendo,: *'
Ahi così cencio, Eurialo* dil tomi ? - •
Euiialo sei*tu*? Tu sei ’! mio figlio,
Ch’eri la mia speranza e’I mio riposo •
Ne l’ est retile gToTHa tè di mia vita ?
Ahi come così sola mi lasciasti,
• * » a V • 1
Crudele? E come a -così gran periglio
N’andasti, nirzt a la morté, -che .tua madre
Non ti parlasse ohimè!'*!* ultima Volta,
Nè che pur ti vertesse ?* Ahì-clf or Ir veggio
In peregrina tèrra esco di catti,'
D' avolKii e di còrvi. Ed io tua madre, t. *
lo cui l’esseqhìe ermi dovute e’Muolo
» * • *'*•*'
IV un oolal figlio, notvt’ bo chkistvgli occhi.
Nè lavate vle-piaglie;' nè coperte -
Con quella* veste elle con tanto. studio
T’ ì>o per trastullo de la mia Vecchiezza *
Tessuta io smessa e ricamata invano. * *
i
Figlio/dove ti cerco.? ove ti trovo
Sì diviso da te ? come rqccòzzo -* »•;
454 kV&eijiE. ,£743-3
Le Iqe così sbranate e scarse membra*?
Sòl questa parte del-luo corpo -rendi
A la tua madre, cbe pcr-esser- teeu
i • *• '» * •- # .
-T’ ha per terra e .perniai’ tanto seguito,
K sTguì ratti dopo morte'ancora^
In me, Rutuli, in me lutti volgete
r vostri' ferrile pur regna in voi
Melòde alcuna» A «ne la morte» date . *
Pria, ni li’ a dui l’ altra. $ tu, padre celeste-
Miserare di noe. Tu col tuo t.èlo
a I * * • ' fc •
Mi trabocca «rei tartara e nr’-apculi. ;*
• • . ■ . . • »
PQicbè- 1*001 per norr posso in altra guisa
Questa crudele* e. dispera la vita.
Da questo putrito una mestizia, un du
Nacque. ne’ Teucra e tale anco ne l’armi
Un languore, un timore, una desidia,
Cbe.gramt^addoloraij-e di già vinti *
Sèm’brtfva^ tutti. Onde Attore ed Idèo,
• „■ . ' >
Con qugl’di lèi log lièti do 11 piatilo ^altrui
Per consiglio del. saggio JliOnèo, »
L per compassiop deùb'uoqo dòlo
Cbe «hollo^amuramento-ne piangea.
Tosto a bracai e prendendola, ambedue
J.a poi-laro a f albergo. .Ed ceco inljulo'
' fiài^os] .
[787-810] unno ix. 445
Squillar s’ode da lunge un suon di trombe.
Un dare a l’arme ed un gridar di genti
Tal, che ne tuona e nc ritnugghia il cielo.
E veggonsì in un tempo i Volsci tutti,
Sotto pavesi consertati e stretti
In guisa di testuggine, appressarsi, . .
Empier le fosse, dirupare il vallo,
E tentar la salita, e por le scale
Là dove la muraglia era di sopra
Con minor guardia, e là ’vc raro il cerchio
Tralucea de la gente. Incontro a loro
I Teucri i sassi, i travi ed ogni télo
Miventaron dal muro; e con le picche
Risospingendo, come il lungo assedio
Insegnò lor'di Troia, a la difesa
Si fermàr de’ ripari; e le pareti
E i pilastri e le torri addosso a loro
E sopra a la testuggine gittando,
(ìli scudi dissiparono e le genti, "
Si che più di combattere al coverto
Non si curaro. Ma d’ ogni arme un nembo
Lanciando a la scoperta, i bastioni
Offendean de’ Troiani. E d’ una parte
Mezenzio, formidabile a vedere,
Caiio. — 29. [503*521]
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44G
L’ ENEIDE.
1811-834]
Sen già con un gran pina acceso in inano
Lo steccato infocando. Iva da l’altro
Il Pier Messàpo di Nettuno il figlio,
Domator de* corsieri ; e scisso il vallo,
Scale, scale, gridava, c per lo muro
Rampicando saliva/ Or qui m’è d’ uopo,
Calliope, il tuo canto a dir le pruove,
A dir l’occisìon che di sua mano
Fece Turno in quel dì ; chi, quali e quanti
A l’Orco ne mandasse. Ogni successo
Spiega di questa guerra in queste carte.
Tutto a voi, Muse, è conto; e voi la possa
E 1’ arte avete di contarlo altrui.
Era una torco di sublime altezza
Con bertesche e.eon ponti un sopra l’altro,
Loco opportuno. A questa eran d’ intorno
Di fuor gl’italiani, e dentro i Teucri ;
E quei facenti per espugnarla- ogni opra,
E questi per tenerla. Avanti a tutti
Si spinse Turno; ed una face ardente
Lanciovvi da 1’ un fianco, ove s’ apprese
Con molta fiamma ; così fiero il vento,
Cosi secchi e disposti erano i legni.
Ardca la torre da quel canto, c dentro
f 522-f 3S]
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I
[835-858] libro ix. . 447
Là gente per timor cercava indarno
Di ritrarsi dal foco : onde a la parte
Da I* incendio remota in un sol mucchio
Si ristrinsero insieme; e da quel peso
Da quel lato in un subito la torre . *
Quasi spinta inchinossi, aprissi c cadde.
' Il eie! ne rintonò ; la gente infranta,
Storpiata, sfracellata, infra i suoi legni
Da Tarmi proprie infissa, e fin ne l’aura
Morta e sepolta a terra se ne venne.
Soli due vivi e per ventura .intatti
Dal nembo de la polvere, e dal fumo
. Uscir nel campo: Elenorb fu l’uno,
Lieo fu l’altro. Elenorc, un garzone
Di prima barba, di Licinia serva
E.di Meonio re nato di furto, . •
E sotto Troia a militar mandato
Furtivamente. E’ si trovò com’era
Pria ne la terra lievemente armato
Col brando ignudo e con la targa al collo
Bianca del tutto, come non dipinta
D’ alcun suo fatto glorioso ancora.
Questi, vistosi in mezzo a tante genti
Di Turno e de’ Latini, come fera
[538-551]
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448
I.’ LIVE! DE.
[859-8S2]
Ch’aggio di cacciatori un cerchio intorno,
.Muove conira agli spiedi, inconlr’a T armi;
Mosse là’vc più folle cran le schiere,
E certo di morire a morte corse.
Ma Lieo in su le gambe assai più destro
Infra Tarmi c i nemici a fuggir vólto,
Giunse a le mura ed aggrappossi in guisa
Clic stendea già le mani a’ suoi compagni.
Quando Turno c co’ piedi e con la spada
Lo sopraggiunse, e come vincitore
Hampognando gli disse: bche? pensasti,
Folle, uscirmi di mano? E le man tosto
0
Gli pose addosso, e si come dal muro
Pendca, col muro insieme a len a il trasse.
In quella guisa che gli adunchi ugnoni
Contra una lepre, o contro un bianco cigno
Stende Taugel di Giove, o’I marzio lupo
Da le reti rapisce un agnelletto,
Clic da la madre sia belato invano.
Si rinovàr le grida, e tutti insieme
0 le faci avventando, o ’1 fosso empiendo,
Hinforzavan T assalto. Illonòo
Con un pezzo di monte, a cui la pinta
Diè giù da' merli sopra al ponte infranse
[551-569]
I
[883-906] libro ix. 449
Lutezio eli/ a la porta era co! foco.
Ligero occisc Emozione; Asila
Uccise Coriuèo, buon feritori
L’uno di dardo e l’altro di saette.
Ortigio da Cenèo trafitto giacque;
Cenèo da Turno : ammazzò Turno ancora
Iti e Prèmuto e Ctònio e Diosippo,
E Sògari con Ida: Ida che in alto
Stava d’un torrione a la difesa.
Capi ancise Priverno. Avca costui
Pria nel fianco una picciola ferita^
Anzi una graffiatura, die passando
Pe l’asta di Temitia: e’1 male accorto,
Per su porvi la mano, abbandonalo
Avea lo scudo; quando ecco volando
Venne una freccia clic la mano e’1 fianco
Insieme gli confisse; e via passando
Penetrògli al polmone. Il mortai colpo
Si lo spirar de l’anima gli tolse,
Che non mai più spirò. Starasi Arcente,
D’Arcentc il figlio, in su’ ripari ardito
Egregiamente armato, e sopra I’ arme
D’una purpurea cotta era adobbato
Di ferrigno color, di drappo ibero ;
[070-582]
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450 l’ eneide. [907-93
Un giovine leggiadro, che dal padre
Fu nel bosco di Marie a Farmi avvezzo
Lungo al Simòto, u’ Fara di Palico
Tinta non come pria di sangue umano,
Più pingue e più placabile si mostra.
Mezenzio il vide; e F altre armi deposte,
Prese la fromba, e con tre giri intorno
Se l’avvolse a la testa. Indi scoppiando
Allentò ’l piombo, che dal moto acceso
Squagliossi, e con grafi rombo in una tempi
Il garzon percotcudo, ne l’arena
Morto quanto era lungo lo distese.
Ascanio che (in qui solo a la caccia
Avea F arco adoprato, or primamente
Opinilo in guerra, e col primiero colpo
Il feroce Numàno a terra stese.
Remolo era costui per soprannome
Chiumato; e poco avanti avea per moglie
Presa di Turno una minor sorella.
Ei di questo favor, di questo nuovo
Suo regno insuperbito, altero e gonfio
Stava ne F antiguardia, e con le grida
Si ringrandiva: e di lontano i Teucri
Schernendo in colai guisa alto dicea:
, [683-597]
[931-954] libro ìx. 45 (
Questo è I’ onor che voi*, -Frigi, vi fate
D* un altro assedio ? Un’ altra volta in gabbia.
Vi riponete? E pur còl vostro muro,
E coi vostri ripari or da la morte '
Vi riparate? -e voi, voi fate guerra
Per usurpare a noi le donne nostre?
Qual dio, qual infortunio, qual follia
V’ ha condotti in Italia? E chi pensaste
Di trovar qui ? Quei profumati Allùdi,
0 *1 ben parlante Ulisso? In una gente
Avete dato che da stirpe è dura.. ,
1 nostri Agli non son nati a pena,
Chesiiuffan ne’ fiumi. A Fonde, al gielo
Noi gl’ induriamo e gl’incallimo in prima;
Poscia per le montagne e per le selve
Fanciulli se ne van la notte e’1 giorno. -
Il lor studio è la caccia; e’I lor diletto
È’I cavalcare, e ’I trar di fromba c d’ arco,
ha gioventù ne le fatiche avvezza, •
E contenta del poco, o col bidente
Doma la terra, o con l'aratro i buoi,
0 col ferro i nemici.. Il ferro sempre
Avemo per le mani. Una sol’ asta
Ne fa picca e pungetto. A noi vecchiezza
[598-610] * ,
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fTY/
2 ' L ENEIDE. [95Ó-078]
Non toglie ardire,- e de le forze ancora
Non ci fa, come voi, debili e scemi;
Per canute cito sian le nostre teste,
Yeslon celate, e nuove prede ognora,
Quando da’ boschi c quando da’ nemici
Addur ne giova, e viver di rapina.
Voi con 1’ ostro e co’ fregi e co’ ricami,
Con le eotte a divisa e con le giubbe . .
Immanìcate e coi fiocchetti in testa,
A che valete? A gir cosi dipinti
F cosi neghittosi? A far balletti
Da donnicciuole. 0 Frigi, o Frigiesse
Più tosto! in questa guisa si guerreggia?
Via n'e’Dindimi monti, ove la piva
Vi chiama eJl tamburino e ’l zufoletto.
F con quei vostri galli, anzi galline
Di Bereeinto, ite saltando in tresca ;
E Carpii e’i ferro, che non fan per voi,
Lasciate a quei che son prodi e guerrieri.
Non potò tanto orgoglio e tanto oltraggio
Soffrir d’un folle il generoso lulo,
E teso l’ arco con la cocca al nervo,
ltimirò ’l cielo e disse: Onnipotente
Giove, tu l’ardir mio* tu la mia mano
, [610-625]
LIDRO IX.
45
[979-1002] '
Fomenta e reggi. Ed io sacri c sol emù
Ti farò doni : io coudurrotti a 1’ arar
» •
Un candido* giuvenco che la fronte '
Aggio indorata, c de la madre al pani
Erga la testa, e già scherzi e già cozzi
Con de corna, e co’ piè sparga l’arena.
Giove, mentre diceaf, tonò dal manco
Sereno luto: e col suo tuono insieme
* #
Scoccò l’arco mortifero d’ Itilo. „
Volò 1’ orribil tèlo, e per le tempie
Di Remolo passando, le trafisse.
Or va’, t’ insuperbisci ; or va’, deridi,
Scempio, V altrui virtù. Queste risposte
Mandano i Frigi che son chiusi in gabbia
Ai Rullili signor de la campagna
Questo sol disse Ascanìo; ed al suo colpo
Le grida i Teucri e gli animi in un tempo
Al cielo alzaro. Era il crinito Apollo,
Quando ciò fu, ne la celeste piaggia
Sovra una nube assiso; e d’alto il campo
Scorgendo de’ Troiani e degli Auspni,
Come vede, ogni cosa, visto il colpo
Del vincitore arciero, in vèr lui disse:
Ahi buon fanciullo, in cui virtù s’avanza!
[625-641]
454 l’ eneide. [1003-ÌCF2(
Così vassi a le stelle. Or ben tu mostri
Che dagli dii sei nato, e oh’.allri dii
Nasceranno da te. Tu sei ben degno
Ch’ogni guerra, chc’l fato ancor minacci:
A la-casa d’Assàraco, s’ acqueti
Per tua grandezza, a cui Troia 6 minore,
Sì che già non ti cape. E, cosi detto,
Si fendè l’aura avanti e vèr la terra
Calossi, tfasmùlossi, e come fusse
Il vecchio Bute al giovine accostossi.
Fu Rute in prima del dardanio Anchise
Valletto d’arnie e cameriero e paggio,
E poscia per custode e per compagno
L’ebbe Ascnnio dal padre. A questo vecchi
Mostrossi Apollo di color, di voce,
D’andar, di canutezza e d’armatura
Simile in tutto; ed a l’ardente lulo
Fatto vicino, in tal guisa gli disso:
Bastiti aver, d’Enea preclaro figlio, .
Senza alcun rischio tuo Numàno ucciso.
Di questa prima lode il grande Apollo
Ti privilegia, e non t’ invidia il colpo,
Nè 1 paraggip de l’arco. Or da la pugna
R i I nrrr» • • V? \ .1 _ » . i ì - • .
Rilraggili. E, ciò detto, da la vista
[641-G5G]
[f027-40?0] libro 1 *. 455
Da' circostanti si ritrasse anch’egli,
E sormontando dissipossi c sparve.
Rassembrarono in Bute i Teucri Apollo
E riconobbe!* la faretra e l’arco,
Che fuggendò sonar anco s’ udirò.
E fèr sì oon le preci e col precetto
D’un tanto iddio, ch’Ascanio, ancor che. vago
Fosse di pugna, se ne tolse alfine;
Ed essi apertamente a ripentaglio
Miscnj in vece sua le vite Toro.
Spargesi un grido per le mura intanto,
Per tutte le difese; e tutti agli archi,
Tutti a tirar, tutti a lanciar si diero
D’ogni sorte arme, c d’ogni parte il suolo
N’era coverto ; quando altro conflitto
Cominciossi.di scudi e di celate;
Una mischia di picche, una battaglia
«
Che creseea luttavoltn, rinforzando
Con quella furia che di pioggia un nembo
Vien da l’ occaso, allor che d’oriente
Fan sorgendo i Capretti a noi tempesta;
0 quando orrido e torbo e d’austri cinto
E’n grandine converso irato.Giove,
D’alto precipitando, si devolve
[657-674]
s
J
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•)
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45G l’ e.mude. [ 105 1-10^
Sopra la terra, e ’l ciel rompendo i nino i
Pàndaro e Bizia d'Aleanòro Ideo,
E d’ lera selvatica sua moglie
Figli, in Ida 'acquistali, e d’ Ida usciti
L’ uno a l’altro simile, ed umbidue
A ipicgli abeti cd a quei monti uguali
Ond’ eran nati, uvean dal teucro duce
Una porta in custodia. C confidati
Ne le forze e ne Farmi; a bello studio
La lasciarono aperta, cd a’ nemici
Fèr da le mura marziale invilo:
Essi armati di ferro, un da la destra,
1/ altro da la sinistra, a due pilastri
«
Sembianti, anzi a due torri clic nel mezzi
Tengali la porta, con le teste in alto
E co’ raggi degli elmi i campi intorno
Folgorando, squassavano i cimieri
Fin sovr’ a’ merli. In cotal guisa nate
Ne le ripe si veggon di Liquczio,
De l’ Adice, o del Po due querce altiere
Sorgere al cielo e sventolarsi a l’ aura.
Visto l’adito aperto, incontinente
Ni si spinsero i Unitili. E Querccnte
Eil Equicoh) i primi armati c lieri,
[671-G84]
[1075-1098] libro ìx. Abl
L’ ardilo Ornavo c ’l bellicoso Gmone
Tutti co’ lor compagni impeto févo;
E tutti o fuv da’ Teucri in fuga vólti,
0 ne T entrar di quella porta alleisi. -
Giunto agli animi infesti ii sangue sparso,
S’ accrebbe!' l’ire; e de* Troiani intanto
Tale un numero altronde vi concorse,
Che prender zuffa e tener campo osavo.
Turno sfogava ii suo furore altrove'
Conti-’ a’ nemici ; quando un messo avanti
Gli comparve dicendo, che di Troia
Erano usciti, c stavau con le porte,
Quanto eran larghe, a far strage e macello
De le sue genti. Ei tostò da quel canto
Lasciò 1’ impresa ; e contro i due fratelli
A la dardania porta irato accorse.
E primamente Antifate, che primo •'
Gli venne avanti, un gioviue bastardo
Di Sarpedonle, e di tebana madre,
Con un colpo di dardo a terra stese.
Col pillo ne lo stomaco, e passòlli
Oltre al polmone, onde di caldo sangue,
Quasi d’un antro, dilagossi un fonte.
Mèropc, Albino ed Erimanlo appresso
[òbó-702]
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458 l’ f.ineide. [1099- i 1
Uccise con la spada, un dopo l’altro
Come a caso incontragli. Atterrò Bizia
Dopo costoro, nia non gin col dardo,
li mcn col brando; ch’altro colpo er’ uof
A ti gran corpo. A costui, mentre infurii
Mentre stizza per gli occhi avventa e foc
Infocato, impiombato c grave un tèlo
Scaricò di falarica, che in guisa
Di fulmine stridendo e perèotendo,
Lo giunse sì che nè Io scudo avvolto
Di due bovine terga, nè la fida
Lorica di due squame e d’ òr contesta
Non lo Sostenne. Barcollando cadde
La smisurata mole, e tal diè crollo
Che’! terrcn se ne scosse, e’I gran suo se»
Gli tonò sopra. In tal guisa di Buia
Su l’euboica riva il grave sasso,
Ch’è sopra Tonde a fermar Topre eretti
Da l’alto ordigno ov’ era dianzi appreso
Si spicca e piomba, e fin ne T imo fondo
Ruinando si tuffa, e frange il mare,
h disperge 1’ arena: onde ne trema
Procida ed Ischia, e’I gran Tifèo se n’ar
Cui si duro covile ha Giove imposto.
[702-716]
I
[1123-11-46] libro • ix. 459
Qui Marte il suo potere e ’l suo favore
Volse verso i Latini. Animi e forze
Aggiunse loro, gl’ incitò, gli accese;
E di téma c di fuga c di scompiglio
Diè cagione a’ Troiani. E già eli’ a pugna
S’ era venuto, e de la pugna il nume
Era con loro ; accolti d’ogni parte
Si ristringono i Rullili, e fan testa.
Pandoro, poi che'l suo fratello estinto
Si vide avanti, e la fortuna avversa,
A la porta con gli omeri appuntossi:
E si com’era poderoso e grande,-
Con molta forza la rispinse e cliiusc,
Molti esclusi de’ suoi, che per la fretta
Rimascr ne le peste, e molti inclusi
Ch’eran nimici; c non s’ avvide il folle,
Che de’ nemici in quella calca, ancora
Era lo stesso re da lui raccolto
A far de’ suoi qual tra le greggi imbelli
Ircana tigre immane. Ei non più tosto
Fu dentro, che raggiò dagli occhi un lume
Spaventevole e fiero ; e 1’ armi sue
Fieramente sonaro. Il suo cimiero
Ne l’aura ondeggiò sangue, e dal suo scudo
[717-733]
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400 I.’ EJCEIDE. [1147-111
Uscir folgori c lampi. Incoili inente
La sua faccia odiala c ’l suo gran fusto
Raffigurando, i Teucri si turbaro.
Pàndaro allor de la fraterna morte
Fervidamente irato, avanti a tutti
(ìli si fe ’nconlro e disse: E’ non è, Turno
Questa la reggia clic F assegna in dote
La tua regina ; c non bui d’ A i dea intorno
Le patrie mura. Ne le forze entrato
Sei de’ nemici onde scampar non puoi.
Or via, Turno ghignando gli rispose
Placidamente, via, se tanto ardisci,
Meco ti prova; chè ben tostamente
A Priamo dirai eli’ in questa Troia,
Come ancor ne la sua, trovassi Achille.
Ciò detto, gli avventò Pàndaro un dardo
Di tutta forza nodoroso e grave,
E di ruvida ancor corteccia involto.
L’aura lo prese, e" la Saturnia (ìiuno
Deviò ’l colpo sì che da la mira
Si torse e ne la porta si coulisse.
Non sì cadrà questu mia spada in fallo
Disse allor Turno; tale è chi la vibra,
L tal fa colpo. Ed a ferire alzato
[733-749]
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[1171.1194] usao „
investì ne la fronte, e gli di,ise
■ e ‘emP“» le mascclle e 'I me„l0 ; ,
Ancor Ut barba, infi" 14 ^ s, ^8
" collo al petto. Al 6U0„ ,|e |a pcrcossa
AUracasso de l’armi, „ la rui„Pa Ma’
Che fér cadendo quelle membra immani
Tremò la terra e ne fu U’ atro sangue " *
Cerve,la osPersa. Egli morendo
nacque roveseio, e decidui la testa ■
’ 6 “ °n’e, ° « porte al manco
Al cader dt costui tal prese I Teucri '
Tema e spavento, die dispersi in fuga
Sèn giro. E s’era il vincitore accorto
;l|mr la ',or,“ e -li por dentro I suoi
Hra stato quclgio, .n0e de la guerra ’
E ^ Troiani i,„ne.Ma|a fur.eaer™
- l ardor d. combattere c |- insana
Ingordigia ,1, sangue ne'l distolse.
Onde seguendo, in Palaci cd i„ Gige
q “b',a"è l,rìma- A P uno il petto aperse •
Sgherret.6 Taltro. A quei eli crandbasfuga
Con P aste di color cip erari caduti, °
eria le terga ; e nuova uccisione
CI. ponea tuttavia n„„,-„rmi in mano, -
Caro.— 30. [750-7G4]
461
t
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402 l’ ENEIDE. [1195-12
Si come ancor Giunon nuovo ardimento
(ìli dava e nuove forze. Ali Ira questi
.Mandò per terra, c Fègea confisse
Con lo suo scudo. Qccise in su le mura,
Mentre a’ nemici eran di fuori intenti,
Alio ed Meandro e Pi llane e Nomonc.
A Linceo, eh’ osò di starli a fronte
E chiamare i compagni, con un colpo,
Clic di rovescio con gran forza diedi,
il capo, e P avventò con 1’ elmo
dal busto. Dopo questi ancisc
Amico, un cacciatoi’ eh* era in campagna
distruttor di fere, e gran maestro
’ armar di tosco le saette c’1 ferro :
E Clizio ancisc d’ Eolo il buon tiglio,
Crc.tèo de le Muse il caro amico
M diletto compagno, che di versi
E di cetre c di numeri e di corde
ra sol vago, c di cantar inai sempre
O d’armi o di cavalli o di battaglie.
I condottici* de’ Teucri udita alfine
De’ suoi la struge, insieme s’adunaro,
e Scresto. E visti i lor compagni
Dispersi, e già’l nemico in salvo addursi
[7G4-7S0]
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463
[1219-4242] libro ix.
Gridando, Oli, disse Memmo, ove fuggite ?
Ove n’ andate? e qual ridotto avete
0 di mura o di-sito altro che questo ?
• Dunque un sol uomo, e d’ ogni parte chiuso
In poler vostro, avrà, miei cittadini,
Senza alcun danno suo fatto di noi
Ne la nostra città sì gran macello ?
Tanti de’ nostri giovini sotterra
Avrà mandati.? E noi, noi non avremo
(Si codardi saremo) o de la nostra
Infortunata patria, o degli antichi
Nostri Penati, o del gran nostro Enea
Nè pietà, nè rispetto, nò vergogna-?
Da questo dire accesi e rincorali
Si ristrinsero insieme. E Turno intanto
Da la pugna allentando in vèr la parte
Che dal fiume era cinta, a poco a poco
Appressossi a la riva: onde i Troiani
' Con impeto maggior, con maggior grida
Gli furon sopra. E qual fiero leone
Che da la moltitudine e da 1’ armi
Si vede oppresso, tra fierezza e téma
Torvamente mirando, si ritira;
Chè nè ’l valor, nò l’ira gli consente
[781-791]
464 l’ enei de. [1243-126
Volgere il tergo, nè de’ cacciatori,
Nè di spiedi spuntar puotc il rincontro ;
Cosi Turno dubbioso o di ritrarsi
0 di spingersi avanti, irato e lento,
Guardingo e minaccioso se n’andava:
E due volte avventandosi nel mezzo
Si cacciò de’ nemici; ed altrettante
(ìli ruppe c salvo indietro si ritrasse.
*
Alfine in un drappello insieme accolte
Le teucre genti incontro gli si fóro,
E di Saturno non osò la figlia
Di più forza prestarli; chè dal cielo
Giove a la sua sorella avea mandato
Iri a farne richiamo, e minacciarle,
Se Turno immantinente da le mura
Non uscia de’ Troiani. Or non potendo
Più ’l giovine supplire o con la destra,
CI»’ era a ferir già stanca, o con lo scudo
Che di dardi e di frecce era coverto;
L’elmo già spennacchiato, e l’armi tutte
Smagliate e fesse, cornili nembo addosso
Di sassi per le tempie e d’ aste a’ fianchi
Già da iMemmo incalzato, alfin cedette.
E come di sudor colava, ansava,
[795-813]
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• V..
v6(i
DELL’ ENEIDE
Libro Decimo.
Aprissi la magion celeste intanto,
E del cielo il gran padre in cima ascese
Del suo cerchio stellato. Indi mirando
La terra, e de' Troiani e de’ Latini
Visto il conflitto, a sè degli altri Dei
Chiamò ’l consiglio. E com’era da l’orto
E da l’occaso la sua reggia aperta,
Hallo tutti adunati, assisi c cheti,
Disse egli in prima: Cittadini eterni,
Qual v’ ha cagione a distornar rivolti
Quel eh’ è già stabilito? A che tra voi
Con tanta iniquità tanto contrasto?
Non s’è da me già proibito e fermo
Che nondeggian gli Ausoni incontro a’Teuc
Sorgere a l’armi? Che discordia è questa
Contro al divieto mio? Qual ha timore
A la guerra incitali o questi o quelli?
tempo vi si darà ben «legno allora
[t-11]
[19-42] unno x. 467
Di guerreggiar (non T affrettate or voi)
Che la fera Cartago aprirà l’ alpi.
Grave a Roma portando essizio e strage.
Allora agli odii, al sangue, a le rapine
Larga vi si darà licenzia c campo.*
Or lietamente la tenzone e l’armi
Fermate; e sia tra voi concordia e pace.
Tal feee ragionando il gran monarca
Breve proposta. Ma non brevemente
* Venere in questa guisa gli rispose:
Padre e re de’ celesti, e de’ mortali
Eterna possa (e qual altra maggiore
S’implora altronde?), ecco tu stesso vedi
L’arroganza de’ Rutuli, e quel fasto
Con che Turno cavalca ; e vedi il vampo
E la. mina che si mena uvanli,
Da la sua tracotanza c dal successo
Di questa pugna insuperbito e gonfio.
Vedi i Teucri infelici, eli’ ancor chiusi
Non son secuin; e’nfin dentro a le porte
E ’n su’ ripari e ’n su le lor difese-
Son combattuti! e la lor propria fossa
È di lor sangue un lago. Di ciò nulla
Il mio figlio non so; tanto n’è lungo.
[H-2ÓJ
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468 L* ENEIDE. • [43-
Or non fia di’ una volta esca d’assedio
Questa misera gente? Ecco lian le mura
De l’altra Troia altri nimici a torno ;
Altro essercito in canapo; un’altra volta
D’Arpi vien Diomede a’ danni suoi.
Pesta crcd’ io eh’ un’ altra volta ancora
Io sia da lui ferita, e che di nuovo.
Sia la tua figlia a mortai ferro esposta.
Signor, se conira la tua voglia i Teucri
Son venuti in Italia, è ben ragione
Che sian puniti, e del tuo aiuto indegni:
Ma se tratti vi sono, e s’è ìor dato
Dagli oracoli tutti c de’ celesti
E degl’ inferni, qual può senno o forza
A Giove opporsi, c far nuovo destino?
Ch’io non vo’ dir de le combuste navi
Su la spiaggia Ericina, nè de’ venti
Clic’l re spinse d’ Eolia a tempestarlo,
ISc d’Iri che di qui fu già mandata
Per darle al foco. Infin da l’Acherontc
Tratte ha le furie (questa sol mancava
Parte de l’universo non tentata
A loro offesa); d’Acheronte, dico,
Ila tratto Afelio q. suscitar l’Italia
, . * [25-41]
». -
■è*
[67-90] libro x. 469
Incontr’a loro.. Or, signor mio, non curo
Piò d’ altro imperio. Io lo sperava allora
Ch’era più fortunata. Imperi e vinca
Or chi t’aggrada. E s’ anco non è loco
Nel mondo, ove à la tuo dura consorte
Piaccia che sian quesl’infelict accolti,
Per l’ incendio, signor, per la ruina,
E per la solitudine ti jirego
De la mia Troia, che ritrar mi lasci
Salvo da questa guerra Ascanio almeno.
Lasciami, padre mio, questo nipote
Mantener vivo ; e se ne vada Enea
Ramingo ovunque il mare o la fortuna
Lo si tramandi, lo lo terrò da l’armi
Remoto ne’ miei lochi o d’Amatunta
0 d’ Idàlio o di Pafo o di Citèra
A menar vita ignobile e privata,
Pur che sicura. E tu, come a le piace,
Comanda eh’ a l’Ausonia il gio^o imposto
Sin da Cartago, si che piò non l’ osti
In alcun tempo. Or che, padre, ne giova
Che da l’ Uccisioni e dagl’ incendi
De la lor patria e da tant’ altri rischi
Sian già del mare e de la terra usciti ?
[iI-56]
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470 l’ ENEIDE. [Dl-
E clic vai clic ila tc sia lor promessa,
Da lor lauto ricerca, e già trovala
Questa Troia novella, se di nuovo
Convien clic caggia ? Assai meglio sare!
Che fosscr tra le ceneri e nel guasto,
Dove fu 1’ altra. A Xanto, a Simoenta
Fa’, ti prego, signor, che si radduca
Questa gente infelice, e che ritorni
A passar d’ilio i guai. Giunone odora
Infuriata, A che, disse, mi tenti,
Perch’io rompa il silenzio, e mostri il d
C’ ho portato nel cor gran tempo osco:
Qual è mai per tua fè stalo uomo o dio
• •
di’ Enea sforzasse a cercar briga, e far
Nemico il re Latino? Oh ’l fato addotto
1/ ha ne l’Italia ! Sì, ma da le furie
C’ è spinto di Cassandra. E chi gli ha d
Consiglio? io forse, ch’abbandoni i suo
lo, che din la sua vita in preda a’ venti
lo, che la cura e’I carco de la guerra
Lasci in man d’ un fanciullo? c che soli
I popoli d’ Etruria, c I’ altre genti
(.he si stavano in pace? E quale dio,
Qual mia durezza de’ lor danni è rea ?
' [57-73]
[H5-138] libro x. 471
Qui che rileva o di Giuuo lo sdegno,
0 d’ Iri il ministero ? Indegna cosa * .
K certo che dagl’ Itali s’ infesti ,
Questa Ina nuova Troia; e degno e giusto
Sarà che Turno non si stia sicuro
Ne la sua patria terra ? uu tal nipote -
Di Pilunno eh’ è divo, un tonto figlio
Di Venilia eh’ è ninfa ? E degna cosa
Ti par che muova Enea la guerra a Lazio?
Ch’assalga, che soggioghi, che deprede
Le terre altrui ? che 1’ altrui donne usurpi ?
Cli’ in man porti la pace, e che per mare
E per terra armi? Tu potrai tuo figlio
• Scampar dò’ Greci; tu riporre in vece
Di lui la nebbia e ’l vento; tu la forma
Cangiar de le sue navi in altrettante
Ninfe di mare ; ed io cosa nefanda
Farò, se porgo a’Rutuli un aiuto,
Per minimo uhc sia? Non v’è tuo figlio
Presente; non vi sia: non sa ; non sappia.
Sei regina di Pafo, d’Amutunta,
Di Citèra é d’ Idólio: e che vai dunque
Provocando con l’ armi una contrada
Non tua, pregna di guerre? e stuzzicando
[73-87]
s.
v.
i. .
I
Ìì
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472 l’ eneide. [139-162
Si bellicosa gente? Ed io son quella,
lo, clic 1’ afllittc lor fortune agogno
Di porre al fondo? 0 perchè non più tosto
Chi de’ Greci a le man gli pose in prima?
Chi prima fu cagion eh’ a guerra addusse
L’ Europa e l’Asia? chi commise il furto
Che fu de la rottura il primo seme?
Io condussi l’adultero pastore
A l’ impresa di Sparta ? Io fui eh’ a l’ armi,
10 ch’a l’amor l’accesi? Allora il tempo
Fu d’aver téma e gelosia de’ tuoi,
Non or che le querele e le rampogne
Che ne fai, sono ingiuste c tarde c vane.
Così Giuno diccu; quando fremendo
Gli Dei tutti mostrar, che chi con questa
Consentian, chi con quella. In guisa tale
S’odono i primi venti entro una selva
Mormorar lunge, e non veduti ancora
Porgere a’ marinari indicio e téma
Di propinqua tempesta. Allor del cielo
11 sommo, eterno, onnipotente padre
Riprese a dire. Al suo parlar chetossi
ha celeste magioh; chetarsi i venti,
h l’aria e 1’ onde j e sola infino al centro
[87-103]
[163-186] libro x. 473
Tremò la terra. Ei disse: Or che gli Ausoni
Confederar co’ Teucri ne si toglie,
E voi tra voi non v’accordate, udite
Quel ch’io vi dico, e i miei detti avvertite.
Quella stessa fortuna e quella speme,
Qual eh’ ella sia, ch’i (Intuii o i Troiani
Oggi da lor faransi, io vi prometto
Aver per rata, e non punto inchinarmi
Più da quei che da questi : e sia l’ assedio
De’ Teucri o per destino, o per errore,
0 per false risposte. E ciò dico anco
De.VRutuli. Il successo e buono c rio • •
Eia d’una parte e d’altra qual ciascuna
Per sé lo s’ordirà. Giove con ambi
Si starà parimente, e’ 1 fato in mezzo.
Cosi detto, il torrente e la vorago v
E la squallida ripa e l’ atra pece .
D’Acheronte giurando, abbassò ’l ciglio,
E tremar fe eoi cenno il mondo tutto.
Finito il ragionar, suso levossi
Del seggio d’oro ; e gli fèr tutti intorno
Corona e compagnia fino a l’albergo.*
L’ ©esercito de’ Rùtuli stringendo
L* assedio intanto, fn su le porte c ’ntornu
• [103-119]
474
L ENEIDE.
[187-
Facea de la muraglia incrudii c stragi;
E i Teucri assediati, entro ai ripari
E sopra ai torrioni a la difesa
Stavan, miseri! indarno; e senza sperm
Di fuga un raro cerchio avean disteso
Su per le mura. Era de’ primi laso
I)’ Imbràsio il nglia,e’I figlio d’Icctóm
Detto Timète, e '1 buon Castore insiemi
«
Col vecchio Tebro, ed ambi dopo questi
Di Sarpedontc i frati: e Chiaro, ed Emc
Onor di Licia, e di Lirncsso Aminone.
Questi con un gran sasso era venuto
Su la muraglia, che ’l maggior catello
Era d’ un monte; ed egli era non punti
.Minor del padre Clizie e di Mcncslo
Suo famoso fratello. Altri con sassi,
Altri con dardi, echi con le saette,
E chi col foco a guardia erun del muro.
In mezzo de le schiere il vago lido,
Gran nipote di Dardano e gran cura
De la bella Ciprigna, il volto e ’l capo
Ignudo, risplendea qual chiara gemma
Che in òr legata altrui raggi dal petto
O da la fronte ; o qual da dotta mano
[Hy-435]
47
[211*234] i.tono x.
In ebano commesso, o in terebinto
Candido avorio agii occhi s’ appresenta.
Sovra al collo di latte il biondo -crine
Avea disteso, e d’ oro un lento nastro
Gli facea sotto e fregio insieme e nodo.
ìsmaro, e tu fra sì fumosa gente *
Con P arco saettar ferite e tosco
Fosti veduto, generosa pianta
Del Meonio paese, ove fecondi
Sono i campi di biade, e i (lumi d’oro.
Memmo v’era ancor egli, a cui la fuga
Dianzi di Turno avea gloria acquistata,
Ond’era fino al ciel sublime e chiaro.
Eravi Capi, onde poi Capua il nome
E P origine ha presa. Avean costoro
Tra lor diviso il carico e’1 periglio
Di si dura battaglia. E ’n questo mentre
Solcava Enea di mezza notte il mare.
Egli, poi che d’ Evandro ebbe lasciato
L’umico albergo e che nel campo giuuse
De’ Toschi, al tosco rege appresentossi.
E con lui ristringendosi, il suo nome,
11 suo legnaggio, la sua patria, in somma
Chi fosse, che chiedesse, che portasse,
[136-150]
*76 L' ENEIDE. [235-258]
Uli espose; e qual iMezen/io appoggio avesse,
E P orgoglio di Turno, e P apparecchio
E P incostanza de P umane cose
(ìli pose avanti. A le ragioni aggiunse
Essempi e preci sì, eh’ immantinente
Turconte acconsentì. Strinser la lega,
Unir le forze ed .apprestar le genti
In un momento. Di straniero duce
Provvisti i Lidi, e già dal fato sciolti
Salir sovra l’armata. E. pria di tutti
Uscio d’ Enea la capitana avanti.
' Questa uvea sotto al suo rostro dipinti,
Quai sotto ul carro de la madre Idea,
Due che’l legno traean frigii leoni,
E d’ Ida gli pende» di sopra il monte,
Amaro suo disio, dolce ricordo
Del patrio nido. In su la poppa assiso
Stava il duce troiano; e da sinistra
Avea d’ Evandro il figlio, che tra via
L’ interrogava or del viaggio stesso
L de le stelle, ed or degli altri suoi
O per terra o per mar passati allunili.
Apritemi Elicona, alme sorelle,
E cantate con me che gente e quanta
[150-164]
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[259--282J ubro'Xv 477
D’ Et rari a. Enea seguisse, e di che parte,
E con quaF-arini, e come ij mar.sQlcassc.
Màssico il pVinfto in su la Tifare imposto
Avea'di mille gioVini un drappello-, < - .
Che di Chiusi e.di Cosa orati -Verniti
Con Pasco in liiano e con saette a’ fianchi.’
Appresso a 4uj, seguendo, il torvo Abantc
Sotto Pufségna'dÈl doralo Apollo .
Seicento li’ imbarcò di Poputoi#ia,
Trecento d’Elba, in cui ferriguar-vena.
Abbonda si, «he n’-erano ancor essi
Dal capo ai piè tutti di ferro armali.'
Astia il-terzo, sacerdote "'e maga * *
Che di "fibre e di fulmini e-d’-ucccgli
E di stelletterà ipterprete e’ndovino)
Mille ne coiukicea,ch’jiu’ oiuiitmnzn
Faccan tutta di picche; e tutti a Pisa /
Erari soggetti, u hi novella Pisa,
Che, già-fìglia d’Alfeo, d’A**no ora é sposa.
Asture, ardito cav alierò n bella, ...
E con ■feetì’ armiAii color diveree,
Vico' dopo questi con trecento oppresso
Di vari lochi, mq d’ urn solo amore •
Accesi a segurtavlb.^Bran mandati
Caro. — 3i. [l64-4$4]
V
• ’ ì
i
>
• !
f.
•»
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478 l’ f.xeide. [2S$-3ft(>]
*
Da Cerile c dai campi di .Mignone, *• .
Dai Pirgi arftichre da l’ apèrte spiagge»
De la Hon jscduUfera Gravlsciil
Di *e non tacerò, {Hgeo 'gentile,
Di Cup^ o dicendo, ancor pii e poche . -
Fosstr .itf genti sue. Questi di Cigno-'
Fra figlinolo, ‘onde no l^elmo avea
l)c le sue penne un candido cimiero
lij memoria del padre, e de la nuova.'».^ .
Forma in eh’ei si cangiò, tua eolpn, Amore.
Che de l’ainor di- Faeton fé acceso.
Come si -dice, mentre che .piangendo -
Stafa la’Tnorte-Sua, mentre eh’ a I’ ombra
• • - # ,
De le pioppo, che pria-gl Cernii sorelle,
Sfogava con Hi? musa il suo «dolore ;
Fatto cantandorgià canuto e vèglio
In auge! si converse, ccon la voce
E con l’ali da terra al cieio alzassi.
I ^
11 suo ligliojco’ supi imi tava un legno
A cui sotto la prora e sopra 1’ onde
Stava un centauro minaccioso e torvo,
Che con le braccia. c con un sasso in alto
Sembrava di ferirle, e via correndo .
Co« Pc*t° le facea spumose & bianche.
[483-197]
[307-330] nano x. ^79
Ocno poscia venia, del losco fiume
K di -flauto indovini* il chiaro figlio,
(die tef rftia patria,- elesse e che del ftame
De la gran madre sua Rlàntuùi disse;'
Mnmua d’alto I eguaglio illustre è cicca,
R 1,0,1 <f' un sangue. Tre le goni,* sono^
K de le tre ciascuna n quattro impero".
Di cmjì tutte ella è capo, e tutte insieme. •
Sor. con lo forze de P Eléur.V unite, 7.
Quinci 0e Ttu- conira Mezeu/io armati
Cinquecento altri j e .Mincio, un figlio altero
Del gran Jlenàco, fu che gli condusse,
Di verdi cantre inghirlandato il fronte.
Divh il sup'erb(HAÙIète coh.un legno
Di conio traivi il mar, solcando in guisa •
<<hc spumante U facea, sonoro e crespo.
Premcà le spallq d’ un Tritone i ioni un e '
Che con hi cova sua cerulea, ‘conta *•' ‘
Tremar si flicea l’acqua c i liti intorno.
Dal mezzo -in su, la fronte ispido e’I mento
Sem^rh d’ umana forma ; e-l yentre in pesce
Cli si -risiriifge, c col. fèrino petto *
l' etnie il mar-fei che rumoreggia e spuma.
Da quésti eletti eroi, con queste genti
[198:2 13]
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•180 L* EXEIDE.
» Eran r onde tirrene allòr solcate
In sussidio di Troia. E già dal ci
Caduto il giorno, era de V.^rta ù
La vaga luna, quando iMiigio dii
Or al timone or a la vela intento
Co’ suoi pensier vegliava. Ed ecc
Notando gli si fa di ninfe u.n con
Di lui prima compagne, e quelle
Clic, giri sue navi, da Cibelle in i;
Furon converse, e Dee fafle del i
Xante io- fiotta ne gian per l’on
Quante eran navi in prima. E <ji-
Hiconosciuto il re, danzando m c
Gli si strinsero intorno. Una fra
v**« * *
La più di tutte accorta parlatrici
Cimodocèa, la sua nave segutMidi
Con la destra a fa poppa, e con I
Tacita remigando, il capo e ’1 do
Solo a galla tenendò, d’ impròvv
Così gli disse: Enea, Stirpe divin
Vegli tu" Veglia: il fune allenta,
Apri a le vele tue.OeJTt tua clas
Noi fummo i legni e de la selva
E siamo off ninfe. 1 Untoli col fu
.[213.-231]
I
[355-378] libro x. 481 S
N’itanno e col ferro dipartite e spiale
• * * *
Da’ tuoi nostro inai grado. G>r te cercando
Siam qui venute. Per pietà dì nei
La Berecinzìu Mqdre in questa forma
N’ ha del mar fatte abitatrici c Dee.
Mit’l tuo fanciullo IulodiMnezzo a Pormi
Si sta cinto di fossa e di, muraglia
Da’ feroci Latini assedialo. -
I tuoi* cavalli e gli Arcadi e gli Etrusci
Unitamente Iran di già preso iljoco
Comandalo da te. Turno disegna
Co’«uoi d’ attraversarli, e porsi m mezzo *
Tra ’l campo e loro. Or via naviga, approda :
Sorgi tu pria che ’l sole, e sii tu ’r primo
Ad ordinar le tue. genita battaglia.
s * ,
Prendi l’invitto e luminoso scudo <
Da Volcai* fabbricalo e d’ òr commesso :
Che diman, se ori credi, alta e famosa \
Farai tu strage de’ nemici tuoi. •
Ciò dissè^e come esperta, al legno in poppa
Tal diè pinta al partir, ch&'più veloce
Corse che dardo o strai che T vento adegui.
Dietro gli altri affretlàr sì che stupore
ebbe d’Anchise il figlio. E rincorato
[■232-250]
I
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m
L BNEIDE.
Da sì felice annunzio, ài cielo ora
l)ivolanlenle.si,rivolscr e disse;- .
Alma Dea de gli Dei gran gctiitric
Di Diiuiimo regina; chedi torri. •
Vai coronata e’n-su leoni assisa,
Te per mia. duce a questa pugna i
Tu rendi questo augurio e questo
Ti priego, ai Frigi* tuoi propizio e
Queslo:Sol disse: e luminoso ini
Si fece il mondo. Ei primamente i
Clic ratto al segno silo ciascun ne
.di’ ognun s’ armasse, ognuno a la
Si disponesse. É già venuto a visti
De’ Uutuli e de’ Teucri, ulto levos
In su la poppa ; s* imbracciò lo se
E lo vibrò si ch’ambedue viaggiati
Empiè di luce e di baleni i campi
Di su le muru la dar darti a gente
Gioiosa infmo al ciel le grida alz
E sopraggiunta la speranza a l’ir
A trar di nuovo e saettar si diero
Con un rumor., qual sotto l’ atre i
iScl dar segno di nembi.c nel fug
l'an le strinìonie gru sebiamazzo
[251-266}
I
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unno x.
{403-426]
4S3
Méntri ciò Turnd e gii altri ausoni duci’
Stavan maravigliando, ecco a la rivi *
Si fa piètid’ armi e di navif[ il irfare.
Eneo di Cima al capa e de la cresta
Del^fin elmo sparge!» lampi e scintille '
D’ addentò Ramina ; e gran krstri e gran fochi
Raggiava de lo. scudo il colmo-e l’oro,
Come ne la seréna timida notte, .
La lugubre e mortifera cometa '* • . À’
Sembra che sangue avvonli; 0-’! sirio cane,
Quando nascendo a^ miseri "montali * . *
Ardore e sete c pestilenza apporta, - *.
E colTunéjiU) luipe'ibciel'contrista.
■*
* Noti men per questo haTornooj’direespenje
D’occopar prima il lito, e da la terra
Ributtare i nemici. Egli, animando
E riprendendo la suà gente, avanti '*■ .
Si spinge a tutti, e/gritfà: Ecco adempito
Vostro maggior disio. Più non vi sono
Le mura inmeìtò; in voL, ne le. man vostre
La pugna e.Marté e la vittoria è pqsfa".
Or qui de la stia donna, de1 suoi figli, .
De la sua cash si rammenti ognuno:
» s 4 • . * f
Ognun davanti si propónga? i fatti
•[2&7-28I]
*•/
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484
l emeide.
F/ le lodi de’ |>adri. Andiain noi pi
A rincontrargli, infili che Tonde <
Ce gli rende del mar non ferini i
Via, ch’agli ardijti è la fortuna ar
Detto eosì, va divisando come
Parte lor centra ne conduca, e pi
A T assedio ne lasci. Intanto Enea
Per disbar.cane i.suoi, le scalee i
Avea già presti. -E di' lor molti at
Al ritorno de’ flutti con un salto
Si lanciarono in. secco; e ehi eo’ i
Chi con Io travi ne T arena uscir
Tarconte, poi eh’ ebbe'Ia rfva t
Den adocchiata, non là dove il va
Disperava del tutto, o dove T orni
Mormorando frange^, ma dove cl
E senza intoppo avea corso e ricc
Voltò le prore; e, V-ia, disse, coni
Via, gente eletta, ite con tutti i re
tutta forjta, c sì piagete i lego
si* faciali da lor canale e sta
Dividete co’ rostri e con le prore
uesla nemica terra; in questa. t<
gittate una voltale che che si;
■29G1
■[451-474] libro' x. 485
Segua poi del navile. X questo firegio
Non euro del suo danno*: afferri! e*"pèra.
Al detto di Tarconte alto in su’ remi • *
Levàrsi ; é sì co’ rostri a’ liti urtare,
Ch’empièrdi spuma il mar, di sabbiai campi;
E i legni tutti ne 1’ asciutto infissi
Fermarsi interi. Ma non già', Tarconte,
Il legno tuo, che d’ una ascosa falda
Ebbe di sassb in approdando intoppo ;
Dal cui dorso inchinato, e-dpl mareggio
Lungamente battuto, ’alfin del tutto
Aperto e sconquassato, in mezzo a Fonde
Le genti espose; e ’4 p9so e l’ imbarazzo
De F armi, e gli armamenti infranti e sparsi
Del rotto legno, e ’1 flutto che redi-va,
i •
Le tennero impedite c risospinte.
Turno le schiere sue rapidamente* .
Al mar condusse, e tutte in ordinanza.
Su *1 Irto, incontra a* Teucri le dispose.
Dieron le trombe il 9egno. H troiftn, duce
Fu che prima assali lejorme agresti,
E si fe con la strage de’ Latini
E con Ta morte di -Tcrone in prima
Augurio a la vittoria. Era Terone*
[297-312]
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486 l’e.ieide.
Un di corpo maggio!* degli ulti*
E lauto ebbe d’ ardir clic da sè
Incontr’ Enea si mòsse. Enea cc
. • 7* *
Tal an colpo gli trasse, -clje lo •
Benché Terra tu, o la corazza e ’
^ • *** -*
Forògli insieme, Indi' avjrenloss
Che da l’ aperte viscere fu tratt
De la giù morta madre, epargo
Preservato dal ferro, U le fu. sai
I
Febo, padre di luce ; ed or mor
Vittima eaddcM Marte. Oceise a
Fisso feroce, è Già di corpo ititi
Ch’ambi di mazze armali ivan
De’ suoi Teucri atterrando. EJo
!Nè d’ Èrcole aver l’ormi uè le L
D’ erculea forzarne die «già Mei
Lor padre in compagnia d’ Erc<
Allorché de la terra a .soffrir c
I duri affanni. A Faro ini dardo
Mentre gridando e millantando
Gli si facea. Col pi Mobili bocca a
Sì che la chiuse e 1’ acchetò pei
jE tu, Cidon, per le sue. mani *i
Misero! giaceresti a Gli zio appi
[^{2-325}
487
[499-522] univo x. .
Tuo novo amóre, ir ‘cui de’ primi, fiori v
Eran fe guance colorite a pena; « '
Nè più stalo saresti esca agli amori - >
De’ suoi simili, onde maf sempre ardevi ;
-Se non che fie* fratelli ebbc-irna Sellici:»
Subitamente a dosso. Eraó. eOstorcr
• • %
Sette figli di Forco, e. sette dardi -, • - • i<*.
Gli avventarefi» un. tempo. Altri de’ qyjili
Da l’ elmo e da lo scudo risospinliN * .
Altri furon da Venete sbàttuti ,
Si, eh’ o vani, o Iegg4eri.il corpo a pena
i Leec’àr passando, hi questui Enea -rivolto)
Dammi, disse, àd Acute, degl’ intrisi •
Nel sangue' greco* e SOttc^Hiò provali ;
E non fià colpo;in fallcu Una grand’asta
Gli pòrse Acato in prima, èli ,ei-lu trasse
Sì, che volando nedo scudo aggiunse .
Di Mèone,é Ip piastra"ond’ efU-gin'tu- . .
E la corazza é ’l petto gli’ trafissp. * . -
Alcanor suo f^a'tello pel càdefe»\ ' “• •
Mentre le braccia-ai Jergo-gli puntella,,
b’ asta nel trapassare, il sup tenore «.*
Continuando, insanguinatale calda’ ** ,
La destra gli confisse ; e.da le spalle '
[326-341]
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488
l’ eni-ide.
Pendè del frate^infin che i’ un
li 1’ altro moribondo a terra si
Giacquero entrambi. Numitori
Da questo sconficcandola e da
La no io Ila incontro Enea. Di fe
Non gli successe, ma del grani
-Graffiò la coscia lievemente, e
Chiuso, il Sabino, addito,*; p
Qui si mostrò con una |iiccu il
E Driope investì nel primo ini
Glie n’ appuntò- nel {jorgozziih
Tanto, che la parola c ’l fiato
In uii gli tòlse. Ed ei cadde bc
E per bocca gittò di sangue un
Cacciossi avanti, e tre di Trac
De la gente di Borea, c tre de
I)’ Mante, alunni il’ Ismaru e i
In variate guise a terra Stese.
Venne a rincontro Alèso, e dej
Un’ordinanza. Dr Nettuno fi fi
iMessàpo i suoi cavalli avanti i
Ed or questi sforzandosi, ed c
Di cacciare i neqaici, in su 1’ e
v Si combattea d’ Italia. È quai
[341-350]
489
[54'7-5?Ó] tipRO X;
' %
S’ azzuffano a le volte avversi, e vpaYi
Di contesa e di forzìHn'afùa i Venti,
Che nè lor,-nè le nugole, uè ’l mare
Ceder si vede, e lungamente incerta
Sì la miséhia travaglia, ch’ogni cosa
I)’ ogni parte tumultua e contrasta; ,
• *
Tale appunto* de’ Rutulie de’ Teucri "
Ei a la pugna, e sì fiera e si stretta,
Che giunte £} vedean l’ armi con l’ armi, ,
E le man con le'manire i piè co* piedi.
D’ altra parte ove rapido e torrènte
Avea ’l fiume travolti arbori e sassi, ,
Da loco malagevole impediti
Gli_arCadi cavalieri a pii; Smonterò.
E ne’ pedestri Basalti ancor non usi,-
Da’ Latini incalzati, avean le terga
Già .volte a Lazio, *quando (quel che-s’ usa
In si duri partitila l<Jr rivolto
Pallnnte, orèon pregili ere, or con rampogne,
Ah compagni, ah fralelfi>ìva gridando,
Dove fuggite?- Per bnòr ìli vei,
Per la ‘thè moria di tant’ altri vostri *
Egregi fatti, per*!’ egregia fama, -
Per le vittorie dèi gran duce Evandro*
[356-310]
490 U, ENEIDE.
t .
E per tó’ sftomc .etié di me conc
A la paterni lode cmulà.à'vete,
Non ponete iie’ piè, vilsirà fidali
Col* ferro aprir la stiuidn n'é-co
Per mezzi» di color- elfo livelle
Che più folti n’jncalzano- e jiìù
Per là copiatala Fatta patria it
Che voi meco n’ì)ndiajte*E di h
lecite sia dia: soh,-t*om ini ance
Come stani noi •p'e. noi cam’*esSi
* • • t _
Il cor, le mairi e-F armi. E dove
Vi salverete® Non vedete il mai
9 * -
Che v* è davanti, e clte la ter^ra
Al fuggir, vostro ? p se per Pon
Fuggiste, ;ariìn dove n’ andrgteJ
E, così detto, «in mèzzo* de? p
E de’ pili formidabili nemici
Anzi a lutti avventosSi. E, Lago
Per sua disavventura gli s’opp
, Stava còstui chinato* e per fer
Divelto avea di ■tei'p'a idi grarr
Quando (o sopraggiunse, e uel
1 ra costa e cositi il suo dardo
Si clie tirando e dimenando a
(-371*384] •
[595-6 1 LtBrfo x> 491
Ne lo ritrasse. Isbon, ili Lago am.ieoj
Menti*’ egli'in piò s’occupa, ehb$ speranza
Di vendicarlo, e’ncontra gli si mosse,.
Ma- non gli rwiipì: chè mentre incauto,
Dal dolor trasportato e- da lò sde£np
Del suo morto compagno*, infuriava, . * **•
“Ne la spada ìlei jgióvine inftlzbssi *’ > *
Da l’un de’ Stanchi: onde trafitto e smunto
Ne fu di sangue il coiy d’ira il polmone.
Po9cia Stmwrlo oceisej o’ccise appresso
Anehòmólo. Costui fu de F antica*
Stirpe di-Rctò, .incèsi doso amante '
Di sua matrigna. E voi, bornie je Timbro, ' ;
Figli-di. p'Uuco, ambi d’ tm parto nati,
Per le sue man cadeste. Etan costoro • .
. . . , >
Sì l’un del tutto a' l’alfro somigliante,-/
Che del padre indistinti e da ta, madre
FaceamloK gt'ato erronee dolce inganno.
Sòl or Fallante (af>U troppo duramente)
Vi fe diversi cb’ a te’l capo netto.
Timbro, recise; » te^ Laridp, in tcrru ,
Mamjò Jla destra.iE questa. anche guizzando
Te per suo riebnobbe, e con. lodila < .
Strinse il tuo ferro, 0 ’l bi*a«t;ieò più vette*-
[3 8 4 9.6]
492 L’ CiYEIDE.
* I #
Gli Arcadi da’ conforti c da le
• •
Accesi di Pullulile, e per dolor
lì per vergogna di furor s’ an
Comlr’a’ nimici. Seguita Pallai
Ed a Relèo ch’era fuggendo .il
Sopra una biga, nel passargli
Trasse d’ un’asta; e tanfo Ilo
Ebbe a la morte sua, eli’ ad II
Era qircl colpo in | minora. Ma f
Venne di me*/zo, e ricevello in
D’ altri colpi che dietro minac
Gli venian Teucro e Tiro, i di
Che gli erap sópra. Traboccò <
Mezzo U’a vivo, e-inorto* e cale
De’ Rullili ballò l’amica ..terra.
Come il pastai* ne’dolci esti
A lo spirar «vénti <il> foco aci
In qualche selva; che diversan
Pi. ‘ - • .
Lo sparge in prima; e con div
Subito di Volcan ne va lascila
Ciò eh’, è di mezzo divorando il
Ch un srii diventa; ed éi slassi
nel fatto al toro, e diveder gio
ha vincitrice fiamma, e l’arso
[397-409]
[643-666] libro x. 493
Così ’l valor degli Arcadi ristretto
Per soccorrer Fallante insieme unissi.
Ma ’l bellicoso Alèso incontro a loro
Si ristrinse ancor ei con. Tarmi sue,
E Lad.óne e Deinòdoco e Pereto
Occise in prima. Indi a Strimonio un colpo
Trasse di spada clie.la destra mano,
Mentre con un pugnai gli era a la gola,
Gli recise di netto. E si d’uri sasso
Ferì Toaute in volto, elle gl’ infranse
Il teschio tutto, e ne schizzàr col sangue
•
L’ ossa e ’l cervello. Era d’Alèào il padre
Mago e ’ndovino ; e del suo figlio il fato
Avea previsto; onde gran tempo ascoso
In una selva il tenne. E non per questo
Franse il destino; chè già vèglio a pena
Chiusi ebbe gli occhi, che le Parche addosso
Gli ilier di mano: onde a morir devoto
Fu per Tarmi d’ Evandro. Incontro a lui
Mosse Pollante in cotui guisa orando :
Dà, padre Tebro, a questo (tordo iiidruzo,
Fortuna e strada ; orni’ io nel petto il pianti
Del duro Alèéo: e ’l dardd e le sue spoglie,
A te fian poscia in -questa quercia appese.
Caro. — 32. [4ÌG-4231
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* *.
. * ' *
A9i x L’ ENEIDE.
Udillo il Tebro; e mentre Aiòso,.'
Porgendo ad Imaon, lo scudo stei
Per coprir -lui, sè stesso discover*
Al colpo di Pollante, e morto cadi
Lauso clic de la pugpa era gra
Visto al cader d’ un si degno cani
r %
Caduta la contesa e l’ardimento
De le schiere latine, egli in sua v
Tosto avanti si pinsc e rinfranco!
E prima di sua mano Abanle anc
Ch’era di quella zuffa un duro in
E de’ nemici il più saldo sostegno
Or qui strage si fa d’Arcadi ins
E de’ Toschi e di voi, Troiani, intì
Ancor de’ Greci. É qui d’ambe le
Tutti con tutti ad affrontarsi vani
Pari le forze e pari i capitani
Son d’ambi i lati ;-e quinci e quin
Si ristringono in guisa che gli est
l annó ancor calca e ’mpedimenlo
Da questa parte sta Pattante, e
Da quella, i suoi-ciascuno inanim
Spingendo e combattendo. E I’ un
Non è molto da Ppltro nè d’ etate
1.424-434]
495
[694*744] libro x.
Nè di bellezza; e parimente it fato
A ciascuno Ita di lor tolto il ritorno •
Ne la sua patria. E non però ira loro
S* affrontar mai; cliè M regnator celeste
RiserbaVa la morte d’ ambedue
A nemici maggiori. In questo mezzo
La ninfa che di Turno era sorellar
11 suo "frate avverlisce, che soccorso
Procuri a Lauso. Ond’ ei tosto col carro
Le schiere'attra versando, a’ suoi compagni
Giunto che fu, Via, disse, or non è tempo
Che voi più combattiate, lo sol ne vado
Contrù Pollante; a me solo è dovuta
La morte sua ; così ’l suo padre stesso
V’interveqisse, e spettator ne fosse.
Detto ch’egli ebbe, incontinente i suoi,
Siccome imposto ave», del campo uscirò.
Pallante, visti « Rutuli ritrarsi,
E lui sentendo che con tanto orgoglio
Lor comandava ; poscia che’! conobbe,
Lo squadrò tutto, e.stupido fermossi
A veder si gran corpo. Indi feroce
Gli òcchi intorno girando, ai detti suoi
Così rispose: Oggi, o d’ opime spoglie
[435*449]
496 l’ ENEIDE.
0 ili morte onorata il pregio ae
K ’l padre mio (lai è il’ animo ii
Incontr’ ogni fortuna, o buona (
('.he sia la mia) ne porrà ’l core
Via, che il’ altro è mestier che i
li, ciò detto, si mosse c fiero in
l'resentosài del campo. Un giel
li per le vene agli Arcadi ne co
li Turno dalla biga con un salti
Lauciossi a terra: eli’ assalirlo
Prese consiglio. E qual fiero lec
Glie, vneduto nel pian da lunge i
Con le corna a battaglia esserci
Dal monte si dirupa e rogge e '
Tal fu di Turno la sembianza a
Nel girli incontro. Il giovine, cl
Avea di forze, s’avvisò di temp
Prender vantaggio^ e di provar
S’aver ponesse in alcun modo £
Almcn fortuna; e già eli’ a tiro
S’eran vicini, al ciel riyolto di:
Ercole, se ti fu del padre mio
- L’ ospizio accetto, c la sua men
Allor clic peregrin seco albergi
^ , [450-460]
unno x.
497
[739-762]
Dammi, ti priego, a tanta impresa aita,
Si cl»e Turno egli stesso in chiuder gli orchi
Veggio c senta, Vnorendof eh’ a me -tocca
Vincere e spogliar Ini d'armi e di vita.
Udiilo Alcide, e per pietà che n’ ebbe
Nel suo cor se ne dolse “e lacrimonne,
Quantunque indarno. E Giove per conforto
Del figlio suo cosi seco ne disse:
Destinato a ciascuno è’I giorno suo ;
E breve in tutti e lubrica c fugace
E non mai reparabile sèn vola
L’ umana vita. Sol per fama è dato
Agli uomini, che siati vivaci e chiari
Più lungamente. Ma virtute è quella
Che gli fa tali. E non per questo alcuno
È che non muoia. E quanti ne morirò
Sotto il grand’ Ilio, ch’eran nati in terra
Di voi celesti ? E Sarpcdontc è morto
Ch’era mio figlio, e Turno anco morrà;
E gin de la sua vita è giunto al fine.
Così disse, e da’ rotali confini
Torse la vista. Allor Pollante trasse
Con gran forza il suo dardo, e 'I brando strinse
Incontro a Turno. Investi ’l dardo a punto
[461-476]
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49S l’ kseide.
Eù’ve’l braceial su l’omero s’ i
E Ira ’l suo groppo e 1’ orlo de
Come strisciando, di sì vasto c<
Lievemente afferrò* la pelle'a p
Turno, poi che ’l nodoso e b
Suo frassino brandito e bilanci
Ebbe più volte, Or prova tu, g
Se ’l mio va dritto, e se colpis<
Più del tuo ferro: e trasse. An
Per l’aura, e con la punta a pu
Si piantò de lo scudo. E tante
Di metallo e d’acciaro, e tante
Ond’èra cinto, e la corazza e ’l
Passògli insieme. Il giovine fer
Tosto fuor si cavò di corpo il I
Ma non gli valse, che con esso
E la vita n’ uscio. Cadde b.occoi
la su la piaga, e tal diè d’arm
Clic, ancor morendo, la nemica
Trepida ne divenne e sanguino
■ Turno sopra il cadavero fer
Alteramente, e disse : Arcadi, i
E per me riportate al vostro E
qual di rivedere ha meriti
[477-492]
Vi
LIBRO- X.
409
[787-810]
Il suo Pallante, tal glie ne rimando;
E gli fo grazia, che d’ essequie ancora
E di sepolcro e di qualiiltro fregio
Che conforto gli sia, l’orni e Sonori;
Ch’assai ben caro infino a qui gli còsta
L’amicizia d’Enea. Cosi dicendo,.
Col manco piè calcò -l’ estinto corpo;
E d'oro un cinto ne rapì di pondo,
D’ artifìcio e di pregio, ove pei* mano
Era del buon Eurizio istoriala
La fiera notte e i sanguinosi letti
Di quell' empie fanciulle, in grembo a cui
Fui* già tanti in un tempo e frati e sposi
Sotto fè. d’imeneo giovini ancisi.
Di questa spoglia altero e baldanzoso
Vassene or Turno. 0 cieche umane menti,
Come siete de’ fati e del futuro
Poco avvedute ! E come oltra ogni modo
Ne’ felici successi insuperbite! ,
Tempo a Turno verrà ch’ogni gran cosa
Ricompreria di non aver pur tocco
Pallante; e le sue spoglie e’1 dì che l’cbbc
In odio gli cadranno. Il morto corpo
Nel suo scudo composto, i suoi compagni
[492-505]
500 L' ENEIDE.
Levàr dal campo, e con solcnm
E con molti lamenti e molto pi
Lo riportaro al padre. 01> (|ual
Tornasti al padre tuo gloria e
rii’ unii .stessa giornata, di’ a h
Ti diede, a lui ti tolse. Oli pur
Lasciasti pria di Tuoi nemici es
Corse la fama, anzi il verace
A l’ orecchie d’ Enea d’ un dam
E d* un tanto periglio, che già
Era il suo campo in fugo. Incoi
Si fa col ferro una spianata ini
Poscia .s’ apre una via. di te ce
Turno, c ’1 tuo rintuzzar cresci
Per la vittoria di Pollante occi:
Pollante, Evandro' e P accoglier
E le lor mense, ove con tanto a
Forcstier fu raccolto, e la conti
Già tra loro amistà davanti agl
Si vedea sempre. E per onore i
De Y amico, e per vittima al gr
Molti giovini avea già destinati
\ ivi sacrificar sopra al suo rog
E di già ne facea quattro d* Ufc
[506-517]
[83o-858J muro % 5q|
Addur legati, e quattro di Sulmonì». %
E tra via combattendo, incentr' a Mago
t irò d’ un’asta, a cui sotto chi n ossi *
V aslul0 a tempo si che sopra ai capo
Gli trapassò divincofandor il colpo;
E ratto risorgendo, umilemente
Gli abbracciò le ginocchia, e cosi disse:
Per tuo Padre e tuo figlio, Enea, ti prego,
A mio padre, a mio figlio mi conserva.
Hi gran legnnggio io sono; gran tesori
Tengo d’argento sotterrati e d’oro
h» massa e’n conio, ha vittoria vostra
Solo in me non consiste. Una sol’ alma
hi così grave e grande affai- che monta 1
Rispose Enea : Le tue conserve d’ oro
E ^argento conserva a’ figli tuoi.
Questi mercati ha Turno primamente
Tolti fra noi, poi c’ha Pacante occiso:
E«l al mio padre ed al mio figlio in grado
Eia la tua morte. Ciò dicendo, a l’elmo
La man gli stese: e poiché gli ebbe il collo
Chinato al colpo, insino a I’ else il ferro
Noia gola gl’ immerse. Indi non lunge
Emònide incontrando, un sacerdote
[518-537^
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l’ ENEIDE.
502
Di Febo t di Diana, il fronte
Di sacra benda, c lutto riluci
Di vesti e d'armi, addosso gl
Fogge Emcmide, e cade. Elie
Lo sacrifica a 1* ombra e d’ 01
Poscia de 1’ armi, che’! mesi
Portò più eli’ a difesa, il buo
Lo spoglia, e per trofeo le ap
A te, gran Marte. Ecco di no
Gècolo, di Vulcan l’ardente I
E ’l Ma rso Ombron ne la^jja It
E rimettendo le lor genti ini
Spingonsi avanti. Enea da 1’
Infuriava. Ad Ansare avventi
E ’l manco braccio con la sp
Gittògli e de lo scudo il cere
Gran cose avea costui cianci;
E conceputc ; e d’ adempirle
S’era promesso. Avea forse i
Riposti i suoi pensieri, es’a
Lunga vita e felice. E pur qi
Poscia Tórquito ardente,
Fulgenti e ricche, incontro (
Era costui di Fauno montai)
J.537-551]
[883-006] libro x. 503
E ile la niniìi Driope creato,
Giovine fiero. Enea parossi avanti
A la sua furia, e spinse I’ asta in guisa
Che lo scudo impedigli e la coruzza. '
Allora indarno il misero a pregarlo
Si diede. E mentre a dir molto s’ adulino,
Per lo suo.scampo, ei-con un colpo a terra
Gittògli il capo; e travolgendo il tronco
Tiepido ancor, sopra gli stette e disse :
Qui con la tua bravura te ne stai,
Tremendo e formidabile guerriero.
Nè di terra tua madre li ricuopra, -
Nè di tomba l’onori. Ai lupi, ai corvi
Ti lascio, o che la piena in alcun fosso
Ti tragga, o che nel (iume, o che nel mare
Ai famelici pesci esca ti mandi.
Indi muove in un tempo incontro a bica,
E segue Antèo, che ne le prime schiere
Eran di Turno. Assaglié il forte Numa,
Fere il biondo Camerte. Era Carncrte
Figlia a Volscenle, generoso germe
Del magnanimo padre, e de’ più ricchi
D’Ausonia tutta: in quel tempo rtJggea
ha taciturna Amicla. In quella guisa
[551-5(55]
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504 l’ e.neide.
Che si dice Egeon con centi
E cento mani, da cinquunti
Fiamme spirando e da cinq
Esser già stato col-gran Gi
Quando contro i suoi folgo:
Con altrettante spade ed al
Scudi lonaya e folgorava ai
In quella stessa Enea per ti
Poi cip una volta il suo feri
(lontra tutti vincendo infur
Ecco Nifèo «u «piatirò corri
Si vede avanti: e contra gl
Si ruìnoso, e lai fa lyr freni
Téma e spavento, che i desi
Iati dal carro traboccano, e
Sèn vanno e vóli impervers
Lucago intanto c Ligeri, dii
Con due giunti cavalli ambi
Gli si fan sopra. Ligeri a h
Sedea per guida, Lùcago ro
La spada a cerco. Enea, noi
Ea tracotanza, a la già mos:
Piantossi a'vanti; e Ligeri g
Enea, tu non sei già con Di
[5G5-58I]
1931-954] uail0 x. '
Né cm, Achille e questa volt» „ f).0I1,c.
•V son questl i cavalli e’I corro loro,’
1 LazjQ « questo e non de’ Fi-ini
Qui finir Ucouvieulaaat ; 8
Queste va,, e ,„i, .acce
- olBava- il folle. Enea d’-ullro risposta '
^on gli ilid che de l’asta F
Spinge P uno i destriere , T r™''
Si s.a ehiuato e eol p è m J
Di ferir lui, la sua lancia a |„ SJ“°
I ato° S°r° d‘ W€a80’ 6 ,,el fnanco
E‘ 1 1 “ C°,Se °
t giù dal carro moribondo il trasse
fiufi ancor egli mPt, uggiolio e disse; .
A ,e ne paventosi nè restii
Sou gw, 1-Óoago, siatii lu0i cavalli.
la d°.t“ stresu ““ si fiel salto l„,i preso
,^0 • ‘lì0 Carro- E> ciò dotto, ai destrieri
I piglio. Il suo frale uscito iuta, ito
•Il carro stesso, umile e disarmato'
stendea le palme in tal guisa pregando- .
«oli, per lo tao valore e per coloro
Clic t, fer tale, abbi di me, signore,
l 'em, che supplicando in don ti cbiegaio ,
[5SI-Ó9S]
506 ' L* ENEIDE.
Questa misera vita. E sentii
La sua preghiera, a lui risp
Tu non hai già così dianzi ;
Muori ; e morendo il tuo fri
E con queste parole il ferrc
E gli aprì *1 petto, e l’alma
Mentre così per la campa
Strage facendo, c di'.torreni
E di tempesta infuriando Se
Ascanio e la troiana gioven
Indarno, entra a le mura as
Saltano in campo. Ed a Giu
Così Giove favelli» : 0 mia d
Sorella e sposa, ecco testò s
Com’ha la tua credenza e ’l
Verace incontro, e come Cil
Sostenta i Teucri suoi. Vedi
Non sort nè valorosi nè- guc
E i cor non hanno ai lor pe
A cui Giunon tutta rimessa,
Caro consorte, a che mi str
Quando è pur troppo jl mi»
E pur troppo lem’ io le tue
Ma se qual era c qual esser
[598-6I3J
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507
[979-1002] tl„0 ■„
Fosse orteco il peler de Cornar mio,
1 eco che tanto puoi, da te negato
FosnsemJata^,l *"?•"’ " mio Turno
' esse da la batlagha o da la morte
er me sottratto e conservato al vecchio
Dauno suo padre. Or péra, e col suo sangue
D W6 è PÌ°’ 18 «"•ngo»
De suol nemici. E pur anch’egli ò nato
Dal nostro sangue • e nm- dìi
Padrp di . • , . ’ P‘n PlIun"° 6 quarte
cu i ?da ,UÌ pui* >«»-gamen!o
Gl, aitar ^"en-ate e ( tempii tuoi
hon de suo, molti doni ornati e carchi.
Cu, del cel hrevementc il ?ran motore.
Cosi ir, spose: Se indugiar la mone,
c * è g,à presente, e prolungarci giorni
Al già caduco giovine faggina
Per alcun tempo, e tu con questo inteso
Locccth, va’ tu stessa, e do la pugna
Soli, allo c dal destino. A tuo contento
F'n qu, mi lece. Ma se in ciò presumi
W piu di sua vita, o,de la guerra,
Che del tutto si mute o si distorni,
lavai, lo speri. A cui Ghino piangendo
Soggiunse: E clic saria, se quei ci,’ in voce
[Gl 4-628]
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àOS l’ ehseidk.
,'l'i gravi a darmi, almen n
Mi concedessi? E questa vi
Si stabilisse? già eh’ indej
Morte gli s’ avvicina, o eli
Mi gabbo. Tu clic puoi,Si{.
La mia paura e i tuoi peni
Poscia che così disse, in
Dal ci.el disoese, e con un
E nubi intorno, occulta in
Sopra terra calossi. Ivi di
Di colori e di vento una fi
Formò (cosa mirabile a ve
In sembianza d’ Enea: d’f
La corazza, il cimiero e I’
(ìli finse intorno, e gli diè
Propri di lui, ma vani, e
E senza niente; in quella
Che si dice di notte ir va*.
L’ ombre ile’ morti, « che
Son da’ sogni delusi e da
Questa mentita imago i
Lieta insultando, a Turno
Lo provoca e lo sfida. E 1
Le si spinge e V affronta:
[tì28-645
[1027-1050] libro ;t. 503
•
Il suo dardo le avvento, al eni Stridore
Volg’ ella il tergo e fugge, Ed ei sospinto
Oo la vana credenza, c da la folle
Sua speme insuperbito, la persegue
Con la spada impugnata, E dove, e dove,
Dicendo,. Enea, ien -fuggi ? ove abbandoni
La tu^ sposa novella? Io di mia mano
De la terra fatale or or C investo,
Che tanto per lo in'ar cercando andavi.
E gridando U incalzale non s’-avvede- .
Clic" quel* ohe segue e di ferir agogna,
Non è che nebbia «he dai vento è spinta. *
Era per*sorte jn su la riva un sasso
Di molo ili guisa; ed u>» navilc a canto
Gli era legato, che la scala e ’I ponte
Avea sir’l I i tro, ondejie fu pur dianzi
Osmio, ilo'e di Chiusi, in terra esposto.
In questo legno, di fuggir mosii'audoj
iticov rossi d’ Enea la fìnta imago,
E vi s’ascose. A cui dietro correndo
Turno senza dimora infurialo
Il ponte ascese. Era a I# prora a pe.na,
Glie Giunon ruppe il fune, £ diede al legno
Per lo travolto /nare impelò e fuga.
Cibo. — 33. [616-660]
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510 l’ ENEIDE. [1051-1074]
Intanto Enea, di Turno ricercando,
A battaglia il chiamava. Ed or di questo
Ed or di quello e di molti anco insieme
Facea strage e scompiglio ; e la sua larva,
Poiché di più celarsi uopo non ebbe,
Fuor de la nave uscendo alto levossi,
E con l’atra sua nube unissi e sparve.
Turno, così schernito, e già nel mezzo
Del mar sospinto, indietro rimirando,
Come del fatto ignaro, e del suo scampo
Sconoscente e superbo, al ciel gridando -
Alzò le palme, e disse: Ab dunque io sono
D’ un tanto scorno, onnipotente padre,
Da te degno tenuto'? a tanta pena
M’hai riservato? Ove son io rapito?
Onde mi parto? Chi così mi caccia?
Chi mi rimena? e lia eli’ un’ altra volta
«
Io ritorni a Laureatole eh’ io riveggia
L’ oste più con quest’ occhi? E che diranno
I miei seguaci, c quei che m’ han per capo
Di questa guerra, che da me son lutti
(Ahi vitupòro!) abbandonati a morte?
E già rotti gli veggio, e-già gli sento
(iridar cadendo. 0 me lasso! che faccio ?
• L«G 1-675]
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511
[1075-1098] libro x. ^
Qual è del jnar la piu profonda terra
Che mi s’ apra e m’ ingoi? A voi piuttosto,
Venti, incresca di me. Voi questo legno
Fiaccate in qualche scoglio, in qualche rupe,
Cir io stesso lo vi chieggio; o ne le Sirli
Mi seppellite, ove mai più non giunga
Rutulo che mi veggia, o mi rinfacci
Questa vergogna e quest’ infamia, ond io
Sono a me consapevole e nimico.
Così dicendo, un tanto disonore
In sè sdegnando, e di sè stesso fuori,
Strani, diversi e torbidi pensieri
Si volgea per la mente e con la spada
Passarsi il petto, o traboccarsi in mezzo,
Si com’ero, del mure, e far, notando,
Pruova o di ricondursi ond’ era tolto,
0 d’ affogarsi. E l’ una e 1 altra via
Tentò tre volte; e tre volte la Dea,
Di lui mossa a pietà, ne lo distolse.
Dal turbine c dal mar cacciato intanto
Si scorse il legno, che del padre Dauno
A 4’ antica mugion per forza il trasse.
Mezenzio in questo mentre che da l’ ira
Era spinto di Giove, ardente c fiero
[675-689]
512 l’ eneide. [4099-1122]
Entrò nc la battaglia; c^i Teucri assalse
Che già M cani[)o tcucan superbi c Iteli-.
Da I' altro canto le tirrene?schicte * .
Mossero iucontro'a lui. Conira, lui solo
S’unir tutti de’ Toschi e gli odi i e l’ armi;
Ed egli,- a tutti opposto, al peserò- scoglio
Sembrava, clic nel mar si sporga, e i fluiti ,
E i venti minacciar si senta intorno,
E non punto si crolli. Ognun eh’ a Vanti
0 l’ardir gli màndava o la fortuna
A’ piè si distendea. Nel primo incontro
Ebror di Dolicào, Làlago e Palmo
Tolse di mezzo. Ebro passò fuor fuori
Con un colpo di lancia : il volto c '1 teschio,
Un gran macigno a Làtago avventando,
Infranse tutto, ambi i garretti a Palmo
Ch’ avanti gli fuggfa, tronchi di netto,
Lasciò che rampicando a morir lunge
A suo bell'agio andasse [ma de l’armi
Spogliollo in prima, e lu corazza in collo
E 1 elmo in lesta al suo Lauso ne pose.
Occise dopo questi il frigio Evantej
Poscia Mimante ch’era pari a Pari
Di nascimento, c d’amor seco unito.
[6 DO- 702]
[H 23-1 J 46] . libro x. 513
D’ Amico nacque, e ne la stessa nollc * .
Tèónaia sua madre in luce il diede,
Che'diè Paride ai mondo Eeuba pregna
Di fatai fiamma. E pur l’un d’essi occiso
' Fu -ne la patria e l’ altro sconosciuto
Qui cadde. Era a veder Mezenzio in campo
Qual orrido, sannuto, irlo cignale
In mezzo a’ cani allor che da’ phieli
Di Vèsolo, o*da’ boschi o da’ pantani
Di Laureato è cacciato, ove moli’ anni
Si sia difeso; eh’ a le reti aggiunto
Si ferma; arruffa gli omeri, e fremisce
Co’ denti in guiso che non è chi presso
Osi affrontarlo, ma co’ dardi solo, •
E con le grida a inno salva d’intorno
(ìli fan tempesta. Cosi conira a lui *
Non s’arrischiando le nemiche squadre
Stringere i ferri, le. minacce e l’armi
Gli avvenlavan da lunge; ed ei fremendo
Stava intrepido e saldo, e con lo scudo
Shattea de 1’ aste il tempestoso nembo.
Di Còrito venuto a questa guerra
Fra un- greco bandito, Acron chiamato,
Novello sposo che, non giunto ancora
[703-720]
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5U
L ENEIDE.
[il 47- 14 70]
Con In sua donna, a le sue nozze il folle
Avea Tarmi anteposte. E in quella mischia
IV ostrp e d’ òr riguardevole e di penne,
Sponsali arnesi e doni, ovunque andava
Per le schiere facea strage e baruffa.
Mezcnzio il vide; e qual digiuno c fiero
Leon da fame stimolato, errando
Si sta talor sotto la mandra, e rugge ;
Se poi fugace damma, o di ramose
Corna gli si discopre un cervo avanti,
S’allegra, apre le canne, arruffa il dorso,-
Si scaglia, ancide e sbrana, e M ceffo e f ugne
D’atro sangue s’ intride ; in tal sembiante
Per mezzo de lo stuol Mezenzio altero
S’avventa. Acron per terra al primo incontro
Ne va rovescio; e Tarmi e ’1 petto infranto,
Sangue versando, e calcitrando, spira.
Morto Acronc, ecco Oròde, che davanti
Gli si lolle. Ei lo segue; e non degnando
Ferirlo in fuga, o che fuggendo occulto
Gli fosse il feritor, lo giunge e ’l passa,
L’incontra, lo provoca, a corpo a corpo
Con lui s’azzuffa, che di forze e d’armi
Più valea che di furto. Alfin l’atterra,
[720-735]
[1171-1194] libro x. 5 1 5
l
E 1* asta e’1 piè sopra gl’ imprime e dice :
Ecco, Oròde è caduto. Una gran parte
Giace de la battaglia. A questa voce
Lieti alzaro i compagni al ciel le grida:
Ed ci mentre spirava, Oh, disse a lui.
Qual che tu sii, non Ila senza vendetta
La morte mia: nè lungamente altero
N’ andrai: chè dietro a me nel campo stesso
Cader convientirA cui Mezenzio un riso
Tratto con ira, Or sii tu morto intanto,
Rispose, e quel che può Giove disponga
Poscia di me. Così dicendo il tèlo
Gli divelse dal corpo, ed ci le luci
Chiuse al gran buio ed al perpetuo sonno.
Cèdico occise Alcàto ; Socratóre
Occise Idaspe ; a due la vita tolse
Rapo, a Partènio ed al gagliardo Orsone;
Messàpo anch’egli a due la morte diede:
A Clònio da cavallo, mi Ericate,
Ch’era pedone, a piede. Agi di Licia
Movendo incontro a lui, fu da Valero
Valoroso, e de’ suoi degno campione,
A terra steso ; Atron da Sàlio anciso;
E Sàlio da Nealce, che di dardo
[73C-754]
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516 l’ EftEiDE. [1195-Ì2IS]
Era gran feritore e. grande arciero.
D’ambe le parti erano Morte c Marte
Del pari ; e parimente i vincitori
E i vinti- ora cadendo, ora incalzando, -
Seguian la zuffa; nè viltà* nè fuga
Nè di qua, nè' di là vedeasi ancora..*
I,’ ira, la pertinacia e le fatiche
Erano e quinci u quindi ardenti e vane.
E di questi e,di quelli aVean gli Dei,
*
Cdie dal ciel gli vèdean, pietà e cordoglio.
Stava di qua Cipr igna e di là Giuno
A rimirarli; e pallida framezzo -,
Di nlolte mila infuriando andava
♦
Ea nequitosa Erinni. Una grand' asta •
Prese Mezenzio un’altra volta in mano
E turbato squassandola, del campo
Piantoci in mezzo, ad Orlon simile
Oliando co’ piè calca, di Nèreo i fluiti,
f
E sega Tonde, con le spalle sopra *
A Tonde tutte; o qual da’ monti a l’aura
Si spicca annoso ceri o, e ’l capo asconde
lidi a Ip nubi. In tal- sembianza armato
Stava Mezenzio. Enea tosto clie’l vede
>
Patto incontro gli muove. Ed egli immoto
[754-770]
unno x.
517
| ili 9- «42 J
Di coraggio e'di corpo mi aspettarlo
Sta quaTpilastro in sè fondato e saldo.
Poscia eh’ a tiro d’asta Avvicinato ,
Gli fa d’ avanti, O mia destra, o mio dàrdo,
Disse, che dii mi siete, il vostro nume
A questo colpo imploro: ed a te, Lauso,
Già di questo ladroir le spoglie e Pórmi
Per mio trofeo consacro, li,' cosi detto,
Trasse. Stridendo ondò per 1’ aura il tèlo;
•Ma giunto, e -da lo scudo in altra parte
Sbattutoci lontan percosse Autore
Fra le costole c ’l fianco, Anton d’ Alcide
' » ,
Onorato compagno. Era venuto
D’Argo ad Evandro: e qui cadde il meschino
D’ altrui ferita. Nel cader le bici ^
Al ciel rivoHe, e d’Argo il dolce nome
Sospirando, le chiuse. Enea con l’asta
Ren tosto a lui rispose. E lo suo scudo
Percosse anch’egli, el’ interzate piastre
Di ferro e le tre etioia e le tre fa hi e
Di tela* ond’era cinto, inflno al vivo
Gli passò de la coscia. Ivi fermossi,
Chè più forza non ebbe. Ma ben tosto
-N
Ricovrò con la spada, e (iero e lieto,
[771-78GJ
518 l’ Eneide. [1243-1266]
Visto già del nemico il sangue in terra
E ’l terror ne la fronte, a lui si strinse.
Lauso, che in tanto rischio il caro padre
Si vide avanti, amor, téma e dolore
Se ne sentì, ne sospirò, ne pianse.
E qui, giovine illustre, il caso indegno
De la tua morte, e ’l tuo zelo e’1 tuo fatto
Pion tacerò; se pur tanta pielate
Fia chi creda de’ posteri, e dHin figlio
D’un empio padre. Il padre a si grgn colpo
Si trasse indietro, che di già ferito,
Benché non gravemente, c da l’intrico
De l’asta imbarazzato, era a la pugna
Fatto inutile e tardo. Or mentre cede,
Mentre che de lo scudo il dardo ostile
Di sferrar s’ argomenta, il buon garzone
Succede ne la pugna, e del già mosso
Braccio e del brando che stridente, e grave
Calava per ferirlo, il mortai colpo
Ricevè con lo scudo e Io sostenne.
E pereti’ agio a ritrarsi il padre avesse
Riparato dal figlio, i suoi compagni
Secondàr con le grida; e con un nembo
I) anni, che gli avventàr tulli in un tempo,
[787-801]
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519
[1267-4290] unno x.
Lo ributterò. Enea via più feroce
Infuriando sotto al gran pavese
Si tenea ricoverto. E qual, cadendo
Grandine a nembi, il vialor talora,
Ch’ in sicuro a l’albergo è già ridotto,
Ogni agricola vede, ogni aratore
Fuggir da la campagna ; o qual d’ un greppo
D’ una ripa, o d’un antro il. zappatore,
Piovendo, si fa schermo, e’I sole aspetta
Per compir l’opra; in quella stessa guisa,
Tempestato da L’ armi Enea la nube
Sostenea de la pugna; e Lauso intanto
Minacciando garria : Dove ne vai,
Mescbinello, a la morte? A che pur osi
Più ehe non puoi ? La tua pietà t’ inganna,
E sci giovine e soro. Eì non per questo,
Folle, meuo insultava : onde più crebbe
L’ ira del teucro duce. E già la Parca,
Vota la rócca e non pieno anco il fuso,
Il suo nitido filo avea reciso.
Trasse Enea de la spada, e ne lo scudo,
Che liev’era e non pari a tanta forza,
Lo colpi, lo passò, passògli insieme
La veste che di seta e d’ òr contesta
[802-818]
520
l’emeioe. [12D [ -43 H]
(ìli uvea la -stessa madre; e lui per inezzo
Trafisse, c moribondo a terra il trasse.
Ma poscia clic di sangue e di pallore
Lo vide asperso e della morte in preda,
Ne grillerebbe e ne pianse; e di paterna
Pietà quasi un imago avanti agli occhi
Vedtfl* gli pane, e’ntcnerito il core,
Slese la destra e sol levol lo, e disse :
Miserabil fanciullo! e quale aita,
•Quale il pietoso Enen può farli onore
Degno de le tue lodi e del presagio
Clic il’ hai dato di te 1 L’ armi che tanto
Ti son piaciute, a te lascio, e M tuo corpo
A la cura de’ tuoi, se di ciò cura
Ila pur 1’ empio tuo padre, acciò di tomba
E d’ ossequio l’ onori. E tu, mesebino,
Poi che dal grande Enea morte ricevi,
Di morir ti consola. Indi assecura,
Sollecita, riprende, c de l’indugio .
Garrisce i suoi compagni ; e.di sua mano
L’ alza, il sostiene, il terge e de la gora
Del suo sangue lo traggo, ove rovescio
(■iacea languido il volto c lordo il crine,
Che di rose eran prima e d’ostro e d’-oro.
[8 19-S32J
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[1315-1338} libro x. '* 521
• Stava dei Tebro in sii la riva intanto.
Lo sfortunato padre, e la ferita
Già lavata ne 1’ onde, afflitto e stanco
S’ era con la persona appo d’-un tronco
Per posarsi appoggiato ; e l’elmo arante
Da’ rami -gli pendea. L’armi più gravi
Sii ’l verde prato avcan posa con lui.
Stavagli intórno de’ più scelti un cerchio
E de’ più (idi. Ed egli anelo ed egro,
Chino il collo al troncone e ’l mento al petto,
Molto di Lauso interrogava, e molti
Gli mandava òr con preci or con precetti,
Ch’ai mesto pudr$ ornai si ritraesse.
Ma già vinto, già morto e già disteso
Sopra al sua scudo, a braccia riportalo
Da’ suoi con molto pianto era 11 meschino.
Udì Mezcnzio il pianto, c di lontano .
(Come del mal sovente è I’ uom presago)
Morto il figlio conobbe. Onde di polve
Sparso il canuto crine, ambe le mani
Al ciel alzando, al suo corpo accostossi :
Ab mio figlio, dicendo, ah come tanto
Fui di vivere ingordo, che soffrissi :
Te, di me nato, andar per me di morte
[833-817]
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522
L’ EHEIDE.
[1^.39-1362]
A si gran rischio, a tal nemica destra
Succedendo in mia vece? Adunque io salvo
Son per le tue ferite? Adunque io vivo
Per la tua morte? 0 miserabil vita,
0 sconsolato essiglio ! Or questo è ’l colpo
. Ch’ai cor m’è giunto. Ed io, mio liglio, io sono
C’ho macchiato il tuo nome, c’ho sommerso
La tua fortuna e’I mio stalo felice
Co’ demeriti mici. Dal mio furore
Son dal seggio deposto, lo son che debbo
Ogni grave supplizio ed ogni morte
A la mia patria, al grand’ odio de’ miei.
E pur son vivo, e gli uon\ini non fuggo?
E non fuggo la luce? Ah fuggirolla
Pur una volta. E, così detto, alzossi
Su la ferita coscia. E benché tardo
Per la piaga ne fosse e per 1’ angoscia,
Non per questo avvilito, un suo cavallo %
Ch’era quanto diletto e quanta speme
Avea ne l’armi, e quel che in ogni guerra
Salvo mai sempre e vineitor lo rese,
Addur si fece. E poi che addolorato
Sci vide avanti, in tal guisa gli disse:
flebo, noi siam fin qui vissuti assai
[S47-S6 1]
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523
[13G3-1383] libro x.
Se pur assai di vita ha mortai cosa.
Oggi è quel dì che o vincitori il capo
Riporterei!! d’ Enea con quelle spoglie
Che son de Parimi del mio figlio infette,
E che tu del mio duolo e de la morte
Di lui vendicato!' meco sarai ;
0 che meco, se vano è ’I poter nostro,
Finirai parimente i giorni tuoi;
Chè la tua fè, cred’ io, la tua fortezza
Sdegnoso ti farà d’ esser soggetto
A’ miei nemici, e di servire altrui.
Così dicendo, il consueto dorso
Per sè medesmo il buon Rebo gli offerse.
Ed ci l’elmo ripreso, il cui cimiero
Era pur di cavallo un’irta coda,
Suvvi, come potè commodumente,
Vi s’adagiò. Poscia d’acuti strali
Ambe cardie le mani, infra le schiere
hanciossi. Amor, vergogna, insania c lutto
E dolore e furore e conscienza
Del suo stesso valore accolti in uno
1 Tutte l’edizioni hanno armi, ma stmdo ai tetto
sicuramente apparisce che dovrebbe dire sanguk.
Il lettore giudichi di questi osservazione.
Ediz. Passigli.
[864-872]
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52i l’ eneìde. [I384-J407]
fili arseroil core e gli avvampato il volto.
Qui tre volte a gran voce* Enea sfidando
Chiamò; che tosto uilillo, c baldanzoso,
Così piaccia al gran Padre, gli rispose,
Cosi f inspiri Apollo. Or vien pur via,
Soggiunse. E ratto incontro gli si mosse.
Ed egli: Ali dispietato! a che minacci,
Già che morto ò ’i mio figlio? In ciò potevi
Darmi tu morte. Or nè h morte io temo,>
Nè gli tuoi' Dei. Non più spaventi. Io vengo
Di morir desioso;. e questi doni
Ti porlo in prima. E’I primo dardo trasse:
Poi l’altro e l’altro appresso ; c via traendo
Gli discorrea .d* intorno. Ai colpi tutti
Resse il doralo scudor E già tre volte
1/ Un girato il cavallo, e l’altro il bosco
Avca de’ datali nel suo scudo infissi,
Quando il figlio d Anchise, impaziente
Di tanto indugio c di sferrar tant aste,
VisloM suo disvantaggio, a molte cose
Andò pensando. Alfiu di guàrdia uscito
Addosso gli si spinse, e trasse il tèlo,
Si che del corridore il teschio infisse -
In mezzo de la fronte. Inalberossi
[872-S92]
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525
[1408-1 43 i] tiBRo x.
A r quel colpo 11 feroce, e calci a l’aura
Traendo, scalpitando, c '1 collo e ’1 tèlo
Scotendo, s’ intricò : càddtf con l’ asta,
Con l'arnvi, col campione a capo chino
Tutti in un mucchio. Andàr le grida alcielo
De’ Latini e de’ Teucri. E tòsto Enea
Cor bratrdo ignudo gli fu sopra e disso: . '
Or do*! éu quel sì fièro e sì tfomendo
Mezenzfo ? Ov’ò la sua tanta bravura*?
E’I Tosco a lui, poiché l’ afflitte luci v
Al ciel rivolse, e seco 'si ristrinse:
Crudele, a’cbe m? insulti ? A' me di biasmo
Non è oh.’ fo muoia { nè per vmeeiyteco
Venni a battàglia. 11 mio Lauso moreddo
Fe con te patto che morissi anch’io.
Solo ti prègo (se disgrazia alcuna '?
Son «legni i vinti) cheM mip’corpojasèl
Coprir di tèrra. Io so gli odii immortali
Che. mi portano i miei. D,»l furor loro
Ti supplico a sottrarmi, e col mio figlio
Consentir che mi giaccia. E, ciò dicendo,
La gota per. sé stesso al ferro offerse ;
E cdn nn fiume che di sa'ngué'sparse
Sopra 1’ armi vòrSò’Y'anima* e-M fiato.
Caro.— 34. ' [892-908]
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526 *-• ' [I*t8]
• ; • • " ' . *
" DELL' ENEIDE ‘ \
. Libro Undeci.^o/
5 .• - *
«V
Passò la notte intanto, e già dal mare
Sorgea P- Aurora. Enea, quantunque il tempo,
I,’ officio eia pietà più lo stringesse
A seppellire i suoi, quantunque offeso' *
Da tante mòrti il cor funesto avesse; /
Tosto che ’l sole apparve, ii» voto sciolse
De la vittoria. E sovra un picciol celle
Tronfia de’rami iina gran quercia.cresse :
De 1’ armi la Éinvolse, e de le spòglie
1/ adornò di Mezenzio e per trofeo . _ ,
A te, gran Marte, dedkolla. In cima
L’ elfno vi pose, e’h su l’elmo il cimiero,
Ancorali polve e d’atro sangue asperso- •
E’ aste d’ intorno^ attraversate e rotte
Stavan quai. secchi rami; e M tronco in mezzo
, Sostenea la corazza che smagliata
E da dodici colpi era tratta. • <■
Dal manco lato gli pcndea lo scudo :
- [1-403 *
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527
[19-42] LIBRO XI.
Al destr’ omero il brando era attaccalo,,,
Che’l fodro uvea d’ avorio e V else d’ oro,
- » * ' * -
Indi 4 suoi dopi e le sue genti accolte,
Che liete gli gridar vittoria intorno, -
In colai guisa r confortar si died^:-
Compagni, il più-s’è fatto. A qualche resta
Nulla terri eie. Ecco Mezenzio è morto
Per le mie mani, e queste che vedete,
L' opime spoglie e le. primizie sono
DqI superbo tiranno. Ora a le mura
Ce u’ andrena di Latino. Ognuno a Partili
S| accinga : ognun s’ affidi, e si'prometta .
Guerra e vittoria. In punto vi mettete,
Chè quando dagli augurii ne s’ aceenne
Di muover campo, e che mestici’ ne sia
D? inalberai’ P insegne, indugio alcuno
Non e* impedisca, o *1 dubio o la paura
Non ci ritardi. In questo mezzo a* morti
Diam sepoltura, e quel che lor dovuto
« È sol dopo la -morte, eterno onore.
Itene adunque, e quell’ ànime chiare ,
Che ti’hau col proprio sangue e con ia vita
Questa patria acquistata e tjtfcsto impero,
- I)’ ultimi doni ornale. E -primamente
[11-26]
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528 j/ emeide. [43-66J
Al mesto Evandro il Piglio si rimandi,
Che, di 'verta maturo c d’ anni-acerbo.
Così n’ha morte indegnamente estinto. •
Ciò- detto, lagrimando il'passo* volse-
Vèr la mangione; iPili Pollante il corpo
Dal vecchierello Aqète era guardato.
Era costiti già del parrasio Evandrg
Donzello d’ armi ; e' poscia per compagno.
Fu (ma non già con si lieta fortuna)
Dato al suo caro alunno. Avea coi! lui
D’Arcadi sudi vassalli e di Trbiani ' . • *■
Una g+an turili. Scapigliatele meste
Le doitn'e d’ìlio, compera usanza,
Gli piangevano intorno ; e non fu prima
Enea comparso, die le strida e i pianti
94 rinovaro. il batter de le mani,
Il suon de’ petti, e de l’albergo i mùgghi
IN’ andar fino a le stélle. Ei poi clic vide *
Il suo corpo disteso, e ’l bianeo volto,
E I’ aperta ferita che nel petto - .
Di man di Turno avea larga e profonda,
Cagri mando proruppe» 0 miserando
Fairciullo, e che hi i vai. s’ amica e destra
Mi si mostra fortuna ? E che ih’, ha dato,
[26-43]
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[G7-90], LIBRO XJ. 09
* - '
Se te m’ ha tolto ? Or che vincendo ho fatto.?
Che regnando faj*ò, se tu non' godi . -,
De la vittojria mia, nè del mia regno?
Ah ! non fee'io queste promesse al loju
Ai buon Evandro, eh’ a I’ acquisto -venni
Di quqtfUMinpéi‘0. E ben temette il saggio*
E benone ricordò chè duro intoppo;
E d’ aspra genteyavremmo. E forse ancora
Il meschino or fa voti e preci e doni
Per la nostra salutò, e' Vanamente
Vittoria s’ impromette. E pg] con vana
Pompa gli riportiam questo. infelice
Giovine di 'già morto, e di già nulla
Più tenuto a’celesif.'Ahi sconsolale
Padrei vedrai tu jdunque una' si cruda .
Morte del figlio tuo ? Questo-eit orno,
Questo trionfo, oim^l d’ ambi aspettarvi?
E da uve questa fede ?'0h- pur, Evandro, .
Noi vedrai-già di vergognosi piaghe
Ferito* iT tergo ;'è non gli arai tu stesso
(Se con infamila te vivo tornisse}
A desiar la morie. Ahi quanto- manca
Al sossidio d’Ilpliu, e quanto perdi,
Mio figlio kdol E, posto ai pianto fine,
[41-59]
à30
l’-eneide.
[91-114]
« é *
Ordine diè che ’l miserubil corpo
Via si togliesse; e del suo campo tutto
Scelse di mille una pregiat-a schiera
('.he scorta gli facesse e pompa intorno,
K d’ Evandro a le lagrime assistesse,
K le sue gli mostrasse; a tanto lutto
Assai dehil conforto, è pur-flovuto
Al suo misero padre. Altri al suo corpo,
Altri a la bara intenti avean di quercia,
D’arbulo e di tali altri agresti rami
Fatto un farètra di virgulti intesto,
lì di (rondi coperto, ove altamente
Del giovinetto il delicato busto
Composto si gtacea qual di viola,
0 di giacinto un languidetto fiore
Còlto per man di vergine, e serbato .
Tra le sue st_esse foglie plldr che scemo
Non è del lutto il suo natio colore,
Nò la sua forma; c pur da la sua- madre
Putito di cibo o di vigor non ave.
Enea due preziose vèsti intanto
F’ una d’ òr fino e l’altra di scarlatto.
Addursi fece; ambe ornamenti e doni
De la sidonia Dido, c da lei stessa
[89-74]
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[ifcMSS] LIBRO XU Olii
Con-"doJce studio e con irfi-rabil arte
f . 1 m •
Ricamate e distante: E 1* urta indosso
Gli pose, e l' altra wi capo, ultimo onore
Con che dolente I? dorata chiòma ‘ ;
Àtlor velògli,.ch’era additta al foco.
De le prede -oltre a ciò di LaiirentO1-
Gli fa gran parte. Fagli in ordinanza
Spiegar V armi, i cavalli e l’ altre Spoglie
Tolte a’ nimici. Gli fa gir legati
Con le man dietro i destinati a mofte
Per ouoranza del funereo vogo.
Portar gii fa d’ avanti a’ duci loro
L’ armi ai tronchi sospese, e i nomi scritti
Degli occisi c de’ y ititi, li secchio Acete
Che, si cpm’ era afflitto e d’anni grave,
Gli era appresso condotto, or con le pugna
Si battea ’l petto, cd ór con P ugna il volto
Si latfersfva, e Ira ig polve e’I fango
Si volgea tutto, Ivano i carri aspersi
Del sangue de’ Latini, iva, lugubre,
E d’ ornamenti ignudo Eto, il più fido
Suo cavai da battaglia, che gemendo
■ In guisa umana e fagiitnando andava.
Seguian le meste squadre i Teucri, i Toschi
[75-92]
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r* J£ gli Archili, "con 1’ armi e con l’ insegne.
Rivolte a terra. Or poi -eh’ oUrcpassalii
. . Con quest’ordine (a la pompa tutta,
tue» ferflaossi, e verso il morto amico . • .
0 . Ad alla voce sospirando-disse;, ' .
• Noi qui nei-' ad altre lagrime chiamati
Dal medesimo fato-, altre battaglie
Imprenderemo. E tu, magno Fallante,
Vattene., in pace, e cbn eterna gloria
Godi eterno riposo. Indi partendo
Vèr Falle mura, al campo si ritrasse.
Eran Ocl eainpo già co’ raini avàuti
J. Di pacifera oliva ajnbasciadori
De la città latina a lui venuti,
Che tregua a’vivie Sepollucaa’ morti
« t
v Fregando, gli mostràr che più co’. vinti
Nè co’ mqrti è contrasto, e che Latino
Gli era d’ ospizio amico, e .che chiamato
^ L’ avea-genero in prima. Il buon Troiano •
A le giuste preghiere, ai lor quesiti, - ^
• . Che di grazia' eVan degni, incontinente
Grazioso mostrosji; e da vantaggio I
i Costlor disse :'E qual indegna sorte. m- '• .
Conira me, miei Latini, in tanta guerrìr- -
[93-108]
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533
[163-186] libico xi.
Così v’ intrica ? chè pur vostro amico
San qiiTycnuto; nè venuto ancora
Vi sarei, se da’ fati e dagli Bei*.
/ * *
Mandato io non vi fossi. E non pur paca, ,
Siccome vói chiedete, To vi concedo
7 . j t
Per color che sou morti, ma codivi v
Ve T offro, e la vi^hieguo. E* la mia guerra -•
.Non è con voi : tpa ’l vostro Ve s’è tolto
Da 1’ amicizia mia ; s’.è confidato
Più ne l’armi di Turno, c ^Turilo ancora
• I
Meglio e più giustamente in ciò farebbe,
•S’a questa guerra sol- con suo periglio
Ponesse fine. E poiché si dispose fc
Di cacciarmi d’ Italia, rtsuo dovere
Fora stato che meco, e con quest’ armi
Diffidila 1’ avesse. E saria visso
Cui la sua propria deslra e Dio concesso-
Più vita avesse i "Vostri cittadini
Non sarian morti. On poiché nlorti sono,
Io me ne dolgo, e voi gli seppellite.
Resterò al#dir <F Enea stupidi e cheti
1 latini oratori, e l’ un con V altro
Si guardarono ifl volto. Indi il più vecchio, .
I>rance nomato, a. cui turno fu sempre
[109-1-23]
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534 l* eixeide. [187-210]
Per sua natura e per sua colpa ifl fra,
Rotto il silenzio in tal guisa rispose:
0 di fama e più d’ arme eccelso e grande
Troiand Eroe, qual mai fia nostra lode
Cfie’l tuo gran mer.to agguagli?E dicho-prima
Ti loderemo? ch’io non veggio quale
In te maggior si mostri, o la giustizia,
<) la gloria de Panili. A questa tanta
Grazia, che tu ne fai, grati saremo:
Rapporto ne faremo ; è s’ al consiglio
Nostro sfortuna umica, amico ancora
Ti ha Latino. E cerchisi d’altronde
Turno altra lega. A noi co’ sassi in collo
Gioverà di trovarne a fondar vosco
Questa vostra fatai novella Troia.
. Poi che Drance ebbe detto, ai detti suoi
Tutti gli altri fremendo acconsentirò,
E per dddici. di commerzio c pace
Imi tra 1’ un oste e l’altro. E senza offesa^
Entrambi si mischiaro, e per gli monti
h per le selve a lor diletto andaro.
Allor sonare accétte, e strider carri
Per tutto udissi. In ogni parte a terra
Ne giro i corri c gli «orni c gli alti pini
[133-430]
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1
[2H ;**J1
K gli odorati cedri ai funebre- usa -
Svelti, squarciati e tronchi E W i, f
^IlanleaPallantèo.^
>tea pria le sue prove, e vincitore r .
L avea gridato, or d’.ogoi parte grida
Che -morto si rinorf’ì in ’
I a ri!,., , . P a’ CIO commossa . .
, “ r“'' ,UUi>’ vcdovHe aspetto
!>< funeste facell.e, e d’atri panni
^ vtde pteua j c vèr le porte ognuno .
P "lco"lr<>- Si vede» di lumi •
E Ji geni, una fila «Ite le strade
. . camp. lunga pompa attraversava.
Pii 'B' C.8 ' ' tUl suo corpo intanto *
tangendo ne veniali da V altra parte
E eoa p, ante- incontrarsi. Indi rivolti ’
r“lV 'a ci"4- "co pria far giunti.
Clic di pianti di donne e d’ululati
Risonar tl-pgii- intorno il cielo udissi..'
Re forza, ne consiglio, ne decoro,
o eh Evandro tenesse. Usci nel mezzo
, ' lnt,a «enlci c la funèrea bara
panando, addosso al figlio 'in abbandono
; fe Ò’ 1 cRRracctd, stretto lo tenne
l-coga fiatale da I’ angoscia oppresso
[137-150]
536
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53fr ( l’ p.keide. [235-258]
Pria lacrimando, e sospirando tacque. ' *
Poscia (astraila al grap dolore aperta '
Così proruppe; Oinió Pallente, e queste*
Fùr le promesse tue, quando partendo
Il tuo padre lasciasti ? In questa guisa
D’ esser guardingo e cauto ini dicesti “ *
Ne! perigli di Marte? Ah! ben sapeva,
Ben sapev’ io quanto ne l’armkprime
Fosse, in cor generoso, ardente ’e dolce
Il desio de la. gloria e de F onorev
Primizie infauste, infausti fondameli H-
De la tua gioventù ! Vane preghiera
Voti miei non accetti c non intesi
Da niun dio! Santissima Consorte,
Che morendo fuggisti un dolor tale,
Quanto sei tu di tua (porte felice !
Quanto infelice e misero son io,
Che vecchio e padre al mio diletto figlio
Sopravivendo, i miei fati e i miei giorni
Prolungo a mio tormento f Ah foss’ io stesso
Uscito co’ Troiani a questa guerra !
Ch' io sarei morto; e questa pompa avrfeblie
Me così riportalo, e non, Pallente.
Nò per questo di voi, nè de la lega,
[150-164]
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[259-282] «lirico xi. . 537
Nè de T ospizio vostro to mi. camma reo,
' I
Troiani' amici.. E Ca a la mia vecchiezza ~
Questa' sorte dovuta. E se davea . ,
Cader òlio figlio, perciiè tanta strage -
Io vedessi.de’ Volaci, e perchè Lazio
Fosse a’ Teucri soggetto, jn pace io soffro
Che sia caduto..^ più compito onore
Non onèsti da me, Pallante mio,
Di questo che ’l pietoso c maglio Enea .
E i suoi magni Troiani e i Toschi duci
E tutte insiemi le toscane genti f
V Iran procurato. Con sì gran trofei .
Del tuo valor sì chiara mostra han. fatto,
E de’ vinti da te. Nè fòra meno -
Tra questi il tuo gran tronco, s’ a te fosse,
r
Turno, st&to d’età pari il mio figlio, t !
E par de là persona e de le forze .
Che ne dan gli anni. Ma che più trattengo
Quest’ armi. a’ Teucri ? Andate, edu miffcparte
Kiferite.ad Enea,. che qqel ch’io vivo> .
Dopo Pallante, è sol perchè l’invitta
Sua destra, come vede, affiglio mio
Ed a me deve Turno. E questo solo
Gli manca pei* eolmar-la sua fortuna
[164-179]
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~v
538 l’ eneide. [283-306]
E ’l suo gran merlo ;,chè p.er mio conlenio
Noi curo; e contentezza altra non deggip
Sperare io più, clic di portare io stesso
Questa novella di Fallante a Fì)inbra.
Avet» l'Aurora col suo lun>e intanto
%
Il giorno e T opre e le fatiche insieme
Ricondotte a’ mortali. Il padre Enea
E ’l buon Tareonte, ambi, in su’! curvo lito
I cadaveri addotti, a’ suoi ciascuno,
Com’era l’uso, un’alta pira eresse,
* *
La compost; c I iircese. E mentre il foco x
Ili fumo e di caligine coverto
Tenea IVaere intorno, in ordinanza
Tre volte, armatila pie la circondaro,
E tre volte a cavallo, in mesta guisa
Ululando, piangendo, e 1’ armi e’I suolo.
Di lagrime Spargendo.' Inlino al cielo ' '
PenelrAr de le genti e de le tube
I dolorosi accenti. Altri gridando.
, i **■ •
Le pire intorno, elmi, corazze e dardi
E ben guarnite spade e freni e ruote
Avventaron nel foco, e de’ nemici
Armi d’ogni maniera, arnesi e spoglie ;
Altri i lor propri doni, e degli occisi
[1SO-Ì95]
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LIBRO XI.
539
[307-330}
Medeémi vi gittàr 1* aste infelici,
E gl’infelici scudi, and’ essi invano
S’eran difesi. A le cataste intorno
Mólti gran buoi, molti' seiosi porti,
Molte fui* pecorelle occise ed arse.
A. si mestospèttacold in sul lito
Stavan nitri piangendo, altri osservando
Ciascuno i suoi più cari, infin che ’l foco
Oli consumasse. E questi l’ ossa; e quelli
Le ceneri accogliendo, il giorno tutto * *
In sì pietoso officio trapasserò:
Nè se ne tolser finché, spenti i fochi, •-
Non «’ acceser le stelle. In altra parte
I miseri Latini aheorpi loro
Per catasteHnfinite. Altri sotterra
Ne seppellito ; altri a le ville intorno,
Ed allrPa la città ne trasportare.
E quei che senza numero confusi - '
Giacca# nebeampo, senza onore a mucciii
Furon combusti; onde i villaggi insieme
*
E le campagne di funesti incendi
Lucean pet tutto. E tre luci, e tre notti
Dìn àr gli afflitti amici e i dolorosi
Parenti a ricercar le liepid’ osso,, j
* [196-212]
5 40
l’ ENEIDE. [33 I «354,]
* X
E ne l’urne riporle e ne’ sepolcri.
Ma la confusion'c e ’l pianto eJl duolo
Eran ne la città penja più inu le,
E ne la reggia al re Latino avanti.. •
Qui le madre, le nuore, le sorelle
E i miseri pupilli, che de’ padri, .
De’ figli, de’ mariti e de’fralelli
Erano in questa guerra orbi rimasi,
La guerra abboni ina vano e le nozze
Detestinoli di Turno. EL (la sè*«tesso, ,
Dicendo, èi che d’italia al regno -aspira,
E le grandezze e i primi onori agogna-.
Con P armi e col suo sangue le s’acquisti,
E non col nostro. In èiò Drancc aggravando
Vie più le cose, corne a Turno inCesto,
Attestando dicca che sol con Turno
Volea briga il Troiano, e che sol esso
'Era a pugna con lui cerco e chiamato.
Altri d’ altro parere, altre ragioni
Diccanper Turno; e ’l gran nome d’Aniala
E’I suo favore e'di.liii stesso il merlo
Con la fama de’ suoi tanti trofèi * *
Sostencan la sua causa. Ed ecco, intanto *
Clic così si tumultua e si travaglia,
[213-225]
. «
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LIBRO XI.
541
[355-378]
Mesti sopravvenir gl' imbasciadori
Ch* in Arpi a Diomede avean mandali;
E riportar, die le fatiche c i passi
Avean perduti : che nè dono alcuno, -
Nè promesse, nè preci, nè ragioni
Furon bastanti ad impetrar soccórso
Nè da lui nè da' suoi. Ch’era d’altronde
Di mestiero a- Latini avere altr’armi,
0 trattar co' nemici accordo e pace.
Gran cordoglio sentitine, c gran raiumurco
Ne fece il re Latino. E ben conobbe
Che manifestamente Enea da' fati
Era portato ; e via più manifesta
Si vcdea degli Dei l’ira davanti
In lauta che de’ suoi negli occhi uveu
Strage recente. Il gran consiglio adunque,
E de’ suoi primi, ne la regia corte
Chiamar si fece. In un momento piene
Ne fur le strade; e di già tutti accolti
Ne la gran sala, il re, di grado e d’ anni
H primo, a tutti in mezzo, in non sereno .
Sembiante comandò che primamente
1 Legati che d’Arpi eran tornati,
Fossero uditi; ed a lor vólto disse:
Ciro. — 35. [226-240]
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5 42
l’ eìieide. [379-402]
Esponete per ordine il seguito
De la vostra imbasciata, e la risposta
Clic ritratta n’ avete- A tal precetto
Tacquero tutti; e Vènolo sorgendo, *
Cosi pria cominciò: Noi dopo molli ,*
Superati pericoli e fatiche,
Egregi cittadini, al campo argivo
Ne la Puglia arrivammo; c Diomede
Vedemmo aitine; c quell’ invitta destra
Toccammo, ond’è’l grand’ Il io arso c distrutto.
In lapfgia il trovammo a le radici
Del gran monte Gargano, ove fondava.
Già vincitore, Argiripa, una terra
Che dal patrio Argirippo ha nominata.
Intromessi clic fummo, il presentammo;
Gl i.es ponemmo la patria, il nome e ’! fatto
De la nostra imbasciata, e la cagione
Onde a lui venivamo. Il tutto udito, •
Cosi benignamente ne rispose:
0 fortunale genti, o di Saturno
Felice regno, o degli antichi Ausoni
Famosa terra! E quale iniqua sorte
Da la vostra quiete or vi sottragge?
Qual consiglio, qual forza vi costringe
[240-254]
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- 7^'
5- *
[403-426] libro xi. 543
Di nemicarvi e guerreggiar con genio
Che non v’è noia ? Noi quanti già furarne^
Col ferro a violar di Troia i campi
(Non parlo degli strazi e de le stragi
Di quei che vi rimasero, chè pieni
Ne sono i fossi e i lìurni ; ma quanti anco
N’uscimmo con fa vita), in ogni parte
Siam poi giti del mondo tapinando,
Con nefandi supplicii, e con atroci
.Morti pagando il fio, come d’ un grave
E seelerato eccesso. E non ch’altrui,
Priamo stesso a pietà mosso avrebbe
Il fiero, che di noi s’ c fatto scempio.
Di Palla il sa la sfortunata stella;
Sallo il vendicato!’ Calar co monte
E gli Euboici scogli : il .san di Pròteo
Le longinquc colonne, insino a dove,'
Dopo quella milizia, andò ramingo
L’ un de’ figli d’Atrèo. D’ Etna i ciclopi
Ne vide Ulisse. Il suo regno a’ suoi servi
Ne lasciò Pirro. Idomenèo caccialo
Ne fu dal patrio seggio. Esso re stesso,
Condottici* degli Argivi, il piede a pena •
Nel suo regno ripose, clic del regno*
*!3B5sfi
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544
l’ ejeide.
[427-450]
Del letto e de la vita anco privato
Fu da la scelerata sua consorte.
Nò gli giovò che doma l’Asia e spento
1/ uno adultero avesse; che de l’altro
Scherno c preda ripose. A me l’ invidia
Ha degli Dei di più veder disdetto
La mia bella città di Calidóna,
E la mia cara e desiata donna.
*
Nè di ciò sazii, orribili spaventi
NI i danno ancora. E pur dianzi in augelli
Conversi i miei compagni (o miseranda
Lor pena !) van per l’aura e per gli scogli
Di lagninosi accenti il cielo empiendo.
Questi sono i profitti e le speranze
Ch’io fin qui ne ritraggo, da che, folle!
Stringer contro a’ celesti il ferro osai,
E che di Citerèa la dèstra offesi.
Or eli’ io di nuovo una tal pugna imprenda
Testò con voi? no, no, ch’io co’ Troiani,
Dopo Troia espugnala, altra cagione
Non fio di guerra ; e de’ passati mali
Volenticr mi dimentico, e dolore
Ancor nc sento. E, quanto a’ doni, andate,
Riportateli vosco, e ’l magno Enea
[267-282]
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LIBRO XI.
[454-474]
45
Ne presentate. E. solo a me credete
Del valor suo, che fui con esso a fronte
Con Tarmi in mano; e so di scudo e d’asta
Qual mi rese buou conto, e quanto vaglia.
Se due tali altri avea la terra Idèa,
D’ Ida fòra piuttosto ita la gente
Ai danni de la Grecia; e’1 troiai) fato
Piangerebb’ella. Enea sol con Ettorre
Fu la cagion che tanto s’ indugiasse
La ruina di Troia, c che diece anni
Durammo a conquistarla. Ambedue questi
Eran di cor, di forze e d’arme uguali,
Ma ben fu di pielate Enea maggiore.
10 vi consiglio che, comunque sia,
Lega seco, amicizia e pace aggiate,
E T incontro fuggiate e Tarmi sue.
Questa è la sua risposta; e quinci avete,
Ottimo re, qual sia di questa guerra
11 suo parere e’1 nostro. A pena uditi
Furo i Legati, che bisbiglio e fremilo
Infra i turbati Ausoni udissi, in guisa
Che di rapido fiume un chiuso gorgo
Mormora allor che fra gli opposti sassi
S’apre la strada, er gorgogliando cade,
[282-298]
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546 l’ ENEIDE. [475-49 8]
li frange c rugghia, e le vicine ripe
/Se risonan d’intórno. Or poiché un poco
Hestò ’1 tumulto, e gli animi acquetarsi,
fili Dei prima invocando, un’altra volta
Il re da 1’ alto seggio a dir riprese:
Latini miei, lo mio parere e ’l meglio
Sarebbe stato, che d’un tanto affare
Si fosse prima consultato, e fermo
Il nostro avviso; e non chiamar consiglio,
Quando il nimico in su le porte avemo.
Una importuna e perigliosa guerra
S’ è, cittadini, impresa, e per nimica
Tolta una gente, che dalvciel discesa,
Da’ celesti e da’ fati è qui manda'ta.;
Feroce, insuperabile, indefessa,
Ne 1’ armi invitta, che nè vinta ancora
Cessa dal ferro. Se speranza alcuna
Negli esterni soccorsi e ne l’aita
Aveste degli Etòli, ora del tutto
La deponete; e sia speme a sé stesso
Ciascun per sé. Ma noi per noi, che speme
E che possanza avemo? Ecco davanti
Agli ocelli vostri, e fra le vostre mani
Vedete la strettezza e la mina
[299-311]
5 i 7
[499-522J libro xi.
In che noi siamo. Nè però ne’ncolpo
Alcun di voi. Tutto ’l valor s’ è mostro
Che mostrar si polca; con tutto ’l corpo, “
E con quanto ha di forza il nostro regno
S’ è combattuto. Or quale in tanto dubbio
Sia la mia mente, udite. È bel mio stalo
Vicino al Tebro un territorio antico,
Clic in vèr l’occaso per lunghezza attinge
Fin dove de’ Sicani era il confine.
Dagli. Rululi è cólto e dagli Aurunci,
Che i duri colli c i piu deserti paschi
Ne tengon da l’un canto: » questo aggiungo
Quella piaggia di pini e quella costa
De la montagna ; e tutto. è mio disegno
Che si ceda a’ Troiani e eh’ amicizia',
Accordo e patti e lega e leggi eguali”
Abbiam con essi ; e qui, s’ a qui fermarsi
Sono o da’ fati o dal desire indotti,
Ferminsi ; e i loro alberghi e le lor mura
Fondino a lor diletto. E s’ altra parte»
Cercano ed altre genti (se pur ponno
Tórsi da noi) quando di venti navi,
O di più sovvenir ne gli bisogni,
Su la stessa marina apparecchiata
[311-327]
548 l’ Eneide. [523-546]
È la materia. Essi ile’ legni il modo,
E M numero diranno ; e noi le selve,
ha maestranza, i ferramenti, e tutto
Elie fia lor di mestiero appresteremo.
Con questa olTerta io manderei de’ primi
De la nostra città cento oratori
Co’ rami .de la pace, col mandato
Di contrattarla, co’ presenti appresso
D’avorio e d’ oro, e col seggio e col manto
Del nostro regno. Consultate or voi,
Ed a I’ afflitte e mal condotte cose
D’aita provvedete e di soccorso.
Sursc allor Drance, quei che già s’è detto
Avversario di Turno. Era costui
Del regno de’ Latini un de’ più ricchi
E de’ più riputati cittadini :
Di fazion, di seguito e di lingua
Possente assai; ne le cqnsulte avuto
Di qualche stima; nel mestici* ile l’armi
Codardo, anzi clic no. La sua chiarezza
Iv’l suo fasto venia da la sua madre
(.li’ era d’alto legnaggio. Il padre a pena
Era noto a le genti. Or questo infesto
A la gloria di Turno, asperso il core
[328-342]
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LIBRO XI.
549
[547-570]
D’ amarezza e <i’ invidia, in questa guisa
li suo fatto aggravando, e l’ ire altrui
Irritando, parlò: Chiaro, evidente
E necessario, ottimo re, n’è tanto
Quel che tu ne consigli, che bisogno
D’altro non ha che di commune assenso.
Ognun vede, ognun sa quel che conviene •
In sì dura fortuna; e nullo ardisce
Pur d’aprir bocca. Libertnte almeno
Di parlar ne si dia. Scemi una volta
Tanta sua tracotanza e tanto orgoglio
Chi co’ suoi male avventurosi auspici,
Co’ sinistri suoi modi (io pur dirollo,
Benché d’armi e di morte mi minacci) ✓
N’ ha qui condotti, c per cui tanti duci,
Tanta gente è perita, e tutta in pianto
Questa cittade e questo regno è vólto :
Mentre ne la sua furia, o ne la fuga
Confidando piuttosto, il troian campo
Ha d’assalire osato, e fin nel Ciclo
Posto ha con I’ armi sue tema e scompiglio.
Solo un dono, signor, fra tanti doni
Che si mandano a’ Teucri, un sol n’aggiungi ;
Nè consentir che violenza altrui
[342-354J
5 50
l’ enei de. [574-594]
Tel proibisca. Dà’, buon padre, ancora
Questa Uni 'figlia a genero sì degno,
E con sì degno maritaggio eterna
Ea’ questa pace. E se M terrore è tanto
Cile s’ ha di lui, da lui stesso impetriamo
Grazia e licenza che la patria sua,
Chc’l suo re prevaler si possa almeno
Del suo sangue a suo modo. E tu cagione,
Tu di tonfa mina autore e capo,
À che pur tante volte a tanti strazi,
A tanti rischi, a manifesta morte
Questi tuoi meschinelli ci tt ad mi
Esponi indarno ? E qual .è ne la guerra
Più salute o speranza ? A te noi tutti
Pace, Turno, chiedemo, e de la pace .
Quel eh’ è sol fermo e ’nviolabil pegno.
Ed io prima di tutti, io cui tu fingi
Che nimico ti sia (uè tal mi curo
Che tu mi tenga) a supplicar li veglio
Umilemente. Abbi pietà de’ tuoi ; -
Pon giù la stizza; e poi che sci cacciato,
Nattene. Assai di strage, assai di morti
S è visto: assai ne son le genti afflitte,
\edo\i i tetti e desolati i campi;
[351-367]
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LIBRO XI.
[596-618]
55 1
Ma se 1’ onor ti muove, e se concepì
Di te tanto in te stesso, e tanto agogni .
O la donna, o la dote, a che non osi
Contea a chi te ne priva? A Turno adunque
llegno col nostro sangue e regia moglie
Procureremo : e noi vili alme, e Turba
Non sepolta e non pianta, a’ cani in preda
Giaeeremo in su’ campi? Or tu, tu stèsso,
Se tanto hai d’ ardimento c di valore
Dal paterno legnaggio, a lui rispondi,
A lui ti volgi, che ti sfida e chiama* '
Turno eli’ impetuoso e’ violente
Era da sè, questo parlare udito,
Alto un gemito trasse, e d’ira 'acceso
Così proruppe: Usanza tua fu sempre,
Drancé, allor ché di mani è più bisogno,
Oprar la lingua; essere in corte il primo,
L’ultimo in campo. Ma non più parole
In questo loco, chè già pieno troppo
Ne T bai; pur troppo grandi c troppo gonfie
L’ av veuti, è senza rischio or eli’ i nemici
Son lunge, e buone fòsse e buone mura
, ■ •
Ci son di mezzo, e non c’inonda il sangue.
Apri qui bocca al solito, e riittuona
[368-383]
)
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552
l’ eneidc. [6 i 9-642]
Con la facondia tua. Tu, clic sei D rance,
Me, che son Turno, imbelle c vile appella ;
Tu la cui dianzi sanguinosa destra
Pieni i campi di morti, e pieni i colli
Ha di trofei. Ma clic non pruovi ancora
Questa tua gran virtù? Forse ch’avemo
A cercar de’ nemici ? Ecco d’ intorno
Ci sono, e hi su le porte. Andrein lor contra ?
Che badi? Ov’è la tua tanta prodezza?
Sempre è nel vento, sempre è ne la fuga
De la lingua c de’ piè? Tu mi rinfacci
Ch’io sia cacciato? Tu, vituperoso,
Di dirlo osasti? e chi meritamente
Sarà clic ’l dica? Oh! non s’è visto il Tebro
Fatto gonlio da me del frigio sangue?
Non s’è vista la casa e ’l seme tutto
Spento d’ Evandro, c gli Arcadi spogliati
D’ armi e di vita? Io non fui già da Pandaro
Cacciato, nè da Bizia, nè da mille
Che in imi dì vincitore a morte io diedi,
Circondato ila loro e cinto e chiuso
Da le lor mura. Nulla è ne la guerra
Più salute o speranza. Al teucro duce,
A te, folle, al tuo capo, a le tue cose
[383-400]
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LIBRO XI.
[643-666]
553
Fa’questo annunzio. E non tutto in soqquadro
Por con tanta paura, e tanta stimu
Clic fui de la prodezza e de te forze
D’una gente, -che già due volte è vinta;
E non .tanto avvilir da l’ altro canto
L’armi del re-Latino. Ai Mirmidóni
*
Son ora, al gran Diomede, al grande Achilie
I Teucri formidabili c tremendi;
E dal mar se ne torna per paura
1/ Àufido indietro. E forse che non .(|nge
Temer di me, perchè il mio fallo aggravi 1
Malvagia astuzia ! Ma non più per nulla
Vo’clte ne tema. Un'anima si vile
Non li torrà la mia destra già mai.
Slicsi pur teco, e nel tuo petto alloggi,
Di lei ben degno albergo. Or a te veguo,
Gran padre, e M tuo parer discorro, e dico:
Se tu più non t’affidi, c più non credi
Ne T armi tue; s* abbandonati affatto
Siam d’ ogni parte; se una volta rotti,
Siam per sempre perduti ; e se fortuna,
Variando le veci, unqua non cangia,
Signor, pace imploriamo ; e V armi in terra
Gittando, a giunte mani accordo e venia
[400-414]
/
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554
L’ E.tEIDE.
[667-G00]
Impelriam dai nemici. Ancorché, quandd :
Oh! del nostro valor punto rn noi fosse.
Sopra tutti felice, riposato,
E glorioso spi ri lo sarebbe
Chi, per ciò non veder, morto si fosse.
Ma se le nostrc,forze ancor son verdi,
Là nostra gioventù florida, intatta,
Disposta e pronta a l’armi, e per sossidio
I popoli d’Italia e le cittadi
Son con noi tutte; e s’ a’ nemici ancora
Sanguinosa, dannosa e poco lieta
È questa gloria; ed bau de’ morti, aneli’ essi
La parte loro; c la tempesta c pari .
D’ambe le parli; a che nel primo intoppo
Con tanto scorno, a noi stessi mancando,
Dittarne a terra? A che tremare avanti
Che la tromba si senta? A la giornata
II tempo stesso, il variar de’ casi;
L’ industria, le vicende, il moto e ’l giuoco
Potria de la fortuna in molle guise,
Come suol I’ altre cose, ancor le nostre, •
Cangiando, risarcire, c porre in saldo.
Non avrem Diomede in nostro aiuto:
Avrem Messa po; avremo il fortunato
[4U-429]
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555
%
[091-714] LIBRO XI.
Tolunnro; avrem tant’ altri incliti duci
Di (ani' altre città. Nòdi ruen gloria,
INè di minor vertù saranno i nostri
Di Laurcnto e di Lazio. Avrem Camilla.
La, gran volsca virago, che n’addusse
Di cavalieri e di caterve armate
Si bella gente. E se me solo appella
Il nemico a battaglia, e se v’aggrada
Gite sol io gli risponda ed io sol osto
Al ben commune, io solamente assumo
Sopra me questa impresa. E già non credo
Che le mie man sì la vittoria abborra,
Che per tanta, -eh' io u’ aggia, e speme e gioia
Accettar non ladeggia. And tògli incontro
Con I’ animo, se fosse anco maggiore
Del magno Achille, c come Adi ille aneli’ egli
L’armi di Mongibello indosso avesse,
lo Turno, io che non punto a qual si fosse
Mai degli antichi di valor non cedo,
Questa mia vita stessa a voi, Latini,
Kd a Latin, mio suocero consacro
Solennemente. Enea me solo invita.
L’accetto, il bramo e ’l prego, anzi che Drance,
S’ ira è questa di Dio, con la sua morto
[429.443]
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556 l’ enbide. [715-738]
La purghi, o che la gloria me ne tolga,
S’ è pur gloria e vertute. In colai guisa
Consultando i Latini, avean tra loro
Dispareri e tenzoni. Usciti a campo
Erano i Teucri intanto. Ed ecco un messo
Venir volando, che la reggia tutta
E tutta la città pose in tumulto,
Annunziando che dal tosco fiume
Già mosso de’ Troiani e de’ Tirreni
Se ne venia l’ esserci to in battaglia
In vèr Lamento; e che di genti e d’armi
Si vedean piene le campagne c i colli.
Gli animi incontinente si turbaro;
Sgomenlossene il volgo ; ai valorosi
S’ accescr V ire. Trepidando ognuno
Discorre!! per le strade ; arme fremea
La gioventù; dolenti e lagninosi
1 padri discordando, e chi per Turno
Sentendo echi per Drance, avean tia lo io
Vari bisbigli. E tutto il corpo insieme
Pacca de la città tale un trambusto,
E tal ne l’aura unitamente un suono,
Qual è se spaventata esce d’un bosco
Torma di roclii augelli, o qual talora
[444-457]
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[739.-762] libro xi.
i *
Da te pìscose rive ‘di Padusa
Van pel* gli stagni schiamazzando a schiere
4 *■*
Turbati L cigni. In tale occasione
Gridava Turno: Or questo è, Padri, il tempo
Di sedere a consiglio: or consigliate
Agiatamente Raggiate sopra tutto ’
%
Cura a la paéc or eh; i nemici armati
Ne stìn già sopra. E, cosi detto a pena,
Saltò fuor de la reggia; e vólto a torno,
Arma, disse,. in, Vòluso, i tuoi VolsCi,
E tu, Messàpo, i ruttili cavalli.
Tu, Catiilo, e*. tu, Cora, uscite a campo:
Va’ tu con la ttla gente a la muraglia
Incontinente; e tu dispènsa i tuoi
Fra le porte e |e -torri. Ite voi meco, ' .
Che rimanetele ciascuno armi i suoi.
• e ' ^ .
Per .tutta la città si va scorrendo
A le mura. A l’ insegne, ai capitani *
Ognun s’ adjjuce. I padri irresoluti .
Se n’ cscon- dal consiglio. II re turbato
Si ritira, e si pente che non aggia
Per sè, senza consulta, il frigio duce
Per amico e per genero accettato.
Dansi tifiti a -munire, a cavar fosse,
Cibo.— 36. [457-473]
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558
l’ eneidf..
[7G3-78G]
Tutti a somministrar chi sassi e travi,
E chi dardi c chi strali. E già la roca
Tromba nc va per la città squillando
De la battaglia il sanguinoso accento,
he matrone, i fanciulli, i vecchi, ognuno
D’ ogni età, d’ogui sesso, e d’ogni grado
A 1’ ultimo periglio, al gran bisogno
Corrono a la muraglia. E d’altra parte
Da gran corteo di donne accompagnata
Con doni e preci di Minerva al tempio
Va la regina, ed ha Lavinia seco,
ha vergine sua figlia, onde venuta
Era tanta ruina; e di ciò mesta,
Porta i begli occhi lagninosi e chini.
Seguon le madri e d’odorati incensi
Vaporando il delubro in ilebil voce
Pregano in su la soglia: Armipotente
Tritonia, tu clic puoi, la possa e I’ armi
Frangi al frigio ladrone, c di tua mano
Aneiso in su la porta ne lo stendi.
Esso re Turno da la furia spinto
Ricorre a Farmi; e di squamoso acciaio
h d òr già tutto orribile e splendente,
Cinto di brando, e sol del capo ignudo
[473-489]
[787-810] libro xi. 559
Lieto mostrossi, e di speranza altiero
Di vedere il nemico. E ’n qucHa’guisa
Da la ròeca seendea clic da’ presepi
Sciolto destriero esce ruzzando in campo, '
O eh’ amor di giumeute, o che vaghezza
Di verde prato, o pur desio lo tragga
Del nolo Gunie ; che sbuffando freme,
E ringhia e drizza il collo e squassa il crine.
A l’ uscir de la porta ecco davanti
Gli si fa co’ suoi volsci cavalieri
La vergine Camilla; e si coni’ era
Non men gentil che valorosa c bella.
Tosto che l’incontrò, con tutti i suoi
Dismontò da cavallo, e vèr lui disse:
Turn.o, se degnamente uom forte ardisce,
lo mi rincoro, e ti prometto io sola
Di gire ai cavalicr toscani incontro.
Lascia me col mio stuolo assalir prima
La troiana oste, e che primiera io tragga-
Di questa pugna e de’ suoi rischi un saggio.
E tu qui co’ pedoni a piè rimanti
A guardia de la terra. A tal proposta
Turno ne la terribile virago
Gli occhi Usando; 0 de l’Italia, disse,
[489-508]
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aGO l’ ENEIDE. [81 1 - 83
Ornamento c sostegno, e di che lode,
E di che premiò al tuo gran merlo eguale
Ristorar ti poss’io? Ma (poiché cosa
Non è che la pareggi) abbi, famosa
(ìuerriera, ih grado eh’ io con te comporta
Questa fatica. Enea, come dal grido
Avcmo e da’le spic.lin qui ritratto.
Spinte ha le schiero de’ cavalli avanti
Per batter la campagna; ed egli altronde
Presa la via del monte, peralpcstro
Sentiero a la città di sopra al giogo
Vien con P altre sue genti. Il mio disegno
È fargli agguato, c'collocarmi appresso
Là *ve sopra la foce il doppio bosco
Dei curvo monte ambe le strade pccoglie.
Tu, ratinali, i tuoi con gli altri tutti
Nostri cavalli, i suoi nel piano assagli
A spiegate bandiere; Il fior Messàpo
Sarà con le: saranyi de’ Latini,
Vi snran di Coràce e di Calillo
Le squadre tutte; e tu con essi il carco
Prendi di comandarle. Indi cssorlnudo
Parimente Messàpo o gli altri duci
. A la lo»’ fazione, egli a la sua'
[50S-521]
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50 I
[835-858] libro ii.
Tostamente si volse. È tra due branche
Del monte una vallea clic d’ambi i lati
Ha folte selve, e luoghi occulti e chiusi,,
A F insidie de Farmi accomfoodati.
Ha ne Fimo una semita per mezzo
Angusta, malagevole e scontorta •
Che (Fogli* intorno è da le ripe offesa.
In cima in su l’uscita é tra le selve
Ascosa una pianura, con ridotti
Acconci a ritirarsi, ed opportuni
A spingersi o dal destro o dal sinistro
Lato, che si rincontri o che s’aspetti
Nemica gente, o pur che di gran sojbsì
Sì tempesti di sopra. A questo loco, .
Di cui ben era pratico, in agguato
Turno si pose, e i suoi jiimici attese.
Diana intanto timorosa e mesta
Favellando con Opi, una del coro -
De le sue ninfe, in tal guisa le disse:
Vedi u che perigliosa e mortai guerra
A morir se ne va la mia Camilla,
Ne le nostr’ armi ammaestrata invano.
E pur m’è cara, e sovr’ogni altra io l’amo.
Nè questo è nuovo o repentino amore.
[521-538]
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5G2 l’ eneide. [859-882]
Fili da le fasce è mia. Metallo, il padre
Di lei fu per invidia e per soverchia
«
Potenza da Priverno antica terra
Da’ suoi stessi cacciato; e da l’insulto,
Che gli fece il suo popolo, fuggendo,
Nel suo misero essiglio ebbe in compagna
Questa sola bambina, che mutato
Di Casmilla sua madre il nome in parte,
Fu Camilla nomala. Andava il padre
Con essa in braccio per gli monti errando
E per le selve, e de’ nemici Volsci
Sempre d’intorno avea P. insidie e l’armi.
Ecco un giorno assalilo con la caccia
Dietro, fuggendo a l’Amasèno arriva.
Per pioggia questo liume era cresciuto,
E rapido spumando infìno al sommo
Se ne già de le ripe ondoso e gonlìo ;
Tal che, per tema de l’amato peso
Non s’ arrischiando di passarlo a nuoto,
Fermossi ; c poi che a lutto ebbe pensato,
Con un subito avviso entro una scorza
Di selvatico stiverò rinchiuse
ha pargoletta figlia. E poscia in mezzo
D un suo nodoso, inarsicciato e sodo
[539-553]
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[883-906] Liono xi. 563
Tèlo, eh’ avea per avventura in mano,
Legolla acconciamente ; c V usta e lei
Con la sua destra poderosa in allo
Librando, a l’aura si rivolse, e disse:
Alma Latonia virgo, abitatrice
De le selve e de’ monti, io padre stesso
Questa mia sfortunata fìglioletta
Per ministra ti dedico e per serva.
Ecco eh’ a te devota, a V armi tue
Accommandata, dal nimico in prima
Sol per te la sottraggo. In te sperando
A l'aura la commetto ; e tu per tua
Prendila, te ne prego, e tua sia sempre.
Ciò detto, il braccio in dietro ritraendo,
Oltre il (lume lanciotto: e’I fiume e’i vento
E’I dardo ne fer suono c fischio e rombo.
Mètabo, da la turba sopraggiuuto
De’ suoi nemici, a nuoto aliìii gettassi
E salvo a l’altra riva si condusse.-
Ivi d’ un verde cespo, ove piantato
Avea Trivia il suo dono, il dardo e lei
Divelse, e via fuggissi; e più mai poscia
Non fu da tetti, o da cittadi accolto :
Oliò per natia fierezza a legge altrui
[554-568]
l’ EIVEIDfc.
5G1 l’ ESEiDfe. [907-930]
Non si fora iniqua adii il lo. Il tempo tulio
De la sua vita di pastore in guisa,
Menò per monti sol ilari i ed ermi;
E per grotte e per dumi e per orrende
Selve c tane di fere ebbe ricetto
Con la fanciulla, a cui fu cibo un tempo
Ferino latte, e balia una d’ armento
Ancor non doma e pavida giumenta. '
Me le tenere labbra il padre stesso
De la fera premea torride mamme.
Nè pria tenne de’ piè salde le piante,
Clic d’arco, di faretra e di nodosi
Dardi le mani e gli omeri gravolle.
Non d’òr le chiome, o di monile il collo, :
Nè men di lunga o di fregiata gonna
La ricove'rse ; ma di tigre un cuoio
Le facea veste intorno, e cuffia in capo.
Il fanciullesco suo primo diletto
KM primo studio fu lanciar ili palo,
E trae d’ arco e di fromba;. e’n fin d’ allora
Facea strage di gru, d’oche e di cigni.
Molte la desiar tirrene madri
Per nuora indarno. Ed ella di me sola
Contenta, intemerata e pura e casta
[56S-ÓS3]
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50 5
[93-1 >954] mbro xi.
La sua verginità, l’amor de l’ armi
Sol ebbe in cale: Or mio fòra disio
Che di quésta milizia e de la pugna,
Che presa ha co’ Troiani e co’ Tirreni, *
Fosse digiuna; per sì cara io l’ aggio,
E tale or mi saria grata compagna.
Ma poi che acerbo fato la persegue,
Scendi, ninfa, dal cielo, e nel paese
Va’ de’ Latini. Ivi al conilitto assisti,
Che per Lazio e per lei mal s’apparecchia.
Prendi quest’arco e prendi questa mia
Stessa faretra, e di qui traggi il tèlo •
Per vendicarmi di qualunque ardito
Sarà di violar quest’ a me sacra
E devota virago ; Italo, o Teucro
Che sia.- Poscia io verrò di nube involta
A provveder che’l tniserabil corpo
Non sia il’ armi spogliato, ee.be raccolto
Sia ne la patria, e seppellito e pianto.
Così dicendo, entro un sonoro nembo,
Da’ mortali occhi -non veduta, a terra
Lievemente calossi. I teucri intanto
E i toschi duci le lor genti avanti
Spingendo, a la-città s’ avvicinerò.
[584-59y]
l’ ENEIDE.
5G<>
[955-978]
Piena d’armi, d’ insegne, di cavalli
E di schierati fanti c di squadroni
Si vedca la campagna. Eran per tolto
Gualdanc, giramenti, scorribande
Di cavalieri: in secche selve i colli
Parean conversi : ardea la terra e’I ciclo
Di ferrigni splendori , e «1* ogni parte
S’ udian fremer cavalli, e squillar trombe.
Incontro a lor da 1’ altra parte uscirò
Il fitfr Messàpo, i cavalier latini,
Corace col suo frate, e di Camilla
La bellicosa banda. Era il concorso
Tuttavia de le genti, e de’ cavalli
Il fremito maggiore. E già la massa
distretta, e già vicine ambe le parti
A tiro d’ asta, a fronte si fermare
1,’ una de l’altra; e con le lance in resta,
Con saette e con dardi incominciare
Primamente da lunge a salutarsi.
Poi di sùbite grida udito un tuono
Al ciel levossi; e due contrarii nembi
Da la terra sorgendo, armi fioccalo
Di neve in guisa, e coprir d’ ombra il sole.
A I fi ii »la ciascun lato i destrier punti
[599-G10]
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[,>79- 1 002] irono, xl. 507
And&r tulli con tulli a rincontrarsi.
Era Tirreno al fiero Aconte opposto
Ne la battaglia; e questi primamente
S’ urtaro, e per la furia e per la forza
De r urto, ambe le lance, ambi i cavalli,
Ed ambi i corpi infranti, stramazzati,
L’ un da l’altro disgiunti, quai percossi
Da fulmine o da macchine avventati,
Caddero a terra. E) pria ne l’aura Aconte
Lasciò la vita. Conturbate e sparse
Le schiere de’ Latini, incontinente
Con le targhe rivòlte a tutta briglia
Vèr le mura spronando in fuga audaro.
Gli seguirò i Troiani; e prima Asila -
Gti nssalse e gli cacciò fin su le porle.
Qui fermi e rincorati alzan le grida,
Voi goti le teste e si rifan lor sopra,
Ch’eran lor contra. Cosi quando questi,
E quando quelli or cacciano, or cacciati
Tornano; in quella guisa eh’ a vicenda
Il mare or d'alto a riva i flutti increspa,
E ne l’ultima arena ondeggia e spuma;
Or da la riva indietro se ne torna,
E le stess’onde, e la commossa ghiai a
[614-628]
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568
l’ emetde.
[1003-1026]
Sorbendo c voltolando, si ritraggo.
Due volle i Toschi i Ruttili incalzavo
Fino a le mura; e i Rululi due volle
Risospinsero i Toschi. Al terzo assalto
Mischiarsi ambe le schiere, c F un con l’ altro
Vennero a zuffa. Allor le grida e i muggiti
Si sentir de’ cadenti : allór si vide
Il pian tutto di sangue, e tutto d’armi
K d’ uomini coverto e di cavalli
Feriti e morti. Orstloco a rincontro
f)i Rèmolo trovossi ;e non osando
Di star seco a le mani, al suo cavallo
Trasse del dardo, e’n su l’orecchio il colse.
Del colpo impaziente e per sè (iero
Si scosse, s’avventò, col petto in alto
E con le zampe il corridoi* levossi,
E’n su l’arena il cavalier distese.
Catillo loia e’1 grande Erminio uccise;
Erminio, che di corpo e d’armi c d’animo
Era de’ più robusti, de’ più chiari
E de’ più riguardervoli guerrieri
De’ Toschi tutti. Avea la chioma stessa
Per sua celata ; avea gli omeri ignudi
Di ferro al ferro esposti, e di ferite
[628-6441
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LIBRO W.
Ò69
[1027-1050]
Ampio bersaglio. In su I* aperte spalle
Catillo il colse; e tremolando il tèlo
Passògli il petto, e raddoppiògli il duolo.
Per tutto si fa sangue; in ogni parte
Si tragge, si ferisce, si stramazza:
E chi cede e chi segue. In varie guise
Ne van tutti a morir morte onorata.
In mézzo a tanta occisìone, ignuda
Da I’ un de’ lati infuriando essulta
ha vergine Camilla ; ed or di dardo
Fulminando, or di lancia, or di secure
Non mai stanca percuote. E qual Diana
Di sonora faretra e d’ arco aurato -
Gli omeri onusta, aucor che si ritragga,.
Saettando, ferite e morti avventa. .
D’ intorno ha per compagne e per guerriere
D’archr, di mazze e di bipenni armate,
Tulla, Tarpèa, Carina, 'cri altre illustri
Italiche donzelle, a suo decoro
Scelte da lei per sue degne ministre
Ne la pace e nel’ anni. Iti tal sembianza
Tcrmodoonte il bellicoso stuolo •
De I’AmazOni sue vide in battaglia
Attorneggiarc Ippolita, o col carro
[G44-66I]
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570
l’-exeide. [1051-1074]
Oir di Pentesilèu le schiere aprendo
Con feminei ululali. Or chi fu prima.
Chi poi, cruda virago, e quali e quanti
Quei di’ abbattesti, e che di vita spenti
Mandasti a l’Orco? Eumcnio primamente
Di Clizie il figlio, da costei trafitto
Fu d’un colpo di lancia in mezzo al petto.
Cadde il meschino, e fe di sangue un rivo,
*
Sopra cui voltolandosi, c mordendo
Il sanguigno terreo, di vita uscio.
Indi va sopra a Li l'i e sopra a Pègaso
Quasi in un tempo, a l’un mentre, inciampando
Il suo destriero, il fren raccoglie; a l’altro
Mentre a lui, che trabocca, il braccio stende
Per sostenerlo : onde in un gruppo entrambi
Precipitare. A cui d’ Ippòta il figlio
Amastro aggiunse, evia seguendo, Arpàlico,
E Tèreo e Cromi c Demofonle uccise.
Quanti dardi lanciò, tanti Troiani
Cittò per terra. Ornilo, un cacciatore,
Oli già davanti, e stranamente armato
Cavalcava di Puglia un gran destriero :
Per sua corazza uvea d’ ispido toro
I u duro tergo; per celata un teschio
[662-680]
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[1075-1098] libro xi. òli
Di lupo, die dal capo inaino al mento
Sbarrava le mascelle, e digrignando.
Giostrava i denti. In man portava, ad uso
Di contadini, un nodoroso palo
Di grave ronca armatò. Egli net meìzo
Degli altri suoi con le due teste andava
Sovrano a tutti, e le ferine orecchie -,
Ergeu di cresta c di pennacchi in vece.
Camilla il giunse, lo fermò, P occise
Senza contrasto: già che volta in fuga
Era la schiera sua. Sovra al suo corpo
Disse rimproverando : E che pensasti.
Tosco insolente? Di venire a caccia
In qualehé selva, e seguir damme imbelli?
Venuto sei là’ve una dama armata
Col ferro amaramente vi rintuzza
l.a superbia e la lingua. Oh pur non poco
Ti Ita di vapto, referendo a P ombre
Oc’ tuoi: Per man’fui di Camilla ucciso.
Indi Orsiloco assalse, c Bute appresso,
Due corpi der maggiori e de’ più forti
Del troian oste. A Buie un colpo trasse
Che ’l giunse ove tra l’ elmo e la corazza
Si scopre il collo, onde lo scudo appeso
[681-693]
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.l7, l’ et, de. [1099-IH»
Sla da sinistra. Orsiloco, ruggendo
E gridando, gabbò; ch’ai giro interno
S’ attenne e strinse ; e !ò ’ve era seguila,
Seguitò lui. Gli fu sopra in.ùn tempo
\ colpi di secare, e 1’ armi e l’ ossa
(Ili pestò sì clic per suo scampo a prieg n
Si volse. M-fine un tal sopra ia lesta
Ne gli piantò, che le cervella infrante
Oli schizzàr da la fronte e da le tempie.
D’ Attuo «lontanar de l’ Appennino
Il bellicoso figlio a l> improviso
Fu da lei colto: un Ligure scaltrito,
Che per ordire inganni (in fin che fato
Oliel concedè) non degli estremi avuto
Era tra’ suoi. Costui nel primo incontro
sbigottito fermossi. E poiché vide
Non. poter con la fuga a lei sottrarsi,
Che gli era sopra, a la malizia usala
Ricorrendo, Oh! gran prova, adir conimela,
Sarà la tua, se ben femina sei, ,
Di sfidar me, quando un cavai t’ amili
Si fugace e sì forte. Or al vantaggio
Rinunzia de la fuga e meco a piede
Prendi zuffa del pari ; c poi vedrassi
[093-708]
Oigitizcdl^y Googft:
11123-4146] unno xi. * 573
A cui questa ventosa tua bravura
Onore acquisti. A colai dir Camilla
Di furia, di dolor, di sdegno ardendo
Ratto dismonta; c ’l corridoi* deposlo
In man de la compagna, a piè si pianta;
Stringe la spada, imbracciasi lo scudo,
E con pari armi intrepida l’ attende.
Il giovine, che vinto si credette .
Aver con quello avviso, incontinente
La groppa ,le mostrò del suo cavallo,
E via spronando a tutta briglia il pinsc.
Ligure vano, vano orgoglio in prima
Ti mosse ; or vana astuzia e vana fuga
Sarà la jua; che 1’ arte del fallace
Tuo padre, c di tua patria, a far non basta
Che vivo da le mau mi ti ritolga.
Disse la virgo, e qual da cocca strale
Dietro gli si spiccò: ratto raggiunse,
Passollo, attraversollo, al fren di piglio
Diedegli ; lo feri, l’aucise alfine.
Cosi d’un alto sasso agevolmente
Sparvier grifagno al timido colombo
S’ avventa, e lo ghermisce jonde in un tempo
Sangue e piuma dal ciel ncviga e piove.
Caco. — 37. [703-724]
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ó74
L* ENEIDE.
» .
[.li 47 - 1 ITO]
In questa, de’ mortali e de’ celesti
li’ eterno reg notar, che pur talvolta
Alcun de’ raggi suoi vèr noi rivolge,
Non con lieve disdegno o picciol’ ira
Mosse Tarcontc a sovvenir le schiere
De’ suoi eli’ erano in volta. Egli per mezzo
Va de l’occisìoni e de le mischie,
Or il destricr con tra i nemici urtando.
Or le sue squadre inanimando, insieme
he ristringe, lè instiga, le garrisce,
E per nome ciascun chiamando, Ah, disse.
Tirreni, e che timore e che spavento
È’I vostro? che viltà, che codardia
V’ha presi? e quando mai fia che vi punga
0 dolore, o vergogna ? Adunque in fuga *
(lite per una femina ? una femina
Vi disperge e v’ ancide? A che di ferro
Invan così le destre c i petti armate ?
De le donne temete? E pur di loro
Si timidi di notte, nè sì fiacchi
Negli assalti di Venere non siete,
Nè quando a suon di pifferi intimati
\ i sono i baccanali. Or via, campioni
Da letti c da bottiglie, a nozze, a pasti,
[725-739]
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[M 7-1- 1194] libro Xi.- 575
A sacrifici i, ullor che ne le sacre
Foreste è da l’aruspice intonato
Che la vittima è grassa, itene lutti
Seco a goder del saginato bue
A piena pancia; chè nuli’ altro amore,
Nuli’ altro studio è ’l vostro. ciò dicendo,
Ne va come devoto a morte aneli’ egli.
Con Vènolo s’affronta ; e sì com' era
Turbato, I’ aggavigna, c fuor lo tragge
Del suo cavallo. Alto levossi un grido
Tal, che lutti a veder le ciglia alzavo
I Latini e i Tirreni. Iva Tarconte. .
Per la campagna con la pretta in grembo
Del nimico e de l’ armi e ’n mezzo al corso
Svelge da l’asta sua medesma il ferro,
E cerca ov’ è di piastra il corpo ignudo
Pei* darli morte. E mientre ne la gola
Tenta ferirlo, ei con le braccia iiralto
Si scherma, regge il colpo, e da la forza
Quanto può con la forza si districa.
Come ne 1’ aria insieme avviticchiati
Si son visti talor 1’ aquila e’I serpe
Pugnar volando, e P una aver con 1’ ugne
E col becco ghermito e morso 1’ altro ;
[739-752]
♦
*
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u’ e.nf.ide.
[1 105-1218]
E rullio co’ suoi girie co’ suoi nodi
Farle vincigli a’piè, volumi a l’ali;
E questo con la testa alto fischiando,
E quella schiamazzando e dibattendo,
Ambedue voltolarsi, ambedue stretti
Far di squame c di piume un sol viluppo;
Così l'arconte per lo cqmpo a volo,
Vincitor de le schiere di Tiburte,
t
Vènolo sen portava. E questo essempio
Del suo duce seguendo, e del successo
Assecurata, la meonia torma
Tutta contr’ a’ Latini impeto fece.
Tra questi Armile, un che di già dovuto
Era al suo fato, con un dardo in mano
Camilla astutamente insidiando,
Si diede a seguitarla, a circuirla ;
A cercar destra e commoda fortuna
. Di darle morte. Ovunque ella, o per mezzo
Fcndea le schiere, o vincitrice indietro
Si ritraea, l’era vicino Armile;
E tutti i moti suoi, tutte le vie
Osservando, atteudea che netto il colpo
Cli riuscisse, e da fellone intanto
A\ea I asta a ferir librata e pronta.
[753-7G7]
Digìtized by Gopglc^
[1219-1242] i.iono xi. 577
Giva per avventura a )ei davanti
Cloro, un giovine ideo, che sacerdote
Era gin di Cibelle. I Frigi tutti
Non avcan chi di lui fosse ne Farmi
»
Più riccamente adorno. Un suo corsiero
Per lo campo spingea. di spuma asperso,
Cinto di barde e d’acciariue lame
Come di scaglie, e di leggiadre piume
Leggiadramente intestc. Un arco d’ oro
Gli pendea da le spalle, una faretra
A la cretese. In testa, in gambe, in fiosso,
D’armi e d’arnesi in barbara sembianza,
Di peregrina purpura e di seta,.
Di bisso, di teletta e d’ostro e d’oro
Tutto coverto, tutto ricamato,
Tutto trinciato; e saettando andava.
Costui veduto, ogni altra impresa indietro
Lasciando, a lui si volse o per vaghezza
Di consecrar le sue bell’ armi al tempio,
0 pur che di sì vago ostile arnese
Di gir pomposa cacciatrice amasse.
Basta che per le schiere incauta, ardente,
E come donna vogliolosa e fólle
De l’amor de la preda e de le spoglie
[768-782]
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578
l’.eseim:.
i
[1243-1266]
Contro a Ini se ne giva ; nllor ch’Arunte,
Dopo mollo appostarla, nlfin le trasse,
In tal guisa pregando: 0 di Soralte
Sommo custode Apollo, a cqi devoti
Noi fummo in prima, a cui di' sacri pini
ISutrimo il foco, e per cui nudi e scalzi
Tra le fiamme saltando e per le brage
Securamente e senza offesa andiamo,
Dammi, che tutto puoi, padre benigno,
Clic questa infamia* per mia man si tolga
De Tarmi nostre. Io di costei non bramo
Armi, spoglie o trofeo, fili altri miei fatti
Mi sian di lode, c pur clic questo mostro
Caggia spento da me, ne la mia patria
Senza più gloria andrò, di questa guerra
Pago e contento. Udì Febo del voto
Parte, c parte per l’aura ne disperse.
IJdi clic morta da quel colpo fosse
La vergine Camilla; c non udlo
Di lui, eli’ ci vivo in patria ne tornasse;
Clic ciò per l’aura ne porlaro i venti.
Tosto clic da le man P asta ronzando
(ìli uscio, fui* gli occhi e gli animi e le grida
De’ Voi sci tutti a la regina intenti.
[782-801]
Digitized by Google*
5
[1267-1290] libro xi.
Etl ella nò del tèlo, nè de l’aura
Moto o fischio sentì; nè vide il colpo, \
Mentre giù discendea, finché non giunse,
fiiunsele appunto ove divelta e nuda
Era la poppa; e del virgineo sangue, *
Non già di latte, sitibonda scese
Si che ’l petto l’aprì. Le sue compagne
Le fui* trepide intorno; e già che morta
Cadea, la sostentaro. Armile in fuga
Ratto si volge, di puura insieme
Turbato e di letizia; chè ne l’asta
Più non confida, e più di star non osa
Incontro a lei. Qual affamato lupo
Ch’ occiso de l’armento un gran giovenco
0 lo stesso pastore, in sè confuso
Di tanta audacia, anzi che da’ villaggi
Gli si levin le grida, infra le gambe
Si rimette la coda, e ratto a’ monti
Fuggendo, si rinselva: in colai guisa
Arunte, dopo’l tratto, impaurito^
Solo a salvarsi inteso, in mezzo a farmi
Si mischiò tra le schiere. Ella morendo
Di sua man fuor del petto il crudo ferro
Tentò svclgersi indarno; chè la punta
[801-816]
ófcO i,’ iìseiok. [1291-13141
*
S’ ei a altamente no le coste infissa :
Onde languendo abbandonossi, c fredda
Giacque supina ; e gli ocelli, che pur dianzi
Scintillavano ardoi:, grazia e fierezza,
Si fcr torbidi c gravi. Il volto, in prima
Di rose e d’ ostro, di pali or di morte
Tulio si tinse. In tal guisa spirando,
Acca a sè chiama, una tra 1’ altre sue
La più fida di tutte c 4a più cara ;
E dice: Acca, sorella, i giorni miei
Som qui finiti: questa acerba piaga
M’ adduce a morte, e già nero mi sembra
Tutto che veggio. Or vola, e da mia parte
Di’ per ultimo a Turno, che succeda
A questa pugna e la città soccorra:
E tu rimanti in pace. A pena detto
Ebbe così, clic abbandonando il freno
E l’arme c sè medesma, a capo chino
Traboccò da cavallo. Allora il freddo
L’occupò de la morte a poco a poco
Le membra tulle. E dechinato il collo
Sopra un verde cespuglio, alfin di vita
Sdegnosamente sospirando uscio.
Camilla estinta, per lo campo un grido
[817-832]
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[1315-1338] LIBRO XI. »8l
Levossi clic u’ andò fino a le stelle, ■
E surse al cader suo zuffa maggiore ;
Citò i Teucri e i Toschi e gli Arcadi in un ternfio
Pinsero avanti. Opi, ministra intanto
Di Trivio, che nel monte era discesa
Vicino a la battaglia, indi il conflitto
Stava mirando intrepida e sicura,*
E visto di lontan tra molte genti
Nascer nuovo tumulto e nuove grida,
Poscia in mezzo dj lor caduta e morta
La vergine Camilla, Ali, sospirando
Disse, virgo infelice! troppo, troppo
Crude! supplizio bai de l’ardir sofferto,
Sed’ irritar I’ armi troiane osasti.
E di che prò t’ è stato a viver nosco
Solinga vita, armar de P armi nostre,
Gradire i boschi e venerar Diana?
Ma te non laseerà la tua regina
Giacer disonorata in questa fine
De la tua vita \ e la tua morte oscura
Non sarà tra le genti ; e non diressi
Che non è ehi di te vendetta faccia ;
Clic chiunque di ferro avrà ferito
Il corpo tuo, sarà meritamente
[832-848]
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.
5S2 t’ f^f.ide. [1339-4362]
Di ferro anciso. Era a Dcrccnno, antico
He de’ Lamenti, un gran sepolcro eretto,
Cui sopra era «li terra un monte imposto
E d’ elei annosi e folli un bosco opaco.
Qui la veloce Dea dal ciel caìossi
Al primo volo ; e di qui visto Arunte
Splender ne l’armi, c gir di sua follia
Superbo e gonfio, Ove ue vai ! diss ella.
Qui convicn cbe ti4 fermi, e qui morendo
De la morta Camilla il premio avrai
Degno di te, se di perir sei degno
De I’ armi di Diana. E, ciò dicendo,
La buona arciera del turcasso aurato
Trasse un acuto strale, e l’arco tese,
E tirò sì eh’ ambe le corna estreme
Vennero al mezzo, ed ambe parimente
Le mani, una tirala e 1’ altra spinta,
Quella toccò la poppa c questa il ferro.
L’arco, l’aura, lo strai sonare udio,
E ferir e morir sentissi Arunte
Tutto in un tempo. I suoi quasi in oblio
Così come spirava, in mezzo al campo
Lo lasciar fra la polve in abbandono:
Ed Opi al eicl tornando a volo alzossi.
[S49-867]
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T
A.
LIBRO XI.
[1363-1386]
5 yò
Caduta lei, la schiera di CamMla
Primieramente in fuga si rivolse:
Indi turbarsi i Rutulr, e dier volta.
Diè volta il fiero Atina; e i duci tutti.
E tutte fur le insegne abbandonate.
Cerca ognun di salvarsi, e vèr le mura
INe vanno a" tutta briglia, e più nel campo
Alcun non è clic di far lesta ardisca
Contro la strage e contro In ruina* *
Che fanno i Teucri. Se ne van con gli archi
Scarichi in su le terga e spenzolonf;
E più che di galoppo in vèr Laurento *
Battono il campo, e fan nubi di polve.
Le madri da’ balconi e da’ torrazzi,
Percossi i petti, alzano al ciel le grida
Con femineo ululato. E quei che primi
Giunti trovàr le porte ancor non chiuse.
Mischiati co’ nemici, ove più salvi %
Si credean, ne l’entrata e fra le mura
De la stessa lor patria, anzi agli alberghi
Lor propri e da’ nemici e da la morte
E tir sopraggiunti. Incoiai guisa in prima
Stette la porta agli avversari aperta.
Poi chiusa escluse ispoi, che fuori in preda
* [868-884]
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Ó84
l’ k.neidi:.
[Io87-i4i0j
Restando dc’.ncmici. ai ior più cari,
CÌic morir gli vedcan, perchè sT aprisse
Supplicavano indarno. E qui ira quelli
Che u’ erano a difesa, e quei eli’ a forza,
Anzi a furia, a ruma incóntro a loro
S’ avventava!! ne l’armi, orrenda strage
Si fece e miseranda. E degli esclusi
Altri in cospeltO'degli stessi padri,
E de le madri che dogliose grida
Ne facean da le torri e da le mura,
Da l’ impeto cacciati o da la calca
Precipitar ne’ fossi, e giù da’ ponti
Cadder sospinti ; ed altri ne la fuga
Da’ sfrenati cavalli e da la cieca
Lor furia trasportati, a dar di cozzo.
Gir ne le chiuse porte. In su’ ripari
Ancor le donne (che le donne ancora
Il vero de la patria amore infiamma),
Come giunte a l’estremo, allor che morta
Videi* Camilla, il fcminil timore
Volgono in sicurezza; e sassi e dardi
Lanciando, c con aguzzi inarsicciati
Pali il ferro imitando, osano aneli’ elle
Per la difesa delle patrie mura
[885-895]
Ut*'
^ '
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[1411-1434] unno *i. -585
Gir le prime a morir morie onorata.
A Turno intanto ne le selve arriva
Acca, la già spedita messaggera
Con l’amara novella; un gran tumulto
Portando, che l’cssercito è sconfitto,
.Morta Camilla, annichilati i Volsci.
f
E i Teucri d’ogni cosa impadroniti
Stanno in campagna col favor che porta
Seco de la vittoria il corso e’I nome;
Spingonsi avanti; e già pianto e paura
Assalgon la città. D’ ira, di sdegno, '
E di furore il giovine infiammalo,
(Chè tale era il voler empio di Giove)
Da l’ insidie si toglie, esce de’ boschi
Ov’era ascoso, e giù scende da’ colli.
Smarriti non gli avea di vista a pena,
A pena era nel piano, allor di’ Enea
Prese ilei monte; e là V era l’agguato,
Trovando aperto, senz’offesa aneli’ egli
Superò ’l giogo, e de la selva uscio.
Cosi con passi frettolosi entrambi
Con tutte le lor genti, c 1’ un da I’ altro
Poco lontani a la città sèn vanno.
E ’nsiememente da I’ un canto Enea
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58G
L ENEIDE
[1435-1445]
Vide di polverio fumare i campi,
E di Laurealo sventolar P insegne;
Turno da P altro Enea scoperse, udendo
L’ annitrir de’ cavalli e M calpestio
Crescer di mano in mano. Eran vicini
Si, che venuto a zuffa ed a battaglia
Si fora anco quel dì, se non clic Febo,
Fatto vermiglio, i suoi stanchi destrieri
Stava già per tuffar ne P onde ibere.
Onde avanti a le mura ambi accampati
Di trincee si munirò e di ripari.
[908-915]
X
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c_l
[M8]
587
DELL’ ENEIDE
• »
Libro Duodecimo.
Turno, poscia che vede afflitti e domi
Già due volte i Latini, e non pur scemi
Di forze, ma di speme e di baldanza,
Da lui farsi rubclli, e che a lui solo
Ognun rivolto in tanto affare attende
Le pruove, le promesse e i vanti suoi,
Furioso, implacabile, inquieto
Arde, s’ inanimisce, e si rinfranca
Prima in sè stesso. Qual mossila fera
CIP allor d’ insanguinar gli urtigli e il ceffo
Disponsi, allor s’ adira, allor si scaglia
Vèr chi la caccia, che da lui si sente
Gravemente ferita; c già godendo
De la vendetta, sanguinosa e fiera
Con le iube s’ arruffa, c con le rampe
Frange l’ infisso tèlo e graffia e rugge; .
Così la violenza era di Turno
Accesa, impetuosa e furibonda;
[1-9]
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Il IÌI10 XII.
[19-42J
óSS
H
E così conturbato appresentossi
Al re davanti, e disse: Indugio, o scusa
Più non fa Turno; c più non ponilo i Teucri*
Da quel eh’ è patteggialo e stabilito,
Se non se per viltà, ritrarsi ornai.
Eccomi in campo: ecco parato e pronto
Sono al duello. Or fa’, padre, die ’l patto
Sia fermo e rato e sacro; e i sacrifìci
E ’l giuramento appresta. Oggi, Signore,
» Sii certo o eli’ io con le mie mani a morte
Ouesto de 1’ Asia fuggitivo adduco,
E ’l difet to di lutti io solo ammendo ;
(Stiansi pure a vedere i tuoi Latini)
0 eli’ ei vincendo liu padrone a voi,
E marito a Lavinia. A cui Latino
Col cor seduto in tal guisa rispose:
Giovine valoroso, al tuo valore,
A la ferocia tua che tanto eccede
Ne 1’ armi, io diferisco. E tu dovrai
Appagarli di me, s’ io, d’ ogni cosa
Temendo, con ragione c con maturo
Consiglio in tutti i casi inveglio, e curo
Clic I mio stato si salvi e la tua vita.
A «lei vecchio Dauno crede e figlio,
[10-22]
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589
[43-66] libro un.
Seggio e regno non manca, oltre a le terre
Di cui tu fatto hai da te stesso acquisto
Per forza d’armi. Oro, favori e gradi
Da Latino avrai sempre; e maritaggi
E donne d’alto affai* son per io Lazio,
E per le terre di Laurento assai.
.Ma soffri eh’ io ti parli, e senti, e nota
Poscia quel eli’ io dirò; che dirò vero, •
Ben che noia li sia. Fatai divieto
Mi proibiva, e gli uomini e gli Dei
M’ avean vaticinando in molte guise*
Denunziato, che mia figlia a nullo
lo4mari tassi di color che chiesta
Me 1’ avean prima. E pur dall’ amor vinto \
Che ti port’ io, dal parentado astretto
C’ ho con la casa tua, mosso dal pianto
E da le preci de la donna mia,
Dandola a te mi sono al fato opposto;
Ho rotto fede al genero; ho con lui
Presa non giusta e non sicura guerra.
Da indi in qua tu stesso, tu che primo
Soffri tante fatiche e tanti affanni, »
Hai veduto in che rischi; in che travagli
Siam noi caduti; chè due volte rotti
Icaro. — 38. * {22-34]
4
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J
f»9t) l’eìteide. [fi7-90j
Iti due sì gran battaglie, in questo cerchio
Nesiam rinchiusi a sostentare a pena
La speranza il’ Italia. 11 Tebro è calilo
Del nostro sangue. I campi son già bianchi
Di* le nostr’ ossa. Ed io, folle, a che torno
Tante fiale al precipizio mio?
Chi così ila me stesso mi sottragge?
Se, Turno estinto, io nel mio regno (leggio
I Troiani accettar, che non gli accetto
Or eli’ egli è vivo e salvo? e che non pongo
Fine a la guerra, a la ruina espressa -
Del mio regno e ile’ miei? Clic ne diranno
I hululi parenti? Che dilanile
Italia tutta, quando a morte io lasci
(Voglh» Dio che non sia) gir unclie tanto
Ama la parentela c ’l sangue inio?
Rimira de la guerra come vana
Sia la fortuna. Abbi pietà del vecchio
Danno tuo padre, che da te lontano
In Anlèa se ne sta mesto e dolente..
Turno, a questo parlar nulla si mosse
De la ferocia sua: crebbe più tosto
II suo lucore ; c lo rimedio stesso
Mi aggravò ’l mule. Ei,eome pria poleo
[34-47]
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* V
591
[91-114] LIBRO XII.
Formar parola, in tal guisa rispose :
Nulla per conto mio di me ti caglia,
Signor benigno: anzi, ti prego, in grado
Prendi eh’ io per la lode e per l’ onore
Patteggi con la morte. Ed aneli’ io, padre,
Ho le mie mani ; ed anco il ferro mio
Ha taglio e punta, e fa ferita e sangue.
Non sempre avrà, ered’io, la madre a canto
Clie di nube lo cuopra e lo trafugga
Come vii femineila, e di van’ ombre
Seco s’ inveiva. E, ciò detto, si tacque.
Ma la regina, de l’audace impresa
Del genero dolente e spaventata,
Piangendo, e per angoscia a morte giunta,
Co ttuiea, lo pregava, e gli dice»?
Turno, per queste lagrime, per quanto
T’ è, se pur t’è, dè l’ infelice Amata
V onor, l’amore e la salute in pregio;
(tiià che tu sola speme, e sol riposo
Sci de la mia vecchiezza: a te s' appoggia.
In tc si fonda di bulino il regno,
E la sua dignitade, e la sua casa
Clic mina minaccia) in don ti dileggio,
Astienti di venir co’ Teucri a l’arme;
[47-GOJ
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592
* -lLe.XEIDE. [ I I 5 - ;l 3 8]
Che qualunque ne segua avverso caso
Sopra mé cade: eh’ io teco di vita
Uscirò pria che mai suocera 0 serva
I
10 mi vèggia d’ Enea. Queste parplc
De la madre sentì Lavinia virgo,
Hi rugiadose lagrime e d’un foco
Di vergineo rossor .le guance asperse,
« *
Qual fora se di purpura macchiato
Fosse un candido avorio, o che di, rose
Si spargessero i gigli. In lei mirando
11 giovine, d’umoiMion men che d’ira
Acceso, a l«j regina brevemente
Cosi rispose: Ah, madre mia, li prego,.»
In così perigliosa c dora impresa
Non mi far col tuo pianto e col. tuo duolo
Sinistro annunzio. Chè s’ a Turno è dato
Che muoia, in suo poter più non è posto
Che di morire indugi. Indi a 1’ araldq
Rivolto, Va’, gli disse e da mia parte
Quest’ ingrata. c spiacevole' imbasciata
Porla al frigio tiranno, clic dimane
I osto che Ha la rubiconda Aurora
A 1’ oriente apparsa, i Teucri suoi
C.ontr’a Rullili addur più non s’alfauni.
LG 1-78*1
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LIBITO XI!.-
139-162]
ó93
Stiensi farmi, de’ Ruttili 'e de’ Teucri
Per mio conio in riposo. Chè tra noi
Gol nostro sangue'a dittimi* la guerra,
E di Lavinia le bramate nozze
In su quel campo a procurar ci avemo.
Detto così, vèr lamagion e’ invia
Rapidamente; addursi fece avaftti
I suoi cavalli, e Te fattezze e ’i fremito
Notando, se ne gode, e ne concepe
Speme e vittoria ; chè di ny.za usciti
Eran già d^Orizia, da cui Pi fu uno*
Ebbe giumente e corridori in dono,
Che di candor la neve, e di prestezza
* f
Superavano il vento. Aveàn d’ intorno
I valletti e gli aurigi clic palpando.
Forbendo e vezzeggiando, in varie guise
Gli facean lieti, baldanzosi e fieri.
Fatte poscia venir 1’ armi', si vesfe
La sua corazza d’oricalco e d’oro,
E dentro vi s’ adatta e vi si vibra
Con la persona. Imbracciasi Io scudo, *
Pruovasi l’elmd; e la vermiglia cresta
Squassandoci brando impugna, il Hdobrando
Da lo stesso Volcano al padre Dauno
[78-90]
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l’ ENTI DI'.
5!) 4
[IG3-18G]
Tempralo in Mongibello a tulle pruove.
Alfine un’asta poderosa c grave,
Cli’ appo un’ alla colonna era appoggiata
In mezzo de la casa, in man si pianta,
Spoglio d’ Attore Aurunco. E poiché l’ebbe
Brandita e scossa, Asta, gridando disse,
CU’ a le mie fazioni iniqua non fosti
Chiamala indarno, ora al maggior bisogno
Da le soccorso imploro. Il grande Attóre
Armasti in prima, or sei di Turno in inano.
Dammi clie’l corpo atterri, c la corazza
Dischiodi, c’1 petto laceri c trapassi
Di questo frigio effeminato eunuco;
Dammi che ’1 profumato, inanellato,
Col ferro attorcigliato zazzeviuo
Gli scompigli una volta, e ne la polve
Lo travolga e nel sangue. In cotal guisa
Dicendo, infuriava, ardea nel volto,
Scintillava negli occhi, orribilmente
Erculea, qual mugghia il toroallor clic irato
Si prepara a battaglia, e l’ira in cima
Si reca de le corna: indi I’ arruola
A qualche tronco, e ’l tronco c l’aura in prima
f erendo, alto co’ piè sparge 1’ arena,
[9 1 -106]
1
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[187-210] unno xii. ó05
E «lei futuro assalto i colpi impara.
Da’!’ altro canto Enea, non men feroce
Ne T armi eli suà piatire, ai liero marie
S’inanima e s’accinge', e ilei partito
Che gli era per compor la guerra offerto,
Si rallegra, l’accetta; e i suoi compagni
E’I suo figlio assicura, or di sè stesso
La franchezza mostrando, or le venture
De’ fati rammentando o le promesse.
Indi con la risposta al re Latino •
Manda chi la disfida e ’l patto accetti,
E del patto. i capitoli c le leggi
Stabilisca e confermi. Era de' monti
In su la cima a pena il sole apparso
De l’altro giorno, allor eh’ i suoi destrieri
Sorgon da Tonde, e con le nari in alto
Fiamme anelando, il mondo empion di luce;
Quando nel campo i Ruttili discesi
E i Teucri insieme, sotto l’alte mura
Fabricàr lo steccato, a cui nel mezzo
1 fochi e l’ are di gramigna asperse
Furo agli Dei d’ambe le parti eretti
Communemente ; e d’ ambi i sacerdoti
«
Di bianco lino involti, e di verbena
[103- 1 19]
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o 96
l’ ENEIDE.
[21 1-23 i]
Cimi le tempie, andavo altri con l’acqua,
Altri -con le Taccile intorno accese.
Poscia ecco degli Ausoni da l’un canto
A piene porte I’ ordinate schiere
Uscir da la città di picche annate;
Da 1’ altro de’ Troiani e de’ Tirreni
Gir l’cssercito tutto in varie guise
IV abiti c d’ armi ; e questi incontro a quelli
Non altramente eh’ a battaglia instrntti.
Fra mezzo a tante mila i condottieri
%
Ciascun da la sua parte si vedea.
Gir d’oro e d’ ostro alteramente adorni.
E*1 gran Memmo con questi e’I forte Asila,
E Messàpo con quelli, de’ cavalli
Il domatore e di Nettuno il figlio.
Poscia che, dato il segno, ebbe ciascuno
Chi di qua chi di là preso il suo loco,
Piantàr le lance, dechinàr gli scudi.
Le donne, i vecchi, i putti, e ’l volgo inerme
Di veder desiosi, altri in su’ tetti,
Altri in su’ rivellini e’n su le torri
Stavan mirando. E non dal campo lungo
Sedca Giuno in un colle, Albano or detto,
Ch’allor nè d’Alba il nome avea, nò’l pregio,
[120-135]
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LIBRO Xli.
597
[2*5-258]
Nè i sacri Ile i i. In questo monte assisa
Vedea de’ Uhi re nli e de* Troiani
L’accolte genti, e di Latino il seggio.
Ivi la Dea di Turno a la sirocchia,
Che Dea de’ laghi era e de’ fiumi anch’ella,
(Privilegio che Giove allor le diede
Che de la pudicizia il lior le tolse)
Disse cosi : Ninfa, de’ fiumi onore,
Sovr’ ogni ninfa a me gioconda e cara,
Tu sai come te sola ho preferita
A tutte l’ altre che di Giove, in Lazio,
L’ ingrato letto Ifan di salire osato:
E come volenlier del cielo a parte
Meco t'ho posta. Aspolta i tuoi dolori,
Perchè di me dolerti uuquu non possa.
Finché di Lazio la fortuna e ’l fato
Me l’han concesso, io prontamente c Turno -
E la tua terra e i tuoi sempre ho difeso.
Or veggio questo gioviue a duello
Con disegual destino esser chiamato:
Veggio il dì de la Parca e la nemica
Forza che gli è vicina. Io questo accordo.
Questa pugna veder cogli occhi miei
Per me non posso. Tu, se cosa ardisci
[155-152]
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-X
/
Ó;)8 l’ ENEIDE. [259-«282]
In prò del tuo germano, ora è mcstiero
Clic lu l’adopri; c puoi farlo, econvienti.
Tallo: e chi sa clic ’l misero non cangi
Ancor fortuna? A pena avea ciò detto,
Che Iulurna gemendo e lagrimando
Tre volle e quattro-il petto si percosse.
Acuì Giuno soggiunse: E’ non è tempo
Di stare in pianti. Affretta; e dada morte
Scampa, se scampar puossi, il tuo fratello,
0 turbando Y accordo, o suscitando
Nuova cagion di mischia e di tumulto.
Io son elio te l’ impongo, c te n’ affido;
Con questo la lasciò sospesa e mesta,
E d’amara puntura il cor trafitta.
Ecco vengono al campo i regi intanto; .
Latino il primo, aito in un curro assiso,
Clic da quattro suoi nitidi corsieri,
Di gran macchina in guisa, era tirato,
E, di dodici raggi il fronte adorno,
Del Sole, avo di lui, sembianza avea.
Turno traean due candidi destrieri,
Con duo suoi dardi in mano agili e forti.
Enea, de la romana stirpe autore,
Con I’ armi sue celesti e con lo scudo
[ló2- Iti 7]
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69 9
[283-306] libro xu.
Che dianzi da le stelle era venuto,
Uscio da I’ altro cantò, e seco a pari
Ascanio, il figlio suo, de la gran i}omu
La seconda speranza. A inatto a mano
Il sacerdote in pura veste involto
Anzi agli accesi altari il nuovo parto
IV una setosa porca, ed una agnello
Ancor non tosa al sacrificiomddusse ;
E vólti a P oriente, in atto umile
S’ incltinàr tutti e vino e farro e sale
Sparser d’ambe le parti ; nmbe col ferro,
Si coiti’ era uso, a le devote beh e
Segnàr le tempie. Allor il padre Enea
Strinse la spada, e, gli occhi al ciel rivolti
Cosi disse pregando : Io questo sole
Per testimone invoco e questa terra,
Per cui tanti ho fin qui sofferti affabili;
Invoco te, celeste, onnipotente,
Eterno padre, e te, saturnia Giuno,
Già vèr me più benigna, e ben ti prego
Che mi sii tale, c te gran Marte invoco,
Cli’a l’armi imperi; e voi fonti, e voi fiumi
E voi tutti del mar, tutti del cielo
Numi possenti; e vi prometto e giuro
[167-183]
*
600 l’ ENEIDE. [307-330]
Clic sé Turno per sorte è vincitore
Hi questa pugna, j| successo!- dèi vinto
-Gli cederà y.cli’ala città d’Evandro
Si ritrarrà; che mai poscia ribelle
Non gli sarà; che guerra o lite o sturbo
Alcun altro più mai non gli farà.
Ma se più tosto, come io prego, e come
Spero che mi succeda, al nostro marie
ha dovuta vittoria- non si froda ;
lo non vo’ già che gl'itali soggetti
Siano a’ miei Teucri, nè d’Italia, io solo
Tener l’impero; io vo’eh’ ambi del pari
Questi popoli invitti aggian tra loro
Governo e leggi eguali, e pace eterna.
A me basta eli’ io dia ricetto e culto -
A miei numi, a’ miei Teucri, e sia Latino
Suocero mio, del suo regno' e de l’armi
Signor, rettore, e donno. Io poscia altrove
Altre mura ergeromnii, e de’ mici stessi
Fien le fatiche, e di Lavinia il nome.
Go.sl pria disse Enea : così Latino
Seguitò poi con gli occhi e con la destra
C,el rivo,to> Ed lo giuro, dicendo,
Le stesse deità, la terra, il mare,
[183-197]
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601
[331-354} libro xii.
Le stelle, eli Lalona ambi i gemelli,
Di Giulio ambe je fronti, il chiuso centro,
lì la gran possa degl! inferni dii_ •
Odami di là su 1’ eterno padre,
Che fulminando stabilisce e ferma
Le promesse e gli accordi. I numi tulli
Chiamo per testimoni: e tocco l’ara,
E tocco il. foco, c questa pace approvo
Dal canto mio. Nè mai, che che si sia
Di quesLa pugna, nè per forza alcuna,
Nè per tempo sarà ch’ella si rompa
Di voler mio, non se la terra in aequa
Si dileguasse^ non se ’l ciel cndésse
Ne l’ imo abisso : così come ancora
Questo mio scettro (chè lo scettro in inano
Avea per sorte) più nè fronda mai
Nè v-irgulto farà, poiché reciso
Dal vivo tronco, o da radice svelto
Mancò di madre, e gfà d’.arbofe ch’era,
Sfrondalo, diramato. e secco legno
Di già venuto, e d’ oricalco adorno, *
E per man de 1’ artefice Midollo
In questa forma, e per quest’ uso in mano
Dei re latini è posto. In colai guisa i
[197-212]
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' GU2
l’ eseide.
[355*378]
Fermati i palli e F ostie in mezzo addotte,
Tra i più famosi, anzi a l’accese fiamme
Le svenar, le smembrili*, le sviscerare.
E si coin’ cran palpitanti e vive,
0
Le fibre ne spiar, le diero al foco,
!S’ empier le quadre e ne colmàr gli altari.
Di già disvantaggioso e diseguale
Questo duello a’ Rululi sembrava;
b già varii bisbigli, c varii moli
N’eran tra loro; e coni’ più sanamente
Si rimirava, più di forze impari
Si vedea Turno; ed egli stesso indizio
Ne die, che lento e tacito c sospeso
Entrò nel campo. E come uncor di pelo
Avea le guance lievemente asperse,
Orando anzi a Fallar pallido involto
.M os t rossi, e chino il fronte, e-grave il ciglio.
Tale una languidezza rimirando,
E tal del volgo un susurrare udendo
Diuturna, sua sorella, infra le schiere
(ìittossi, e di Camerte il volto prese.
D'alto legnaggio, di valor paterno,*
E di propria viriate era Camerte
fumoso infra la gente. E tal sembrando,
[212-227]
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i.mno xii.
603
[379-402]
Già degli animi accorta, iva Giuturna
Rumor diversi e tai voci spargendo:
Ahi f che vergogna, che follia, che fallo,
Ruttili, è’1 nostro, cfie per tanti e tali
Sola un’alma s’ arrischi ? Or siam noi forse
Di numero a’ nemici inferiori,
0 d’ardire o di forze? Ecco qui tutti
Accolti i Teucri e gli Arcadi e gli Etrusci
Che sono anco per fato a Turno infensi.
A due di noi contea un di loro a mischia
Che si venisse, di soverchio ancora
Fòrano i nostri. Ei che per noi combatte,''
Ne sarà fra gli Dei, cui s’ è devoto,
In ciel riposto ; e qui tra noi famoso
Viveri sempre. Ma di noi che fia,
(di’ or ce ne stiam sì neghittosi a bada ?
ha patria perderemo? e da stranieri,
E da superbi in scrvilute addotti,
Preda e sclierno d’ altrui sempre saremo?
Da questo dir la gioventù commossa
Via più s’accende, e’I mormorio serpendo
Piu cresce per le squadre. Onde i Latini
E gli stessi Laurenti, che pur dianzi
Di pace cran sì vaghi c «li quiete
[227-211]
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GO-t l’ eneide. [403-426]
Pensici' cangiando e voglie, or Parme tulli
Gridano, lutti pregali che P accorilo
Sia per non fatto; e tutti li’an de P iniqua
Sorte di Turno ira, pietade e sdegno.
in questa, ecco apparir ne Paria un mostro
Per opra di'Giuturna, onde turbali
E dal primo proposito distolti
Pur da vantaggio de’ Latini i cuori.
Videsi per lo lito e per lo cielo
Di rogio asperso un di palustri augelli
Impaurilo c strepitoso stuolo.
Dietro un’aquila avea, eli’ a ulano a inaiio
Giuntolo de lo stagno in su la riva,
.Un cigno ne ghermì eli’ era di lutti
Il .maggiore e’1 più bello. A colai vista
Gli occhi e gli animi alzùr P itale squadre;
E gli angoscile pur dianzi erano in fuga,
(.Mirabile a vedere!), in un momento
Stridendo si rivolsero, e ristretti
In densa nube, orni’ era il eiel velato,
J.a nimica assalirò. E sì d’intorno
La cinser, P aggirar, P attraversaro,'
(.IP a cielo aperto, u’ dianzi erano in fuga,
Le fcr gabbia, ritegno e forza, al (ine
[242-255]
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[427-450] libro xii. 505
Che, gravata dal peso e' stretta e vinta,
De la lena mancasse e de la preda.
H cigno dibattendosi, da Pugne
Sovra 1’ onde gli cadde; ed ellaf scarca,
Da la turba fuggendo al cielo alzossi.
I Rutuli a tal vista con le grida*.
Salutàr pria P augurio; indi a la pugna
Si preparat o. -E fa Toltrnnio il primo,
CIP augure, incontro al patto anzi a le schiere
Si spinse armato, e disse:Or questo è, questo
CIP it> destava ; e questo è quel cip io cerco
Ho nV miei voti. Accetto e riconosco .
Il favor degli Dei. Me, me seguile,.
Rutuli miei. Con me P armi prendete
Contro al malvagio che di strana parte •
Venuto con la guerra a spaventarci,
Ha voi per vili augelli', e i vostri lidL
Così scorre e depreda. Ma ritolto
-Questo cigno gli fia ; di nuovo al mare
In fuga se iP andrà. Voi combattendo
In guisa de la pria fugace torma,
Ristringetevi insieme, e riponete
Il vostro re, che v’è rapilo, in salvo.
Detto cosi, spinse il destriero, e trasse
Caro.— 39. [255-266]
1
806 L’tNEidE. [451-474]
Conti*’ a’ nimici. Andò stridendo e (fritto
L’aura secando il fulminalo dardo;
E ’nsiémc udissi col suo rombo un grido, -
Che insino al cicl, de’ Rutuli, sentissi.
Insieme scompigliossi il eampojutto,
Turbarsi i petti, ed infiammarsi i cuòri.
L’asta volando giunse ove a rincontro
Nove fratelli eran per sorte accolti,
Che tutti d’ una sola etrusca moglie ♦
Da 1’ arcadio Gilippo eran creali.
Un di lor ne colpì là’ve per mezzo 4 .
Il cimo s’ aitraversa, e con la fibbia
S’ afferra al fianco. Ivi tra costa c costa
Penetrando altamente, lo trafisse,
E morto in su l’arena lo distese.
Questi, il più riguardevole ne l’armi
Era degli altri, e’1 più bello c ’l più forte.
E gli altri come lutti eran feroci,
* Dal dolore infiammati, incontinente ^
Chi la spada impugnò, chi prese il dardo ;
E contea il feritor tutti in un tempo,
Come ciechi, avventarsi. Incontro a loro
Si inosser de’ Laurenti e de' Latini
Le genti a schiere, e d’altro lato a schiere
[26G-2S0]
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LIDUO XII.
607
[47ò*i9S]
Spinsero i Teucri e gli Arcadi e gliEtrusci. •
Così d’ arme e di sangue uguale ardore
Stlrse d’ ambe le parli ; e l’ are e’I foco
Ch’eran di mezzo c l’ ostie e le polene
N’ atodàr sossopra; e tal di ferri e d’aste
Denso levossi e procelloso un nembo, •
Che’l sol se n* oscurò, sangue ne piovve.
Grida c fugge Latino, e i numi offesi
Se ne riporla, e detestando abborre •
Il violato accordo. Armasi intanto
Il campo tutto;, e chi frena i destrieri,
Chi’l carro appresta; e giù con Piaste basse,
E con le spade ad investir si vanno.
Messa po desioso che l’accordo
Si disturbasse, incontro al tosco Aulestc
Che, come re, di regai fregi adorno
E d’ ostro, al sacrifìcio era assistente,
Spinse il cavallo c spaventollo in guisa
die mentre si ritragge infra gli altari
Ch’ avea da tergo, urtando, si travolse.
Messùpo con la lancia incontinente
Gli si fe sopra, e sì com’era in atto
Di supplicarlo, il petto gli trafisse. .
Così ben va, dicendo: or a’ gran numi
.[28 f -296]
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608 i/ ENEIDE. [199-5-22]
Porco più grato e miglior ostia cadi.
Cadde il meschino, e fu, spirante e calcio,
Sovraggiunto dagl’itali e spoglialo.
Diò Gorinèo per un gran lizzo a I’ ara
Di piglio; e sì com'era* ardente e grave,
Ad Èbuso ch’incontro gli venia,
Nel volto il fulminò. Schizzonne insieme
Il foco e’I'sangue; e di baleno in guisa
Un lampo ne la barba gli rifulse
Che diè d’arsiccio odore, indi gli corse
Sopra senza ritegno; e qual trovollo
Da la percossa abbarbagliato e ferino,
L’afferrò per la chioma, a terra il trasse,
Col ginocchio lo strinse, è col tralìere
Gli passò ’l fianco. Pedalino ad Also
Pastor, che fra le schiere infuriava,
S’ affilò -dietro; e già col brando ignudo
Gli soprastava, àllor ch’Also rivolto
La gravosa bipenne ond’.era armato,
Gli piantò ne la fronte e 'usino al incuto
Il teschio gli spartì, l’armi gli sparse
lotte di sangue: ond’ei cadde, e le luci
Lhiuse al gran buio ed al perpetuo solino.
Luca senz’elmo in lesta, infra le genti
[296-310]
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%
[523-546] libro xii. 609
*
La disarmata destra alto levando,
E discorrendo, e richiamando i suoi»
Dove, dove, ne gite? che tumulto,
Dicca, che furia, -che discordia è questa
Così repente ? Oh rattenete 1’ ire ;
Oh non rompete. Il pa^to è stabilito;
L’accordo è fatto. Solo a me concesso
È ch’io combatta. A me sol ne lasciate
La cura e’I carco. Io, non temete, io solo
Il patto vi ratifico e vi fermo
Con questa sola destra; e Turno a morte
Di già mi si promette, e mi si deve
Da questi sacrifici. In questa guisa
Gridava il teucro duce ;'ed'ecco intanto
Venir d’ alto stridendo una saetta ;
Moti si sa da qual mano, o da qual arco
Si dipartisse. 0 caso, o dio che fosse
Che tanta lode a’ Rutuli pressasse,
L’ onor.se ue celò, nè inai s’ intese
Chi del ferito Enea vanto si desse.
Turno, poiché dal campo Enea fu tratto,
E turbar vide i suoi, di nuova' speme
S’accese, e gridò l’armi, e sopra al carro
D’ un. salto si lanciò, spinse i cavalli *
[310-326]
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Gin
l’ EKEIDE.
[547-570]
Infra’ nemici, c molti a morte (Henne,
Molli ne sgominò, molli n’ infranse,
li con P aste, fuggendo, ne percosse.
Qual è de P Ebro in su la fredda riva
Il sanguinoso Marte, allor ch’entrando
Ne la battaglia, o con lo scudo intuoua,
0 fulmina con P asta, e i suoi cavalli
Da la furia e da lui cacciati e spinti
Ne van co’ vcnli a gara, urtando i vivi,
li calpestando i morti ; c fan col suono
De’ piè fino agli estremi suoi confini
Tremar la Tracia tutta, e van con essi
Lo spavento, il timor, P insidie e P ire,
Del bellicoso iddio seguaci eterni;
In cosi fiera e spaventosa vista
Se ne già Turno, la campagna aprendo,
Uccidendo, insultando, e di nemici
Miserabil mina e strage e strazio
Or con P armi facendo, or co’ destrieri
Ohe sudanti, fumanti e polverosi,
Spargean di sangue e di sanguigna arcua
Con le zampe e con Pugne un nembo intorno.
Stèndo, ne P entrar, Tinnirò e Polo
Condusse a morte; i due primi da presso,
[327-342]
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UDRÒ XII.
61 i
[571-594]
L’ultimo da lontano. E da lunge anco
Glaqco percosse e Lado; i due famosi
Figli d’Imbréso, ne la Licia nati,
Da lui stesso nutriti, e parimente
A cavalcare e guerreggiare instrutti.
Da l’altra parte Eumède, il chiaro gernie
De'l’ antico Doldne. Il nome avea
Costui de l’ avo, e l’ ardimento e i fati i
Segiria del padre, che de’ Greci iJ campo
Spiare osando, osò d’Achille ancora
In premio de 1’ ardir chiedere il carro.
Ma d’ altro che, di carro premiollo
11 tìglio di Tidèo; nè però deguo
D’ un tanto guiderdone unqua si tenne.
Turno, poscia che*! vide (eh è da lunge
Lo scòrse) con un dardo il giunse in prima:
Indi a terra gittossi: e qual trovollo
Di già caduto e moribundo, il piede
Sopr’ul -collo gl’ impresse, e ne la strozza
Lo suo stesso pugnai cacciògli, e disse:
Troiano, ecco l’ Italia, -ecco i suoi campi,
Che tanto desiasti : or gli misura
Costì giacendo. E questo si guadagna
Chi contra a Turno ardisce; e ’n questa guisa
[342-361]
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612 L? ENEIDE. [Ó95-6 i 8)
SI fondan le ci tlà. Dietro a costui
Buie, e di mano in man.Darète e Cloro
E.Sibari e Tersflocxt e-Tinaete, .
Lanciando, uccise. Ria Tijnetc in terra
Ferì, che per sinistro o per diletto
I)’ un suo restio cavallo era caduto.
Qual sopra al grande Egèo sonando scorre
Il tracio Bora, che le nubi c i Uniti
Si sgombra avanti; e questi aj lidi, e quelle
A l’orizzonte in fuga se ne vanno ;
Tal per lo caulpo, ovunque si rivolge,
Fa Turno sgominar Farmi e le schiere;
E tal seco no va furia e spavento,
Che (manco al cimier morte minaccia.
Fegèo, tanta fierezza^ tanto orgoglio
Non soflercndo, al concitato carro
Pa rossj avanti ; e lievemente un salto
Spiccando, con la destra al fren s’ appese
Del sinistro corsiero. E sì com’era ^
Da la fuga rapito e da la forza
Di tulli insieme, insiememente a tutti
(Dal scntier divertendoli e dal corso)
I* acea storpio e disturbo. JEd ecco al fianco
Che ila la destra parte era scoperto,
^ .. [361-374]
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LIBRO XII.
613
[619-642]
Cotnl sentissi de la lancia un colpo,
Che la 'corazza, ancor ciré doppia o forte,
Straccióni, e’n fino al vivo lo trafisse,
Ma di lieve puntura. Ond^ei rivolto,
(imbracciato lo scudo e stretto il brando,
Confra gli s’ affilava, e per soccorso
Grillava intanto. Ma le ruote e l’asse
Ch’orano in moto, urtandolo, a rpvescio
Gittàrlo»: e Turno immantinente adtlosso
Sagliendoli, infra V elmo e la gorziera
II collo gli ricise, e dal suo busto
Tronco il capo lasciòlli in su I’ arena.
Mentre così vincendo e d’ ogni parte
Con tanta strage il campo trascorrendo *
Se ne va Turno ; Enea dal fido Acatè, •
Da Memrno e dal suo figlio accompagnato,
(Come da la saetta era ferito)
Sovr’ un’ asta appoggiato a lento passo
....Vergo gli alloggiamenti si ritragge. ,
Ivi contro a lo strai, contro a sè stesso
S’ inaspra e frange il tèlo, di sua inano
Ripesca 11 ferro, e poi che indarno il tenta,
Comanda che la piaga gli s’ allarghi
Con altro, ferro, e d’ ogn’ intorno s’ apra,.
[375-389] *
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l’ eseide.
fili
[G43-G66]
Sì clic tosto dal corpo gli si svelga,
E tosto a la battaglia se ne torni.
Comparso intanto era a la cura Ili pi
IV làso il figlio, sovr’ ogn’ altro amato
Da Febo. E Febo stesso, allor ch’acceso
Era da I’ amor suo, la cetra e l’arco
E ’l vaticinio, e qual «le Farli sue
Più l’ aggradasse, a sua scelta gli offerse.
Ei che del vecchio infermo e già caduco
Suo padre la salute c gli anni amava,
Saper de F erbe la possanza, c F uso
Di medicare elesse, e senza lingua
E senza lode e del futuro ignaro
Mostrarsi, in pria, che non ritorre a morte
Chi li diè vita. A la sua lancia Enea
Stava appoggiato, e fieramente acceso
Fremendo, avea di giovani un gran cerchio
Col figlio intorno, al cui tenero pianto
Punto non si movea. Sbracciato intanto
E con la veste a la* cintura avvolti.
Qual de’ medici è F uso, il vecchio lupi
C.li era d’ intorno^ e con diverse pruovc
Di man, di ferri, di liquori e d’ erbe
Invali s’affaticava, invano ogn’ opra,
[390-403]
i
LIBRO XII.
Gin
[G67-G90]
Ogn’ arie, ogni rimedio, e i preghi c i voti
Al suo maestro Apollo eran tentati.
De la battaglia rinforzava intanto
Lo scompiglio e l’ orrore; e già ’l{»eriglio
S’ avvicinava; già di polve il cielo,
Di cavalieri il campo era coverto; .
Oliò fin dentro a’ ripari c fra le tende
Ne cadevano i dardi ; e gii) da presso
S’ udian de’ combattenti e de’ caduti
I lamenti e le grida. Il caso indegno
D’ Enea suo figlio, c ’l suo stesso dolore
In sè 'Ciprigna e nel suo cor sentendo,
Ratto v’accorse, e fin di Creta addusse
Di dittamo un cespuglio, clic recente
Di sua man còlto, era di verde il gambo,
Di tenero le foglie, e d’ ostro i fiori
Tutto consperso e rugiadoso ancora.
Quest’ erba per natura ai capri è nota,
F dajor cerca allor che ’l tergo o ’I fianco
Ne vanofciardo o di saetta infissi.
Con questa Citerea pei* entro un nembo
Ne venne ascosa, e col salubre sugo
D’ambrosia e d’ odorata panacea
Mischiolla, e poscia i tiepidi liquori
[403-41 TJ
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G 16
l’^ejceioe.
[691-714],
CI»’ eran già presti in tal guisa ne, sparse
Clic mini se avvide. E n’ ebbe a pena
Ixi piaga infusa, che 1’ angoscia e ’1 duolo
Cessò repente: il sangue d’vgni parte
De la ferita in fondo si raccolse,
E seguendo la mano, il ferro stesso •
Come da sè n’ uscio. Spedito e forte,
E nel pristino suo vigor ridotta '
Enea dritto levossi. liipi il primo,
A che, disse, badale V c perchè l’arme
Tosto non gli adducete? Indi a lui volto,
Contea a’ nemici in tal guisa iuOamnaollo :
Enea, non è, non è per possa umana
0 per umano av.viso o per mia cura
Questo avvenuto. Un dio, certo un gran dio
A gran cose ti serba.. In questo mezzo
Ei, già di pugna desioso, entrambi
S’ avea gli stinchi di dorata piastra,
Il dorso di 'lorica, e la sinistra
Di scudo armala. E ‘già l’asta squassando,
D’ indugio impaziente in su la soglia
Tanto sol de la tenda si ritenne,
Che, si coni’ eini di luti’ armi involto,
Il caro luto caramente accolse,
. [il 8*433]
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[715-738] unno xir. (il7
E con le labbia a pena entro l'elmetto
Baciollo, e disse: .Figlio mio, da me / .
Ea sofferenza e la virili te impara j <
La fortuna dagli altri. Io quel cbe posso.
Or con qdesta mia destra ti difendo:
Onoi , grandezza e signoria t’ acquisto
Col sangue mio. Tu poi, quandoruaturi
Fian gli antri tuoi, fa’ cbe d’ Enea tuo padre
E d’Ettore tiro zio si ti rammenti,
Clic ti siamlefitticlie e i gesti loro
A gloria ed a vertute essempi e sproni.
Detto cosi, fuòr de le porte useendo
Brandi la lancia, c tutti. in Un drappello
Ristrinse i suoi. Memmo ed Anjèo eon-esso,
E quanti altri del vallo erano in prima
Lasciati a guardia, il vallo abbandonando,
Dietro gli*sr invierò. Alior di polve .
Levossi un nembose -d’ogn* intorno scosso
Abj^dmtar de’ piè tremò la terra. .
Turno disopra un argine mirando,
Questa gente venir si vide incontro.
Viderla, e ne temerò e* ne tremerò
Gli Ausonii lutti. Udinne il suoi! da lunge
bituma in primate per timore indietro
[434-449]
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618 l’ eneide. [73D-762J
Se ne ritrasse. Enea volando, al campo
Spinse lo stuol, che polveroso e scuro
Tal se n’ andò qual d’alto mare a terra
Squarcialo nembo, quando, ohimè! clic segno
E che spavento, e che ruina apporta
Ai miseri coloni ! e quanta strage
Agli alberi, a le biade, a la vendemmia
Se ne prepara! e qual se n’ ode intanto
Sonar procella, e venir vento a riva !
Colai conira a’ nemici il teucro duce
Co’ suoi, come in un gruppo insieme uniti,
Entrò ne la battaglia. Al primo incontro
Osil i, Archezio, Ufente ed Epulone
Ne gir per terra. Acale c Gemino e Già
E Timbrèo gli aflVonturo: e ciascun d’ essi
Atterrò ’l suo. Cadde Tolunuio appresso,
L’ augure che primiero il dardo trasse
Nel turbar de l’accordo. Al suo cadere
Tutto in un tempo empiessi il ciel di grida* w ,
La campagna di polve; e vólti in fuga
Se ne giro i Lalini. Enea sdegnando
E di seguire e d’ incontrar qual fosse
Pedone o cavalier, che o lungo o presso
Hi provocarlo e di ferirlo osasse,
[449-466]
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[763-786] libro xii. 6
Sol di Turno cercando iva per ei\iro
Quella densa caligine, e '1 suo nome
Solamente gridando, a la battaglia
Lo_disfidava. Impaurita e mesta
Oi ciò luturna, la virago ardita, ,
Tosto di Turno ai cano appropihquossi, *
E giù Metisco il suo fedele auriga
Subito trabocconne. Ed ella in vece
E ’n sembianza di lui, luì stesso al corpo,
A I armi, a lu favella, ad ogni molo
Rassomigliando, in seggio vi si pose,
E ne prese le redine, e lo' resse.
Qual ne va negra rondine aliando
Per le case de’ ricchi, allor che piume
E ruscelletti al cominciato nido
Quinci e quindi raunn, o picciol’esea
A’ suoi loquaci pargoletti adduce ;
Che sotto ai porticali e sopra Tacque,
atrii volando c per le sale '
^r altooHbasso si travoivc e gira;
Colai bituma il campo attraversando
Per ogni parte si spingea col carro
E co’ destrieri infra i nemici a volo,
Sovente a loco a loco il suo fratello
[466-479]
*
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620 . l’ereide. [787-810]
Vijicilor /dimostrando, e non soffrendo -
Che punto dimorasse, o eli’ a rincontro,
0 pur vicino al gran Teucro nc gisse.
Enea da I’ gltro tante incontro a lui
Volgendo, rivolgendo, e fra le schiere,
Così coip’ eran dissipate e sparse, • .•
Indarno ricercandolo, il chiamava
Ad alta voce. E mai gli occhi non torse
Ov’ ei si fussc, e dietro non gli mosse,
Ch’ella co’ suoi corsieri in più diversa
E più lontana parte non fuggisse.
Or clic farà, ch’ogni pensiero, ogni opra,
Ogni disegno gli rjlesce invano?
E i pensici’ son diversi? Ecco Messàpo,
Che per lo campo discorrendo intanto
0’ improviso rincontra. E sì eom’ era
D’ una coppia di dardi a la leggiera
Ne la sinistra armato, un ne gli trasse
Dritto sì che feria; se non eli’ Enea
(ìli fece schermo, e rannicchialo e stretto
Chinossi alquanto. E pur ne l’.elmo il colse
E ’l cimier ne divelse. Irato surse;
E poiché da’ nemici atlorneggioto
Si vide, e che i cavalli eran di Turno
[479-495]
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LIBRO XII.
621
[811-834]
l)i già sparili, a Giove, ai sacri altari
Del violato accordo e de l’ insidie
Molto si protestò: poscia tra loro
Gittossi impetuoso, e strazio e strage
Prosperamente, ovunque si rivolse.
Ne fece a tutto corso; e senza freno
Si diede a l’ira ed a la furia in preda.
Or qual nume sarà di’ a dir m’aiti
Le tante oceisioni e sì diverse
Clic di duci e di schiere c di falangi
Fcccr quei giorno, Enea da l’ una parte,
Turno da l’altra? Ah, Giove! si crudele,
Si sanguinosa guerra infra due genti .
Che saran poscia eternamente in pace?
Enea Sucrone, un de’ più forti Ausoni
Occise in prima, e primamente i Teucri
Fermò, ch’eran da ini rivolli in fuga.
L’ incontrò, to ferì, senza dimora
Morto a terra il gitlò ; eli’ in un de’ fianchi
Con la spada lo colse, e ne le coste
E ne la vita stessa ne gl* immerse.
Turno a piè dismontato, Amico in terra.
Clie da cavallo era caduto, infìsse:
E seco il frate suo Diòro estinse.
Caro. — -40. [495*510]
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V
L.’ ENEIDE. [835-8-Ó8]
L’un di lancia ferì, l’ altro di brando;
E d’ambi i capi dai lor tronchi avulsi
Sì coni’ eran di polvere e di sangue
Stillanti e lordi, per le chionrc appesi
Anzi al carro si pose. E via seguemlo
Quegli Talone-e Tonai e Cctègo
Tre feroci Latini ad un assalto"
Si stese avanti, e ’l mesto Onitc appresso
Figlio di Pcritia, gloria di Tebe.
E tre dal canto suo questi n’ancise
db’ eran fratelli de la Licia usciti
E de’ campi d’ Apòllo; a cui per quarto
Monéte aggiunse. Ab come il fato indarno
Si fugge! infin d’Arcadia fu costui
Qui condotto^ morire. E’irsp la riva
Era nato di Lerna, ove pescando,
Da I’ armi) da le corti e da palagi
Si tcnca luogc; e solo il suo tugurio
Avea per reggia, c per signore il padre,
Povero agricaltor de’ campi altrui.
Come due fuochi in due diverse parti
I)’ un secco bosco accesi ardon sonando
Le querce e i lauri; o due rapidi e gonli
Torrenti che nel mar dagli alti monti
[510.5:»:$]
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G23
[S59-882] libro xii.
Precipitando, se no va ciascuno
Il suo camino aprendo, e ciò che truova
Si caccia avanti c rumoreggia e spuma;
Così per la campagna, ambi fremendo,
Le schiere sgominando, e questi e quelli
Atterrando ne gian, da l'uno parte
Enea, Turno da l’altra. Or sì che d’ira,
Or si che di furor si bolle e scoppia-,
E con tutte le forze a ferir vassi ;
Chè V esser vinto, e non la morte è morte,
b qui Murrino (un che. superbo c gonfio.
Od nome e de l’ origine vantando
Se ne già degli antichi- avi e bisavi
Latini règi) fu d’un balzo a terra -
Da la furia d* Euea'spinto e travolto;
Si che di lui. del carro e de le ruote
la Ito un vi luppoli suoi stessi cavalli,
Il signore obliando, incrudelirsi,
E sotto al giogo e sotto ai calci accollo
L’ infranser, lo pigiàr, Io strascinat o,
h I anciseTo aitine. Ilo, cjie fiero
E minaccioso avanti gli si fece
Seguì Turno a ferir di dardo, in guisa
Che de I’ elmetto- (a dorata piastra
{52.fc.53Gj
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l’ ESEIDE.
G2V
[SS3-906]
E le tempie c’I celebro gli trafisse.
Nè tu, Creleo, ili man di Turno uscisti,
Perchè de’ più robusti e de’ più forti
Fosti de’ Greci. Nè di man d’ Enea
Scampar Capente i suoi numi invocati :
«
Clic nel petto ferillo, e non gli valse
Lo scudo che di bronzo era coverto.
E tu die centra a tante argive schiere
E centra al domator di Troia Achille,
%
Eolo, non cadesti, in quest i campi
Fosti, qual gran colosso, a terra steso.
Ma chef Quest’era il fin de’ giorni tuoi:
Qui cader t’era dato. Àppo Lirnesso
Altamente nascesti : appo Laureino
Umil sepolcro avesti. Ernn già tutti
Quinci i Latini e quindi i Teucri a fronte,
E tra lor mescolati Asila e Mommo,
E Scrosto e Messa po, e le falangi
Degli Arcadi c de’ Toschi, ognun per sè,
E tutti insieme con estrema possa,
Con estremo valor senza riposo
Faccan mortale e sanguinosa mischia.
Qui nel pensiero al travagliato tìglio
Pose Ciprigna di voltar le schiere
[.*>36-555]
4
[907-930] libro xu. 625
Subitamente a le nimiche mura,
E con quel nuovo, inopinato avviso
Assalir, disturbare, e l’oste insieme
E la città por de’ Latini in forse.
E sì come, di Turno investigando,
Volgea le luci in questa parte e’n quella,
Vide Laureato elle non toeco ancora
Slava da tanta guerra immune e scevro.
E da l’occasion subitamente
Preso consiglio, a sè Memmo, Seresto
E Sergesto chiamando, indi vicino
Sovr’ un colle si trasse, ove de’ Teucri
A inano a man si raunàr le schiere.
E sì come raccolti, armati c stretti
S’ éraii già ferini, in mezzo allo levossi
E così disse: Udite, c senza indugio
Fate quel eh’ io dirò. Giové è con noi.
E perchè sì repente io mi risolva
A questa impresa, non però di voi
Alcun sia che men pronto vi si mostri.
Oggi o che ire Latino al nostro impero
Converrà eh’ obbedisca e freno accetti ;
0 che questa città, seme e cagione
Di questa guerra, e questo reguo tutto
[555-668]
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626 l’ enf.ide. [931-954]
A foco, a ferro ed a mina andranno.
E che deggio aspetlar? Clic non più Turno
Fugga, sì come fa, la pugna mia ?
E che vinto una volta, si contenti
Di combattere un’ altra ? Il capo e ’l fine,
Ciltadin miei, di questa guerra ò ques|o.
Via, col foco a le mura e con le fiamme
ì\c vcndicliiam del violato accordo.
«
Avea ciò detto, quando ognuno a gara
E tutti insieme inanimati c stretti
Di conio in guisa, qual intera massa.
Appressar la città. Vi furon preste
Le scale e’I foco. Altri assalir le porle,
E questi e quelli occisero e caccialo,
Come pria s’ abbatterò. Altri lanciando *
Oppugnar la muraglia ; onde levossi
Di terra un nembo che fece ombra al sole.
Enea sotto a le mura attorneggiato
Da’ primi suoi, la destra alto e la voce
Levando, or con Latino or con gli Dei
Si protestava; clic due volte a l’armi
Era forzato c che due volte il patto
Oli si turbava. I cittadini intanto
l’ acean tumulto. E chi volea che dentro
[569-Ò84-]
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LIBRO XII.
627
Si chiamassero i Teucri c che le porle
Fossero aperte, il re fin su le* mura
A ciò traendo; e chi l’ armi gridando
S’apprestava a difesa. Era a vederli
Qual è di pecchie entro una cava rupe
Accolto sciamo allo'r che dal pastoi e
D’ amaro fumo è la caverna offesa ;
Che trepide, confuse e d’ira accese,
Per l’ incerate fabriche travolte,
Discorrendo e ronzando se ne vanno:
Al cui stridor l’jiflumigala grotta
Mormora, e tetro odore a I’ aur'a esala.
• r
In questo tempo un infortunio orrendo
Timor, confusione e duolo accrebbe
Agli afilitti Latini, e pose in pianto
Il popol tutto: e fu che la reina, ,
Visto da lungo incontro a. la eitlade
Venire i Teucri-, c già le faci e l’ armi
Volar per entro, e. più nulla sentendo
0 vedendo de’ Rutuli o di Turno, .
Onde aita o speranza le venisse,
'Si credè la meschina che già l’oste
Fosse sconfitto, e, ’l genero caduto,
Ogni cosa in mina. E presa è vinta
[584-599]
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628
l’ eseide.
[979-1002]
Da subito dolore, alto gridando:
Ali! ch’io la colpa, disse, io la cagione,
10 l’origine son di tanto male.
11 dopo molto affliggersi c dolersi,
Già furiosa e di morir disposta
Il petto aprissi, e la purpurea vesta
Si squarciò, si percosse, e dell’ infame
Nodo il collo s’avvinse, e strangolassi.
Udito il caso, la diletta liglia
1 biondi crini e le rosate guance
Prima si lacerò, poscia la turba
V’accorse de lo donde, e di tumulto
Di piatirti, di stridori e d’ululati
La reggia tutta e la ciltade empiessi.
Ognun si sgomentò. Latino, afflitto
De la morte (l’Amata e del periglio
Del regno tutto, lanìossi il mutilo,
Bruttassi il bianco e venerabil crine
D’immonda polve; amaramente pianse
Clic per suocero dianzi e per amico
Non si confederò col frigio duce.
Tu rno, che in questo mezzo combattendo
Bimaso era del campo in su l’estremo
Incontro a pochi, e quelli anco dispersi,
[599-015]
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LIBRO XII.
[1003-1026] x
G2U
Già scemo di vigore, e trasportato
Da’ suoi cavalli, che ritrosi e stanchi
Ogtior più se n’ andavano e lontani,
Io sò confuso e dubio se ne stava.
Quando ecco di Laureato ode le grida
Con un terror clic, non compreso ancora,
Gli uvea da quella parte il vento addotto.
Porse l’ orecchie, e M mormorio sentendo
De la città, che tuttavia più chiaro
Di tumulto sembrava e di travaglio,
Oh, disse, che seni’ io ? che novitate
E che rumore e che trambusto è questo
Che di dentro mi fere ? E, quasi uscito
Di sè, mirando ed ascoltando stette.
Cui la sorella (come già conversa
Era in Metisco, e come i suoi cavalli
Stava reggendo) si rivolse, e disse:
Di qua, Turno, di qua. Quinci la strada
Nc s’ apre a la vittoria. Altri a difesa
Saran de la città. Se d’altra parte
Enea de’ tuoi fu strage, e tu da questa
Distruggi i suoi ; che non men gloria aremo.
E più sangue faremo. E Turno a lei :
0 mia sorella ! (chè mia suora certo
[615-632]
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l’ ENEIDE.
6 30 l’ ENEIDE. , [1027-1050]
Sci tu) ben ti conobbi’infin da l’ora
Clic turbast i I’ accordo, e che poi meco
Ne la battaglia entrasti. Or, benché Dea,
Indarno mi t’ascondi. E chi dal cielo
Cosi qua giù ti manda a soffrir meco
Tante fatiche? A veder forse a morte
C.ir tuo fratello? E che, misero! deggio
Far altro mai? qual mi si mostra altronde
0 salute o speranza? Io stesso ho visto
Con gli occhi miei, lo mio nome chiamando,
Cadere il gran Murrino. E chi mi resta
Di lui più fido e più caro compagno ?
E ’l magnanimo Ufente anco è perito,
Credo, per non veder le mie vergogne;
E’I corpo c l’armi sue, lasso! in potere
Son de’ nemici. E soffrirò (chè questo
Sol ci mancava) di vedermi avanti
Aprir le mura, e ruinare i tetti
De la nostra città? Nè fia che Drance
Menta de la mia fuga? E fia che Turno
Volga le spalle, e quella terra il vegga?
Si gran male è morire? Inferni dii,
Accoglietemi voi, poiché i superni
Mi sono infesti. A voi di questa colpa
[632-64S]
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LIBRO XII.
631
[IOói-1074]
Scenderò spirto intemerato e santo,
E non sarò de’ miei grand’ avi indegno.
Ciò disse a pena; ed ecco a tutta briglia
Venir per mezzo a le nemiche schiere
Un cavai ier che Sage era nomato.
Di spuma e di sudore il suo cavallo,
E di sangue era sparso. In volto infìssa
Portava mia saétta, e con gran furia
Turno chiamando e ricercando andava.
Poscia che ’l vide, In te, disse, è riposta
Ogni speranza; abbi pietà de’ tuoi.
Enea va come un folgore atterrando
Tutto ciò che davanti gli si para ;
Eie mura e le torri e’I regno tutto
Di ruinar minaccia; e già le faci
Volano ai tetti. A le gli occhi rivolti
Son de’, Latini. E già Latino stesso
Vacilla, c fra due stassi a qual di voi
S’ attenga, e di cui suocero s’appelli.
La regina che solo era sostegno
De In tua parte, di sua propria mano,
Per timore c per odio de la vita,
S’è strangolala. Solamente* Alma
E Messàpo a difesa de le porte
[648-6 6 i]
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G32 L* ENEIDE. [l07f>--i09S] ìj
Fini lesta; ma gli vanno i Teucri a schiere
Con Inni’ aste a rincontro e tante spade
Serrati insieme, quante a pena in campo
Non son le biade. E tu per questa vota
E deserta campagna il carro indarno
Spingendo e volteggiando te ne stai1?
Turno «la tante orribili novellò
Sopraggiunto in un tempo e spaventalo,
Si smagò, s’ ammutì, col viso a terra
Chinassi. Amor, vergogna, insania e lutto
E dolore e furore e coscienza
Del suo stesso valore accolli in uno,
(ìli arsero il core e gli avvamperò il volto.
Ma poscia che gli fu la nebbia c l’ombra
De la mente sparita, e che la luce
Gli si scopri de la ragione in parte:
Cosi eom’ era ancor turbato e fero,
Di sopra al carro a la città rivolse
L’ ardente vista. Ed ceco in su le mura (
Vede che una gran fiamma al cielo ondeggia,
(ìli assiti, i ponti c le bertesche ardendo
D’uno torre eh’ a guardia era da lui
De la muraglia in su le ruote eretta.
E disse : Già, sorella, già son vinto
[G62-U7Ò]
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LIBRO XII.
[1099-1122]
634
Da! mio destino. A che piti in’ aitraversi?
Via dove la fortuna e Dio ne chiama!
Fermo son di venir- col Teucro a 1’ armi,
E soffrir de la pugna e de la morte
Ogni acerbezza, anzi che tu mi vegga
De la gloria de’ miei, sorella, indegno.
Or al fato mi lascia : c sostien eh’ io
Disfoghi infuriando il mio furore.
Così dicendo, fuor del carro a terra
Gittossi incontinente, e la sirocchia
Lasciando afflitta, via per mezzo a l’armi
E per mezzo a’ nemici a correr diessi.
Qual di cima d’ un monte in precipizi*
Rotolando si volge un sasso alpestro,
Che dal vento o dagli anni oda la pioggia
Divelto, per le piaggio a scosse, a balzi
Vada senza ritegno, e de le selve
E degli armenti e de’ pastori insieme
Meni guasto, ruina e strage avanti;
Tal per l’opposte e sbaragliate schiere
Se ne già Turno. E giunto ove in cospetto
De la città di molto sangue il campo
Era già sparso, e pien di dardi il ciclo ;
Alzò la mano, e con gran voce disse:
[675*692]
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034 l’ eneide. [ 1 123-4 146]
Stale, Rullili, a dietro; e voi, Latini
Toglietevi da l’ armi. Ogni fortuna,
Qua4 eli’ ella sia di questa pugna, è mia.
A me la colpa, a me si dee la pena
Del violalo accordo: a me per tutti
Pugnar debitamente si conviene.
A questo dir di mezzo ognun si tolse,
Ognun si ritirò. Di Turno il nome
Enea sentendo, il cominciato assalto
Dismise e da le mura e da le torri
E da tutte l’imprese si ritrasse.
Per letizia esultò, (eVribilmenle
Fremè, 'si rassettò, si vibrò tutto
Nc Farmi, e’n sò medesmo si raccolse;
Quanto il grand’Alo, o ’l grand’ Èriec a l’aura
!Non sorge a pena, o’I gran padre Appennino,
Allo r die d’ elei la fronzuta chioma
Per vento gli si crolla, c che di neve
Gioioso alteramente s’ incappella. i
I Rullili, i Latini, i Teucri e tutti
O eh’ a la guardia o ch’ a l’offesa in prima
l’osser de la muraglia, ognuno a gara ,
L’armi deposte, a rimirar si diero.
Latino esso re stesso spettatore
[693-707]
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I
[I 1 4^T -»4 i'70] libro xii. 635
Ne fu con meraviglia eh’ anzi a lui
Altri due re sì 'grandi, e di due parti
Del mondo sì diverse e sì remote,
Fosser de l’armi al paragon venuti.
Eglino, poiché largo e sgombro il campo
Ebber davanti, non si fur da lungo
Veduti a pena, che correndo entrambi
Mosser P un centra l’altro. I dardi in prima
S’ awenlàr di lontano, indi s' urtaro;
E ’i tonar degli scudi e’I suon degli clini
Fe la terra tremare, e I’ aura ai colpi
Fischiò de’ brandi. La fortuna insieme
Si mischiò col valore. In colai guisa.
Sopra al gran Sila o del Taburuo in cima,
D’umore accesi, con le fronti avverse
Van due tori animosi a rincontrarsi ;
Che pavidi in disparte se ne stanno
I lor maestri, s’ ammutisce e guarda
La torma tutta, e le giuvenche intanto
Stan dubic a cui di lor marito c donno
Sia de l’armento a divenir concesso;
Ed essi urtando, con le corna intanto
Si dan ferule, che le spalle e i fianchi
Ne grondali sangue, e ne rimugghia il bosco.
[708-7*22]
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I
6 36 l’exeide. [1171-1194]
Tal del troiano e de l’ausonio duce
lira la pugna, c lai de le percosse
E degli scudi il suono. A questo assalto
Il gran Giove nel ciel librate e pari
Tenne le sue bilance, e d’ ambi il fato
Contrapesando, attese a qual di loro
Desse la sua fatica c ’l suo valore
De la vittoria o de la morte il eroMo.
Qui Turno a tempo, che sicuro e destro
Gli parve, alto levossi, e con la spada
Di tutta forza a 1’ avversario trasse,
E ne l’elmo il ferì. Gridaro i Teucri,
Trepidare) i Latini, e sgomentarsi
Tutte d’ ambe gli csscrcili le schiere.
Ma la perfida spada in mezzo al colpo
Si ruppe, e ’n sul fervore abbandonollo,
Si, che la fuga in sua vece gli valse:
Clf a fuggir dicssi, tosto che la destra
Disarmata si vide, c clic da l’.else
L’arme conobbe che la sua non era.
E fama che da I’ impeto accecato,
Allor che prima a la battaglia uscendo
Giunse I limo i cavalli c ’l carro ascese,
l'er la confusione e per la fretta
{723-7-36]
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LIBRO XII.
637
[! L95-12i§]
Lasciato il patrio brando, a -quel, di piglio
Diè per disavventura,' che davanti _
Gli s? abbattè dèi suo Metisco in prima. *
E questo, fin ette dissipati e l'otti
N* andaro j-^Teucri, assai fedele e saldo*
Lungamente gli. resse. Ma venuto
Con Tarmi di Vulcano a paragone >
(Come quel che di diano tèa costrutto
Di mortai fubro) mal temprato e frale,
Qual di ghiaccio, si franse e ne la sabbia
Ne rifulsero 1 pezzi1. E*così' Turno
Fuggendo, orquinci or quindi per Io.campo,
Qual forsennato, indarno s’aggirava,
D’ ogni parte rinchiuso; che da T una
Lo serravano i Frigi e la palude, •
9
E ’l fosso e la muraglia -era da T al tra. -
E non men eh’ ei fuggisse, iT teucro dqce
(Come che da la piaga ancor tardato
Fosse de la saettale le ginocchia
Si sentisse ancor fiacche) il seguitava*
L’ardente vogliale la speranza eguale
A la tenia di lui, sì lo spingea,
Che giù già gli era sopra, e già ’l feria.
Così cervo fugace o da le ripe
Caro.— 41. [737-749]
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1
638 l'eneidb. [1219-1242] j
Chiuso d’ un alto fiume, o circondato
Da le vermiglie abbominate penne,
Se da veltro è cacciato o da molosso
Che correndo c latrando lo persegua,
Di qua di lui, di là del precipizio
Temendo e degli strali e degli agguati,
Fogge, rifugge, si travolve c torna
Per mille vie; ne dal feroco alano
È però meno atteso men seguito,
Che mai non V abbandona ; e già gli è presso
A bocca aperta, e già par elle 1’ aggiunga,
E M prendale ’1 tenga, e come se ’1 tenesse,
Schiattisce, e’I vento morde, ei denti incioeca.
Allor le grida alzàrsi, a cui le rupi
De’ monti e i laghi intorno rispondendo,
L’ aria e ’1 ciel tutto di tumulto empierò.
Mentre così l’uggia Turno gridando
E rampognando i suoi, del proprio nome
Ciascun chiamava, e ’l suo brando chiedea.
Enea da 1’ altra parte, minacciando
A tutti unitamente ed a qualunche
Di sovvenirlo e d’ appressarlo osasse,
Che faria de le genti occis'ione
Senza pietà, eh’ a sacco, a ferro, a foco
[749-761]
LIBRO XII.
639
[1243-1266]
Metteriala cittade.e ’l regno tutto,
Si com’era ferito, il seguitava.
Cinque volte girando-il campo tutto,
E cinque rigirando, e molte e molle
Di qua, di là correndo, imperversare:
Chè.non per gioco, non per lieve acquisto
D’ onor, ma per l’ imperio, per lo sangue,
Per la vita di Turno era il contrasto.
Per sorte in questo loco anticamente
Era a Fauno sacrato un olenstro . <
D’ amare foglie, venerabil legno
A’ naviganti che dal mare usciti
A salvamento, al tronco, ai rami suoi
Lasciavano i lor voti e le lor vesti
A questo dio de’.Laùrenti appese:
Non ebbero i Troiani a questo sacro
Più eh’ agli altri profaiii arbori o sterpi
Alcun riguardo; onde con gli altri tutti
Lo distirpàr, pereliè netto e spedito
Restasse il campo al marziale incontro.
De 1’ oleastro in loco era caduta
L’ usta d’ Enea : qui l’ impeto la trasse;
Qui si teuea tra le sue barbe infissa.
E qui per ricovrarla il tèucro duce
[762-774]
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640
l’ e .tei de.
[1267-1290]
Chinossi, e per far pruova se con essa
Lanciando lo fermasse almen da lunge,
Poi ch'appressar correndo noi potea.
Allorper téma in sè Turno confuso,
Abbi, Fauno, di me cura e -pielate,
Disse pregando, e tu, benigna terra,
Sii del suo ferro a mio scampo tenace, .
Se i vostri sucrificii e i vostri onori
Io mai sempre curai, che pur da’ Frigi
Son così vilipesi e profanati.
Ciò disse, e non fu ’l detto e M volo in vano :
Ch’ Enea molta fatica e mollo indugio
.Mise intorno al suo tèlo, nè con forza
Nè con industria alcuna ebbe possanza
Mai di sferrarlo. Or mentre vi s’ affanna
E vi studia e vi suda, ecco Iulurna
Un’altra volta né" lo stesso auriga
Mutata gli si mostra, e la sua spada
Al fratello appresenta. È d’ altra parte
Venere, disdegnando che la ninfa
Cotanto osasse, incontanente aneli’ ella
Accorse al tiglio, e l’ asta gli divelse.
Cosi d’ arme, di speme e d’ ardimento
Ambidue rinforzati, e l’un del brando,
[774-789J
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[1291-Ì314] librò' xw. 64 i
1/ altro de l’asta altero, un’ altra volta
A vittoria anelando's’ azzufferò.
Stava Giuno a mirar .questa battaglia
Sovr’ un nembo dorato, allor che Giove*
Così le disse: E che faremo alfine,
Donna? E che far ci resta? lo.so che. sai,
É tu P affernji, che da’ fati Enea -
Si deve al cielo, e che tra noi s’aspetta.
Ch’agogni più? Che macchini, e.che speli?
A che tra queste'nubi or ti ravvolgi ?
Convenevol ti sembra e degna cosa
Che mortai ferro a violar presuma
Un che Ha divo? E ti par degno e giusto
Ch’ a Turno in man la spada si>ipouga
Quando egli stesso la si tolse e ruppe?
E 1’ aVria senza te Juiurna osato?
Non che potuto, ah ! crescer forza a’ vinti?
Togliti giù da questa- impresa ornai,
Togliti; e me, che te ne prego, ascolta :
Nè soffrir che ’l. dolor, ch’entro ti rode,
Cangiando if dolce tuo sereno aspetto,
Sì ti conturbile sì spesso cagione v -
Mi sia d’amaritudine e di noia.
Quest’ è l’ultima fine. Assai per mare,
[789-S03]
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642
L’ ENEIDE.
[1315-4338]
Assai per terra hai tu (in qui potuto
A vessare i Troiani, a muover guerra
Cosi nefanda, a scompigliar la casa —
Del re Latino, e ’ntorbidar le nozze,
Sì come hai fatto. Or più tentar non lece;
Ed io lei vieto. E qui Giove si tacque.
Abbassò M volto, ed umilmente a lui
Così Giuno rispose: fo, perchè noto
M’ è, signor mio, questo tuo gran volere,
Ancor contra mia voglia abbandonata
Ilo 1’ aita di Turno, e qui da terra
Mi son levata. Che se ciò non fosse,
.Me così solitaria, non vedresti,
Coni’ or mi vedi; in queste nubi ascosa,
E disposta a soffrir tutto eh’ io soffro
Degno e non degno; ma di damme cinta
Mi rimescolerei per la battaglia
A danno de’ Troiani. Io, solo in questo,
Tel confesso, a Iuturna ho persuaso
CI»’ aVsuo misero frate in si grand’ uopo
Non manchi di soccorso, e ch’ogni cosa
Tenti per la salute e per lo scampo
De la sua vita. E non però le tlissi
Giammai clic. I’ arco e le saette oprasse
[803-815]
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643
[4339-1362] libro xii.
Incontr’ Enea. Tel giuro per la fonte
Di Stige, quel eli’ a noi celesti numi
Solo è nume implacabile e tremendo.
Ora per obbedirti, e perchè stanca
Di questa guerra e fastidita io sono.
Cedo e più non contendo. E sol di questo
Desio che mi compiaccia (e questo al fato
Non è soggetto), che per mio contento,
Per onor de’ Latini, pei* grandezza
E maestà de’ tuoi, quando la pace, .
L’accordo e’1 maritaggio fia conchiuso
(Clie sia felicemente), il nome antico
Di Lazio e de le sue native genti
L’ abito e la favella pon si mute;
Nè mai Teucri si chiamino o Troiani.
Sempre Lazio sia Lazio, c sempre. Albani
Siati d’Alba i regi, e ia romana stirpe
D’ italica virtù possente e chiara.
Poiché Troia perì, lascia che péra
Anco il suo nome. A ciò Giove sorrise,
E cosi le rispose: Ah! sei pur nata
Ancor tu di Saturno, e mia sorella.
E consenti die l’ira eP acerbezza
Così ti vinca? or, come follemente
- • [316-832]
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644
L* ENEIDE. [1363- f 386]
le concopeste, il cor le ne disgombra
Ornai del lutto. E lutto io li concedo *
Elie tu domandi, e vinto mi ti rendo.
La favella, il costume e ’I nome loro
Ritengami gli Ausoni, e solo i corpi
Abbian con essi f Teucri uniti e misti. -
D’ ambedue questi popoli i costumi,
I rili, i sacrifìci i in uno accolti,
Lna gente farò eh’ ad una voce
Latini si diranno. E quei che d’ ambi
Nasceran poi, sovr’a I’ umana gente
Si vedran di possanza e di pietade
birne a’ celesti eguali; e non mai tanto
Sarai tu cólta e riverita altrove. ’
Di ciò Giuno appagossi, e lieta e mite,
.Già verso i Teucri, al ciel fece ritorno.
Giove poscia luturna da l’aita . .*
Distor pensò di suo fratello, e’I fece
In questa guisa. Due le pesti sono,
Clic son Dire chiamate, al mondo uscite
Gon Megera ad un parto, a lei sorelle,
Gighe a la Notte, e di Cocito alunne,
Che d’aspi han parimente irte le chiome
L di ventose bucce i dorsi alati.
1832-84*1
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[1387-1440] libro xn. 645
Queste di Giove al tribunale intorno,
E de la sua gran reggia anzi a la soglia
Si presentano allor che pena e pèsti
E morti a noi mortali, e guerre a’ luoghi
Che ne son meritevoli apparecchia.
Una di loro, a terra immantinente
Spinse il padre celeste, onde Iuturna
De la fraterna morte augurio avesse.
Mosse la Dira, e di tempesta iu guisa
Ch’ impetuosamente trascorresse,
Volò come saetta che da Parto,
0 da Cidone avvelenala uscisse
E non vista, ronzando e 1’ ombre aprendo,
Ferita immedicabile portasse.
Giunta là ’ve di Turno e de’ Troiani
Vide le schiere, in forma si ristrinse
Subitamente di- minore augello,
Ed in quel si cangiò che da’ sepolcri
E dogli antichi e solitari alberghi
Funesto canta, e sol di notte vola.
Tal divenuta, a Turno s’ apprcsenta,
Gli ulula, gli svolazza, gli s’aggira
Molte volte d’ intorno; e fin con l’ali
Lo scudo gli percuote, e gii fa vento.
[849-866]
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646
L’ ENEIDE.
[1411-1434]
Stupì, si raggricciò, muto divenne
Turno per la paura. E la sorella
Tosto che lo stridor sentitine e l’ali,
Le chiome si stracciò, grafTìossi il volto,
E con le pugna il petto si percosse.
Or che, dicendo, ornai, Turno, più puote
Per te la tua germana? E che più resta
A far per lo tuo scampo, o per l’ indugio
De la tua morte? E come a cotal mostro
Oppor mi posso io più ? Già già mi tolgo
. i *
Di qui lontano. A clic più spaventarmi?
Assai di tema, sventurato augello,
Nel tuo venir mi désti. E ben conosco
Ai segni del tuo canto e del tuo volo
Quel che m’ ajiporti. E non punto in’ inganna
Il severo precetto e ’l voler empio
Del superbo tonante. E questo ò ’l pregio
De la verginità che m’ha rapita?
E perchè vita mi concesse eterna?
Perchè ’l morir mi tolse? Acciò morendo
Non finissi il mio duolo? acciò compagna
Gii' non potessi al misero fratello?
Immortai io? Che vaimi ? E che mi puote
Ne I immortalità parer soave
[867-SS2]
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LIBRO XII.
[1 435-1458]
647
Senza il mio Turno? Oh qual mi s’apre terra
Che seco mi riceva e mi rinchiugga
Tra I’ ombre inferne; e non più ninfa e Dea
Ma sia mortale e morta? E cosi detto.
Grama e dolente, di ceruleo ammanto
Il capo si coverse. Indi correndo
Nel suo fiume gittossi, ove s’immerse
Infimo al fondo, e ne mundò gemendo
In vece di sospir gorgogli a l’aura.
Intanto il suo gran tèlo Enea vibrando
Col nemico s’azzuiTu, e fieramente
Lo rampogna e gii dice: Or qualpiù, Turno,
Farai tu mora, o sotterfugio, o schermo?
Con l’armi, con le man, Turno, e da presso,
Non co’ piè si combatte e di loutano.
Ma fuggi pur, diléguati, trasmutati,
Unisci le tue forze e’1 tuo valore,
Vola per l’ aria, appiattati sotterra,
Quanto puoi t’ argomenta, e quanto sai,
Ghè pur giuntovi sei. Turno squassando
Il capo, Ah, gli rispose, che per fiero
Che mi ti mostri, io de la tua fierezza,
Orgoglioso campion, punto non temo,
Nè di te: degli Dei temo e di Giove,
[883-895]
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648 l’ eneide. [1459-1182]
Che nimici mi sono e meco irati.
Nulla più disse; ma rivolto, appresso
Si vide un sasso, un sasso antico e grande
Ch’ ivi a sorte per limite era posto
A spartir campi e tór lite a’ vicini.
Era sì smisurato e di tal peso,
Che dodici di quei ch’oggi produce
Il sccol nostro, e de’ più forti ancora,
Non l’avrebber di terra alzato a pena.
Turno diègli di piglio, e con esso alto
Correndo se ne già verso il nemico,
Senza veder nò come indi il togliesse,
Nè come lo levasse, nè se gisse,
Nè se corresse. Disnervate e fiacche
Gli vacillar le gambe, e freddo e stretto
Gli si le ’l sangue. Il sasso andò per l’aura,
Sì che ’l colpo non giunse, e non percosse.
Come di notte, allor chc’l sonno chiude
I languid’ occhi a l’affannata gente,
Ne sembra alcuna volta essere al corso
Ardenti in prima, c poi freddi in sul mezzo,
.Manchiam di Iena sì ch’i piè, la lingua,
ha voce, ogni potenza ne si toglie
Quasi in un tempo; cosi Turno invano
[895-913]
T
[>483-1506] libro xu. 649
Tutte ilei suo valor le forze oprava
Da la Dira impedito. Allora io dubbio
Fu di sè stesso, e molti per la mente
Gli andato e vari e torbidi pensieri.
Torse gli occhi a’ suoi Rutuli, e le mura
Mirò de la città : poscia sospeso
Fermossi, e pauroso ; e sopra il tèlo
Vistosi del gran Teucro orror ne prese,
Non più sapendo o dove per suo scampo
Si ricovrasse, o quel che per suo schermo,
0 per offesa del nemico oprasse.
Mentre così confuso e forsennato
Si sta, la fatai asta Enea vibrando,
Apposta ove colpisca, e con la forza
Del corpo tutto gli l’avventa e fere.
Machina con tant’ impeto non pinse
Mai sasso e mai non fu squarciata nube
Che sì tonasse. Andò di turbo in guisu
Stridendo, e con la morte in su la punta
Furiosa passò di sette doppi
Lo rinforzato scudo; e la corazza
Aprendo, ne la coscia gli s’infisse.
Diè del ginocchio a questo colpo in terra
Turno ferito. I Rutuli gridaro;
[913-928] *
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(550
L* ENEIDE.
[1507-1530]
E tal surse fra lor tumulto e pianto,
Che M monte tutto e le foreste intorno
Ne rintonaro. Allor gli occhi e la destra
Alzando in atto umilmente rimesso,
E supplicante: Io, disse, ho meritato
Questa fortuna; e tu segui la tua;
Chè nè vita, nè vènia ti dimando.
Ma se pietà de’ padri il cor ti tange,
(Chè ancor tu padre avesti, e padre sei)
Del mio vecchio parente or ti sovvenga.
E se morto mi vuoi, morto eh’ io sia
Rendi il mio corpo a’ miei. Tu vincitore,
Ed io son vinto. E già gli Ausoni tutti
Mi ti veggiono a’ piè, che supplicando
Mercè ti chieggio c già Lavinia è tua ;
A che più contro un morto odio e tenzone1?
Enea ferocemente altero e torvo
Stette ne l’arme, e vólti gli occhi a torno,
Frenò la destra; e con l’ indugio ognora
Più mite, al suo pregar si raddolciva;
Quando di cima all’omero il fermaglio
Del cinto infortunato di Pallante
Negli occhi gli rifulse. E ben conobbe
A le note sue bolle esser quel desso,
[923-943]
£U
LIBRO XII.
651
[1531-1548]
Di che Turno quel dì Pavea spogliato,
Che gli diè morte; e che per vanto poscia
Come nemica e gloriosa spoglia
Lo portò sempre al petto attraversato.
Tosto che ’l vide, amara rimembranza
Gli fu di quel, eh’ ei n’ ebbe, affanno e doglia ;
•
E d’ira e di furore il petto acceso,
E terribile il volto, Ah, disse, adunque
Tu de le spoglie d’ un mio tanto amico
Adorno, oggi di man presumi uscirmi,
Sì che non muoia ? Muori: e questo colpo
Ti dà Pollante, e da Fallante il prendi.
A lui, per mia vendetta e per sua vittima,
Te, la tua pena, e ’l tuo sangue consacro.
E, ciò dicendo, il petto gli trafisse.
Allor da mortai gielo il corpo appreso
Abbandonossi ; c l’anima di vita
Sdegnosamente sospirando uscio.
[943-952]
Fine.
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